Lucky
Strike.
L’auto faceva le fusa sotto le sue mani.
La
leva del cambio nella sua mano destra inseriva facilmente la
quinta.
Il
piede preme sull’acceleratore.
Non
andava di fretta, anzi era stranamente in anticipo. Ma
correva, solo per il malsano gusto di correre.
In
quel momento voleva solo sentire la sua nuova Alfa 159
ringhiare sull’asfalto.
Gli
è sempre piaciuto quel rumore. Lo faceva stare insolitamente
bene.
L’orologio
sul cruscotto segnava le nove e mezzo. E il suo
appuntamento era solo per le dieci.
Aveva
intenzione di rimanere a girare con l’auto ancora per
molto.
Doveva
pensare.
Vide
le luci della città avvicinarsi sempre di
più e capì
che era arrivato il momento di rallentare.
Prese
la curva che portava alla rotonda subito prima della prima
strada cittadina.
Rallentò
fino a fermarsi, parcheggiando nel primo posto
disponibile con una sola manovra.
Aprì
il finestrino fino in fondo e respirò l’aria
fresca.
Il
vociferare di qualche passante e il camminare troppo lento di
alcune macchine che passano da quelle parti lo distraevano.
Dal
borsello lasciato sul sedile vicino prese bestemmiando
l’ultima Lucky Strike e l’accendino che gli aveva
regalato la sorella l’anno
scorso, per Natale.
Era
troppo tardi per trovare un tabacchino aperto? Forse. Si
sarebbe dovuto ridurre ad andare alla ricerca di qualche distributore.
Per
quella sera, non sarebbe bastata quella sola sigaretta.
La
accese ed inspirò il primo tiro come una persona normale
respirerebbe pura aria fresca.
Con
impellente necessità e una gran dose di soddisfazione.
Quelli
però, erano solo inutili ragionamenti.
Erano
passati già cinque minuti. E si sentiva di non aver fatto
nessun passo avanti.
Anzi,
era possibile ritrovarsi cinque passi indietro da quando
si era iniziato a ragionare?
Uscì
dall’auto alzandosi controvoglia dai sedili chiari in
pelle. Prese il borsello e una volta chiuso lo sportello e premuto il
pulsante
del telecomando anche il finestrino, dimenticato aperto, si chiuse
automaticamente.
Dove
aveva la testa quella sera?
Era
nella casa di un dannato scansafatiche. Sarebbe dovuto
andare a riprendersela presto.
In
quella maledetta casa, luogo di pensieri dimenticati, si
trovava anche il suo cuore.
Quella
insopportabile e fastidiosa casa di periferia.
Camminò
verso dove si ricordava, doveva esserci un tabacchino,
una volta.
Camminò
cercando di concentrarsi, una volta per tutte.
Aveva
quasi finito la sigaretta e già sentiva il frenetico
impulso di accenderne un’altra.
Quella
era diventata una malattia ormai. Glielo diceva anche
Lui.
Doveva
smetterla. Con entrambe le cose… avrebbe dovuto
smetterla.
Si
ricordava, come se non fossero passate neanche ventiquattro
ore, quel giorno nel quale si incrociarono le loro anime in pena.
Stava
fumando una sigaretta. Proprio come in quel momento.
La
stava finendo e il suo corpo ne richiedeva già
un’altra. Era
come rivivere quel momento, se solo fosse stato nel retro di una
discoteca.
Lui,
con un’aria tremendamente scocciata, lo aveva seguito tutta
la sera.
Con
lo sguardo, da lontano.
Quando
poi, era uscito per quella dannata sigaretta, se lo era
ritrovato vicino.
-lo
sai che fumare fa male?
Disse
in un mezzo sbadiglio.
Si
appoggiò ad una parete del vicolo con le mani dietro la
testa
e continuava a guardarlo.
Quello
sguardo era così strano.
Talmente
intenso da poterlo sentire sulla pelle. Tagliente,
faceva quasi male.
-lo
so. Ma non riesco più a smettere.
Rispose
così, come un tossico qualsiasi. Chiudendo gli occhi e
accendendone un’altra.
Assaporando
l’ennesima LS.
Non
sentì i suoi passi.
Forse
troppo preso dal primo, sacro tiro alla sua regina
Sigaretta.
Gliela
tolse dalle mani, la gettò in terra e con il tacco della
scarpa la spense.
Probabilmente
cercò di replicare, ma non ci riuscii. Le loro
bocche erano già premute una contro l’altra e
senza rendersene conto ricambiava
il suo bacio.
Era
già completamente assuefatto dalla sua presenza.
Aveva
quell’odore tipicamente mascolino. Il forte dopobarba e
colonia.
Lo
strinse a se. Forte. Facendo cozzare i loro corpi.
Era
sicuro che se l’aspettava una reazione del genere. Lui
prevede sempre tutto.
Lo
aveva osservato tutta la serata e sapeva perfettamente come
comportarsi con lui.
Non
sapeva il suo nome ma aveva capito tutto quello che c’era
bisogno di sapere per farlo cadere tra le sue braccia.
Ai
suoi piedi.
Lo
colse di sorpresa e non seppe resistere.
Il
suo istinto animale gli diceva di stargli vicino.
Il
suo bacio, feroce, era così dannatamente perfetto.
Sono
passati due mesi. Forse qualcosa di più.
Ed
è sempre stato sempre sesso. Allora perché quella
non
riusciva a ragionare? Aveva la testa piena della sola idea che tra
cinque
minuti si sarebbe ritrovato nella stanza con Lui.
Con
il suo odore. Col profumo di colonia e dopobarba.
Non
bisognava mai innamorarsi delle persone con Lui.
Infondo
il sesso è un’attitudine, come l’arte in
genere. E forse
l’aveva capito per essere lì.
Ma
lo amava. Lo amava.
Poteva
essere antico, ma ormai lo amava…
E
in quel momento, sarà stata la consapevolezza improvvisa.
Sarà
stata la forte crisi d’astinenza dal suo corpo, mille volte
maggiore di quella per le sigarette.
Sarà
stata la notte stellata sopra di lui a infondergli il
romanticismo che gli era sempre mancato.
Iniziò
a correre verso la macchina.
Dannazione,
non era riuscito neanche a trovare un cazzo di
tabacchino aperto.
In
città, solitamente, era solito non superare i limiti di
velocità.
In
autostrada era tutta un’altra storia, ma tra le piccole e
piacevoli vie di una cittadina come la sua, non voleva correre rischi.
Non
per prevenire multe.
Solitamente
aveva paura.
Di
un bambino sfuggito a qualche mano scivolosa di mamma. Di
qualche vecchietto tremolante.
Anche
solo di un gatto o un cane temerario deciso a sfidare la
vita di strada.
Non
voleva avere vite sulla coscienza, lui.
Eppure,
quella sera, per la prima volta, la lancetta rossa
riuscì a sfiorare i cento chilometri orari.
Come
aveva fatto, non lo sapeva neanche lui.
Una
freccia nera, con lo stemma di quella casa automobilistica
italiana, sfrecciava per le vie di Konoha.
Aveva
fretta.
Aveva
perso troppo tempo per pensare a qualcosa che sapeva da
tempo ormai.
Si
erano fatte le dieci e un quarto, quando con un strana
sgommata aveva parcheggiato esattamente sotto casa Sua.
Era
in ritardo. In maledetto ritardo.
Sapeva
che il ragazzo non si sarebbe arrabbiato. Non si
arrabbiava mai. Era quasi fastidiosa la sua totale indifferenza a tutto.
Non
riusciva mai a mostrare le sue emozioni. Non ne era capace?
E
lui, che era un ragazzo tremendamente irritabile, si
infervorava spesso.
Per
poi ricevere quegli sbadigli che ammazzavano la
“conversazione”.
Tremava.
Sentiva di star tremando e gli girava lievemente la
testa.
Cosa
avrebbe dovuto fare?
-Sali.
Lo
aveva sentito arrivare e lo aveva chiamato dalla finestra
della veranda.
Lui
sapeva sempre tutto.
Forse
sapeva già quello che era venuto a dirgli.
Sapeva
il perché del suo ritardo? Del suo isterico nervosismo.
Lui
aveva sempre saputo tutto.
Allora
c’era davvero bisogno di dirglielo?
Se
lo sapeva e non l’aveva rifiutato poteva pensare di avere
qualche speranza?
Forse
lo aveva intuito ancora prima che se ne rendesse conto lui
stesso.
Saliva
lentamente le scale della palazzina.
Solo
una rampa di scale per arrivare davanti alla sua porta.
Non
c’era bisogno di bussare, la porta era socchiusa e Lui era
seduto sul divanetto della veranda.
Guardava
il cielo.
-ce
ne hai messo per salire. Come mai tutta questa fretta?
-non…non
vado di fretta.
-facciamo
un giro in macchina?
Rimase
sospettoso sulla soglia della porta.
Che
domanda era quella? Da quando in qua gli chiedeva di andare
a fare un giro?
-in
macchina tua.
E
quello sembrava per lo più un ordine.
Voleva
parlargli? Voleva anticiparlo e non fargli confessare i
suoi sentimenti?
Lo
sapeva che Lui sapeva sempre tutto.
Era
una sensazione sgradevole.
Gli
prudevano le mani e aveva quasi voglia di prenderlo a pugni.
-va
bene.
Quella
era una condanna a morte. Dopo quel giro in macchina ci
sarebbe stato il tutto o il niente.
Erano
arrivati alla resa dei conti.
Scesero
le scale in silenzio.
Non
era insolito nelle conversazioni con lui. O meglio nelle
non-conversazioni.
Passava
quasi tutto il tempo a guardarlo, quando erano insieme.
A osservarlo come se anche per lui, in quei momenti, averlo vicino
fosse
strettamente necessario.
Erano
i momenti che preferiva.
Arrivarono
vicino la macchina.
Il
suono metallico del telecomando. Le portelle si aprirono.
Una
volta seduto al posto del guidatore sentiva la crisi
d’astinenza farsi sempre più forte.
Continuava
a tremare. La gola era secca e gli girava la testa…
La
mano destra inserì la chiave. La girò e la
macchina iniziò a
ringhiare.
Quello
riusciva a rilassarlo.
Tolto
il freno a mano, la macchina iniziò a camminare sotto i
suoi tocchi.
Camminava
piano. La fretta non c’era più e non sapeva dove
sarebbe arrivato.
C’era
un posto dove voleva portarlo? Dove voleva essere portato?
Lui
non parlava.
Avrebbe
dovuto decidere di testa sua.
La
sua macchina, forse, lo avrebbe guidato nel posto perfetto.
-beh,
allora… come stai?
-non
c’è male.
La
conversazione era già morta.
-dove
vuoi che ti porti?
-non
devi portarmi da nessuna parte speciale. È un giro in
macchina.
-vuoi
parlarmi di qualcosa?
-e
tu?
E
lui?
Non
poteva farlo così.
Non
nella sua macchina, al buio, senza guardarlo negli occhi.
Non
poteva…
Non
rispose.
Si
guardò attorno. Dove si trovava?
Quella
strada la conosceva. E con un sorriso capì di aver
trovato una meta.
Allora
la seconda curva e poi un’altra. I cartelli erano troppo
bui.
Ma
lui quella strada la conosceva a memoria tanto da poterla
fare a occhi chiusi.Istintivamente sorrise di nuovo, sentendosi bene.
L’ultima
strada dritta. Alla sua destra, il mare.
Accostò.
-ti
sei fermato.
-ho
bisogno che ti mi baci adesso.
-perché?
-sto
andando decisamente in crisi d’astinenza da te.
Una concisa
e esplicativa spiegazione di quella richiesta
improvvisa lo fece cedere prima del previsto e senza rispondere
più poso le sue
labbra su quelle del compagno.
Rimasero
fermi per qualche secondo prima che l’automobilista si
risvegliasse dallo stato catatonico in cui era caduto per poi reagire
al lieve
bacio.
Chiuse
gli occhi.
Lo
faceva per assaporare meglio il Suo sapore.
Una
mano dietro il suo collo per farLo avvicinare ancora di più.
La
sua lingua stuzzicava il labbro inferiore più e
più volte.
E
nonostante non lo desse a vedere, anche Lui ogni tanto,
riusciva a perdere l’autocontrollo.
Lo
faceva stringendolo più forte i fianchi ai quali era
aggrappato e muoveva la Sua
lingua più freneticamente.
Non
voleva che gli altri se ne accorgessero, ne era sicuro, ma
lui riusciva a cogliere ogni Suo tentennamento. Come quella mano al
limite
della sua maglietta che stringeva spasmodicamente l’orlo,
impegnata a resistere
alla tentazione di tastare la pelle al di sotto.
Se
apriva di poco gli occhi, vedeva le Sue palpebre contratte e
la sua espressione contrita e concentrata lo esaltavano.
Con
una mano ancora sul volante, era come estasiato dall’effetto
che esercitava su di Lui.
Lentamente
si ritirò, ritrovandosi la fronte appoggiata alla
sua.
-sei
meglio di una Lucky Strike in certe situazioni.
-è
una delle soddisfazioni della vita sentirselo dire.
Sorrideva,
impercettibilmente.
Ma
con quegli occhi castani, tanto chiari da apparire oro,
riusciva a cogliere ogni sua minima espressione.
-dovevi
dirmi qualcosa?
E
la domanda arrivò, un eco lontano nella sua mente ancora
inebriata dal bacio, ma fu come un montante sulla mascella.
Si
allontanò da Lui.
-si.
Si
riposizionò sul sedile, guardando avanti.
Guardando
il mare. O dove una volta doveva esserci stato.
Adesso
vedeva solo scuro. Il mare e il cielo completamente neri
erano diventanti una cosa sola e solitaria. Indistinguibili.
Era
quasi affascinante.
-lo
sai che non sono un tipo che fa tanti giri di parole…
-lo
so?
-non
interrompermi. Ok, forse qualche giro di parole. Ma tu sta
zitto.
-va
bene. Che noia…
Già,
che noia.
Con
gli occhi chiusi si era completamente steso sul sedile
vicino al suo.
Ma
lo ascoltava.
-noi…
Si, voglio parlare di noi. Cioè, di me con te. Di me e te.
Non so se sia mai veramente esistito un noi. Probabilmente no. Infondo
ci
conosciamo da due mesi no? Sono due mesi o qualcosa di
più…giusto?
-sono
sessantasei giorni. Ci siamo conosciuti la mattina del
primo ottobre.
-si,
il gatto, il gatto… ma non è di questo che ti
devo parlare…
Si
ricordava tutto. Era quasi impressionante.
La
sua mente neanche se li ricordava i giorni esatti… Lui si.
Era
una buona cosa, no?
-beh,
hai detto che sono sessantasei giorni e ci siamo visti
almeno tre volte alla settimana. Non sono bravo nei calcoli, ma abbiamo
passato
abbastanza tempo insieme…
-dove
vuoi andare a parare Kiba?
-io
mi sono innamorato di te. Ti amo, Shikamaru.
Alla
fine lo aveva detto.
Tutto
d’un fiato.
Il
silenzio che ora li circondava si faceva sempre più
pressante.
Lo
sentiva comprimersi e prenderlo alla gola, senza riuscire a
farlo respirare più.
Lo
stava avvolgendo. E la testa ricominciava a girare
vorticosamente…
Lo
sentiva improvvisamente lontano chilometri e sentiva freddo.
Non per essere appena arrivato dicembre ma per quella
distanza. Doveva riavvicinarsi a Lui.
Dopo
tutte le seghe mentali e i continui rifiuti da se stesso,
lo aveva fatto. E adesso?
Il
tutto o il niente. Come si era prefissato appena entrato in
macchina con il moro.
Ma
la sicurezza, a quel punto, iniziava a vacillare.
Le
mani, vicine fino a toccarsi su quella circonferenza di legno
in quel momento completamente inutile. La fronte bassa fino a toccarsi
le
nocche.
Nella
gola, ancora in quella morsa soffocante di quel silenzio,
quelle due parole.
-ti
amo, ti amo, ti amo…
Sussurrava.
E
Lui? Lui non lo sentiva? Era caduto nel vortice immobilizzante
di quelle parole non dette anche lui?
Era
ancora lì? Con la testa appoggiata al suo fatto-apposta a
pensare?
Se
si, a cosa pensava? Magari dormiva…
Le
domande, oh quante erano quelle domande.
A
un certo punto lo spostamento d’aria alla sua destra gli fece
capire i suoi movimenti. Andava via?
Lo
sportello di apriva e il suo odore forte si mescolava a
quello del mare.
Ancora
non ragionava lucidamente e un istintivo pensiero gli
disse che era un mix entusiasmante.
Uscì,
seguendolo, per non perderlo dalla sua visuale. Era troppo
buio…
Era
seduto sulla sabbia.
Continuava
a guardare il cielo, come faceva spesso. Poi
solitamente sospirava e diceva…
-che
seccatura.
Prima
pugnalata. Nello stomaco.
-eh
no. Questa cosa no, diamine, questa non è una scocciatura.
È
una cosa seria.
-lo
so. Ma è una seccatura lo stesso.
Seconda
pugnalata, più su, centrando il polmone sinistro.
-il…il
mio a-amore per te, sarebbe solo una seccatura per te?
Una noia?
-…-
Terza
pugnalata. Esattamente nel centro del cuore.
-silenzio
eloquente.
Non
capiva in quel momento. Sentiva solo un gran male.
Male
ovunque.
Talmente
tanto da doversi accasciare al suolo e stringere le
ginocchia contro il petto.
Avrebbe
potuto anche piangere.
La
prima goccia sui pantaloni scuri, gli fecero capire che lo
stava già facendo. Forse già dalla prima fitta di
dolore.
-dovevo
aspettarmelo che si trattasse di questo. Per questo ti
ho proposto il giro, lo avevi capito no?
-si.
Lo avevo capito.
-sai
cosa non avevi capito?
-cosa?
-quello
che avevo bisogno di dirti io.
Cosa
c’era da dire ancora? Che faceva, lo prendeva per il culo?
Sentì
un’ombra ancora più pesante sul suo corpo e
dovette alzare
gli occhi, ancora lievemente bagnati dalle lacrime, per rendersi conto
che Lui
era esattamente lì.
Non
lo aveva sentito muoversi. Come al solito.
Lo
guardava dritto negli occhi. Erano più neri del solito.
Lo
perforavano come di consueto.
O
forse di più? C’era qualcosa di diverso in quei
pozzi scuri?
Sembrava
quasi… arrabbiato.
-avevo
ragione, non hai minimamente pensato che anche io avevo
qualcosa da dirti. L’avevo previsto, lo ammetto, ma in questo
momento mi sta
dando fastidio lo stesso.
Doveva
temere quello sguardo? Quelle parole?
Non
conosceva quella parte di Shikamaru, una parte arrabbiata.
Non pensava esistesse.
Eppure
lo guardava e gli sembrava sempre più affascinante.
Dalla
sua posizione, ancora accovacciata ai suoi piedi, sembrava
talmente bello e impossibile da far paura.
Si
passò una mano tra i capelli legati.
-essere
innamorati è una seccatura, ti avverto.
-per
me non lo è.
-per
me si.
Per
me si.
Cosa
voleva dire? Non era un bravo enigmista.
Con
lui gli indovinelli non funzionavano. Non indovinava mai.
La
gazzetta enigmistica di suo padre la sfogliava per i fumetti.
Non gli era mai uscito un rebus in vita sua.
Per
me si…
-non
sto capendo…
La
sua voce, solitamente allegra e fastidiosa, era uscita bassa
e intrisa di imbarazzo.
Non
stava capendo. Non ci riusciva davvero…
Era
un tipo istintivo. Non ragionava troppo e con il ragazzo
dalla strana capigliatura non riusciva mai a capire in pieno un
discorso.
Erano
diversi.
Shikamaru
pensava. Lui agiva.
Forse
per questo l’altro non voleva che stessero insieme.
Per
questo non era riuscito a innamorarsi di lui.
-smettila
con gli indovinelli! Smettila con i rebus e i doppi
sensi nascosti in frasi a effetto. Parla chiaramente…dici
che dovevi dirmi
qualcosa no? Che cosa cazzo è? Perché devi farmi
impazzire? Io… Non volevo
insistere, se non mi ami, basta dirlo. Divento quasi insopportabile
ma… io
ormai ti amo.
Lo
guardava fisso.
Si
scrutavano.
Il
più basso tremava e rideva istericamente.
Si
alzò e cercò di affrontarlo faccia a faccia, dopo
avergli
urlato tutto quello che covava da quelle parole senza senso. Dette ma
non per
farlo capire.
Erano
di nuovo vicini. Ma continuava a sentire freddo.
Poi,
una mano lo strattonò più vicino
all’altro corpo. Era
bollente.
E
le loro labbra unite ancora.
Come
il loro primo bacio. Rude e violento. Perfetto.
E
i pensieri contorti? E l’arrabbiatura?
Volata
via.
-innamorarsi
è una seccatura, perché non sono mai stato
innamorato veramente… non so come comportarmi.
-quindi…
-si
Kiba, ti amo anche io.
-e
potevi dirlo prima no?!
E
Shikamaru rise. Rise come non lo aveva mai visto ridere.
Ed
era una visione paradisiaca.
Lo
avrebbe preso volentieri a pugni.
Per
le lacrime che gli aveva fatto versare.
Per
l’impotenza che aveva sentito nel sentirlo così e
vicino e pure
così tremendamente lontano.
Per
la rabbia che gli aveva fatto crescere dentro. E per poi
avergli fatto passare tutto con un solo bacio.
Lo
prese e lo abbracciò da dietro. Stringendolo forte. Per non
farlo scappare via mai più.
-adesso
tu sei solo mio.
Continuò
a ridere e annuii.
Continuò
a ridere nel suo abbraccio possessivo e si girò per
guardarlo in viso e baciarlo di nuovo. Abbandonandosi un po’
di più alla
passione che li univa.
-decisamente
meglio di una Lucky Strike.
Fine.
Questa, se ricordo bene, è stata la mia prima fic su questa coppia che ho scritto all'inizio dell'estate e che ho modificato un'infinità di volte e che volevo perfetta, anche se so che non lo è .-.
Se vi è piaciuta, se avete dei consigli o delle critiche costruttive c'è quella scritta in basso che se schiacciato vi permette di aprire una bella paginetta su cui scrivere un com
Nacchan u_u