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Autore: braver than nana    18/10/2009    1 recensioni
Camminò verso dove si ricordava, doveva esserci un tabacchino, una volta.
Camminò cercando di concentrarsi, una volta per tutte.
Aveva quasi finito la sigaretta e già sentiva il frenetico impulso di accenderne un’altra.
Quella era diventata una malattia ormai. Glielo diceva anche Lui.
Doveva smetterla. Con entrambe le cose… avrebbe dovuto smetterla. ShikaKiba
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kiba Inuzuka, Shikamaru Nara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Lucky Strike.
 

L’auto faceva le fusa sotto le sue mani.
La leva del cambio nella sua mano destra inseriva facilmente la quinta.
Il piede preme sull’acceleratore.
Non andava di fretta, anzi era stranamente in anticipo. Ma correva, solo per il malsano gusto di correre.
In quel momento voleva solo sentire la sua nuova Alfa 159 ringhiare sull’asfalto.
Gli è sempre piaciuto quel rumore. Lo faceva stare insolitamente bene.
L’orologio sul cruscotto segnava le nove e mezzo. E il suo appuntamento era solo per le dieci.
Aveva intenzione di rimanere a girare con l’auto ancora per molto.
Doveva pensare.
 
Vide le luci della città avvicinarsi sempre di più e capì che era arrivato il momento di rallentare.
Prese la curva che portava alla rotonda subito prima della prima strada cittadina.
Rallentò fino a fermarsi, parcheggiando nel primo posto disponibile con una sola manovra.
Aprì il finestrino fino in fondo e respirò l’aria fresca.
Il vociferare di qualche passante e il camminare troppo lento di alcune macchine che passano da quelle parti lo distraevano.
Dal borsello lasciato sul sedile vicino prese bestemmiando l’ultima Lucky Strike e l’accendino che gli aveva regalato la sorella l’anno scorso, per Natale.
Era troppo tardi per trovare un tabacchino aperto? Forse. Si sarebbe dovuto ridurre ad andare alla ricerca di qualche distributore.
 
Per quella sera, non sarebbe bastata quella sola sigaretta.
 
La accese ed inspirò il primo tiro come una persona normale respirerebbe pura aria fresca.
Con impellente necessità e una gran dose di soddisfazione.
 
Quelli però, erano solo inutili ragionamenti.
Erano passati già cinque minuti. E si sentiva di non aver fatto nessun passo avanti.
Anzi, era possibile ritrovarsi cinque passi indietro da quando si era iniziato a ragionare?
Uscì dall’auto alzandosi controvoglia dai sedili chiari in pelle. Prese il borsello e una volta chiuso lo sportello e premuto il pulsante del telecomando anche il finestrino, dimenticato aperto, si chiuse automaticamente.
Dove aveva la testa quella sera?
Era nella casa di un dannato scansafatiche. Sarebbe dovuto andare a riprendersela presto.
In quella maledetta casa, luogo di pensieri dimenticati, si trovava anche il suo cuore.
Quella insopportabile e fastidiosa casa di periferia.
 
Camminò verso dove si ricordava, doveva esserci un tabacchino, una volta.
Camminò cercando di concentrarsi, una volta per tutte.
Aveva quasi finito la sigaretta e già sentiva il frenetico impulso di accenderne un’altra.
Quella era diventata una malattia ormai. Glielo diceva anche Lui.
Doveva smetterla. Con entrambe le cose… avrebbe dovuto smetterla.
 
Si ricordava, come se non fossero passate neanche ventiquattro ore, quel giorno nel quale si incrociarono le loro anime in pena.
 
Stava fumando una sigaretta. Proprio come in quel momento.
La stava finendo e il suo corpo ne richiedeva già un’altra. Era come rivivere quel momento, se solo fosse stato nel retro di una discoteca.
Lui, con un’aria tremendamente scocciata, lo aveva seguito tutta la sera.
Con lo sguardo, da lontano.
Quando poi, era uscito per quella dannata sigaretta, se lo era ritrovato vicino.
 
-lo sai che fumare fa male?
Disse in un mezzo sbadiglio.
Si appoggiò ad una parete del vicolo con le mani dietro la testa e continuava a guardarlo.
Quello sguardo era così strano.
Talmente intenso da poterlo sentire sulla pelle. Tagliente, faceva quasi male.
-lo so. Ma non riesco più a smettere.
Rispose così, come un tossico qualsiasi. Chiudendo gli occhi e accendendone un’altra.
Assaporando l’ennesima LS.
Non sentì i suoi passi.
Forse troppo preso dal primo, sacro tiro alla sua regina Sigaretta.
Gliela tolse dalle mani, la gettò in terra e con il tacco della scarpa la spense.
Probabilmente cercò di replicare, ma non ci riuscii. Le loro bocche erano già premute una contro l’altra e senza rendersene conto ricambiava il suo bacio.
Era già completamente assuefatto dalla sua presenza.
Aveva quell’odore tipicamente mascolino. Il forte dopobarba e colonia.
Lo strinse a se. Forte. Facendo cozzare i loro corpi.
Era sicuro che se l’aspettava una reazione del genere. Lui prevede sempre tutto.
Lo aveva osservato tutta la serata e sapeva perfettamente come comportarsi con lui.
Non sapeva il suo nome ma aveva capito tutto quello che c’era bisogno di sapere per farlo cadere tra le sue braccia.
Ai suoi piedi.
Lo colse di sorpresa e non seppe resistere.
Il suo istinto animale gli diceva di stargli vicino.
Il suo bacio, feroce, era così dannatamente perfetto.
 
Sono passati due mesi. Forse qualcosa di più.
Ed è sempre stato sempre sesso. Allora perché quella non riusciva a ragionare? Aveva la testa piena della sola idea che tra cinque minuti si sarebbe ritrovato nella stanza con Lui.
Con il suo odore. Col profumo di colonia e dopobarba.
 
Non bisognava mai innamorarsi delle persone con Lui.
Infondo il sesso è un’attitudine, come l’arte in genere. E forse l’aveva capito per essere lì.
Ma lo amava. Lo amava.
Poteva essere antico, ma ormai lo amava…
 
E in quel momento, sarà stata la consapevolezza improvvisa.
Sarà stata la forte crisi d’astinenza dal suo corpo, mille volte maggiore di quella per le sigarette.
Sarà stata la notte stellata sopra di lui a infondergli il romanticismo che gli era sempre mancato.
Iniziò a correre verso la macchina.
Dannazione, non era riuscito neanche a trovare un cazzo di tabacchino aperto.
 
 
In città, solitamente, era solito non superare i limiti di velocità.
In autostrada era tutta un’altra storia, ma tra le piccole e piacevoli vie di una cittadina come la sua, non voleva correre rischi.
Non per prevenire multe.
Solitamente aveva paura.
Di un bambino sfuggito a qualche mano scivolosa di mamma. Di qualche vecchietto tremolante.
Anche solo di un gatto o un cane temerario deciso a sfidare la vita di strada.
Non voleva avere vite sulla coscienza, lui.
Eppure, quella sera, per la prima volta, la lancetta rossa riuscì a sfiorare i cento chilometri orari.
Come aveva fatto, non lo sapeva neanche lui.
Una freccia nera, con lo stemma di quella casa automobilistica italiana, sfrecciava per le vie di Konoha.
Aveva fretta.
Aveva perso troppo tempo per pensare a qualcosa che sapeva da tempo ormai.
Si erano fatte le dieci e un quarto, quando con un strana sgommata aveva parcheggiato esattamente sotto casa Sua.
Era in ritardo. In maledetto ritardo.
Sapeva che il ragazzo non si sarebbe arrabbiato. Non si arrabbiava mai. Era quasi fastidiosa la sua totale indifferenza a tutto.
Non riusciva mai a mostrare le sue emozioni. Non ne era capace?
E lui, che era un ragazzo tremendamente irritabile, si infervorava spesso.
Per poi ricevere quegli sbadigli che ammazzavano la “conversazione”.
 
Tremava. Sentiva di star tremando e gli girava lievemente la testa.
Cosa avrebbe dovuto fare?
 
-Sali.
 
Lo aveva sentito arrivare e lo aveva chiamato dalla finestra della veranda.
Lui sapeva sempre tutto.
Forse sapeva già quello che era venuto a dirgli.
Sapeva il perché del suo ritardo? Del suo isterico nervosismo.
Lui aveva sempre saputo tutto.
Allora c’era davvero bisogno di dirglielo?
Se lo sapeva e non l’aveva rifiutato poteva pensare di avere qualche speranza?
Forse lo aveva intuito ancora prima che se ne rendesse conto lui stesso.
 
Saliva lentamente le scale della palazzina.
Solo una rampa di scale per arrivare davanti alla sua porta.
Non c’era bisogno di bussare, la porta era socchiusa e Lui era seduto sul divanetto della veranda.
Guardava il cielo.
 
-ce ne hai messo per salire. Come mai tutta questa fretta?
-non…non vado di fretta.
-facciamo un giro in macchina?
 
Rimase sospettoso sulla soglia della porta.
Che domanda era quella? Da quando in qua gli chiedeva di andare a fare un giro?
 
-in macchina tua.
 
E quello sembrava per lo più un ordine.
Voleva parlargli? Voleva anticiparlo e non fargli confessare i suoi sentimenti?
Lo sapeva che Lui sapeva sempre tutto.
Era una sensazione sgradevole.
Gli prudevano le mani e aveva quasi voglia di prenderlo a pugni.
 
-va bene.
 
Quella era una condanna a morte. Dopo quel giro in macchina ci sarebbe stato il tutto o il niente.
Erano arrivati alla resa dei conti.
Scesero le scale in silenzio.
Non era insolito nelle conversazioni con lui. O meglio nelle non-conversazioni.
Passava quasi tutto il tempo a guardarlo, quando erano insieme. A osservarlo come se anche per lui, in quei momenti, averlo vicino fosse strettamente necessario.
Erano i momenti che preferiva.
 
Arrivarono vicino la macchina.
Il suono metallico del telecomando. Le portelle si aprirono.
Una volta seduto al posto del guidatore sentiva la crisi d’astinenza farsi sempre più forte.
Continuava a tremare. La gola era secca e gli girava la testa…
La mano destra inserì la chiave. La girò e la macchina iniziò a ringhiare.
Quello riusciva a rilassarlo.
Tolto il freno a mano, la macchina iniziò a camminare sotto i suoi tocchi.
Camminava piano. La fretta non c’era più e non sapeva dove sarebbe arrivato.
C’era un posto dove voleva portarlo? Dove voleva essere portato?
Lui non parlava.
Avrebbe dovuto decidere di testa sua.
La sua macchina, forse, lo avrebbe guidato nel posto perfetto.
 
-beh, allora… come stai?
-non c’è male.
 
La conversazione era già morta.
 
-dove vuoi che ti porti?
-non devi portarmi da nessuna parte speciale. È un giro in macchina.
-vuoi parlarmi di qualcosa?
-e tu?
 
E lui?
Non poteva farlo così.
Non nella sua macchina, al buio, senza guardarlo negli occhi.
Non poteva…
Non rispose.
 
Si guardò attorno. Dove si trovava?
Quella strada la conosceva. E con un sorriso capì di aver trovato una meta.
Allora la seconda curva e poi un’altra. I cartelli erano troppo bui.
Ma lui quella strada la conosceva a memoria tanto da poterla fare a occhi chiusi.Istintivamente sorrise di nuovo, sentendosi bene.
L’ultima strada dritta. Alla sua destra, il mare.
 
Accostò.
 
-ti sei fermato.
-ho bisogno che ti mi baci adesso.
-perché?
-sto andando decisamente in crisi d’astinenza da te.
 
Una concisa e esplicativa spiegazione di quella richiesta improvvisa lo fece cedere prima del previsto e senza rispondere più poso le sue labbra su quelle del compagno.
Rimasero fermi per qualche secondo prima che l’automobilista si risvegliasse dallo stato catatonico in cui era caduto per poi reagire al lieve bacio.
Chiuse gli occhi.
Lo faceva per assaporare meglio il Suo sapore.
Una mano dietro il suo collo per farLo avvicinare ancora di più.
La sua lingua stuzzicava il labbro inferiore più e più volte.
E nonostante non lo desse a vedere, anche Lui ogni tanto, riusciva a perdere l’autocontrollo.
Lo faceva stringendolo più forte i fianchi ai quali era aggrappato e muoveva la Sua lingua più freneticamente.
Non voleva che gli altri se ne accorgessero, ne era sicuro, ma lui riusciva a cogliere ogni Suo tentennamento. Come quella mano al limite della sua maglietta che stringeva spasmodicamente l’orlo, impegnata a resistere alla tentazione di tastare la pelle al di sotto.
Se apriva di poco gli occhi, vedeva le Sue palpebre contratte e la sua espressione contrita e concentrata lo esaltavano.
Con una mano ancora sul volante, era come estasiato dall’effetto che esercitava su di Lui.
Lentamente si ritirò, ritrovandosi la fronte appoggiata alla sua.
 
-sei meglio di una Lucky Strike in certe situazioni.
-è una delle soddisfazioni della vita sentirselo dire.
 
Sorrideva, impercettibilmente.
Ma con quegli occhi castani, tanto chiari da apparire oro, riusciva a cogliere ogni sua minima espressione.
 
-dovevi dirmi qualcosa?
 
E la domanda arrivò, un eco lontano nella sua mente ancora inebriata dal bacio, ma fu come un montante sulla mascella.
Si allontanò da Lui.
 
-si.
 
Si riposizionò sul sedile, guardando avanti.
Guardando il mare. O dove una volta doveva esserci stato.
Adesso vedeva solo scuro. Il mare e il cielo completamente neri erano diventanti una cosa sola e solitaria. Indistinguibili.
Era quasi affascinante.
 
-lo sai che non sono un tipo che fa tanti giri di parole…
-lo so?
-non interrompermi. Ok, forse qualche giro di parole. Ma tu sta zitto.
-va bene. Che noia…
 
Già, che noia.
 
Con gli occhi chiusi si era completamente steso sul sedile vicino al suo.
Ma lo ascoltava.
 
-noi… Si, voglio parlare di noi. Cioè, di me con te. Di me e te. Non so se sia mai veramente esistito un noi. Probabilmente no. Infondo ci conosciamo da due mesi no? Sono due mesi o qualcosa di più…giusto?
-sono sessantasei giorni. Ci siamo conosciuti la mattina del primo ottobre.
-si, il gatto, il gatto… ma non è di questo che ti devo parlare…
 
Si ricordava tutto. Era quasi impressionante.
La sua mente neanche se li ricordava i giorni esatti… Lui si.
Era una buona cosa, no?
 
-beh, hai detto che sono sessantasei giorni e ci siamo visti almeno tre volte alla settimana. Non sono bravo nei calcoli, ma abbiamo passato abbastanza tempo insieme…
-dove vuoi andare a parare Kiba?
-io mi sono innamorato di te. Ti amo, Shikamaru.
 
Alla fine lo aveva detto.
Tutto d’un fiato.
Il silenzio che ora li circondava si faceva sempre più pressante.
Lo sentiva comprimersi e prenderlo alla gola, senza riuscire a farlo respirare più.
Lo stava avvolgendo. E la testa ricominciava a girare vorticosamente…
Lo sentiva improvvisamente lontano chilometri e sentiva freddo. Non per essere appena arrivato dicembre ma per quella distanza. Doveva riavvicinarsi a Lui.
 
Dopo tutte le seghe mentali e i continui rifiuti da se stesso, lo aveva fatto. E adesso?
Il tutto o il niente. Come si era prefissato appena entrato in macchina con il moro.
Ma la sicurezza, a quel punto, iniziava a vacillare.
Le mani, vicine fino a toccarsi su quella circonferenza di legno in quel momento completamente inutile. La fronte bassa fino a toccarsi le nocche.
Nella gola, ancora in quella morsa soffocante di quel silenzio, quelle due parole.
 
-ti amo, ti amo, ti amo…
 
Sussurrava.
E Lui? Lui non lo sentiva? Era caduto nel vortice immobilizzante di quelle parole non dette anche lui?
Era ancora lì? Con la testa appoggiata al suo fatto-apposta a pensare?
Se si, a cosa pensava? Magari dormiva…
Le domande, oh quante erano quelle domande.
A un certo punto lo spostamento d’aria alla sua destra gli fece capire i suoi movimenti. Andava via?
Lo sportello di apriva e il suo odore forte si mescolava a quello del mare.
Ancora non ragionava lucidamente e un istintivo pensiero gli disse che era un mix entusiasmante.
Uscì, seguendolo, per non perderlo dalla sua visuale. Era troppo buio…
 
Era seduto sulla sabbia.
Continuava a guardare il cielo, come faceva spesso. Poi solitamente sospirava e diceva…
 
-che seccatura.
Prima pugnalata. Nello stomaco.
-eh no. Questa cosa no, diamine, questa non è una scocciatura. È una cosa seria.
-lo so. Ma è una seccatura lo stesso.
Seconda pugnalata, più su, centrando il polmone sinistro.
-il…il mio a-amore per te, sarebbe solo una seccatura per te? Una noia?
-…-
Terza pugnalata. Esattamente nel centro del cuore.
-silenzio eloquente.
 
Non capiva in quel momento. Sentiva solo un gran male.
Male ovunque.
Talmente tanto da doversi accasciare al suolo e stringere le ginocchia contro il petto.
Avrebbe potuto anche piangere.
La prima goccia sui pantaloni scuri, gli fecero capire che lo stava già facendo. Forse già dalla prima fitta di dolore.
 
-dovevo aspettarmelo che si trattasse di questo. Per questo ti ho proposto il giro, lo avevi capito no?
-si. Lo avevo capito.
-sai cosa non avevi capito?
-cosa?
-quello che avevo bisogno di dirti io.
 
Cosa c’era da dire ancora? Che faceva, lo prendeva per il culo?
Sentì un’ombra ancora più pesante sul suo corpo e dovette alzare gli occhi, ancora lievemente bagnati dalle lacrime, per rendersi conto che Lui era esattamente lì.
Non lo aveva sentito muoversi. Come al solito.
Lo guardava dritto negli occhi. Erano più neri del solito.
Lo perforavano come di consueto.
O forse di più? C’era qualcosa di diverso in quei pozzi scuri?
Sembrava quasi… arrabbiato.
 
-avevo ragione, non hai minimamente pensato che anche io avevo qualcosa da dirti. L’avevo previsto, lo ammetto, ma in questo momento mi sta dando fastidio lo stesso.
 
Doveva temere quello sguardo? Quelle parole?
Non conosceva quella parte di Shikamaru, una parte arrabbiata. Non pensava esistesse.
Eppure lo guardava e gli sembrava sempre più affascinante.
Dalla sua posizione, ancora accovacciata ai suoi piedi, sembrava talmente bello e impossibile da far paura.
Si passò una mano tra i capelli legati.
 
-essere innamorati è una seccatura, ti avverto.
-per me non lo è.
-per me si.
 
Per me si.
 
Cosa voleva dire? Non era un bravo enigmista.
Con lui gli indovinelli non funzionavano. Non indovinava mai.
La gazzetta enigmistica di suo padre la sfogliava per i fumetti. Non gli era mai uscito un rebus in vita sua.
 
Per me si…
 
-non sto capendo…
 
La sua voce, solitamente allegra e fastidiosa, era uscita bassa e intrisa di imbarazzo.
Non stava capendo. Non ci riusciva davvero…
Era un tipo istintivo. Non ragionava troppo e con il ragazzo dalla strana capigliatura non riusciva mai a capire in pieno un discorso.
Erano diversi.
Shikamaru pensava. Lui agiva.
Forse per questo l’altro non voleva che stessero insieme.
Per questo non era riuscito a innamorarsi di lui.
 
-smettila con gli indovinelli! Smettila con i rebus e i doppi sensi nascosti in frasi a effetto. Parla chiaramente…dici che dovevi dirmi qualcosa no? Che cosa cazzo è? Perché devi farmi impazzire? Io… Non volevo insistere, se non mi ami, basta dirlo. Divento quasi insopportabile ma… io ormai ti amo.
 
Lo guardava fisso.
Si scrutavano.
Il più basso tremava e rideva istericamente.
Si alzò e cercò di affrontarlo faccia a faccia, dopo avergli urlato tutto quello che covava da quelle parole senza senso. Dette ma non per farlo capire.
Erano di nuovo vicini. Ma continuava a sentire freddo.
 
Poi, una mano lo strattonò più vicino all’altro corpo. Era bollente.
E le loro labbra unite ancora.
Come il loro primo bacio. Rude e violento. Perfetto.
E i pensieri contorti? E l’arrabbiatura?
Volata via.
 
-innamorarsi è una seccatura, perché non sono mai stato innamorato veramente… non so come comportarmi.
-quindi…
-si Kiba, ti amo anche io.
-e potevi dirlo prima no?!
 
E Shikamaru rise. Rise come non lo aveva mai visto ridere.
Ed era una visione paradisiaca.
Lo avrebbe preso volentieri a pugni.
Per le lacrime che gli aveva fatto versare.
Per l’impotenza che aveva sentito nel sentirlo così e vicino e pure così tremendamente lontano.
Per la rabbia che gli aveva fatto crescere dentro. E per poi avergli fatto passare tutto con un solo bacio.
Lo prese e lo abbracciò da dietro. Stringendolo forte. Per non farlo scappare via mai più.
 
-adesso tu sei solo mio.
 
Continuò a ridere e annuii.
Continuò a ridere nel suo abbraccio possessivo e si girò per guardarlo in viso e baciarlo di nuovo. Abbandonandosi un po’ di più alla passione che li univa.
 
-decisamente meglio di una Lucky Strike.
 
Fine. 
 

Allora. Dopo veri tentennamenti ho deciso di postare questa ShikaKiba -mia coppia preferita- soprattutto sotto incitamento della mia amica x Saretta x (un bacione a Sacchan) che l'ha letta e semibetata u_u che ha disegnato la bellissima immagine qui di fianco *O*
Questa, se ricordo bene, è stata la mia prima fic su questa coppia che ho scritto all'inizio dell'estate e che ho modificato un'infinità di volte e che volevo perfetta, anche se so che non lo è .-.

Se vi è piaciuta, se avete dei consigli o delle critiche costruttive c'è quella scritta in basso che se schiacciato vi permette di aprire una bella paginetta su cui scrivere un com
mento. Ve ne sarei grata *o*
Nacchan u_u
   
 
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