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Autore: Pandora_2_Vertigo    19/10/2009    0 recensioni
Una storia. Presente e passato. Ambientata in un futuro ipotetico, dove le differenze tra gli uomini portano il mondo all'auto-distruzione. Gli umani da una parte, i mutanti dall'altra. In mezzo una giovane ragazza rifiutata da entrambi i mondi e una voce che l'assilla.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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1a

Un giardino immenso, un parco irradiato dai raggi del sole, un piccolo paradiso, in cui l’erba è verde, curata e innaffiata a dovere, le aiuole di rose e calle perfettamente ordinate, danno un tocco d’ulteriore eleganza a questo eden privato.

-          Corri Pan!

Gioiosa, una bambina dai capelli biondi e perfettamente pettinati in dolci boccoli, si volta verso la voce che l’ha chiamata. Una pallonata la colpisce in pieno viso.
Cade per terra, il naso le duole terribilmente e ora anche il posteriore.
Comincia a piangere, dolce bambina capricciosa. Per la sua sofferenza e perché ha sporcato i suoi abiti nuovi, appena comprati dalla sua mamma in un negozio del centro, sa che verrà sgridata.
Ha solo pochi anni di vita.
Un bambino la raggiunge. I suoi vestiti semplici sono macchiati dall’erba, le guance sono colorate di rosso per la corsa. Si china a raccogliere la palla sorridendo, poi si rivolge verso di lei e con la fronte corrucciata esclama un “bambina viziata” pieno di sdegno, troppo per la sua età.
È più grande della sua compagna di giochi solo di qualche anno.
Lancia la palla e si mette ad inseguirla calciandola, facendo lo slalom tra gli alberi.
La bimba si rialza, ancora con una lacrima che le riga una guancia.
Offesa e imbronciata, prova ad inseguirlo, ma il suo bel vestitino, la impaccia troppo, e ricade quasi subito.
Con la faccia a terra nell’erba, sente la sua risata che la sbeffeggia.
Altre lacrime di rabbia le riempiono gli occhi.

-          Pan! Tesoro, ma che combini? Il tuo vestito nuovo! Era per il ricevimento di stasera ed è completamente rovinato!

La bambina, Pan, rivolge lo sguardo a quella voce di donna così calda, e in quel momento carica di rabbia.
Vede sua madre, una donna elegante e bellissima, scendere i gradini che dalla veranda portano in giardino raggiungendola ed aiutandola a sollevarsi da terra. Ha i capelli dorati raccolti sulla nuca in una complicata acconciatura, i lineamenti delicati e gli occhi color nocciola.
Lei tira su col naso rumorosamente.
La madre scuote la testa e le porge un fazzolettino.

-          le signorine eleganti non fanno questi brutti rumori…su soffia.

La bambina obbedisce, poi la madre cerca di pulirle il vestito, ma inutilmente.
La tira con forza verso la casa.

-          Vieni Pan, ora dobbiamo cambiarci per stasera e trovarti un nuovo abitino, questo lo faremo lavare.

Fa due passi seguendo la madre, poi si blocca e si volta a guardare verso il giardino.

-          ha battuto in ritirata – le dice la madre.

Pan si volta sorpresa.

-          il tuo amichetto è sparito quando mi ha visto, sa che rischia grosso se si fa trovare qui a giocare. – riprende.

A questo punto, si lascia guidare verso la grande casa, non senza osservare le grani nubi nere che si avvicinano all’orizzonte, ormai così familiari.

Cammino per la strada senza nemmeno guardare per terra.
Avanzo tra la gente con aria indifferente, osservo i grattacieli della città, le vetrine dei negozi, allestite per i pochi che ormai possono permettersi vestiti griffati.
Proprio davanti ad un abito da sera lungo, ricoperto di paiette, osservo il mio riflesso malconcio nella vetrina e studiando i miei abiti tristi e consunti che nascondono tutta la figura, tiro un profondo sospiro. I capelli color del grano non emettono più i loro riflessi dorati, potessi almeno curarli meglio; gli occhi eterocromici, uno verde e uno azzurro, danno al mio volto una asimmetria molto fastidiosa.
Mi ritornano in mente i ricevimenti a cui assistevo da bambina: mi conciavano con assurdi vestitini color confetto, mentre rimanevo estasiata ad osservare le donne intorno a me in magnifici abiti da sera, ballare le dolci melodie intonate dall’orchestra.
Sento una risatina allegra e vivace. Mi volto, una bambina dai lunghi capelli castani, vestita con un maglioncino rosa e una gonna verde mi sta osservando e mi saluta.
Io di rimano le sorrido.
La sua espressione muta, si volta verso la madre e comincia a tirarle la giacca.
Non c’è tempo da perdere.

-          mamma guarda, quella signora ha gli occhi diversi.

Sento queste parole di sfuggita, mentre ho indossato gli occhiali da sole e mi sto già avviando confondendomi tra la folla.
Solo per puro caso sento la risposta.

-          quale signora, tesoro? Non c’è nessuno…

-          l’ho vista mamma, aveva un occhio verde e uno azzurro.

-          Tesoro non dire sciocchezze, in città di queste cose non se ne vedono..

 
Mi allontano, ancora trafelata e celata dalle lenti scure di scarsa qualità, ma che ,abbastanza ampie, servono allo scopo.
Alcune persone hanno assistito alla scena e hanno visto allontanarmi alla svelta. Se tutto va bene, lasceranno perdere. Mi lascio avvolgere dalle decine di persone che come me stanno percorrendo la strada, all’apparenza uomini e donne comuni, in realtà senza nemmeno un difetto, una differenza, tutti omologati ad un ideale di normalità dettata dalla paura e dal terrore.
Sento il suono di un fischietto dalla direzione da cui provengo. Mi volto per una rapida occhiata.
Un gruppo di persone sta parlando con un paio di uomini in uniforme nera, tra di esse scorgo il maglioncino rosa della bambina, ora in braccio a sua madre, che piange spaventata.
Potrebbe far tenerezza, ma dentro di me la maledico con tutto il cuore. E poi maledico me, per la mia disattenzione. Continuo a camminare, un po’ più rigida di prima, con lo sguardo basso…scontro qualche spalla nel tentativo di allontanarmi in fretta: le porte della città non sono distanti, posso farcela.
Percepisco l’elettricità nell’aria. Ora si è aperto come un varco davanti a me, la gente mi lascia passare. Non è un buon segno, mi hanno notata. Senza rallentare mi volto per una rapida occhiata alle spalle: le due uniformi nere mi stanno seguendo.
Il cuore mi rimbalza nel petto, scosso sa una scarica di adrenalina che lo fa pompare più veloce. Il respiro si accorcia.
Mancano solo poche centinaia di metri. Comincio a correre, ormai che importa passare inosservata.
Il passaggio è vicino: una vecchia fermata della metropolitana, ormai in disuso, che passa proprio sotto le porte della città. Se riuscissi a raggiungere quei bui cunicoli potrei seminarli tranquillamente.
Giro a destra velocemente. Posso scorgere l’insegna rossa e bianca che troneggia sulla scalinata protetta da barricate, ma devo stare attenta a non farmi vedere, a non mostrargli il passaggio.
Mi blocco un attimo, devo trovare un posto dove nascondermi per fargli perdere le mie tracce. Intorno a me nulla che possa offrire un riparo, neanche un timido angolo in ombra.
Maledizione.
Percepisco le uniformi nere avvicinarsi sempre di più, si mette grigia.
Ancora col fiatone dalla corsa mi volto a destra e sinistra, di continuo, ma la speranza diminuisce sempre più; mi allontano dall’ingresso del vicolo, noto una rientranza nel mezzo di un palazzo: mi ci lancio, il più rapidamente possibile, mi ci appiattisco, ma so che non basterà questo a nascondermi.
Ecco i due uomini in nero spuntare.
Smetto di respirare, cercando di controllare  battiti cardiaci, temendo possano rivelare la mia presenza.
Un soffio, un alito, una lieve brezza calda. Tiepida, mi scalda il collo. Poi mi pervade ovunque, mi stringe, come una fiammata.
Che strano. Sarà l’adrenalina.
Le guardie si avvicinano al mio rifugio, cerco di rendermi ancora più immobile, invisibile, ma ho poche speranze.

-          Ferma, non fare rumore.

Una voce? Un sussurro?Ora? Dove? Nella mia mente? Vorrei guardarmi attorno, ma è troppo rischioso.
Ecco le due uniformi raggiungono il punto in cui mi trovo, si voltano verso di me, ecco è finita prematuramente la mia vita. Una dei due addirittura mi guarda in volto, ma non si avvicina…è come se non mi avessero visto. Cosa?
Passano oltre. Inspiegabilmente continuano a camminare osservando ogni piccolo rifugio. E non mi hanno vista! Ma come?
Mi viene quasi voglia di farmi scoprire! Ma come diavolo è successo!
Lo faccio, sto per alzare un braccio e aprire la bocca per chiamarli, nonostante rischio la vita…ma non ci riesco, qualcosa mi blocca.

-          stai ferma, vuoi farti ammazzare?

Di nuovo la voce. Di nuovo il sussurro. Una sensazione di calore intorno alle labbra. Smetto di opporre resistenza e ritorno quieta, in attesa di poter essere in salvo.
I due uomini si allontanano. Sono salva.
Sono sconcertata. Che è accaduto?
Provo a muovermi e questa volta mi riesce senza difficoltà. Mi guardo le mani, nulla di strano. Mi tocco le labbra, niente. Lentamente la sensazione di calore mi abbandona, mi calmo, si era decisamente adrenalina…e la voce…probabilmente me la sono immaginata…spirito di conservazione.
Scuoto la testa ed esco dal mio rifugio. Mi avvio verso le scale della metropolitana, mi guardo in giro, non c’è nessuno.
Scosto le assi che ne bloccano l’ingresso e mi infilo nei bui cunicoli.

  
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