Un giardino
immenso, un parco irradiato dai raggi del sole, un piccolo paradiso, in cui
l’erba è verde, curata e innaffiata a dovere, le aiuole di rose e calle
perfettamente ordinate, danno un tocco d’ulteriore eleganza a questo eden privato.
-
Corri
Pan!
Gioiosa,
una bambina dai capelli biondi e perfettamente pettinati in dolci boccoli, si
volta verso la voce che l’ha chiamata. Una pallonata la colpisce in pieno viso.
Cade per
terra, il naso le duole terribilmente e ora anche il posteriore.
Comincia a
piangere, dolce bambina capricciosa. Per la sua sofferenza e perché ha sporcato
i suoi abiti nuovi, appena comprati dalla sua mamma in un negozio del centro,
sa che verrà sgridata.
Ha solo
pochi anni di vita.
Un bambino
la raggiunge. I suoi vestiti semplici sono macchiati dall’erba, le guance sono
colorate di rosso per la corsa. Si china a raccogliere la palla sorridendo, poi
si rivolge verso di lei e con la fronte corrucciata esclama un “bambina
viziata” pieno di sdegno, troppo per la sua età.
È più
grande della sua compagna di giochi solo di qualche anno.
Lancia la
palla e si mette ad inseguirla calciandola, facendo lo slalom tra gli alberi.
La bimba si
rialza, ancora con una lacrima che le riga una guancia.
Offesa e
imbronciata, prova ad inseguirlo, ma il suo bel vestitino, la impaccia troppo,
e ricade quasi subito.
Con la
faccia a terra nell’erba, sente la sua risata che la sbeffeggia.
Altre
lacrime di rabbia le riempiono gli occhi.
-
Pan!
Tesoro, ma che combini? Il tuo vestito nuovo! Era per il ricevimento di stasera
ed è completamente rovinato!
La bambina,
Pan, rivolge lo sguardo a quella voce di donna così calda, e in quel momento
carica di rabbia.
Vede sua
madre, una donna elegante e bellissima, scendere i gradini che dalla veranda
portano in giardino raggiungendola ed aiutandola a sollevarsi da terra. Ha i
capelli dorati raccolti sulla nuca in una complicata acconciatura, i lineamenti
delicati e gli occhi color nocciola.
Lei tira su
col naso rumorosamente.
La madre
scuote la testa e le porge un fazzolettino.
-
le
signorine eleganti non fanno questi brutti rumori…su soffia.
La bambina
obbedisce, poi la madre cerca di pulirle il vestito, ma inutilmente.
La tira con
forza verso la casa.
-
Vieni
Pan, ora dobbiamo cambiarci per stasera e trovarti un nuovo abitino, questo lo
faremo lavare.
Fa due
passi seguendo la madre, poi si blocca e si volta a guardare verso il giardino.
-
ha
battuto in ritirata – le dice la madre.
Pan si
volta sorpresa.
-
il tuo
amichetto è sparito quando mi ha visto, sa che rischia grosso se si fa trovare
qui a giocare. – riprende.
A questo
punto, si lascia guidare verso la grande casa, non senza osservare le grani
nubi nere che si avvicinano all’orizzonte, ormai così familiari.
Cammino per
la strada senza nemmeno guardare per terra.
Avanzo tra
la gente con aria indifferente, osservo i grattacieli della città, le vetrine
dei negozi, allestite per i pochi che ormai possono permettersi vestiti
griffati.
Proprio davanti
ad un abito da sera lungo, ricoperto di paiette, osservo il mio riflesso
malconcio nella vetrina e studiando i miei abiti tristi e consunti che
nascondono tutta la figura, tiro un profondo sospiro. I capelli color del grano
non emettono più i loro riflessi dorati, potessi almeno curarli meglio; gli
occhi eterocromici, uno verde e uno azzurro, danno al mio volto una asimmetria
molto fastidiosa.
Mi
ritornano in mente i ricevimenti a cui assistevo da bambina: mi conciavano con
assurdi vestitini color confetto, mentre rimanevo estasiata ad osservare le
donne intorno a me in magnifici abiti da sera, ballare le dolci melodie
intonate dall’orchestra.
Sento una
risatina allegra e vivace. Mi volto, una bambina dai lunghi capelli castani,
vestita con un maglioncino rosa e una gonna verde mi sta osservando e mi
saluta.
Io di
rimano le sorrido.
La sua
espressione muta, si volta verso la madre e comincia a tirarle la giacca.
Non c’è
tempo da perdere.
-
mamma
guarda, quella signora ha gli occhi diversi.
Sento
queste parole di sfuggita, mentre ho indossato gli occhiali da sole e mi sto
già avviando confondendomi tra la folla.
Solo per
puro caso sento la risposta.
-
quale
signora, tesoro? Non c’è nessuno…
-
l’ho
vista mamma, aveva un occhio verde e uno azzurro.
-
Tesoro
non dire sciocchezze, in città di queste cose non se ne vedono..
Mi
allontano, ancora trafelata e celata dalle lenti scure di scarsa qualità, ma
che ,abbastanza ampie, servono allo scopo.
Alcune
persone hanno assistito alla scena e hanno visto allontanarmi alla svelta. Se
tutto va bene, lasceranno perdere. Mi lascio avvolgere dalle decine di persone
che come me stanno percorrendo la strada, all’apparenza uomini e donne comuni,
in realtà senza nemmeno un difetto, una differenza, tutti omologati ad un
ideale di normalità dettata dalla paura e dal terrore.
Sento il
suono di un fischietto dalla direzione da cui provengo. Mi volto per una rapida
occhiata.
Un gruppo
di persone sta parlando con un paio di uomini in uniforme nera, tra di esse
scorgo il maglioncino rosa della bambina, ora in braccio a sua madre, che
piange spaventata.
Potrebbe
far tenerezza, ma dentro di me la maledico con tutto il cuore. E poi maledico
me, per la mia disattenzione. Continuo a camminare, un po’ più rigida di prima,
con lo sguardo basso…scontro qualche spalla nel tentativo di allontanarmi in
fretta: le porte della città non sono distanti, posso farcela.
Percepisco
l’elettricità nell’aria. Ora si è aperto come un varco davanti a me, la gente
mi lascia passare. Non è un buon segno, mi hanno notata. Senza rallentare mi
volto per una rapida occhiata alle spalle: le due uniformi nere mi stanno
seguendo.
Il cuore mi
rimbalza nel petto, scosso sa una scarica di adrenalina che lo fa pompare più
veloce. Il respiro si accorcia.
Mancano
solo poche centinaia di metri. Comincio a correre, ormai che importa passare
inosservata.
Il
passaggio è vicino: una vecchia fermata della metropolitana, ormai in disuso,
che passa proprio sotto le porte della città. Se riuscissi a raggiungere quei
bui cunicoli potrei seminarli tranquillamente.
Giro a
destra velocemente. Posso scorgere l’insegna rossa e bianca che troneggia sulla
scalinata protetta da barricate, ma devo stare attenta a non farmi vedere, a
non mostrargli il passaggio.
Mi blocco
un attimo, devo trovare un posto dove nascondermi per fargli perdere le mie
tracce. Intorno a me nulla che possa offrire un riparo, neanche un timido
angolo in ombra.
Maledizione.
Percepisco
le uniformi nere avvicinarsi sempre di più, si mette grigia.
Ancora col
fiatone dalla corsa mi volto a destra e sinistra, di continuo, ma la speranza
diminuisce sempre più; mi allontano dall’ingresso del vicolo, noto una
rientranza nel mezzo di un palazzo: mi ci lancio, il più rapidamente possibile,
mi ci appiattisco, ma so che non basterà questo a nascondermi.
Ecco i due
uomini in nero spuntare.
Smetto di
respirare, cercando di controllare
battiti cardiaci, temendo possano rivelare la mia presenza.
Un soffio,
un alito, una lieve brezza calda. Tiepida, mi scalda il collo. Poi mi pervade
ovunque, mi stringe, come una fiammata.
Che strano.
Sarà l’adrenalina.
Le guardie
si avvicinano al mio rifugio, cerco di rendermi ancora più immobile,
invisibile, ma ho poche speranze.
-
Ferma, non fare rumore.
Una voce?
Un sussurro?Ora? Dove? Nella mia mente? Vorrei guardarmi attorno, ma è troppo
rischioso.
Ecco le due
uniformi raggiungono il punto in cui mi trovo, si voltano verso di me, ecco è
finita prematuramente la mia vita. Una dei due addirittura mi guarda in volto,
ma non si avvicina…è come se non mi avessero visto. Cosa?
Passano
oltre. Inspiegabilmente continuano a camminare osservando ogni piccolo rifugio.
E non mi hanno vista! Ma come?
Mi viene
quasi voglia di farmi scoprire! Ma come diavolo è successo!
Lo faccio,
sto per alzare un braccio e aprire la bocca per chiamarli, nonostante rischio
la vita…ma non ci riesco, qualcosa mi blocca.
-
stai ferma, vuoi farti ammazzare?
Di nuovo la
voce. Di nuovo il sussurro. Una sensazione di calore intorno alle labbra. Smetto
di opporre resistenza e ritorno quieta, in attesa di poter essere in salvo.
I due
uomini si allontanano. Sono salva.
Sono
sconcertata. Che è accaduto?
Provo a
muovermi e questa volta mi riesce senza difficoltà. Mi guardo le mani, nulla di
strano. Mi tocco le labbra, niente. Lentamente la sensazione di calore mi
abbandona, mi calmo, si era decisamente adrenalina…e la voce…probabilmente me
la sono immaginata…spirito di conservazione.
Scuoto la
testa ed esco dal mio rifugio. Mi avvio verso le scale della metropolitana, mi
guardo in giro, non c’è nessuno.
Scosto le
assi che ne bloccano l’ingresso e mi infilo nei bui cunicoli.