CAPITOLO
5
Da quasi una decina di minuti, il silenzio faceva da padrone
all’interno della Citroen grigia, ovviamente guidata
da Patrick Jane.
Con ogni probabilità era l’unico in possesso di un’auto così
“singolare” in tutta Sacramento, per non dire in più della metà della California. Grigia, sportiva,
francese… Insolita, nel vero senso della parola; come del resto lo era lo
stesso proprietario.
Non si poteva definire un auto di gran
classe, soprattutto visti il colore e i pneumatici consumati dall’asfalto.
Solitamente le auto europee erano associate a figure di spicco della città,
come politici, medici e avvocati di successo, ma in quel caso si poteva
tranquillamente dire che Jane
rappresentava la perfetta eccezione alla regola.
Il lieve brusio emesso dal motore sembrava costituire una sorta di
sottofondo musicale in quella tesa atmosfera tra i due colleghi di lavoro, i
quali non sembravano volersi impegnare poi molto per farla attenuare.
“Non hai niente da dire?” le chiese improvvisamente Jane, la cui voce risultava quasi
ovattata dal prolungato silenzio sceso nella macchina.
“No!” si limitò a rispondere Lisbon, intenta
ad osservare ciò che scorreva dal finestrino alla sua destra.
In quel momento limitarsi a definire Lisbon
semplicemente irritata sarebbe stato un eufemismo in piena regola, soprattutto
dopo la comparsa di quella leggera ruga al centro della fronte.
Era stanca e glielo le si leggeva chiaramente
in faccia; stanca di dover continuamente scendere a patti con quell’uomo, soprattutto quando il suo unico scopo era
quello di fregarla in qualche modo.
-Al diavolo lui e il suo stupido gioco della “caduta”- pensò tra se e se la mora, riesumando dalla memoria il
giorno in cui Jane le aveva chiesto di ristabilire la
fiducia tra loro attraverso il gioco della caduta, un classico tra i ritiri
lavorativi.
Come poteva un essere umano, dotato anche solo delle più scarse
capacità mentali, credere che una caduta all’indietro riuscisse a convincere
due persone a fidarsi l’una dell’altra?! Era una cosa
stupida e insensata.
Già, peccato che fino a qualche mese fa lei
rientrava proprio tra quelli che ci credevano.
Questo fino al giorno in cui Patrick Jane aveva cominciato a
giocare con le loro menti, naturalmente senza chiedere il minimo permesso.
“Sembri arrabbiata…” continuò Jane, posando
per una frazione di secondo lo sguardo su Teresa Lisbon,
la cui espressione imbronciata lo faceva quasi divertire.
Non che farla arrabbiare fosse uno spasso certo…
non sempre almeno; ma doveva ammettere che vedere quel suo inconfondibile
sorriso dipinto sulle labbra era così…così piacevole. Persino Rigsby aveva dimostrato di
apprezzarlo in più di qualche occasione, anche se in maniera del tutto
inconsapevole, visto che per gran parte della giornata non aveva occhi che per
la rossa del team.
“Ti sbagli...” gli rispose Teresa, con un
tono di voce per nulla convincente.
Già, Lisbon era carina
quando sorrideva, e su questo non vi erano dubbi, ma anche quella ruga
nervosa sulla fronte era così…così…
“Anzi no…è vero sono arrabbiata!” esclamò improvvisamente la donna
spostando finalmente lo sguardo dal finestrino a Jane,
il quale, per una frazione di secondo, si ritrovò a ringraziarla mentalmente
per non avergli fatto concludere quello strano
pensiero che, improvvisamente, aveva cominciato a gironzolargli nella testa.
“Ah…e perché?” le chiese, non sforzandosi affatto
di controllare quel suo sorriso quasi intrigante.
“Perché ti diverte”
“Che cosa?!”
“Vedermi arrabbiata!”
“…mmm…non sempre…” le rispose ironico, anche
se quella sua constatazione rispecchiava fin troppo bene i suoi reali pensieri.
Possibile che anche Lisbon, a modo suo,
avesse imparato a leggergli nella mente?
Certo, la cosa non era possibile, almeno non come lo faceva lui; ma,
ad ogni modo, sembrava aver imparato a conoscere fin troppo bene gran parte dei
suoi atteggiamenti, come aveva chiaramente dimostrato qualche ora prima,
davanti agli altri tre componenti della squadra. Aveva
descritto una parte del suo carattere in un paio di minuti.
A dir poco ammirevole.
Certo, in realtà Teresa non conosceva affatto
il vero Patrick Jane,
l’uomo distrutto dalla sete di vendetta, l’arrogante che per anni aveva
ingannato il prossimo per un semplice tornaconto economico; il “Jane” spaventato e arrabbiato che, per tutto il tempo in
cui era al CBI, teneva accuratamente nascosto in un angolo remoto della sua
mente, attento che nessuno lo intravedesse in alcun modo, o per lo meno non
senza il suo permesso.
Quello, però, non aveva importanza, non in quel momento.
Lisbon stava
imparando a conoscerlo, almeno un po’.
Dopotutto trascorrevano molto tempo insieme, ed era difficile non
entrare in confidenza,
cosa che lei, invece,
sembrava voler evitare a tutti i costi.
Lei si era dimostrata pronta a conoscere qualsiasi lato oscuro o scheletro nell’armadio
della vita di Jane, ma guai se lui, a sua volta,
cercava di conoscere anche una sola piccola parte del suo passato.
“Non entrarmi nella testa”. Era questo il principale messaggio che i
suoi occhi gli inviavano ogni qual volta cercasse di capirla, di conoscerla in
qualche modo.
Purtroppo, però, con Patrick era pressoché
impossibile riuscire a nascondere i propri segreti, o per lo meno non tutti.
Troppe volte il sub-conscio esternava atteggiamenti e pensieri che,
stupidamente, si credono rinchiusi nella propria
mente. Com’era accaduto quella stessa mattina.
Lisbon, infatti, non si era irritata
per una sciocchezza come la richiesta di Jane di vedere la casa, non era di certo una bambina.
Ma il fatto che il biondo avesse letto un suo comportamento, o semplicemente
tradotto un suo gesto, per scoprire qualcosa che lei aveva volutamente
nascosto, bè…la mandava decisamente
in bestia. E questo lui lo sapeva benissimo. Dopotutto
non era la prima volta che Lisbon si arrabbiava per
quel suo modo di fare enigmatico e insolito.
Restava, però, il fatto che lei conosceva molte cose del suo passato,
come il suo
reale odio nei confronti di John il Ross e la poca importanza che dava alla sua stessa vita.
Teresa conosceva solo ciò che lui stesso le aveva detto,
certo, o quanto c’era scritto nel suo dossier; dossier che, con ogni
probabilità, ogni membro della squadra aveva recuperato in qualche modo.
E Jane, dal canto suo, conosceva soltanto
Chissà, forse in realtà entrambi avevano lo
stesso problema; la stessa paura di farsi conoscere per ciò che erano in
realtà.
“Lo vedi…ti dico che sono arrabbiata e tu te
ne stai zitto…ad ascoltare quello che la tua mente deviata ha da dire!”
“credi che la mia sia una mente deviata?” lechiese
divertito.
“Tutti abbiamo la mente deviata…solo che la
tua lo è più del normale!”
“Lisbon…è inutile che ti arrabbi con me
perché non trovi le chiavi…” le rivelò l’uomo, lanciandole l’ennesimo sorriso.
“Sì invece!” continuò, con tono a dir poco convinto
Teresa “...quando Van Pelt
ha nascosto le chiavi tu le hai ritrovate nel giro di cinque minuti. E adesso
che sono io ad averle perse non mi aiuti”
“Teresa Lisbon…sei gelosa di Van Pelt?” le
chiese divertito, sapendo bene il genere di reazione che avrebbe
provocato quella domanda.
“Cosa?!” chiese esterrefatta, confermando le
previsioni di Jane.
“bè non ci sarebbe nulla di male…”
“Ah no?” esclamò la donna, ritrovandosi, suo malgrado, a sorridere.
“no! dopotutto sono un uomo affascinante…e
tu…tu sei il capo, con tutti i doveri che ne comporta” disse ironico,
lanciandole una veloce occhiata, per poi tornare a guardare la strada.
Questa volta, però, Lisbon non rispose,
limitandosi a voltarsi nuovamente verso il finestrino, con un insolito sorriso
dipinto sulle labbra sottili.
Quando, poco
prima, si era accorta di non avere ancora ritrovato le chiavi della macchina,
il primo nome a cui aveva pensato era stato proprio quello di Jane che, nel giro di qualche minuto, si era presentato nel
parcheggio del CBI, con quel catorcio che lui si ostinava a voler chiamare
“auto”.
La cosa che, però, continuava a chiedersi era: perché proprio lui? Perché non aveva chiamato Rigsby o Cho; perché non aveva chiamato suo fratello Lucas che, con ogni probabilità, avrebbe colto al volo
l’opportunità di passare un po’ di tempo con lei.
Certo, la lista delle persone che avrebbe potuto chiamare erano poche, per non dire
scarse, ma Jane non era di certo l’unico. Eppure…
“Sei preoccupata…” affermò Jane, assumendo
improvvisamente un tono di voce più serio, come se lo scambio di parole di
pochi istanti prima non si fosse mai verificato
“certo che sono preoccupata…non abbiamo scoperto nulla da stamattina..non è
molto rassicurante!” si giustificò Lisbon, tornando a
guardare l’uomo al suo fianco.
“Il caso non centra. È da stamattina che sei preoccupata…o meglio da
ieri sera, verso l’ora di cena.”
“Ti sbagli…”
“Fammi indovinare…” disse, anche se sapeva che le probabilità di
azzeccarci erano decisamente alte “…hai scoperto
qualcosa di poco piacevole, qualcosa che è riuscito a tenerti sveglia tutta la
notte!”
“Ti ho detto che non è così…” continuò a
negare Teresa, più nervosa e tesa rispetto a poco prima; tanto da non accorgersi
nemmeno di non sentire più il rumoroso suono del motore dell’auto, la quale si
era fermata a pochi metri da una palazzina a nord di Sacramento.
“Sei arrivata tardi…cosa che
non fai mai, neanche dopo aver lavorato tutta fino a tardi…”
“Capita anche ai migliori…”
“già….Ma…”
“Smettila Jane…” sussurrò Lisbon, senza mai guardare Patrick
direttamente negli occhi, come se il solo farlo potesse farla scoppiare da un
momento all’altro.
“…hai pianto?!” suggerì, con un chiaro
obiettivo nella mente.
“Ti ho detto di smetterla!” esclamò Teresa, a voce più alta rispetto
al sussurro di poco prima.
La donna rimase immobile, quasi pentita.
Per un secondo aveva rischiato di perdere il controllo, ma anche
questa volta non lo aveva fatto, anche questa volta era riuscita a trattenersi.
Perché era questa una delle principali
caratteristiche del suo carattere. Lei riusciva a mantenere sempre l’ equilibrio, riusciva sempre a fare attenzione a tutto ciò
che le veniva detto o fatto; in particolar modo riusciva a fare in modo che
nessuno dei giochetti di Jean andasse contro la
legge.
Lei sapeva fare tutte queste cose, senza mai crollare un solo attimo, neanche quando davanti le si presentava un caso così simile
a quella che era la sua vita passata.
Un piccolo cedimento, certo, uno scalino di una
gradinata non visto, una leggera caduta, una strigliata a Van
Pelt e al suo essere sempre dolce e comprensiva, quasi invadente. Quello non era nulla, nulla in
confronto al suo auto-controllo.
La cosa importante, però, era non ricordare, nemmeno per un attimo.
– non pensare al passato-, ecco la regola
principale; mai, neppure quando sembrava quasi sentirne il bisogno. Perché solo il passato era in grado di far crollare la sua corazza, l’unico in grado di tagliare il sottile filo
della sua anima che teneva in piedi l’equilibrio che così spesso l’aveva
caratterizzava.
Non rivangare, in nessun modo.
E quello che
stava facendo Jane, in quel momento, era proprio
riportarla indietro, farle ricordare ciò che voleva dimenticare.
Non era bastata la telefonata di ieri a rendere le cose più complicate del dovuto?
Evidentemente no.
“scusami…divento inopportuno quando ho
appetito” affermò Jane, sapendo di essersi scusato
nel peggiore dei modi, come del resto accadeva quasi sempre.
“No ti sbagli…sei sempre inopportuno!” lo congedò Lisbon,
fredda come lo era ogni qual volta qualcuno cercasse
di leggerle dentro “…a domani Jane!”.
Scese velocemente dalla macchina, senza degnare di uno sguardo l’uomo
dai capelli ricci e biondi, il quale, però, non sembrava altrettanto incline a
lasciare così in sospeso la loro “conversazione”, se così la
si voleva chiamare.
“non puoi fare sempre così Lisbon!”
“Così come?!” gli chiese, senza arrestare la
sua maratona verso il portone della sua palazzina.
“Così…” le disse Jane,
sorpassandola facilmente e fermandosi davanti a lei, lanciandole uno dei suoi
sereni sorrisi, in grado di affascinare persino la più cinica delle zitelle
“…puoi fidarti di me…” aggiunse, serio, guardandola direttamente negli
occhi.
“Certo lo so…dopo il giochino della caduta mi fido ciecamente”
“così mi offendi” affermò,
leggermente ferito da quel suo modo di fare così freddo e distaccato, persino
con lui, che avrebbe fatto di tutto pur di aiutarla.
“no tu mi offendi! Mi offendi quando cerchi di entrarmi nella testa senza
chiedermi se per me va bene, quando cerchi di leggere il mio comportamento per
scoprire se ti ho mentito in qualche modo…”
“cosa
che fai spesso…”
“Sì perché non voglio che
tu…”
“Che io?...
“non voglio..”
“non vuoi che scopra qualcosa
di te?” esclamò, più come constatazione che suggerimento.
“Esatto” affermò più
distaccata di quanto in realtà non volesse essere
“…come fai tu del resto!”
“Io? Non credo visto che
conosci molte più cose tu di me di quante in realtà ne conosca io del tuo
passato”
“è vero..ma solo perché le
circostanze ti hanno costretto. Tutto quello che mi hai confessato l’ho hai fatto per un tornaconto, se non addirittura perché
obbligato….” Gli disse, guardandolo dal suo esile metro e
sessantacinque.
Questa volta Jane non rispose, limitandosi a fissarla negli occhi, come
se cercasse un qualche briciolo di rimorso per quello che gli stava dicendo.
“…come la storia del tuo
psichiatra, giusto?!” gli ricordò Teresa, più
soddisfatta rispetto a poco prima “….mi hai detto chi
era solo perché altrimenti non ti avrei aiutato. O
sbaglio Jane?” gli chiese, quasi a volerlo sfidare,
in quel confronto a viso aperto.
“Già…hai ragione” le disse,
spiazzandola come pochi al mondo riuscivano a fare
“Allora non c’è da temere Lisbon” aggiunse, fingendo
un sorriso “siamo degli ottimi colleghi di lavoro!”
Rimase a guardarla per un
secondo, un secondo che sembrò durare un eternità,
provando quasi una sorta di nostalgia all’assenza di quel suo sorriso così
singolare e sincero.
Senza dire una parola, ma
limitandosi, come poco prima, a sorriderle, la oltrepassò, leggermente deluso da
quel scambio di parole così duro e distaccato.
Con la sua consueta camminata
sicura ed elegante, quasi quanto il suo completo grigio, Jane
si apprestò a raggiungere la sua auto, quando improvvisamente il cellulare di Lisbon squillò, attirando l’attenzione di
entrambi i presenti.
“Lisabon…”
rispose la donna, fissando un punto causale alla sua destra.
Silenzio, un immenso e
interminabile silenzio, interrotto solo da lievi assensi emessi dalla donna dai
capelli scuri
“…sì capo…sono con Jane” aggiunse, partecipando finalmente a quella telefona
con protagonista il capo del CBI, Virgil Minelli “..ci rechiamo subito lì!”
disse, spostando il suo sguardo sul diretto interessato, il quale sembrava
averle letto nel pensiero, arrestando la sua marcia verso l’auto prima ancora
che la donna parlasse.
Dopo aver riattaccato il
telefono, Lisbon lo rimise nel taschino destro della
sua giacca scura, guardando Jane con un’espressione
più seria e professionale rispetto a poco prima.
“Hanno trovato un altro
corpo…in un parco, a dieci kilometri di qui!” lo
informò, avvicinandosi di qualche passo.
Jane
sorrise, indicandole con il braccio destro la sua affidabile auto grigia, come
se il loro dialogo di poco prima non avesse assolutamente intaccato il loro
rapporto, professionale o personale che fosse.
“Prego…” disse soddisfatto,
seguendo il passo sicuro e controllato di Teresa.
******
Il luogo del crimine sembrava
incredibilmente simile a quello visto la mattina
stessa. Strada affollata da un continuo via vai di
automobili, la cui fretta traspariva chiaramente dalla velocità e dal
disinteresse con cui oltrepassavano il corpo senza vita; un corpo di donna riverso a terra, con gli
abiti completamente imbrattati di sangue, per non parlare del volto, tumefatto
più dai lividi che dagli agenti atmosferici che fino ad allora lo avevano
colpito; e il poliziotto, lo stesso giovane agente che ore prima aveva
presentato la prima vittima agli agenti del CBI che, in quel momento, si
apprestavano a raggiungere il cadavere a pochi metri da dove avevano
parcheggiato l’auto.
“Chi si rivede” esclamò Jane, vedendo l’agente Keys con lo stresso
sguardo di chi si sentiva incredibilmente fuori luogo.
“Oh salve…lei è l’agente Jane
giusto?” chiese, avvicinandosi a sua volta ai due.
“No , ui
è un consulente...” precisò
Lisbon, con il suo consueto tono professionale.
Com’era imprevedibile l’umore; la mattina Teresa aveva
facilmente omesso quell’importante particolare
riguardante il ruolo professionale di Jane, come se,
in qualche modo, avesse voluto rendere più rilevante l’uomo al suo fianco che,
con tanta premura, le aveva portato il caffè in ufficio. Ora, invece, dopo una “litigata”, se così
la si voleva chiamare, era ritornato a vestire i panni
del semplice consulente.
Anche il giovane agente davanti a loro
sembrava aver colto quel semplice quanto considerevole dettaglio.
Una volta che Lisbon si fu
allontanata per avvicinarsi al corpo, Jane si
avvicinò al poliziotto in divisa, con un fare decisamente
troppo teatrale per essere preso sul serio da chi lo conosceva davvero.
“…l’ho fatta arrabbiare…ed ora…Da agente a semplice
consulente!” disse, per poi raggiungere Lisbon, lasciando l’uomo al suo fianco con un indecifrabile
espressione dipinta sul volto.
“Chi è?” chiese Lisbon,
osservando la donna seduta ai piedi di un albero, come se in realtà stesse
tranquillamente attendendo qualcuno o qualcosa.
Le braccia, completamente ricoperte da tagli e contusioni,
cadevano inermi sul ventre della vittima, la quale sembrava trovarsi in quella
determinata posizione per un obiettivo ben preciso dell’assassino, un obiettivo ancora sconosciuto a chi osservava in quel momento
la scena del crimine.
“Maria Ivarez,
ventidue anni…” rispose una voce di donna alle loro spalle “…dalla patente risulta che viveva nel Cansas.
Abbiamo già contattato i genitori…” aggiunse il poliziotto della zona, una
donna di si e no una quarantina d’anni, sulla cui
targhetta risplendeva il nome “Morgan Coolman”.
“Questa volta chi l’ha
trovata?” chiese Lisbon, mentre il consulente della
sua squadra osservava più da vicino la vittima.
“Io” rispose l’agente Keys, con un tono decisamente meno
esperto rispetto la donna dai capelli biondi al suo fianco “….stavo per finire il mio turno quando me ne sono accorto. Mi
è sembrato insolito…perché mi era già sembrato di
intravederla poco dopo aver lasciato il luogo della prima
vittima!”
“Sembra lo stesso modus operandi…” osservò Teresa,
inginocchiandosi accanto a Jane, proprio di fronte alla
giovane dagli occhi verdi come lo smeraldo.
Aveva la pelle scura, tipica
delle sue origini spagnole. Anche i capelli, lunghi e
scuri quasi quanto quelli della prima vittima, rispecchiavano perfettamente i
tratti somatici della sua cultura ispanica; mossi e indomabili, le cadevano
lungo le spalle smilze, arrivando quasi a sfiorare le dita pallide e marmoree,
incrociate le une alle altre, quasi fossero in preghiera.
Sembrava aver assunto una
tipica posizione di attesa. Come se
attendesse, paziente, la morte in persona che, puntuale, era giunta a portarla
via con se.
L’unica cosa in grado di
contrastare con quella perfetta e così reale ricostruzione, così vicina
all’essere un soggetto di un dipinto, era lo sguardo; uno sguardo
troppo spaventato e triste per appartenere a qualcuno di così paziente e
inerme.
Anche i
polsi, così sottili e delicati, portavano gli evidenti segni dei lividi, dovuti
sicuramente a qualcosa di duro e indistruttibile, qualcosa in grado di renderle
impossibile qualsiasi movimento, qualsiasi via di fuga.
Era morta nel terrore e nella
paura, proprio come Susan Long.
“….forse si tratta di un serial killer…” propose l’agente Keys, rimasto in silenzio per tutto il tempo.
“Non corriamo troppo…” lo riprese Lisbon, rialzandosi da terra
“…aspettiamo gli esiti della scientifica.
“Voi siete
del CBI giusto?!”
“Esatto. Ci terremo in
contatto.”
Dopo aver scambiato qualche
sguardo con la donna dai capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, Lisbon si riavvicinò al cadavere, vicino al quale si trovava
ancora Jane, il cui sguardo appariva decisamente interessato.
“Andiamo…?”
“Guarda gli occhi della
donna…”
“li vedo..”
gli fece notare ovvia, incrociando le braccia davanti
al petto.
“sono aperti…”
“forse sta ad indicare
qualcosa che le vittime devono vedere…anche dopo la morte” suggerì Lisbon,
osservando lo stesso punto indicato da Jane.
“già…O qualcosa che noi
dobbiamo vedere. Vuole che facciamo attenzione ai
particolari…ci tiene alla scena del crimine, al modo in cui NOI troviamo i
corpi. Gli serve un contesto eclatante, come la
strada, o un contesto scenografico, come la rappresentazione di una giovane
ragazza ai piedi di un albero…priva di vita…da più di un giorno “ le spiegò,
guardando Teresa direttamente negli occhi “Entrambe le vittime hanno i capelli
scuri; entrambe gli occhi verdi…”
“..entrambe
sono di origini straniere…” continuò Lisbon, in
perfetta sintonia con il ragionamento di Patrick.
“…è un serial
killer!”
Rieccomi qui con il capitolo numero
cinque!!!!!
Lo so..avrei
voluto anch’io far chiarire subito Lisbon e Jane ma…sono maleficaaaaa!!!! Muhahahahah (c’ho preso gusto con
tutte queste risate malefiche XD)
Cmq allora prima preciso alcune cose…Mi sono
permessa di dare un nome ad uno dei fratelli di Lisbon perché, purtroppo, per ora non si sa ancora niente
sul loro conto…tranne che sono 3. Lucas mi è sembrato
un nome abbastanza simile a Teresa, ma se avete qualche consiglio da dare in
merito fate pure…sapete che qui sono sempre bene accetti. ^^
A questo
proposito mi collego alle recensioni ringraziando Brucy per avermi fatto
notare gli errori grammaticali che, dalla fretta, non ho
visto. Grazie milleeee…avrei fatto una figuraccia da
panico se non me lo avessi detto. Ho riletto tre volte questo capitolo prima di
postare, ma…visto che qualche errore mi sarà sicuramente sfuggito, mi scuso fin
da subito :P
Cmq sono d’accordissimo con te Brucy,
anch’io credo che il tenere sulle spine sia un tentativo di Jane
per dare un senso alla sua vita, una vita completamente comandata da John.
Bè grazie mille Brucy…spero
davvero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, ho fatto il possibile per
non deluderti!!!!^^
23jo hai
proprio ragione…la classe non è acqua e la nostra Lisbon
ne ha da vendere. Anche se in questo capitolo ho fatto in modo di renderla molto
più combattuta del solito…spero di esserci riuscita ^///^
E passiamo alla
mia dolcissima collega….evelyyyyn,
che con la sua ff sta seriamente cercando di
uccidermi XD (COMEEE???? Hai cinque capitoli pronti e
mi fai soffrire così??? Adesso vado subito a leggere e
commentare quello che hai pubblicato, vediamo se il mio povero cuore ne
risentirà ancora XDXD).
Cooooomunque…come tardi torto, anch’io
adoro Teresa, è una grande sia nel modo di fare che
per il suo carattere. E nei nuovi episodi non si può fare a
meno che tifare per lei….Sì sì…qua siamo tutti
PRO-LISBON!!!! J
Infine, ma non
di certo in ordine di importanza XD, grazie di cuore a
Valery_Ivanov che continua a seguire la mia ff.
Come mi hai fatto
notare tu e tutti gli altri, sono davvero davvero
daavvero contenta di riuscire a mantenere i
personaggi OOC, è una delle cose a cui faccio più attenzione di tutte, perché
naturalmente un telefilm si ama in particolar modo per il carattere dei
personaggi, perciò anche le ff devono cercare di
mantenere il loro carattere originale. Ma…aimè…è una delle cose più difficili di tutte. Infatti anche in questo capitolo ho rischiato di andare
fuori OOC, ma spero di essere riuscita a salvarmi in extremis XD
Che dire…anche questa volta mi avete resa stra felice con i vostri commenti….vi
ringrazio di cuore, siete la mia fonte di ispirazioneeeeeeee.
Un bacione carissimi lettori…..al
prossimo capitolo ^^
Ps: per qualsiasi cosa, chiarimento o altro, non esitate
a contattarmi….per me è un piacere!!!!
T.L.