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Autore: fri rapace    20/10/2009    8 recensioni
Tonks si strinse la pancia tra le braccia, mentre un altro crampo la faceva gemere.
“Dora?” sentì chiamare Remus, preoccupato.
“La pancia…” soffiò lei, stringendo i denti.
“Hai di nuovo fatto fuori una scatola intera di Cioccorane, ingozzandotici senza neppure masticarle, vero? Lo sai che poi quelle ti saltano nella panc…”
Lo zittì con uno sguardo truce. “No, scemo! Il bambino! E’ il bambino!”
Remus sgranò gli occhi, terrorizzato. “Oh!”

La nascita del piccolo Teddy, dal punto di vista di mamma e di papà.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Tonks, Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Fiocco azzurro in casa Lupin Premetto che questa non è una nuova fanfiction, è solo un capitolo della mia long "It's the fear" leggermente rimaneggiato (e leggibile tranquillamente come fosse una one-shot). Essendo questa long una NC17, ho pensato che magari a qualcuno poteva far piacere leggere della nascita del piccolo Teddy, pur non potendo accedere a quella storia ^^



“Remus, ti senti bene?” chiese Andromeda, parlando molto lentamente.
“Eh?”
Tonks non poteva fare a meno di chiedersi perché sua madre stava perdendo tanto tempo appresso a lui, mentre lei, la sua unica, adorata figlia, stava male. Molto, molto, male. E per colpa dell’uomo che le stava rubando la sua attenzione!
Si voltò rabbiosa verso Remus: era pallidissimo, sembrava davvero terrorizzato.
Bene.
Era il minimo che lo fosse, il senso di colpa lo doveva rodere nel vederla soffrire a quella maniera! Lui era stato scaltro, oh, sì, molto scaltro, a limitarsi a dare il suo contributo alla parte più divertente dell’intero processo di procreazione… per poi fuggire con la coda tra le gambe e tornare per farsi fare quattro coccole e curare le ferite.
“Remus, mi devi aiutare, Ninfadora ha bisogno del tuo sostegno, lo capisci? Non hai intenzione di svenire, vero?”
“Mmm-no-o”, farfugliò lui, risultando ben poco convincente.
“Non sverrai quando vedrai il sangue, vero?” proseguì Andromeda, parlando come se si stesse rivolgendo a un bambino molto piccolo. Dimostrava una certa esperienza in merito alle reazioni dei quasi-papà durante il travaglio, maturata grazie al servizio che prestava come volontaria al San Mungo.   
"Come… sangue? Quale sangue?” si chiese Tonks. Ma come aveva fatto a mettersi in quel guaio?
Un’altra contrazione la fece sussultare: quando pensava che ormai il dolore avesse raggiunto il massimo che una donna poteva tollerare, una nuova fitta la smentiva.
Sentì Remus ridacchiare nervosamente. “La vista del sangue, a essere sincero, non mi disturba affatto,” deglutì a vuoto, asciugandosi i palmi delle mani sui pantaloni. “Anzi, la trovo… ehm… piacevole.”
Andromeda alzò gli occhi al cielo. “Va bene… Ora, è impensabile portare Ninfadora al San Mungo, ovviamente. Io ho assistito al parto di altre donne, oltre ad avere un’esperienza diretta in merito.”
Remus annuì, con convinzione. “Anche io.”
Sua madre lo guardò storto.
“Anche… tu… cosa? I licantropi maschi hanno la capacità di portare a termine una gravidanza?”
Tonks non riuscì a trattenere un gemito e attraverso le lacrime vide Remus venirle in soccorso.
Le scostò delicatamente i capelli, in quel momento di un viola allarmante, dalla fronte, per poi accarezzarle piano la testa.
“Povera piccola, mi spiace che tu debba stare così male”, mormorò avvilito.
“Allora, Remus, vuoi rispondermi? Voi mannari siete forse provvisti di utero?” sentì insistere sua madre. Stava pestando nervosamente un piede sul pavimento.
“Certo…”
“Ti sembra questo il momento di fare lo scemo?” lo interruppe Tonks, respingendolo a suon di schiaffoni.
“…che no. Intendevo dire che ho visto partorire delle donne quando ero nel branco dei mannari. Più di una. Nella foresta. Lì non ci sono Guaritori o altro, le mannare fatto tutto da sole.”
Tonks si sentì prendere di nuovo dalla rabbia. “E tu le ammiri, vero? Come sono coraggiose, loro, al contrario di quell’imbranata frignona di tua moglie!”
Tirò su rumorosamente con il naso. Perché doveva sentirsi sempre così inadeguata?
Remus la guardò con un’espressione dispiaciuta. “Ma che dici, Dora?” le prese il volto tra le mani. “Tu sei la persona più coraggiosa che io conosca.”
Le lacrime le fecero pizzicare gli occhi. “Davvero?” miagolò, con una vocetta piccola piccola.
Lui le sorrise, intrecciando una mano con la sua.
Oh. La faceva sciogliere quando le sorrideva così. Perché era sempre così dolce e carino?
Un’altra fitta le tolse il fiato.
La manipolava a suo piacimento! Era consapevole dell’effetto che aveva su di lei e ne approfittava! Ah, sì, era comodo stare lì fingendosi preoccupato da morire, con il solo pensiero di stringerle la mano o accarezzarle i capelli mentre lei pativa le sferzate di mille Cruciatus per mettere al mondo suo figlio!
Sfilò la mano dalla sua con stizza e cercò di girarsi su un fianco per raggiungere la bacchetta sul comodino.
Si ritrovò a annaspare, incapace di portare a termine anche un gesto tanto banale. Con il pancione si sentiva come una tartaruga con il guscio alla rovescia, era imbarazzante.
Ci rinunciò, adagiandosi di nuovo sulla schiena e incrociando le braccia, imbronciata.
Sua madre era uscita dalla stanza, lasciandola sola con Remus che la osservava con ansia sempre maggiore. Dai muscoli tesi del suo viso capiva che stava stringendo i denti.
Tirò un lungo sospiro, sforzandosi di stendere le labbra in una parvenza di sorriso, per poi rivolgersi a lui con dolcezza esagerata:
“Remie, amore mio dolce, mi daresti la bacchetta, per favore?”
Lui strinse gli occhi, sospettoso.
“Per farci cosa?”
“Ah!” urlò lei, piegandosi in due per il dolore frutto dall’ennesima contrazione. Sentiva il sudore gelato scivolarle dalla nuca giù, lungo la schiena.
“Dammela e basta!” ringhiò.
Estremamente soddisfatta vide la causa del suo male prendere mansueto la bacchetta e porgergliela con cautela: sembrava temere che avesse intenzione di mordergli la mano.
Chi era il lupo adesso?
Si rigirò tra le mani la bacchetta per un po’, le orecchie tese, accertandosi che sua madre non stesse per tornare nella stanza.
“Hai presente le mie pantofole rosa pelose, quelle a forma di coniglietto?”
“Sì?”
“Vedi, qui, ai piedi del letto? Ce ne è solo una.”
Remus seguì il suo sguardo e puntò gli occhi sul pavimento, senza capire.
“L’altra non la trovo più…”
“Beh…” Remus si grattò la nuca, gettando occhiate nervose per la stanza.
“Beh? Cosa sei, una pecora o un lupo?” sbottò lei, trattenendosi a stento dall’urlare.
“L’avrai lasciata da qualche parte, tipo…” tentò lui.
Tonks si stava godendo ogni istante. Non aveva mai visto Remus così in difficoltà. Lui, sempre così controllato e capace di destreggiarsi con stile in ogni situazione, ora sembrava procedere a tentoni in una stanza molto buia. E era stata lei, la piccola Auror pasticciona, a spegnere la luce.
“Tipo dove, Remus?”
Si strinse nelle spalle. “Ha importanza?”
“Certo che ne ha!”
“D’accordo, d’accordo!” mise i palmi delle mani avanti a sé. “Ehm… non è che ti è caduta nel congelatore? Ricordi quella volta che le ho trovate entrambe lì dentro con i peli tutti diritti e surgelati?” Fu incapace di trattenere una risatina.
Se lo ricordava eccome. Quello scemo gliele aveva messe ai piedi del letto ancora così gelate da essere croccanti e quando lei, ignara di tutto, ci aveva infilato i piedi mezzo addormentata, lo shock era stato tale da farla strillare e quasi quasi se la faceva sotto. Ricordarle quel “simpatico” scherzo non fece altro che alimentare il suo risentimento.
Prendendolo alla sprovvista, gli chiese a bruciapelo. “Tu faresti tutto, per me, vero?”
“Certo. Qualunque cosa. Ti… ti amo, lo sai.”
Tonks cercò di non farsi intenerire dalle sue parole. “Sai di cosa ho bisogno, adesso?”
Lui si appoggiò l’indice sulle labbra, voltando gli occhi verso il soffitto. “Di un Waddiwasi*?” tentò, con uno sguardo un po’ troppo vivace.
Tonks strinse gli occhi, diffidente.
“Che cosa diamine è un Wadd…?”
Remus strinse le labbra, continuando a fissare ostinatamente il soffitto. Sembrava stesse trattenendo un sorriso.
Non conosceva l’incantesimo che aveva nominato, ma capì subito che la stava deridendo! Lei soffriva come se Fierobecco stesse usando il suo basso ventre per soffiarsi il naso e lui se la rideva.
“Non mi importa,” alzò la bacchetta, felice di vederlo impallidire. “Ho bisogno della mia pantofola! Adesso!”
Sua madre entrò nella stanza con in mano una pila di cuscini giusto in tempo per vederla trasfigurare il suo tenero maritino in una soffice pantofola pelosa.
“Ninfadora! No!”



Remus riacquistò coscienza di soprassalto: Andromeda lo stava scuotendo con una mano posata su una spalla.
Era del tutto spaesato, cosa era successo? Cosa ci faceva sdraiato sul pavimento?
E soprattutto, perché la pantofola superstite di Tonks sembrava gli stesse facendo gli occhi dolci?
Si mise a sedere, mettendo a fuoco il volto della suocera che lo fissava impaziente e un po’ scocciata. Iniziò a tossire, sentendo il viso diventare bollente. Gli sembrava che i polmoni gli fossero stati imbottiti con della lana, per poi essere svuotati con un colpo secco e poco premuroso.
La vista gli si schiarì molto lentamente: aveva gli occhi asciutti e non riusciva a sbattere le palpebre.
“Tutto a posto, Remus?”
“Credo di sì… ma ho la strana sensazione di avere gli occhi di plastica.” Rise, pensando di aver detto una cosa molto buffa. Ma Andromeda non sembrava della stessa idea.
“Ora non più. Comunque tra poco smetterai di sentirti strano, immagino poi che tu sia abituato alle trasformazioni e alla pelliccia. A proposito, il rosa ti dona.”
“Cosa?”
“Cosa?! Cosa ti è saltato in mente di dare a Ninfadora la bacchetta? Hai idea di cosa ho fatto io a… a… ” si interruppe, premendosi i polpastrelli sulle palpebre per un istante, per poi tirare un lungo sospiro. “Ted. A lui… durante il parto, per un errore simile? Mai, e ripeto, mai! Dare in mano la bacchetta a una donna furiosa alle prese con le doglie!”
Remus si sentiva un perfetto idiota, gli riusciva sempre così facile capire con anticipo le intenzioni altrui, o intuire i loro pensieri. Ma la travolgente emozione per quello che stava per succedere lo stava privando in maniera imbarazzante delle sue facoltà mentali.
Si alzò dando una spinta con il piede alla pantofola a forma di coniglio: la sua presenza lo metteva a disagio.
Si concentrò sul viso lucido di sudore della moglie e notò, sconcertato, che stava cercando di nascondergli un sorriso malizioso. Sembrava una bambina che aveva appena combinato una marachella.
“Dora? Ma cosa è…”
Lei rispose con un lamento dovuto a una nuova contrazione, che gli sembrò un po’ meno convincente degli altri.
“Zitto! Non vedi come soffro?”
Un altro risolino.
Passarono diversi minuti, durante i quali Remus cercò di ricordare cosa fosse accaduto, ma le contrazioni che scuotevano Tonks si fecero sempre più ravvicinate e violente e non ci fu il tempo per altre spiegazioni. Le si ruppero le acque e mentre la ragazza, colta alla sprovvista, sussultava, sua madre le spinse con gesti pratici una pila di cuscini dietro la schiena, in modo da poter stare comodamente seduta, ordinandole poi di piegare le ginocchia.
Lei si era fatta seria, la luce divertita le era scomparsa dagli occhi.
Vide che stava cercando la sua mano e lui gliela prese, distogliendo lo sguardo. Quello che aveva detto a Andromeda era una mezza bugia: aveva agito così anche quando, allibito, si era reso conto che le donne del branco partorivano come bestie, aiutate dalle compagne o da sole, stese tra le felci. Era un momento troppo intimo per essere violato dagli occhi indiscreti di un uomo.
Andromeda istruiva la figlia con voce posata, tanto che sembrava stesse prendendo con lei un tè.
Remus l'ammirava oltre ogni misura.
“La contrazione, mamma!” gemette Tonks, stringendogli forte la mano. Non piagnucolava, anzi, appariva sicura di sé: era una donna che stava per diventare madre, non una bambina, sottolineava la sua determinazione.
“Bene. Ora inspira, butta fuori l’aria e inspira di nuovo.”
Tonks eseguiva tutto senza batter ciglio, era così orgoglioso di lei.
“Ora trattieni il respiro e spingi.”
Stava succedendo davvero. Per Merlino! Stava succedendo davvero!
All’annuncio che la testa del bimbo era ormai fuori, Remus sentì la propria girare pericolosamente.
Si ricordò dell’ordine di Andromeda: non doveva svenire. Affondò le unghie nel palmo della mano vuota, sentendo la pelle spaccarsi.
Dopo un lasso di tempo per lui indefinibile - si sentiva completamente stordito - un vagito si alzò dietro la sua schiena.
Era la voce del cuoricino che sentiva battere nel ventre di Tonks, il suono più bello che avesse mai udito.
Sentì la ragazza abbandonarsi, finalmente libera dai dolori del parto, contro di lui.
Le fece appoggiare il viso stravolto sul suo petto e l’avvolse con le braccia, sprofondandola in una caloroso abbraccio, commosso fino alle lacrime.
“Sono stata brava?” gli chiese con una vocina dolce.
La strinse con rinnovato amore, baciandole con tenerezza la testa umida, i capelli di un rosa accecante.
“Sì.” Solo sì. Non fu in grado di dirle altro, malgrado nella mente gli turbinassero centinaia di lodi con cui avrebbe voluto riempirla.
Frastornato, vide Andromeda avvicinarsi a loro guardando con occhi adoranti il fagottino che teneva tra le braccia.
“È un maschietto”, disse con un bellissimo sorriso.
Lo posò sul ventre della figlia. Era così piccolo, accucciato con le gambine tirate sotto la pancia, così minuscolo.
“Oh!” esclamò Tonks, staccandosi da lui.
Allungò una mano e accarezzò la testolina coperta da sottili e radi capelli neri. Il bimbo gorgogliò, mentre bollicine di saliva gli bagnavano le labbra.
Andromeda le mostrò come tenerlo in braccio: “Ecco, prendilo così.”
Tonks se lo premette contro il seno gonfio, contemplandolo colma di gioia .
“L’ho fatto davvero io? Davvero?” si rivolse a lui. “Guarda, Remus, guardalo!”
E Remus lo guardò, incapace di parlare, incapace persino di respirare. Suo figlio!
“Puoi tenerlo, se vuoi”, lo invitò Andromeda, gentilmente.
Lui scosse la testa, agitatissimo.
“Va bene, non sei ancora pronto. Però smettila di trattenere il respiro, stai diventando paonazzo…” Andromeda gli indirizzò uno guardo intenerito, per poi rivolgersi alla figlia: “Tutti così, i neo papà”, brontolò, fingendosi esasperata. Baciò il capo del suo nipotino e lasciò la stanza, concedendo loro un po’ di intimità.
Il piccolo sbadigliò, mettendo in mostra le gengive rosa. Nel vederlo il cuore di Remus fece una capriola. Attese, arrivando a fissarsi il petto e sembrando di sicuro un perfetto idiota, ma non lo sentì più tornare al suo posto, decidendo evidentemente di rimanere per aria, leggero.
Felice.
Non era mai stato così… così… felice!
Si rilassò, sedendosi accanto alla donna che gli aveva donato tutto quello che mai immaginava avrebbe potuto avere un essere come lui.
Alzò un braccio e glielo passò attorno alle spalle, mentre lei gli appoggiava la testa nell’incavo del collo. Era così giovane e bella, e era solo sua.
Le baciò la punta del naso e Tonks gli fece un gran sorriso, un sorriso dolcissimo.
Prese coraggio e allungò una mano verso il suo bimbo, rigirandosi nella mente, come una preziosa monetina d’oro tra le dita, la parola “suo”.
Gli sfiorò una guancia: era così morbido che temeva di graffiarlo toccandolo con la sua mano ruvida.
Il piccolo cercò senza successo le sue dita con le labbra, per poi scuotere con disappunto un pugnetto e afferrargli l'indice con inaspettata forza, stringendolo con entusiasmo.
“Oh…” mormorò, chiudendo un istante gli occhi schiacciato dall’emozione.
Tonks lo guardava con la testa inclinata sulla spalla. “Sei commosso, amore mio dolce?”
Non fu in grado di risponderle, arrancava cercando di convincersi che era tutto reale e stava succedendo proprio a lui: un vecchio, inutile, lupo mannaro!
Lei, senza dire una parola, gli appoggiò le labbra sul viso, asciugandogli a suon di baci le lacrime che, senza che lui se ne fosse reso conto, gli erano sfuggite tra le ciglia socchiuse.







*«Waddiwasi» è l'incantesimo che usa Remus per sparare fuori la cicca dalla toppa della serratura di una porta, quando Pix lo prende in giro nel terzo libro.
   
 
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