Sussurri tra i petali di
ciliegio
Prologo
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"Noi vediamo sempre due sole strade: difendere o
attaccare; lasciarsi dominare o trionfare.
Ma c’è una terza via: lottare con
l’amore, soffrire senza incolpare, essere contro la violenza senza la violenza."
Dorothee
Solle
La lettura del giornale è
certamente molto utile, perché ci tiene informati sui più importanti avvenimenti
del momento.
Aprendolo infatti ci si trova faccia a faccia con
trionfi e vittorie continue che avvicinano l’uomo, sempre proteso nella sua
ricerca infinita di potere, fama e successo per cui si affanna con tanto
accanimento e costanza, un passo dopo l’altro, al futuro che
sogna.
Questi articoli, così ridondanti di lodi ed elogi
sperticati sull’intelligenza e la bravura dell’essere umano, fanno sì riflettere
sulla loro grandezza, ma al contempo meditare sulla fragilità e mera esistenza,
sulla caducità umana.
I grandi titoli che fanno bella mostra di
sé in prima pagina sono dedicati naturalmente alle notizie più fragorose,
sensazionali e succulente: scoperte scientifiche e delicate questioni di
carattere politico ed economico, ma ce ne sono anche altre, non meno importanti,
ma non altrettanto felici, quelle che fanno aumentare le vendite
vertiginosamente e avere incassi da record, quelle che più di tutte interessano
e atterriscono.
C’è qualcosa di curioso e morboso
nell’atteggiamento che l’uomo assume di fronte ad una sciagura o ad una
catastrofe di dimensioni mondiali.
Oltre il panico e il terrore
che rende vacui gli occhi e appannate le menti, c’è chi ride e si diverte
all’idea di ciò che sta succedendo o è già accaduto, che gode nel sentire le
urla straziate di dolore lacerare il silenzio come un fulmine e strappare i
cuori come cartastraccia.
Questo perverso e malato piacere che
offusca la ragione e il buonsenso, fa in modo che a prendere l’iniziativa e il
sopravvento siano gli istinti primitivi e selvaggi che ognuno di noi possiede
nelle parti più oscure della nostra psiche e cerca di nascondere sin dalla più
tenera età, quanto più profondamente possibile.
C’è chi riesce ad
insabbiare questo lato oscuro e vizioso, che ha sete di sangue e odio e prova un
incontrollabile acredine verso la società intera e chi invece lo sopprime e non
riuscendoci completamente, lo sommerge con un finto perbenismo e un’ipocrisia
che danno il voltastomaco.
C’è però anche chi, totalmente estraneo
a siffatta e corrotta anima da demonio, rimane candido e puro perché lontano da
elementi che potrebbero corrompere la sua coscienza
incontaminata.
Tali personaggi così rari e perciò tanto più
preziosi al resto della comunità cieca, sono solitamente i primi a pagare le
conseguenze delle azioni di coloro che non riescono invece a placare la sorda
violenza che infuria dentro di loro.
E’ così che nasce un
omicidio.
Uccidere una persona è l’azione più abietta e sordida
che uomo possa concepire o compiere. Recidere una vita è come mettere a tacere
una parte di sé e perdere pezzo dopo pezzo la propria anima.
Un
delitto è pazzia, delirio e il rimorso e il tormento per ciò che è stato fatto
sono tali da portare sulla strada della perdizione e sull’orlo della follia
completa.
Fanatismo, legge, diritto poco importa quali
giustificazioni vengano costruite, perché queste cadono di fronte alla verità e
ogni prova di innocenza e scusa diventano imperdonabili e inaccettabili,
ridicole e insulse.
Guerre, disastri naturali, improvvise
sciagure sono avvenimenti contro cui l’uomo mostra di non potere o di non saper
lottare.
L’uomo non può combattere contro se stesso, contro lo
squilibrio così profondamente radicato nel suo animo e insito del suo essere,
semplicemente non può riuscirci, o meglio non per molto o per
sempre.
I giornali sono dunque distributori di annunci e avvisi
che distruggono gli innumerevoli silenzi e l’omertà generale, fautori di
qualcosa che và oltre la semplice constatazione o conoscenza.
Ci
sono persone che hanno finito con l’odiarli, con il detestare quei miseri fogli
di carta, capaci nella loro debole essenza di abbattere speranze e illusioni,
cancellare vite.
Mantenersi in piedi e riuscire a resistere con il
magone della paura, il miraggio dell’incertezza di fronte alla scomparsa di una
persona cara è una delle cose più difficili e al contempo naturali ci siano al
mondo.
Cullati dalla fede, ci si crogiola nel dubbio che sia
tutto un sogno che svanirà presto, portando con sé il sapore amaro di quella
possibilità di morte che tanto ci aveva fatto preoccupare.
Però a
volte non tutto si risolve così semplicemente.
Non sempre tutto si
conclude con un epilogo lieto, non sempre la parola fine è accompagnata da un
sorriso.
Si tratta dell’ineluttabile destino di ogni essere
vivente, di ogni singolo ente che abita e popola questo mondo e lo regola e
mantiene in ordine.
Per
ogni vita che nasce una ne muore.
Può sembrare orribile, ingiusto, crudele, ma resta così
e se la cosa vi sconvolge tanto, beh … notizia flash miei cari: la
vita è questa!
Il mondo reale, tangibile, vero è questo e
non quello fantastico e magico, utopico delle fiabe che i nostri genitori
ci leggevano da bambini e se la cosa non corrisponde ai vostri desideri, siete
liberissimi di voltarle le spalle e diventare grandi incompresi.
Chissà che non diventiate qualcuno di importante e
arriviate alla soluzione di uno dei misteri dell’universo.
E’
inutile e anche un po’ infantile prendersela con un dannato foglio che riporta
soltanto la verità nero su bianco, che non fa altro che sbatacchiarla
gentilmente sulla faccia altrui.
E’ suo preciso compito, il ruolo
che svolge con meticolosa attenzione e precisione da quando è stato creato come
strumento di divulgazione alla massa e continuerà a compierlo fino alla fine del
mondo e forse anche oltre.
Se vi domandate la causa di queste
continue lotte, queste continue tragedie quindi, non guardatevi intorno, ma
trovate i colpevoli in voi stessi.
Sembra quasi che gli uomini
non si accorgano della loro pazzia, dei lutti e delle sciagure che generano la
loro ambizione sfrenata e l’incontenibile bramosia.
A che cosa
servono le guerre?Le bombe, le armi, gli eserciti?
La storia non è
affatto maestra di vita, ma un avvicendarsi di battaglie sanguinose ed assurde,
un macchinoso susseguirsi di avvenimenti inutili da cui non trarre alcun
insegnamento né giovamento.
Sfogliando il giornale e incontrando
fatti tragici e dolorosi quali deragliamenti di treni o improvvisi
terremoti, il cuore si riempie di commozione e di pena, ci si sente troppo
fragili e troppo deboli per poter sostenere il pianto delle madri orbate dei
figli, il lamento straziante delle vedove, il dolore attonito di chi, in un
istante, si è visto privato dei frutti di un’intera vita di sacrifici e di duro
lavoro.
L’affaccendarsi degli uomini è simile a quello di una
fila di piccole formiche, che ora si spezza, ora si contorce, per tornare poi
nuovamente nella posizione iniziale.
E sta proprio qui il
punto.
Di fronte al dolore, bisogna lottare e non lasciarsi
andare, strappare con la forza un fresco soffio di speranza e fiducia.
Quando l’uomo si adopera con tutte le sue energie e trova in se
stesso la forza di dare nuovamente vita a tutto ciò che la natura ha distrutto,
quando lotta al limite delle proprie risorse fisiche e mentali al fine di
sgominare malattie e pestilenze, quando si consuma nel tentativo di strappare i
più nascosti e reconditi segreti alla natura ostile e gelosa, quando mette a
repentaglio la propria esistenza nel tentativo di salvare quella di un suo
simile, allora un sentimento di vera e profonda ammirazione discende nel suo
animo, lo consola e lo placa, spandendogli sopra il fresco balsamo della
speranza, speranza in un giorno in cui la ragione non verrà sempre e solo
sopraffatta dall’istinto, speranza in un giorno in cui unione e fratellanza non
saranno solo parole vuote e senza significato, speranza in un giorno in cui
finalmente l’uomo cesserà di essere ostile all’uomo.
*
20 marzo
1995
Tokyo, Casa Haruno-Uchiha
Ore
7,35
Sakura scese le scale di corsa,
allacciandosi malamente il maglioncino rosso alla vita e cercando
contemporaneamente di domare la matassa ingarbugliata che si trovava al posto
dei capelli.
Sforzi vani quanto inutili dal momento che i ricci
sembravano proprio non volerne sapere quella mattina di stare in ordine o di
avere un aspetto quantomeno decente.
Agli ultimi due gradini fece
un piccolo salto e atterrò agilmente, ma non silenziosamente, davanti a un
tavolino posto a poca distanza da una porta in mogano scuro dall’aria massiccia
e imponente.
Abbassò la maniglia con entrambe le mani e si fiondò
nella stanza a testa alta, ma con lo sguardo puntato dovunque fuorché sull’unica
persona presente oltre lei.
Si gettò di malagrazia sulla sedia più
vicina, nonché unica disponibile, spostandola rumorosamente. Lo struscio
prodotto, pur se minimo in confronto al trambusto provocato poco prima, fece
sbuffare la persona seduta di fronte che, indispettita, abbassò il giornale che
stava leggendo e la fissò con espressione torva per qualche secondo intimandole
il silenzio, prima di tornare a scorrere tranquillamente il suo quotidiano.
Era seccato e leggermente agitato. Lo capì dalla presa nervosa,
quasi spasmodica, con cui stringeva le pagine tra le dita candide, rese tanto
più chiare se paragonate ai fogli grigiastri e dal contrasto con la felpa blu
che indossava.
Era sempre così, ogni singolo e dannato anno.
Il giovane rampollo della nobile e prestigiosa casata Uchiha
risentiva del cambio di stagione ed erano ormai noti i notevoli sbalzi d’umore a
cui era soggetto con l’avvicinarsi della primavera e del suo
compleanno.
Mancavano ormai otto giorni e probabilmente
stava varando le varie opzioni, cercando di scegliere la migliore o per lo meno
quella che l’avrebbe salvato dal linciaggio di massa.
Ino e Naruto
non erano stati molto carini quando l’anno precedente era rincasato a festa
inoltrata, senza uno straccio di regalo e completamente ignaro di cosa stesse
succedendo o che giorno fosse.
Per fortuna questa volta ci aveva
pensato lei.
Ben consapevole che da solo non se ne sarebbe mai
ricordato, si era premunita chiedendo ad Ino di avvisarlo per tempo ed aiutarlo
nell’ardua scelta della sorpresa. Si prospettava quindi una tranquilla ed intima
serata tra amici, anche se ad essere sincera aveva forti dubbi su qualsivoglia
situazione che potesse risultare calma e pacifica quando di mezzo c’erano Naruto
e la combriccola.
Si riscosse dai suoi pensieri e dopo aver
lanciato un rapido sguardo all’orologio, rassicurata dal fatto di avere ancora
un po’ di tempo a disposizione, riportò la sua attenzione sul
ragazzo.
Sorrise intenerita osservandolo versarsi con gesti
meccanici il caffè nella sua tazza rossa preferita, portarselo alle labbra e
berlo in un sol sorso.
Aveva il volto completamente coperto, come
se volesse nascondersi dal suo sguardo attento e dolciastro, ma riuscì
comunque a immaginare le labbra che si piegavano in una smorfia di disgusto
appena accennata per il sapore amaro della bevanda o lo sguardo assottigliarsi
per una frase o una parola che lo infastidiva.
Aspettò quieta che
terminasse la lettura e solo dopo che lui ebbe abbassato quel muro che li
separava con esasperante e quasi sadica lentezza, si azzardò ad
aprir bocca.
-Qualche novità interessante?-osservò leggera,
curvandosi sul tavolo per prendere un croissant vuoto e fumante, appena uscito
dal microonde.
Lo spezzò con le dita, attenta a non far cadere
neanche una briciola dal piatto, e cominciò a mangiarlo a piccoli morsi.
Nessuna risposta.
Un bicchiere, riempito fino
all’orlo di spremuta d’arancia, entrò nel suo campo visivo e fu posato con un
gesto di estrema eleganza ed innata grazia, sull’apposito sottobicchiere.
Lo bevve adagio, mentre lui si versava un’altra abbondante tazza
di caffè senza zuccheri o dolcificanti di qualsiasi tipo a renderlo meno aspro.
Come facesse a berlo così, rimaneva ancora un mistero per lei, ma aveva smesso
di porsi quel quesito da tempo immemore ormai. Non era sua
intenzione infastidirlo più del dovuto e se a lui piaceva sorbirsi delle cose a
suo avviso indecentemente disgustose, fatti suoi, no?
Per lei era
totalmente ovvio che il piacere coincidesse con la dolcezza mentre la sofferenza
con l’amarezza. Dall’uno derivava felicità, dall’altro infelicità. Era logico e
istintivo a quel punto scegliere la prima, no?
Evidentemente per
Sasuke no. Quando anche l’ultima goccia del delizioso liquido arancione
fu bevuto, piegò le labbra in un sorriso di apprezzamento. Si spostò i capelli
su una spalla e si sporse ancora sul tavolo, servendosi un altro croissant e
addentandolo golosa.
«Faresti meglio a contenere la tua fame
insaziabile, se non vuoi diventare una balena.»
Odioso grillo
parlante che lei amava tanto.
Sbuffò appena, rivolgendogli
un’occhiataccia. Poi parve ripensarci e sorrise con un’espressione furba che le
illuminò gli occhi verdi da gatto.
«Pensavo di piacerti così,
amore.»
Non le sfuggì il lampo che attraversò gli occhi
scuri del suo fidanzato, anzi…Se ne avvide e dentro di sé sorrise.
Si allungò voluttuosamente sulla superficie liscia, muovendosi
sinuosa e languida come un felino e Sasuke al suo lieve richiamo rispose con
prontezza di spirito, piegandosi a sua volta.
A questo punto per
farsi perdonare era d’obbligo da parte sua cercare di farle dimenticare il
commento sgradevole di poco prima con un bacio o qualcosa del
genere.
Mancava così poco, alcuni centimetri, ma quell’idilliaco
momento venne interrotto da un fastidioso quanto rumoroso trillare che lei
riconobbe come proveniente dal cercapersone.
Sasuke lesse con
attenzione il messaggio appena arrivato e una piccola ruga gli si formò sulla
fronte, mentre aggrottava le sopracciglia e piegava le labbra in una smorfia
indispettita.
Rimise il cellulare in tasca e si alzò, uscendo
dalla stanza e salendo le scale.
Sakura sentì le assi di legno del
piano superiore scricchiolare.
Tempismo perfetto davvero!Sbuffò
leggermente e cominciò a mordicchiare un biscotto al
cioccolato.
Ne aveva già mangiati cinque, quando Sasuke
ridiscese.
Cappotto scuro, sciarpa al collo e la valigetta di
pelle che lei gli aveva regalato qualche mese prima in
mano.
Scrutò pensieroso la stanza, scrollò le spalle ed uscì. Non
aveva fatto neanche tre passi fuori che tornò indietro. Questa volta la guardò
ed un sorriso sghembo si fece largo sul suo viso da seduttore, mentre lei
sentiva il cuore batterle all’impazzata.
Si chinò su di lei e le
scostò con dolcezza un ricciolo che le copriva gli occhi, piegandoglielo dietro
l’orecchio. Occhi negli occhi, accostò il volto a quello rosso di lei e la
baciò.
Durò pochi secondi, ma come al solito, quando
lui si spostò, lei aveva il fiato corto.
Sasuke si leccò le labbra
e ghignò compiaciuto.
«Zuccherato.» sussurrò prima di voltarle le
spalle e andarsene, questa volta davvero.
Non
potevano sapere che quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero
visti.
“Vivi ogni giorno della tua vita come se fosse l'
ultimo.”
Seneca
“Quando basso e pesante il cielo grava
Come un
coperchio al gemebondo spirito
Preda di lunghe accidie, e a noi, abbracciando
Tutto
il cerchio dell'orizzonte, versa
Un buio lume, più triste che notte;
Quando la terra
si trasforma in umido
Carcere dove la Speranza, come
Un pipistrello,
se ne va sbattendo
Contro i muri la sua timida ala,
Urtando il capo
a putridi soffitti;
Quando la pioggia, stendendo le sue
Immense strisce,
imita le sbarre
D'una vasta prigione, e un muto popolo
Di ragni infami
al fondo del cervello
Viene a tenderci le sue reti, - a un tratto
Campane erompono furiose e lanciano
Verso il cielo
uno spaventoso urlo,
Come spiriti erranti e senza patria
Che diano in
gemiti, ostinatamente.”
Charles
Baudelaire
Ore 07,
58
Dopo aver sistemato metodicamente,
o meglio gettato di malagrazia, i piatti sporchi e le tazze nella lavastoviglie,
aver pulito l’acquaio e il cucinotto, cambiato l’acqua dei fiori in soggiorno e
riordinato la sala da pranzo, Sakura si concesse un
sospiro.
Guardò distrattamente le stanze appena riordinate e dopo
aver constatato senza sorpresa alcuna di essere in ritardo come al solito, si
fiondò con agilità su per le scale, lanciandosi con la velocità di un proiettile
in camera sua, più precisamente verso l’ampio armadio a muro.
Dal
mucchio confuso e caotico di vestiti e maglioni sparsi sul fondo raccattò una
sciarpa di seta lilla, indiscutibile regalo di Ino, un paio di guanti coordinati
ed un cappellino lavorato all’uncinetto dalla forma discutibile, vagamente
associabile e riconducibile ad un grugno di porco, che fece finta di non
riconoscere come prodotto delle proprie manine e che inizialmente avrebbe dovuto
essere un regalo. Un bel basco granata che mal combaciava con l’immagine trovata
in internet che lei si era riproposta di creare illo
tempore.
Anche se il nome rimandava chiaramente al sinonimo bomba,
si trattava in realtà del colore di un frutto portafortuna, un auspicio di cose
belle, un augurio di benessere, del rosso più bello!*
Con
l’intenzione di darsi una pettinata si avviò in direzione del bagno, ma
l’ennesima occhiata in tralice all’orologio la convinse del tutto che non era
una buona idea.
Percorse la rampa di gradini frettolosamente, non
curandosi minimamente del frastuono provocato e sempre correndo, si precipitò
verso l’ingresso, strappando dall’appendiabiti un cappotto rosso
rattoppato in più punti, dall’aria vissuta e particolarmente
variopinta.
Lo indossò di fretta e furia, si infilò le vecchie
scarpe da ginnastica, prese la borsa, le chiavi, il cellulare e l’ammasso di
protezioni contro il freddo pungente che si era premunita di preparare poco
prima nella sua stanza ed uscì, chiudendosi alle spalle la porta di casa con un
tonfo.
L’aria era gelida e nonostante fosse fine marzo e la
primavera dovesse arrivare di lì a poco, il gelo e il clima uggioso rimanevano
ostinati a ferirli con le loro carezze ghiacciate.
A dar prova
della cocciutaggine nel voler restare, sebbene fosse per loro tempo di andarsene
e cedere il posto al calore primaverile, c’erano le cupe nubi che si
accavallavano nel cielo plumbeo e incombevano minacciose sopra le teste dei
passanti ed il vento che le sferzava impietoso il viso.
Si ficcò
il berretto di lana sui ricci scomposti, cercando di mettere un po’ d’ordine
alla sua figura disordinata e si avviò con passo veloce alla metropolitana.
La borsa consunta e sdrucita di pelle le sbatacchiava al fianco e
lei prese veloce da una tasca interna l’abbonamento, sventolandolo sotto gli
occhi severi di un controllore che squadrava duramente la sua figura vivace e
colorata e i capelli di quell’assurda tonalità rosa.
Lo superò e
continuando a camminare nella ressa rumorosa, cercò di farsi largo tra la
miriade di uomini e donne, impazienti nei loro soprabiti scuri e grigi, che
attendevano come lei l’arrivo del treno.
Acuta osservatrice, si
accorse subito di come quel giorno ci fosse un’animazione particolare, un che di
strano e di insolito, di diverso dalla solita fretta che caratterizzava
normalmente la folla.
Aveva già osservato nella piazza dirimpetto
alla stazione, invasa dalle bancarelle dei venditori ambulanti, e nelle vie
adiacenti gli effetti di quella agitazione tutta nuova e sconosciuta, ma non vi
aveva dato il giusto peso, pensando fosse dovuta all’imminente e ormai prossimo
Shunbun no hi, l’Equinozio di primavera e
festa nazionale.
Ora invece scrutò curiosa un capannello di
persone che stava discutendo animatamente con un gruppo d’interlocutori sotto un
portico sul marciapiede.
Urlavano tra di loro cercando di far
prevalere la propria voce su quella degli altri e di attirarne l’attenzione
agitandosi o sventolando infuriati i giornali e indicando loro la prima
pagina.
Tuttavia voltò le spalle alla scena, intravedendo il treno
che stava arrivando e sentendone il sibilante fischio.
Così
facendo non poté osservare un poliziotto avvicinarsi loro e intimare a
tutti di allontanarsi dai binari, perché era già salita insieme ad un ragazzo
dal viso coperto e alcuni sacchetti di plastica tra le mani.
Se
solo avesse prestato orecchio a ciò che dicevano i passanti forse non sarebbe
successo ciò che invece accadde, ma lei non li ascoltò e questo è
quanto.
Questo è tutto, un tutto che appare vuoto e stranamente
doloroso..
Era un gelido giorno di fine stagione che quell’anno
sarebbe durata più a lungo di quanto ci si sarebbe aspettati e avrebbe negato
l’accogliente calore del sole, ancora in letargo nel suo letto di neve
ghiacciata e rinchiuso nel torpore invernale.
Era il 20 marzo, un
giorno che Tokyo non avrebbe mai dimenticato, una mattina come un’altra che di
uguale alle altre però non aveva niente e avrebbe aperto gli occhi a molte
persone.
I giornali poterono sbrigare i loro compiti anche quella
volta e acquietare nuovamente la morbosa curiosità della gente.
Ma
non ci fu alcuna soddisfazione negli occhi liquidi degli acquirenti né in quelli
degli editori, costretti a riportare e a riconoscere come reale l’incubo che si
era attuato sotto gli occhi attoniti di tutti, troppo allibiti e smarriti anche
per lasciarsi andare a sfoghi di ira o di paura.
Ancora una volta
la storia non era affatto maestra di vita, ma un avvicendarsi di
battaglie sanguinose ed assurde, un macchinoso susseguirsi di avvenimenti
inutili da cui non trarre alcun insegnamento né giovamento.
Ancora una volta l’uomo era ostile
all’uomo..
A poco a
poco il chiasso e le voci la stordirono, qualcuno gridò in preda al panico,
alcuni caddero a terra tramortiti, altri cominciarono a gemere e a
lamentarsi.
Cercò di allontanare la sonnolenza e il formicolio e
di alzarsi in piedi per aiutare quelle persone, ma non ci
riuscì.
Vide una bambina pigiata in un angolo del vagone piangere
e tremare spaventata, tirando la mano di una donna stesa a terra con gli occhi
spalancati e puntati verso il soffitto e un’espressione di puro dolore sul volto
pallido.
Con la poca forza che le restava le sorrise cercando di
rassicurarla, ma tutto ciò che ottenne fu una smorfia, mentre l’insensibilità ai
muscoli aumentava e il respiro le si faceva lieve e delicato come quello di un
gattino.
Sentì con il procedere lento e inesorabile dei secondi
la testa farsi via via più leggera e gli occhi annebbiarsi, mentre il gas
inodore e incolore aleggiava invisibile e letale sul tetto, proprio sopra di
lei.
Un pensiero distante e polveroso a frullare nei meandri
della sua mente offuscata dalle ombre, con il gusto amarognolo della delusione e
del rammarico.
Forse quell’anno non sarebbe riuscita ad assistere
allo spettacolo dei ciliegi in fiore.
Che peccato..Avrebbe tanto
voluto andarci insieme a Sasuke e danzare tra la pioggia di
petali...
Cadde nell’incoscienza e le parve quasi di riconoscere,
nell’oscurità che l’avvolgeva e a cui si abbandonò stanca, il morbido velluto di
un paio d’occhi.
Serena, si arrese al nero buio senza fondo e le
sembrò di essere tornata a casa, protetta e al sicuro tra le braccia di
chi amava.
Sasuke..
E chiuse gli
occhi.
Note
Autrice:
L’idea per questa storia mi frullava in
testa da un po’, ma non ho avuto il tempo materiale di buttarla giù fino ad
oggi.
Sono febbricitante e ho la voce rauca, da
cornacchia a detta dei carissimi amici, ma sono contenta perché finalmente ho
potuto scriverla e credo che sia venuto un bel lavoro, nonostante non mi
soddisfi pienamente.
Scrivere questo racconto è stato più
difficile del previsto principalmente perché è qualcosa a cui tengo molto per la
tematica delicata che affronta e anche perché la vicenda qui presentata è
reale.
Fatti e nomi sono puramente casuali, ma
l’attentato a Tokyo accadde veramente quattordici anni fa provocando dodici
morti e oltre seimila feriti.
Per chiunque volesse informazioni più
approfondite al riguardo basta andare qui http://it.wikipedia.org/wiki/Attentato_alla_metropolitana_di_Tokyo.
E’ la seconda SasuSaku che scrivo e credo
di essere caduta in OOC, soprattutto nei capitoli successivi, o meglio nell’idea
che ho dei prossimi capitoli dato che devo ancora scriverli e sono in fase di
elaborazione mentale.
Spero quindi che vi piaccia e che mi
diciate cosa ne pensate =)
Non so che altro aggiungere, perciò vi
lascio qui.
Al prossimo capitolo!Un bacione a tutti!