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Autore: E u r eka    21/10/2009    4 recensioni
Sbuffò leggermente e cominciò a mordicchiare un biscotto al cioccolato.
Ne aveva già mangiati cinque, quando Sasuke ridiscese.
Cappotto scuro, sciarpa al collo e la valigetta di pelle che lei gli aveva regalato qualche mese prima in mano.
Scrutò pensieroso la stanza, scrollò le spalle ed uscì. Non aveva fatto neanche tre passi fuori che tornò indietro.
Questa volta la guardò ed un sorriso sghembo si fece largo sul suo viso da seduttore, mentre lei sentiva il cuore batterle all’impazzata.
Si chinò su di lei e le scostò con dolcezza un ricciolo che le copriva gli occhi, piegandoglielo dietro l’orecchio. Occhi negli occhi, accostò il volto a quello rosso di lei e la baciò.
Durò pochi secondi, ma come al solito, quando lui si spostò, lei aveva il fiato corto.
Sasuke si leccò le labbra e ghignò compiaciuto.
-Zuccherato.-sussurrò prima di voltarle le spalle e andarsene, questa volta davvero.
Non potevano sapere che quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero visti.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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sussurri

 

 

Sussurri tra i petali di ciliegio

 

 

Prologo


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"Noi vediamo sempre due sole strade: difendere o attaccare; lasciarsi dominare o trionfare.

Ma c’è una terza via: lottare con l’amore, soffrire senza incolpare, essere contro la violenza senza la violenza."

Dorothee Solle

 

 

 

 

 

 

 

 

La lettura del giornale è certamente molto utile, perché ci tiene informati sui più importanti avvenimenti del momento.
Aprendolo infatti ci si trova faccia a faccia con trionfi e vittorie continue che avvicinano l’uomo, sempre proteso nella sua ricerca infinita di potere, fama e successo per cui si affanna con tanto accanimento e costanza, un passo dopo l’altro, al futuro che sogna.
Questi articoli, così ridondanti di lodi ed elogi sperticati sull’intelligenza e la bravura dell’essere umano, fanno sì riflettere sulla loro grandezza, ma al contempo meditare sulla fragilità e mera esistenza, sulla caducità umana.
I grandi titoli che fanno bella mostra di sé in prima pagina sono dedicati naturalmente alle notizie più fragorose, sensazionali e succulente: scoperte scientifiche e delicate questioni di carattere politico ed economico, ma ce ne sono anche altre, non meno importanti, ma non altrettanto felici, quelle che fanno aumentare le vendite vertiginosamente e avere incassi da record, quelle che più di tutte interessano e atterriscono.
C’è qualcosa di curioso e morboso nell’atteggiamento che l’uomo assume di fronte ad una sciagura o ad una catastrofe di dimensioni mondiali.
Oltre il panico e il terrore che rende vacui gli occhi e appannate le menti, c’è chi ride e si diverte all’idea di ciò che sta succedendo o è già accaduto, che gode nel sentire le urla straziate di dolore lacerare il silenzio come un fulmine e strappare i cuori come cartastraccia.
Questo perverso e malato piacere che offusca la ragione e il buonsenso, fa in modo che a prendere l’iniziativa e il sopravvento siano gli istinti primitivi e selvaggi che ognuno di noi possiede nelle parti più oscure della nostra psiche e cerca di nascondere sin dalla più tenera età, quanto più profondamente possibile.
C’è chi riesce ad insabbiare questo lato oscuro e vizioso, che ha sete di sangue e odio e prova un incontrollabile acredine verso la società intera e chi invece lo sopprime e non riuscendoci completamente, lo sommerge con un finto perbenismo e un’ipocrisia che danno il voltastomaco.
C’è però anche chi, totalmente estraneo a siffatta e corrotta anima da demonio, rimane candido e puro perché lontano da elementi che potrebbero corrompere la sua coscienza incontaminata.
Tali personaggi così rari e perciò tanto più preziosi al resto della comunità cieca, sono solitamente i primi a pagare le conseguenze delle azioni di coloro che non riescono invece a placare la sorda violenza che infuria dentro di loro.
E’ così che nasce un omicidio.
Uccidere una persona è l’azione più abietta e sordida che uomo possa concepire o compiere. Recidere una vita è come mettere a tacere una parte di sé e perdere pezzo dopo pezzo la propria anima.
Un delitto è pazzia, delirio e il rimorso e il tormento per ciò che è stato fatto sono tali da portare sulla strada della perdizione e sull’orlo della follia completa.
Fanatismo, legge, diritto poco importa quali giustificazioni vengano costruite, perché queste cadono di fronte alla verità e ogni prova di innocenza e scusa diventano imperdonabili e inaccettabili, ridicole e insulse.
Guerre, disastri naturali, improvvise sciagure sono avvenimenti contro cui l’uomo mostra di non potere o di non saper lottare.
L’uomo non può combattere contro se stesso, contro lo squilibrio così profondamente radicato nel suo animo e insito del suo essere, semplicemente non può riuscirci, o meglio non per molto o per sempre.
I giornali sono dunque distributori di annunci e avvisi che distruggono gli innumerevoli silenzi e l’omertà generale, fautori di qualcosa che và oltre la semplice constatazione o conoscenza.
Ci sono persone che hanno finito con l’odiarli, con il detestare quei miseri fogli di carta, capaci nella loro debole essenza di abbattere speranze e illusioni, cancellare vite.
Mantenersi in piedi e riuscire a resistere con il magone della paura, il miraggio dell’incertezza di fronte alla scomparsa di una persona cara è una delle cose più difficili e al contempo naturali ci siano al mondo.
Cullati dalla fede, ci si crogiola nel dubbio che sia tutto un sogno che svanirà presto, portando con sé il sapore amaro di quella possibilità di morte che tanto ci aveva fatto preoccupare.
Però a volte non tutto si risolve così semplicemente.
Non sempre tutto si conclude con un epilogo lieto, non sempre la parola fine è accompagnata da un sorriso.
Si tratta dell’ineluttabile destino di ogni essere vivente, di ogni singolo ente che abita e popola questo mondo e lo regola e mantiene in ordine.

Per ogni vita che nasce una ne muore. 
Può sembrare orribile, ingiusto, crudele, ma resta così e se la cosa vi sconvolge tanto, beh  … notizia flash miei cari: la vita è questa!
Il mondo reale, tangibile, vero è questo e non quello fantastico e magico, utopico delle fiabe che i nostri genitori ci leggevano da bambini e se la cosa non corrisponde ai vostri desideri, siete liberissimi di voltarle le spalle e diventare grandi incompresi.
Chissà che non diventiate qualcuno di importante e arriviate alla soluzione di uno dei misteri dell’universo.
E’ inutile e anche un po’ infantile prendersela con un dannato foglio che riporta soltanto la verità nero su bianco, che non fa altro che sbatacchiarla gentilmente sulla faccia altrui.
E’ suo preciso compito, il ruolo che svolge con meticolosa attenzione e precisione da quando è stato creato come strumento di divulgazione alla massa e continuerà a compierlo fino alla fine del mondo e forse anche oltre.
Se vi domandate la causa di queste continue lotte, queste continue tragedie quindi, non guardatevi intorno, ma trovate i colpevoli in voi stessi.
Sembra quasi che gli uomini non si accorgano della loro pazzia, dei lutti e delle sciagure che generano la loro ambizione sfrenata e l’incontenibile bramosia.
A che cosa servono le guerre?Le bombe, le armi, gli eserciti?
La storia non è affatto maestra di vita, ma un avvicendarsi di battaglie sanguinose ed assurde, un macchinoso susseguirsi di avvenimenti inutili da cui non trarre alcun insegnamento né giovamento.
Sfogliando il giornale e incontrando fatti tragici e dolorosi quali deragliamenti di treni o  improvvisi terremoti, il cuore si riempie di commozione e di pena, ci si sente troppo fragili e troppo deboli per poter sostenere il pianto delle madri orbate dei figli, il lamento straziante delle vedove, il dolore attonito di chi, in un istante, si è visto privato dei frutti di un’intera vita di sacrifici e di duro lavoro.
L’affaccendarsi degli uomini è simile a quello di una fila di piccole formiche, che ora si spezza, ora si contorce, per tornare poi nuovamente nella posizione iniziale.
E sta proprio qui il punto.
Di fronte al dolore, bisogna lottare e non lasciarsi andare, strappare con la forza un fresco soffio di speranza e fiducia.
Quando l’uomo si adopera con tutte le sue energie e trova in se stesso la forza di dare nuovamente vita a tutto ciò che la natura ha distrutto, quando lotta al limite delle proprie risorse fisiche e mentali al fine di sgominare malattie e pestilenze, quando si consuma nel tentativo di strappare i più nascosti e reconditi segreti alla natura ostile e gelosa, quando mette a repentaglio la propria esistenza nel tentativo di salvare quella di un suo simile, allora un sentimento di vera e profonda ammirazione discende nel suo animo, lo consola e lo placa, spandendogli sopra il fresco balsamo della speranza, speranza in un giorno in cui la ragione non verrà sempre e solo sopraffatta dall’istinto, speranza in un giorno in cui unione e fratellanza non saranno solo parole vuote e senza significato, speranza in un giorno in cui finalmente l’uomo cesserà di essere ostile all’uomo.

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 


20 marzo 1995
Tokyo, Casa Haruno-Uchiha
Ore 7,35


 

Sakura scese le scale di corsa, allacciandosi malamente il maglioncino rosso alla vita e cercando contemporaneamente di domare la matassa ingarbugliata che si trovava al posto dei capelli.
Sforzi vani quanto inutili dal momento che i ricci sembravano proprio non volerne sapere quella mattina di stare in ordine o di avere un aspetto quantomeno decente.
Agli ultimi due gradini fece un piccolo salto e atterrò agilmente, ma non silenziosamente, davanti a un tavolino posto a poca distanza da una porta in mogano scuro dall’aria massiccia e imponente.
Abbassò la maniglia con entrambe le mani e si fiondò nella stanza a testa alta, ma con lo sguardo puntato dovunque fuorché sull’unica persona presente oltre lei.
Si gettò di malagrazia sulla sedia più vicina, nonché unica disponibile, spostandola rumorosamente. Lo struscio prodotto, pur se minimo in confronto al trambusto provocato poco prima, fece sbuffare la persona seduta di fronte che, indispettita, abbassò il giornale che stava leggendo e la fissò con espressione torva per qualche secondo intimandole il silenzio, prima di tornare a scorrere tranquillamente il suo quotidiano.
Era seccato e leggermente agitato. Lo capì dalla presa nervosa, quasi spasmodica, con cui stringeva le pagine tra le dita candide, rese tanto più chiare se paragonate ai fogli grigiastri e dal contrasto con la felpa blu che indossava.
Era sempre così, ogni singolo e dannato anno.
Il giovane rampollo della nobile e prestigiosa casata Uchiha risentiva del cambio di stagione ed erano ormai noti i notevoli sbalzi d’umore a cui era soggetto con l’avvicinarsi della primavera e del suo compleanno.
Mancavano ormai otto giorni e probabilmente stava varando le varie opzioni, cercando di scegliere la migliore o per lo meno quella che l’avrebbe salvato dal linciaggio di massa.
Ino e Naruto non erano stati molto carini quando l’anno precedente era rincasato a festa inoltrata, senza uno straccio di regalo e completamente ignaro di cosa stesse succedendo o che giorno fosse.
Per fortuna questa volta ci aveva pensato lei.
Ben consapevole che da solo non se ne sarebbe mai ricordato, si era premunita chiedendo ad Ino di avvisarlo per tempo ed aiutarlo nell’ardua scelta della sorpresa. Si prospettava quindi una tranquilla ed intima serata tra amici, anche se ad essere sincera aveva forti dubbi su qualsivoglia situazione che potesse risultare calma e pacifica quando di mezzo c’erano Naruto e la combriccola.
Si riscosse dai suoi pensieri e dopo aver lanciato un rapido sguardo all’orologio, rassicurata dal fatto di avere ancora un po’ di tempo a disposizione, riportò la sua attenzione sul ragazzo.
Sorrise intenerita osservandolo versarsi con gesti meccanici il caffè nella sua tazza rossa preferita, portarselo alle labbra e berlo in un sol sorso.
Aveva il volto completamente coperto, come se volesse nascondersi dal suo sguardo attento e dolciastro, ma riuscì comunque a immaginare le labbra che si piegavano in una smorfia di disgusto appena accennata per il sapore amaro della bevanda o lo sguardo assottigliarsi per una frase o una parola che lo infastidiva.
Aspettò quieta che terminasse la lettura e solo dopo che lui ebbe abbassato quel muro che li separava con esasperante e quasi sadica lentezza, si azzardò ad aprir bocca.
-Qualche novità interessante?-osservò leggera, curvandosi sul tavolo per prendere un croissant vuoto e fumante, appena uscito dal microonde.
Lo spezzò con le dita, attenta a non far cadere neanche una briciola dal piatto, e cominciò a mangiarlo a piccoli morsi.
Nessuna risposta.
Un bicchiere, riempito fino all’orlo di spremuta d’arancia, entrò nel suo campo visivo e fu posato con un gesto di estrema eleganza ed innata grazia, sull’apposito sottobicchiere.
Lo bevve adagio, mentre lui si versava un’altra abbondante tazza di caffè senza zuccheri o dolcificanti di qualsiasi tipo a renderlo meno aspro. Come facesse a berlo così, rimaneva ancora un mistero per lei, ma aveva smesso di porsi quel quesito da  tempo immemore ormai. Non era sua intenzione infastidirlo più del dovuto e se a lui piaceva sorbirsi delle cose a suo avviso indecentemente disgustose, fatti suoi, no?
Per lei era totalmente ovvio che il piacere coincidesse con la dolcezza mentre la sofferenza con l’amarezza. Dall’uno derivava felicità, dall’altro infelicità. Era logico e istintivo a quel punto scegliere la prima, no?
Evidentemente per Sasuke no. Quando anche l’ultima goccia del delizioso liquido arancione fu bevuto, piegò le labbra in un sorriso di apprezzamento. Si spostò i capelli su una spalla e si sporse ancora sul tavolo, servendosi un altro croissant e addentandolo golosa.
«Faresti meglio a contenere la tua fame insaziabile, se non vuoi diventare una balena.»
Odioso grillo parlante che lei amava tanto.
Sbuffò appena, rivolgendogli un’occhiataccia. Poi parve ripensarci e sorrise con un’espressione furba che le illuminò gli occhi verdi da gatto.
«Pensavo di piacerti così, amore.»
Non le sfuggì il lampo che attraversò gli occhi scuri del suo fidanzato, anzi…Se ne avvide e dentro di sé sorrise.
Si allungò voluttuosamente sulla superficie liscia, muovendosi sinuosa e languida come un felino e Sasuke al suo lieve richiamo rispose con prontezza di spirito, piegandosi a sua volta.
A questo punto per farsi perdonare era d’obbligo da parte sua cercare di farle dimenticare il commento sgradevole di poco prima con un bacio o qualcosa del genere.
Mancava così poco, alcuni centimetri, ma quell’idilliaco momento venne interrotto da un fastidioso quanto rumoroso trillare che lei riconobbe come proveniente dal cercapersone.
Sasuke lesse con attenzione il messaggio appena arrivato e una piccola ruga gli si formò sulla fronte, mentre aggrottava le sopracciglia e piegava le labbra in una smorfia indispettita.
Rimise il cellulare in tasca e si alzò, uscendo dalla stanza e salendo le scale.
Sakura sentì le assi di legno del piano superiore scricchiolare.
Tempismo perfetto davvero!Sbuffò leggermente e cominciò a mordicchiare un biscotto al cioccolato.
Ne aveva già mangiati cinque, quando Sasuke ridiscese.
Cappotto scuro, sciarpa al collo e la valigetta di pelle che lei gli aveva regalato qualche mese prima in mano.
Scrutò pensieroso la stanza, scrollò le spalle ed uscì. Non aveva fatto neanche tre passi fuori che tornò indietro. Questa volta la guardò ed un sorriso sghembo si fece largo sul suo viso da seduttore, mentre lei sentiva il cuore batterle all’impazzata.
Si chinò su di lei e le scostò con dolcezza un ricciolo che le copriva gli occhi, piegandoglielo dietro l’orecchio. Occhi negli occhi, accostò il volto a quello rosso di lei e la baciò.
Durò  pochi secondi, ma come al solito, quando lui si spostò, lei aveva il fiato corto.
Sasuke si leccò le labbra e ghignò compiaciuto.
«Zuccherato.» sussurrò prima di voltarle le spalle e andarsene, questa volta davvero.
Non potevano sapere che quella sarebbe stata l’ultima volta che si sarebbero visti.

 

 

 

 

“Vivi ogni giorno della tua vita come se fosse l' ultimo.”
Seneca  


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Quando basso e pesante il cielo grava
Come un coperchio al gemebondo spirito
Preda di lunghe accidie, e a noi, abbracciando
Tutto il cerchio dell'orizzonte, versa
Un buio lume, più triste che notte;
Quando la terra si trasforma in umido
Carcere dove la Speranza, come
Un pipistrello, se ne va sbattendo
Contro i muri la sua timida ala,
Urtando il capo a putridi soffitti;
Quando la pioggia, stendendo le sue
Immense strisce, imita le sbarre
D'una vasta prigione, e un muto popolo
Di ragni infami al fondo del cervello
Viene a tenderci le sue reti, - a un tratto
Campane erompono furiose e lanciano
Verso il cielo uno spaventoso urlo,
Come spiriti erranti e senza patria
Che diano in gemiti, ostinatamente.”

Charles Baudelaire








Ore 07, 58

 

Dopo aver sistemato metodicamente, o meglio gettato di malagrazia, i piatti sporchi e le tazze nella lavastoviglie, aver pulito l’acquaio e il cucinotto, cambiato l’acqua dei fiori in soggiorno e riordinato la sala da pranzo, Sakura si concesse un sospiro.
Guardò distrattamente le stanze appena riordinate e dopo aver constatato senza sorpresa alcuna di essere in ritardo come al solito, si fiondò con agilità su per le scale, lanciandosi con la velocità di un proiettile in camera sua, più precisamente verso l’ampio armadio a muro.
Dal mucchio confuso e caotico di vestiti e maglioni sparsi sul fondo raccattò una sciarpa di seta lilla, indiscutibile regalo di Ino, un paio di guanti coordinati ed un cappellino lavorato all’uncinetto dalla forma discutibile, vagamente associabile e riconducibile ad un grugno di porco, che fece finta di non riconoscere come prodotto delle proprie manine e che inizialmente avrebbe dovuto essere un regalo. Un bel basco granata che mal combaciava con l’immagine trovata in internet che lei si era riproposta di creare illo tempore.
Anche se il nome rimandava chiaramente al sinonimo bomba, si trattava in realtà del colore di un frutto portafortuna, un auspicio di cose belle, un augurio di benessere, del rosso più bello!*
Con l’intenzione di darsi una pettinata si avviò in direzione del bagno, ma l’ennesima occhiata in tralice all’orologio la convinse del tutto che non era una buona idea.
Percorse la rampa di gradini frettolosamente, non curandosi minimamente del frastuono provocato e sempre correndo, si precipitò verso l’ingresso, strappando dall’appendiabiti un cappotto  rosso rattoppato in più punti, dall’aria vissuta e particolarmente variopinta.
Lo indossò di fretta e furia, si infilò le vecchie scarpe da ginnastica, prese la borsa, le chiavi, il cellulare e l’ammasso di protezioni contro il freddo pungente che si era premunita di preparare poco prima nella sua stanza ed uscì, chiudendosi alle spalle la porta di casa con un tonfo.
L’aria era gelida e nonostante fosse fine marzo e la primavera dovesse arrivare di lì a poco, il gelo e il clima uggioso rimanevano ostinati a ferirli con le loro carezze ghiacciate.
A dar prova della cocciutaggine nel voler restare, sebbene fosse per loro tempo di andarsene e cedere il posto al calore primaverile, c’erano le cupe nubi che si accavallavano nel cielo plumbeo e incombevano minacciose sopra le teste dei passanti ed il vento che le sferzava impietoso il viso.
Si ficcò il berretto di lana sui ricci scomposti, cercando di mettere un po’ d’ordine alla sua figura disordinata e si avviò con passo veloce alla metropolitana.
La borsa consunta e sdrucita di pelle le sbatacchiava al fianco e lei prese veloce da una tasca interna l’abbonamento, sventolandolo sotto gli occhi severi di un controllore che squadrava duramente la sua figura vivace e colorata e i capelli di quell’assurda tonalità rosa.
Lo superò e continuando a camminare nella ressa rumorosa, cercò di farsi largo tra la miriade di uomini e donne, impazienti nei loro soprabiti scuri e grigi, che attendevano come lei l’arrivo del treno.
Acuta osservatrice, si accorse subito di come quel giorno ci fosse un’animazione particolare, un che di strano e di insolito, di diverso dalla solita fretta che caratterizzava normalmente la folla.
Aveva già osservato nella piazza dirimpetto alla stazione, invasa dalle bancarelle dei venditori ambulanti, e nelle vie adiacenti gli effetti di quella agitazione tutta nuova e sconosciuta, ma non vi aveva dato il giusto peso, pensando fosse dovuta all’imminente e ormai prossimo
Shunbun no hi, l’Equinozio di primavera e festa nazionale.
Ora invece scrutò curiosa un capannello di persone che stava discutendo animatamente con un gruppo d’interlocutori sotto un portico sul marciapiede.
Urlavano tra di loro cercando di far prevalere la propria voce su quella degli altri e di attirarne l’attenzione agitandosi o sventolando infuriati i giornali e indicando loro la prima pagina.
Tuttavia voltò le spalle alla scena, intravedendo il treno che stava arrivando e sentendone il sibilante fischio.
Così facendo non poté osservare un poliziotto avvicinarsi loro e intimare a tutti di allontanarsi dai binari, perché era già salita insieme ad un ragazzo dal viso coperto e alcuni sacchetti di plastica tra le mani.
Se solo avesse prestato orecchio a ciò che dicevano i passanti forse non sarebbe successo ciò che invece accadde, ma lei non li ascoltò e questo è quanto.
Questo è tutto, un tutto che appare vuoto e stranamente doloroso..
Era un gelido giorno di fine stagione che quell’anno sarebbe durata più a lungo di quanto ci si sarebbe aspettati e avrebbe negato l’accogliente calore del sole, ancora in letargo nel suo letto di neve ghiacciata e rinchiuso nel torpore invernale.
Era il 20 marzo, un giorno che Tokyo non avrebbe mai dimenticato, una mattina come un’altra che di uguale alle altre però non aveva niente e avrebbe aperto gli occhi a molte persone.
I giornali poterono sbrigare i loro compiti anche quella volta e acquietare nuovamente la morbosa curiosità della gente.
Ma non ci fu alcuna soddisfazione negli occhi liquidi degli acquirenti né in quelli degli editori, costretti a riportare e a riconoscere come reale l’incubo che si era attuato sotto gli occhi attoniti di tutti, troppo allibiti e smarriti anche per lasciarsi andare a sfoghi di ira o di paura.
Ancora una volta  la storia non era affatto maestra di vita, ma un avvicendarsi di battaglie sanguinose ed assurde, un macchinoso susseguirsi di avvenimenti inutili da cui non trarre alcun insegnamento né giovamento.
Ancora una volta l’uomo era ostile all’uomo..

L’ultimo rumore che Sakura ascoltò prima di perdere i sensi e cadere nell’oblio fu uno strano strappo, simile allo scoppiare di una busta di plastica.
A poco a poco il chiasso e le voci la stordirono, qualcuno gridò in preda al panico, alcuni caddero a terra tramortiti, altri cominciarono a gemere e a lamentarsi.
Cercò di allontanare la sonnolenza e il formicolio e di alzarsi in piedi per aiutare quelle persone, ma non ci riuscì.
Vide una bambina pigiata in un angolo del vagone piangere e tremare spaventata, tirando la mano di una donna stesa a terra con gli occhi spalancati e puntati verso il soffitto e un’espressione di puro dolore sul volto pallido.
Con la poca forza che le restava le sorrise cercando di rassicurarla, ma tutto ciò che ottenne fu una smorfia, mentre l’insensibilità ai muscoli aumentava e il respiro le si faceva lieve e delicato come quello di un gattino.
Sentì con il procedere lento e inesorabile dei secondi la testa farsi via via più leggera e gli occhi annebbiarsi, mentre il gas inodore e incolore aleggiava invisibile e letale sul tetto, proprio sopra di lei.
Un pensiero distante e polveroso a frullare nei meandri della sua mente offuscata dalle ombre, con il gusto amarognolo della delusione e del rammarico.
Forse quell’anno non sarebbe riuscita ad assistere allo spettacolo dei ciliegi in fiore.
Che peccato..Avrebbe tanto voluto andarci insieme a Sasuke e danzare tra la pioggia di petali...
Cadde nell’incoscienza e le parve quasi di riconoscere, nell’oscurità che l’avvolgeva e a cui si abbandonò stanca, il morbido velluto di un paio d’occhi.
Serena, si arrese al nero buio senza fondo e le sembrò di essere tornata a casa, protetta e al sicuro tra le braccia di chi amava.
Sasuke..  
E chiuse gli occhi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note Autrice:

L’idea per questa storia mi frullava in testa da un po’, ma non ho avuto il tempo materiale di buttarla giù fino ad oggi.
Sono febbricitante e ho la voce rauca, da cornacchia a detta dei carissimi amici, ma sono contenta perché finalmente ho potuto scriverla e credo che sia venuto un bel lavoro, nonostante non mi soddisfi pienamente.
Scrivere questo racconto è stato più difficile del previsto principalmente perché è qualcosa a cui tengo molto per la tematica delicata che affronta e anche perché la vicenda qui presentata è reale.
Fatti e nomi sono puramente casuali, ma l’attentato a Tokyo accadde veramente quattordici anni fa provocando dodici morti e oltre seimila feriti.
Per chiunque volesse informazioni più approfondite al riguardo basta andare qui http://it.wikipedia.org/wiki/Attentato_alla_metropolitana_di_Tokyo.
E’ la seconda SasuSaku che scrivo e credo di essere caduta in OOC, soprattutto nei capitoli successivi, o meglio nell’idea che ho dei prossimi capitoli dato che devo ancora scriverli e sono in fase di elaborazione mentale.
Spero quindi che vi piaccia e che mi diciate cosa ne pensate =)
Non so che altro aggiungere, perciò vi lascio qui.
Al prossimo capitolo!Un bacione a tutti!

  
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