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Autore: Lawliet    22/10/2009    5 recensioni
Sean Lennon, Kellie Parker e Brandon Adams sognano ancora oggi un miracolo fatto di polvere di stelle.
Peter Pan non può morire, perché Peter Pan non cresce.
« Io ho fatto questa stella per ricordarmelo sempre. E' la sua stella. »
« No, non è la sua stella. Lei se n’è andata. Questa non è la sua stella, non è lei. Vorrei tanto che Michael tornasse. »
Naufragano nei ricordi, i bambini di ‘Moonwalker’, e piangono insieme al mondo.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fair youth, beneath the trees, thou canst not leave
thy song, nor ever can those trees be bare.
Bold lover, never, never canst thou kiss,
though winning near the goal - yet do not grieve;
she cannot fade, though thou hast not thy bliss,
for ever wilt thou love, and she be fair!

[ Ode On A Grecian Urn - John Keats ]








Sean Lennon pensa che tu sia tornato alla sua stella.
Kellie Parker sa che non correrà più ad abbracciarti, e non potrà più soffocare le lacrime su quell’orsacchiotto ormai consunto.
Brandon Adams - quel fantastico bambino prodigio - non ballerà più con te, né darà prove di freestyle in quel famoso club anni trenta.

L’happy ending di Moonwalker ha finito per farsi odiare da questi tre adulti, colpevole solo di riflettere il loro attuale desiderio. Darebbero l’anima per farti tornare: Zeke, ancora presente nel cuore di Brandon Adams, ritaglierebbe migliaia di stelle cadenti su un cartoncino dorato, e la Katie che era - ed è tuttora - Kellie Parker regalerebbe volentieri centinaia di orsacchiotti come quello.
Naufragano in questi pensieri e ricordi, i bambini di Moonwalker. Immaginano di compiere queste gesta infantili e si rifugiano in esse, avvertendo uno strano nodo alla gola e stringendo le labbra il più possibile per non far uscire le lacrime che adesso si vergognano di versare.
Tutto ciò per non ammettere la verità, quella crudele realtà con cui non vogliono avere a che fare, e per evitarla si tappano occhi ed orecchie. Lo sanno: da quel vicolo buio non tornerà più nessuno.


Though we’re far apart, you’re always in my heart. You are not alone.


Vorrebbero tanto non esserlo, Michael. Vorrebbero tanto non sentirsi così soli e abbandonati.
Ma tu non ci sei più, e non sanno dove andare. Tu eri la loro Isola Che Non C’è: non puoi negare di esserlo stato, e questo vale per milioni di altre persone, quando per salvare te stesso dal grigiore di una vita che ti ha trattato subito da adulto hai salvato anche tutti loro, regalando al mondo colori e una prospettiva diversa per ogni cosa.

Kellie Parker ha una collezione di orsacchiotti, ora, che per qualche strana ragione si premura di non mostrare mai in pubblico. Quando si sente triste o sola, si rinchiude in quella stanza e pensa a te. Abbraccia il peluche più grande immaginando che sia tu, perché è assolutamente incapace di dimenticarti e soprattutto non riesce a credere che tu non ci sia più per lei.
Ti credeva immortale già fin dai tempi di Moonwalker. Ci credeva con tutta la forza di cui è capace una bambina. Non la consola affatto che erano in tanti a crederti invincibile, talmente invulnerabile che era facile pensare che avresti ingaggiato con la morte una lunga battaglia. Hai ceduto tu, molto prima di quanto si immaginasse e sperasse.

Si sentono tutti un po’ più soli, quaggiù, e un po’ più disillusi.

Nessuno sa cosa provi Sean Lennon, che il giorno della tua scomparsa non ha pronunciato una sola parola.
La sera è rimasto a guardare le stelle fino a che il cielo non si è fatto più chiaro, strimpellando una melodia con la sua chitarra.


An angel came to me, to save my life.


Sperava di poter vedere la stella più luminosa di tutte, il figlio di John, così avrebbe alzato una mano verso di essa per accarezzarla, e dirle a bassa voce che laggiù erano tristi, che la volta celeste non aveva bisogno di altra luce, ma la Terra sì che l’aveva, eccome, e il cielo era stato egoista nel lasciare il loro pianeta un po’ più buio.
Sean era il più grande dei tre, e sicuramente il più famoso. Una madre così disprezzata, un padre così rimpianto: sentiva come suo il compito di proteggere lei e raggiungere lui. Voleva diventare adulto per quelle ragioni, ci si atteggiava quando era bambino ma voleva disperatamente esserlo perché pensava che più sei adulto, più hai potere e libertà.
Chissà se si trova a suo agio, ora, nei suoi panni di adulto. Chissà se si sente adulto, ora, mentre sta piangendo seduto sul davanzale della finestra, aperta sul cielo scuro ricamato di stelle. Chissà se, dietro quella mano che nasconde il suo pianto silenzioso come se fosse una vergogna, i suoi occhi sono rimasti gli stessi del bambino che voleva raggiungere l’irraggiungibile e pensava che l’impossibile fosse possibile.

Dici che è ancora in grado di sognare come tu gliel’hai insegnato, Michael?


Make a better place, for you and for me and the entire human race.


E Brandon Adams? Il piccolo, iperattivo, geniale Brandon?
Ora fa rap, è un concentrato di energia come allora e sempre esplosivo nelle sue reazioni. Sai che aveva piantato una quercia, nel giardino di casa sua? L’ha fatto tanto tempo fa, e ora è grande e imponente quanto lui voleva che fosse, perché diceva che doveva essere uguale a te: grande, forte, immortale, che si piegava ma non si spezzava mai e resisteva a tutte le avversità.
Era così che ti vedeva. Così che ti vedevano tutti.

Quando Brandon vuole sfogare la sua rabbia e la sua tristezza, che gli sembrano raddoppiare e pesare di più ogni giorno, si arrampica su quella quercia. Non vuole che altri lo vedano o lo sentano. Racconta i suoi dolori solo a quell’albero, che pare essere diventato ancora più importante, dopo la tua morte.
Afferra i forti rami con tutte le sue forze, e a vederlo si direbbe che abbia paura che possano svanire da un momento all’altro; si china sul fusto come se volesse essere protetto da tutta quella corteccia, e quando appoggia i palmi delle mani su quella superficie ruvida, chiude gli occhi, stringe i denti e si costringe a non singhiozzare.
Ci prova, il piccolo Brandon, ci tenta davvero. Ma non ce la fa, e finisce con il ripetere il tuo nome a bassa voce contro la corteccia, come un mantra.

Sei diventato una specie di dio, Michael, te ne rendi conto? In quel posto dove sei ora, riesci a vedere cos’è successo al mondo intero?


If you wanna make the world a better place, take a look at yourself, then make a change.


Annie, nel Bronx di New York, il giorno della tua morte è scesa in strada in lacrime con uno stereo. Ha squadrato con aria di sfida tutti quelli che c’erano sul marciapiede in quel momento e ha iniziato a ballare Smooth Criminal. Ballava e piangeva allo stesso tempo, Annie, che in quel momento si sentiva un macigno sul cuore, e l’hanno seguita in tanti.
Poi ci sono state Victoria e Selene, pazze di dolore, che hanno passato intere notti sulle strade ghiacciate della Svezia a scrivere sui muri il tuo nome.
Perfino Joey, un Marine degli Stati Uniti, ha pianto una lacrima per te. Gli era sgorgata dagli occhi una sera che era seduto sulla branda, a pulire diligentemente il fucile. Ha ricordato la sua adolescenza scandita da nient’altro ritmo che il tuo, e ha lasciato trasparire una goccia di tristezza prima di asciugarla velocemente dalla canna del fucile su cui era caduta.
Gloria e Christian, in California, stanno per avere un bambino. Hanno deciso di chiamarlo Michael, e pregheranno che nasca in un mondo migliore, quasi come quello che loro sognavano attraverso le tue canzoni. Sono cresciuti nella disillusione di una società dura, di una città dura, di un quartiere duro, stemperata soltanto da te. Non hai idea di come si siano sentiti, quando hanno acceso il loro piccolo tv color e sono venuti a sapere della tua morte, e di come tutto sembrava più grigio intorno a loro.
E si potrebbe andare avanti all’infinito, con queste piccole o grandi storie: con Marinella che abita in Italia e viveva della tua voce, Diana che una vera patria non ce l’ha e un punto di riferimento ora l’ha perso per sempre, Reila che è giapponese e se vedessi la sua stanza crederesti di essere in un museo dedicato a te, Lyla che ha sempre nelle orecchie l’iPod con i tuoi brani per sopravvivere a ogni giorno della sua piovosa Inghilterra, e un tale Billy Brown che in Libano non si stanca mai di difenderti dalle ancora numerose calunnie, rispettose più nemmeno della morte.

Ti piangono veramente ovunque, Michael, nelle più svariate parti del mondo.


Born to amuse, to inspire, to delight. Here one day, gone one night.


-Non è giusto.- continua a ripetersi Kellie, singhiozzando. E’ la sola cosa che riesce a dire, aggrappata convulsamente a un orsacchiotto come se fosse la sua unica salvezza.


You are not alone, I am here with you.


Brandon, una lacrima che gli scende lenta sul viso, passa il dito sulla corteccia della sua quercia. -E’ contro le regole, non potevi andartene così.


Gonna make a difference, gonna make it right.


-Il tuo ultimo colpo di scena, eh?- E’ un sorriso triste, quello di Sean, come le sue parole, e non riesce a ingannare nessuno: non è molto credibile, un sorriso attraversato da scie di pianto.


Listen to his voice, please, hear his soul. This angel came to me to save me.


Hanno seguito tutti un sogno, fatto di polvere d’oro rubata alla tua stella. Il loro mondo era con te, era con te che vivevano. Cantavi, e creavi un universo intero dove poter giocare con le nuvole, e nessuno sapeva dov’era, ma c’era, perché una volta che finivi di cantare ti sorridevano, e nella loro felicità vedevi riflesso quel mondo.
Neverland. Che bella, quella terra che non c’era. In pochi hanno capito che in realtà non era quella grande casa da miliardario, ma più semplicemente un mondo che avevi dipinto tu e che chi ti amava aveva abitato.
Ma non tutti potevano entrarvi. Non tutti avevano la chiave, perché la chiave eri tu, e ora Neverland è chiusa per sempre.

-“Io ho fatto questa stella per ricordarmelo sempre. E’ la sua stella”.- sussurra Kellie, ricordandosi della battuta che era stata di Brandon.

Sta per addormentarsi in mezzo agli orsacchiotti che tanto ama. E’ vestita come una donna d’affari, con un tailleur blu marino, ma in volto le è apparso il dolce sorriso di quand’era bambina. Sorrideva in quel modo quando si sentiva protetta e al sicuro.

Kellie Parker scivola in un sonno profondo, e in mano stringe una piccola, stropicciata stella cadente.






























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Ok. La one-shot su Michael Jackson è arrivata. E' strana, perché non l'ho pubblicata né subito dopo la sua morte, né dopo This Is It. Non so, mi dà una strana impressione che non riesco a definire O__ò"
Comunque, visto che questa dovrebbe essere una Signora Fanfic (E parlo naturalmente del soggetto, non dello stile, per carità :D), facciamo i dovuti ringraziamenti - o in questo caso credits - a queste personcine che mi hanno ispirata:

. ad Alessandro Baricco
. ai Sonata Arctica
. ai Casualties
. ai Green Day
. a Fabrizio De André
. ai GazettE
. agli Oasis
. a Mika
. a James Matthew Barrie
. ovviamente ai bambini di Moonwalker

E un grazie anticipato e sentitissimo a chi commenterà uwu xD
  
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