.It was many years ago when you stole my cool ~
“Riiin, Riiin!”
I suoi occhi
fissano il vuoto e il vuoto è nei suoi occhi.
“Rin, Rin!”
Apre la bocca. Cerca d’urlare, ma le parole non escono, non
ce la fanno nemmeno loro.
Quindi rimane lì, con la bocca pateticamente aperta, a
guardare il sangue tingere il terreno.
E le urla,
non le sue, appestano l’aria di interminabili suppliche.
“Scappa, scappa!” lo urlano, la implorano, e lei lo
fa, lei ubbidisce: perché
è una brava bambina, e le brave bambine rispettano le parole
dei genitori.
Sua madre la
guarda scappare sorridendo sangue dagli angoli della bocca.
Lacrime trasparenti le solcano il volto, dando un senso a
quell’urlo che non uscirà mai.
Mentre le gambe la portano lontano, un unico grido rimbomba nel
villaggio e poi c’è il silenzio e il silenzio
pesa, dopo tutte quelle urla, pesa
Vuole tornare indietro, vuole vederli e capire che è stato
tutto un brutto sogno, vuole svegliarsi da quel incubo così
vero, lei vuole … lei vuole … lei vuole solo
urlare.
E c’è da
chiedersi, c’è da chiedersi come riescano occhi
tanto vuoti a versare lacrimetanto piene.
La voce gracchiante la fa sobbalzare. Il colore pare ritornare in
quegli occhi, che solo pochi minuti prima erano ritornati vuoti, proprio
come quella
volta.
La bambina sorride, mostrando i denti che le mancano e inclinando il
capo da cui pende, con orgoglio, un piccolo codino.
Il demone rospo, autore di quel così tanto gracchiante urlo,
borbotta incomprensibili parole continuando ad attizzare il fuoco.
Di nuovo assente, la bambina osservava il
fuoco. Le lunghe fiamme dai colori cangianti, sfidano la notte e la
brezza della sera. Imponenti e forti fanno bella mostra di loro, in
netto contrasto col mondo che al loro fianco viene ingoiato,
lentamente, da un buio senza scampo.
Bruciano, illuminando
la notte ma rubando l’ossigeno.
E la
bambina, dai corti e scarmigliati capelli neri, non può far
altro che osservarlo, quel fuoco, beandosi della sua forte presenza,
ranicchiandosi nel suo calore che sa di famiglia, che le ricorda la sua
famiglia e che al tempo stesso non lo è.
La sua famiglia è morta, è stata uccisa, e lei
non ha più pianto da allora perché
è una bambina forte e le bambine forti non piangono. Glielo
ripeteva spesso sua madre, mentre era intenta a cucinare accanto al fuoco.
Devi essere forte, le diceva, e forte lo era diventata … Giusto?
Gli
altri, come un sol uomo, annuirono infervorati. Tra gli occhi
indifferenti di quella folla che credeva fosse sua amica, la bambina si
sentì persa, rivolse sguardi speranzosi, parlò
con gli occhi perché la bocca si rifiutava di emettere fiati.
Le donne la guardavano, forse impietosite o forse meno indifferenti,
“Mi dispiace” disse qualcuno, ma anche quel
qualcuno se ne andò lasciandola col vuoto negli occhi e la
solitudine nel cuore.
“Lei
è sopravissuta, dovrebbe esserne grata”
Spalancava gli
occhi, quella bambina cresciuta troppo in fretta, incredula.
Li guardava ad occhi aperti, faticando a capire, si chiedeva la ragione
di quelle parole e muti interrogativi aleggiavano nei suoi occhi non
più così caldi ma spenti, come il fuoco di quella casa rasa
al suolo che nessuno accudiva
più.
Come poteva, si chiese attonita, come poteva essere felice di
essere l’unicasopravissuta
in una famiglia di cadaveri?
Qual’era la giusta
gioia da
provare quando il mondo accanto a te crolla su se stesso ma tu continui, pateticamente,
ad esistere?
Che senso c’era a sopravvivere, vincendo sulla morte, se non
poteva vincere il suo dolore e la tristezza e la solitudine e quel vuoto che
aveva dentro … che senso c’era?
Cercò risposte, non avendo la forza di parlare,
cercò aiuto ma trovò solo porte chiuse e facce
così maledettamente indifferenti!
Iniziò a rubare, per vivere, per mangiare, per colpa
dell’istinto di sopravvivenza, perché doveva vivere
anche se loro erano morti, doveva vivere anche se non
sapevaperché.
Ingrata ,la chiamavano,
e con sguardi ora ostili la bruciavano.
“Dovrebbe
smetterla con tutti quei capricci!” gli uomini del villaggio
le lanciavano parole velenose “Perché non parla?
È solo uno stupido capriccio!”
Tutti la giudicavano,
nessuno capiva, nessuno chiedeva.
Nessuno sapeva che la
voce era scomparsa quel giorno, con quell’urlo silenzioso
rigato di palpabili lacrime.
La picchiavano
perché era cattiva, era una bambina ingrata e rubava il cibo
al villaggio.
Era cattiva.
Di nuovo sobbalzò, emettendo un piccolo fiato e si
stupì ancora, come ogni volta che sentiva la sua voce.
Silenziosa, come rarissime volte era stata, divelse dal terreno il
bastoncino di legno a cui era conficcato il pesce. L’aveva
pescato poche ore prima, ridendo ogni volta che Jaken cadeva
nell’acqua o inciampava tra le rocce sporgenti del ruscello.
Addentò
cauta il primo morso e il sapore del pesce, effettivamente
bruciacchiato, le invase i sensi.
La brezza della sera si intensificò e Rin si
appoggiò più strettamente al caldo ventre di
Ah-Un, ma il calore dell’animale non le impedì di
sentire freddo, di nuovo.
Si lasciò scivolare senza badare alle chiacchiere senza fine
di Jaken, mentre anche il fuoco tremava scosso dal vento.
Il villaggio non la voleva e si era resa conto, d’un tratto,
di non averlo mai voluto nemmeno lei.
Gli umani … gli umani le facevano paura, erano cattivi.
Erano tutti cattivi come gli uomini che avevano ucciso la sua famiglia,
erano tutti uguali, tutti ugualmente
cattivi e ben presto si ritrovò a fuggire dalle altre
persone.
Fu con questi pensieri che lo vide per la prima volta, era ferito,
sembrava addormentato. Possibile
che anche lui fosse morto?
La paura le salì rapida come i battiti del suo cuore ma,
avvicinandosi, vide il suo torace alzarsi ed abbassarsi lentamente, non
era morto quindi. A riprova di ciò il ragazzo
aprì gli occhi e la guardò appena, poi li
richiuse.
Era bello, con quei tratti così perfetti, ed era strano con
quei suoi lunghi capelli argentati e quegli occhi così
dorati che sembravano, però, perennemente congelati.
E Rin, Rin si ritrovò a sorridere, e non ebbe paura nemmeno
una volta di quell’essere che di umano non aveva nulla, non
lo temeva e non sapeva il perché.
Giorno dopo giorno ritornava in quel luogo, alle volte lui nemmeno la
guardava, ma la bambina portava sempre con sé del
cibo.
Cercava di capire cosa volesse, sembrava che non amasse nulla!
“ Io non mangio il cibo degli umani” le disse in un
soffio, dopo che la bambina era arrivata portando con sé il
pesce che aveva tanto faticato a rubare. Fu un attimo, il demone guardò
la bambina e la bambina contraccambiò. Il demone vide le
ferite sul suo volto infantile, vide
il suo sorriso luminoso a tratti sdentato; e chissà,
chissà cosa vide la bambina.
Distolse lo sguardo ma ormai era
accaduto.
“Jaken, quando ritorna Sesshoumaru-
Sama?”
Il demone rospo per poco non si strozzò col pesce.
“ E io come diavolo faccio a sapere quando
ritornerà il padrone?! “ dichiarò
risentito il demone dopo essere stato ignorato per così
tanto tempo, “Il padrone ha sempre tantissime cose da fare
… “ continuò poi, con un luccichio
fanatico negli occhi. “ E una volta ho aiutato il padrone!
È stato tanto tempo fa, è vero, ma mi
è ancora grato! Allora io ero …”
La voce carica di ammirazione ed adorazione di Jaken
continuò il suo sproloquio solitario incurante del fatto che
l’unica, possibile spettatrice delle sue mirabolanti gesta
non lo stava ascoltando.
Ricordò
invece la prima volta che l’aveva visto, non era affatto
cambiato, si ricordò delle prime volte in cui avevano
mangiato insieme quando Sesshoumaru non c’era, il
ché accadeva spesso.
Lei mangiava poco, giusto quel minimo, e alle volte non aveva neppure
fame, fissava assorta un punto davanti a sé mentre mormorii
ed echi passati le tornavano alla memoria.
In uno di quei giorni il demone rospo l’aveva ripresa
aspramente. “Rin!” aveva esclamato, “Devi
mangiare, altrimenti Padron Sesshoumaru se la prenderà con
me!”. Il demone rospo si era improvvisamente guardato
intorno, spaventato all’idea che il suo adorato padrone fosse
già di ritorno e l’avesse sentito.
La bambina lo guardò spalancando gli occhi, il demone rospo
continuò. “Noi demoni rospo non siamo mai stati
particolarmente forti, ma siamo sempre sopravvissuti!” si
batté una mano al petto orgoglioso. “ Nel mio clan
si dice che il massimo successo è sopravvivere, la morte
è la fine, la morte scredita … quindi devi
mangiare, Rin!”
La bambina
rise di gusto osservando il demone, impacciato e un po’
imbarazzato, allontanarsi bofonchiando di un chissà quale
importantissimo impegno.
Sorrise a lungo, mangiando con più convinzione e sottovoce
mormorò ‘grazie’ destinato a un Jaken
alle prese con un recalcitrante Ah- Un.
Ora sapeva
perché era importante sopravvivere, sapeva con certezza che
c’erano cose nella sua vita che non avrebbe mai voluto
abbandonare e la buffa
quotidianità col
demone rospo era tra queste.
E così
accadde, non era previsto. Era stato un caso anche la sua presenza in
quel luogo, se non fosse stato ferito, se non avesse scelto proprio
quel posto per fermarsi non l’avrebbe mai incontrata ma il
caso, o il fato, ebbe una squisita intuizione.
Fissandosi negli occhi,
entrambi capirono, il demone fece finta di nulla ma quando fu il
momento la salvò, e la bambina lo seguì, felice
per la prima volta dopo tanto tempo.
Due esseri
così diversi, entrambi l’opposto del vicino,
iniziarono a convivere e il demone non la cacciò mai.
Cercò di convincerla , a modo suo, a vivere con gli umani,
ma la bambina scosse il capo e il codino sbatacchiò allegro.
Erano così
diversi e forse fu proprio grazie a questa diversità che i
piccoli gesti del quotidiano assumevano tinte così
straordinarie, già il fatto di esistere insieme era straordinario.
“RIN!”
la voce del demone rospo gracchiò di nuovo nel silenzio.
“Si può sapere che ti prende? È
inaccettabile che mi ignori così! Sei proprio una seccatura,
non solo hai fatto pescare me ma..”
Gli strepiti infastiditi del demone furono interrotti dal
provvidenziale arrivo di un pugno.
Gli occhi della bambina si illuminarono di gioia “Padron
Sesshoumaru!” esclamò subito, aprendosi in uno dei
suoi luminosi sorrisi.
“Padronee!” la voce di Jaken, che si stava
massaggiando il nuovo livido, era carica della solita ammirazione.
“Meno male che siete tornato! Non riuscivo più a
stare con questa insopportabile bambina.”
Tra le lamentele senza fine di un Jaken sempre più
logorroico, il demone guardò la bambina che
ricambiò il suo sguardo. Gli occhi dorati e sottili del
demone si erano attardati una manciata di secondi più del
necessario per poter spacciare lo sguardo come dovuto al caso.
Distolse lo
sguardo ma ormai era già successo.
E
la bambina sorrise felice, mentre il demone fissava le stelle assorto,
era contenta di quella vita, di quelle scene ripetute così
spesso da poter essere definite quotidiane e a tratti ordinarie, ma non
c’era nulla di ordinario in quei piccoli istanti di
quotidianità, non quando erano loro ad essere
così straordinari nel loro stare ordinariamente
insieme, come un gruppo, come
una famiglia.
E fu
così, fu così che accade.
Il demone osservò la bambina e lei fece altrettanto.
Un bisogno accomunava due esseri tanto diversi: il bisogno di trovare
qualcuno, qualcuno che fosse presente, che condividesse appieno
ciò che a
parole non sapevano pronunciare.
La bambina
aveva bisogno di qualcuno che la guardasse senza disprezzo, il demone
di qualcuno che lo guardasse senza paura.
Ognuno
ottenne la realizzazione del proprio bisogno e qualcosa di
straordinario nella sua semplicità si instaurò
tra loro. Un sentimento che di semplice ha tutto e forse nulla ma che
viene condiviso ovunque, un sentimento straordinario per chiunque ma
che per loro assumeva connotati ancora più utopici.
Così diversi, eppure
così simili, nel loro disperato bisogno di trovare qualcuno.
Rin,
d’un tratto, riuscì a capire quale dovesse essere
la giusta
gioia che
doveva provare per essere sopravvissuta, e come a suo tempo le avevano
detto quelle persone fu grata,
fu grata di essere sopravvissuta perché come diceva Jaken
era questo l’essenziale,
morire non era tra le sue possibilità, la morte screditava il
ricordo della sua famiglia morta nel tentativo di salvarla.
Rise, quando padron Sesshoumaru fece tacere il demone rospo con un
calcio ben assestato dopo le insistenti domande di
quest’ultimo.
E si sentì leggera o semplicemente felice. Felice
di essere sopravvissuta e di aver avuto la possibilità di
vivere quei momenti di straordinaria
quotidianità.
Fu così che la
bambina che si sentiva sola curò il demone ferito, o forse
fu il demone che si sentiva solo a curare la bambina ferita?
…
Note della Red______
Questa
doveva essere una fanfiction per un contest, più
precisamente il 'Survivor contest' indetto dal panda Fan fiction,
purtroppo è stato annullato per penuria di concorrenti. XD
La fanfiction è rimasta e quindi ve la appioppo! *evil laugh*
Perdonatemi.