Anime & Manga > Inuyasha
Ricorda la storia  |      
Autore: Red S i n n e r    23/10/2009    6 recensioni
[...]
Erano così diversi e forse fu proprio grazie a questa diversità che i piccoli gesti del quotidiano assumevano tinte così straordinarie, già il fatto di esistere insieme era straordinario.
Così diversi, eppure così simili, nel loro disperato bisogno di trovare qualcuno.
Fu così che la bambina che si sentiva sola curò il demone ferito, o forse fu il demone che si sentiva solo a curare la bambina ferita?
[...]
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rin, Sesshoumaru
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
~  P l e a s e d    t o    h a v e   s u r v i v e d.

.It  was many years ago when you  stole  my  cool  ~

 

“Riiin, Riiin!”

I suoi occhi fissano il vuoto e il vuoto è nei suoi occhi.
“Rin, Rin!”
Apre la bocca. Cerca d’urlare, ma le parole non escono, non ce la fanno nemmeno loro.
Quindi rimane lì, con la bocca pateticamente aperta, a guardare il sangue tingere il terreno.

E le urla, non le sue, appestano l’aria di interminabili suppliche. “Scappa, scappa!” lo urlano, la implorano, e lei lo fa, lei ubbidisce: perché è una brava bambina, e le brave bambine rispettano le parole dei genitori.

Sua madre la guarda scappare sorridendo sangue dagli angoli della bocca.
Lacrime trasparenti le solcano il volto, dando un senso a quell’urlo che non uscirà mai.
Mentre le gambe la portano lontano, un unico grido rimbomba nel villaggio e poi c’è il silenzio e il silenzio pesa, dopo tutte quelle urla, pesa
Vuole tornare indietro, vuole vederli e capire che è stato tutto un brutto sogno, vuole svegliarsi da quel incubo così vero, lei vuole … lei vuole … lei vuole  solo urlare. 

E c’è da chiedersi, c’è da chiedersi come riescano occhi tanto vuoti a versare lacrimetanto piene.

 “RIN! Mi ascolti sì o no?”
La voce gracchiante la fa sobbalzare. Il colore pare ritornare in quegli occhi, che solo pochi minuti prima erano ritornati vuoti, proprio come  quella volta.
La bambina sorride, mostrando i denti che le mancano e inclinando il capo da cui pende, con orgoglio, un piccolo codino.
Il demone rospo, autore di quel così tanto gracchiante urlo, borbotta incomprensibili parole continuando ad attizzare il fuoco.
Di nuovo assente, la bambina osservava il fuoco. Le lunghe fiamme dai colori cangianti, sfidano la notte e la brezza della sera. Imponenti e forti fanno bella mostra di loro, in netto contrasto col mondo che al loro fianco viene ingoiato, lentamente, da un buio senza scampo.

Bruciano, illuminando la notte ma rubando l’ossigeno.

E la bambina, dai corti e scarmigliati capelli neri, non può far altro che osservarlo, quel fuoco, beandosi della sua forte presenza, ranicchiandosi nel suo calore che sa di famiglia, che le ricorda la sua famiglia e che al tempo stesso non lo è.
La sua famiglia è morta, è stata uccisa, e lei non ha più pianto da allora perché è una bambina forte e le bambine forti non piangono. Glielo ripeteva spesso sua madre, mentre era intenta a cucinare accanto al fuoco. Devi essere forte, le diceva, e forte lo era diventata   Giusto?

 “ Dovrebbe essere contenta” decretò infastidito un uomo del villaggio. “ Lei è sopravissuta, dovrebbe esserne grata.”

Gli altri, come un sol uomo, annuirono infervorati. Tra gli occhi indifferenti di quella folla che credeva fosse sua amica, la bambina si sentì persa, rivolse sguardi speranzosi, parlò con gli occhi perché la bocca si rifiutava di emettere fiati.
Le donne la guardavano, forse impietosite o forse meno indifferenti, “Mi dispiace” disse qualcuno, ma anche quel qualcuno se ne andò lasciandola col vuoto negli occhi e la solitudine nel cuore.

“Lei è sopravissuta, dovrebbe esserne grata”
Spalancava gli occhi, quella bambina cresciuta troppo in fretta, incredula.
Li guardava ad occhi aperti, faticando a capire, si chiedeva la ragione di quelle parole e muti interrogativi aleggiavano nei suoi occhi  non più così caldi ma spenti, come il fuoco di quella casa rasa al suolo che nessuno accudiva più.
Come poteva, si chiese attonita, come poteva essere felice di essere l’unicasopravissuta in una famiglia di cadaveri?
Qual’era la giusta gioia da provare quando il mondo accanto a te crolla su se stesso ma tu continui, pateticamente, ad esistere?
Che senso c’era a sopravvivere, vincendo sulla morte, se non poteva vincere il suo dolore e la tristezza e la solitudine e quel vuoto che aveva dentro … che senso c’era?
Cercò risposte, non avendo la forza di parlare, cercò aiuto ma trovò solo porte chiuse e facce così maledettamente indifferenti!
Iniziò a rubare, per vivere, per mangiare, per colpa dell’istinto di sopravvivenza, perché doveva vivere anche se loro erano morti, doveva vivere anche se non sapevaperché. 

Ingrata ,la chiamavano, e con sguardi ora ostili la bruciavano.
“Dovrebbe smetterla con tutti quei capricci!” gli uomini del villaggio le lanciavano parole velenose “Perché non parla? È solo uno stupido capriccio!”
Tutti la giudicavano, nessuno capiva, nessuno chiedeva.
Nessuno sapeva che la voce era scomparsa quel giorno, con quell’urlo silenzioso rigato di palpabili lacrime.
La picchiavano perché era cattiva, era una bambina ingrata e rubava il cibo al villaggio.

Era cattiva.

 “RIN! Ma che accidenti hai? Il tuo pesce si sta carbonizzando, non te ne sei accorta?”
Di nuovo sobbalzò, emettendo un piccolo fiato e si stupì ancora, come ogni volta che sentiva la sua voce.
Silenziosa, come rarissime volte era stata, divelse dal terreno il bastoncino di legno a cui era conficcato il pesce. L’aveva pescato poche ore prima, ridendo ogni volta che Jaken cadeva nell’acqua o inciampava tra le rocce sporgenti del ruscello.

Addentò cauta il primo morso e il sapore del pesce, effettivamente bruciacchiato, le invase i sensi.
La brezza della sera si intensificò e Rin si appoggiò più strettamente al caldo ventre di Ah-Un, ma il calore dell’animale non le impedì di sentire freddo, di nuovo.
Si lasciò scivolare senza badare alle chiacchiere senza fine di Jaken, mentre anche il fuoco tremava scosso dal vento.

 
Il villaggio non la voleva e si era resa conto, d’un tratto, di non averlo mai voluto nemmeno lei.
Gli umani … gli umani le facevano paura, erano cattivi. Erano tutti cattivi come gli uomini che avevano ucciso la sua famiglia, erano tutti uguali, tutti  ugualmente cattivi e ben presto si ritrovò a fuggire dalle altre persone.
Fu con questi pensieri che lo vide per la prima volta, era ferito, sembrava addormentato.  Possibile che anche lui fosse morto?
La paura le salì rapida come i battiti del suo cuore ma, avvicinandosi, vide il suo torace alzarsi ed abbassarsi lentamente, non era morto quindi. A riprova di ciò il ragazzo aprì gli occhi e la guardò appena, poi li richiuse.
Era bello, con quei tratti così perfetti, ed era strano con quei suoi lunghi capelli argentati e quegli occhi così dorati che sembravano, però, perennemente congelati.
E Rin, Rin si ritrovò a sorridere, e non ebbe paura nemmeno una volta di quell’essere che di umano non aveva nulla, non lo temeva e non sapeva il perché.
Giorno dopo giorno ritornava in quel luogo, alle volte lui nemmeno la guardava, ma la bambina portava sempre con sé del cibo. 
Cercava di capire cosa volesse, sembrava che non amasse nulla!
“ Io non mangio il cibo degli umani” le disse in un soffio, dopo che la bambina era arrivata portando con sé il pesce che aveva tanto faticato a rubare. Fu un attimo, il demone  guardò la bambina e la bambina contraccambiò. Il demone vide le ferite sul suo volto infantile,  vide il suo sorriso luminoso a tratti sdentato; e chissà, chissà cosa vide la bambina.

Distolse lo sguardo ma ormai era accaduto.

 
“Jaken, quando ritorna Sesshoumaru- Sama?”
Il demone rospo per poco non si strozzò col pesce. “ E io come diavolo faccio a sapere quando ritornerà il padrone?! “ dichiarò risentito il demone dopo essere stato ignorato per così tanto tempo, “Il padrone ha sempre tantissime cose da fare … “ continuò poi, con un luccichio fanatico negli occhi. “ E una volta ho aiutato il padrone! È stato tanto tempo fa, è vero, ma mi è ancora grato! Allora io ero …”
La voce carica di ammirazione ed adorazione di Jaken continuò il suo sproloquio solitario incurante del fatto che l’unica, possibile spettatrice delle sue mirabolanti gesta non lo stava ascoltando.

Ricordò invece la prima volta che l’aveva visto, non era affatto cambiato, si ricordò delle prime volte in cui avevano mangiato insieme quando Sesshoumaru non c’era, il ché accadeva spesso.
Lei mangiava poco, giusto quel minimo, e alle volte non aveva neppure fame, fissava assorta un punto davanti a sé mentre mormorii ed echi passati le tornavano alla memoria.
In uno di quei giorni il demone rospo l’aveva ripresa aspramente. “Rin!” aveva esclamato, “Devi mangiare, altrimenti Padron Sesshoumaru se la prenderà con me!”. Il demone rospo si era improvvisamente guardato intorno, spaventato all’idea che il suo adorato padrone fosse già di ritorno e l’avesse sentito.
La bambina lo guardò spalancando gli occhi, il demone rospo continuò. “Noi demoni rospo non siamo mai stati particolarmente forti, ma siamo sempre sopravvissuti!” si batté una mano al petto orgoglioso. “ Nel mio clan si dice che il massimo successo è sopravvivere, la morte è la fine, la morte scredita … quindi devi mangiare, Rin!”

La bambina rise di gusto osservando il demone, impacciato e un po’ imbarazzato, allontanarsi bofonchiando di un chissà quale importantissimo impegno.
Sorrise a lungo, mangiando con più convinzione e sottovoce mormorò ‘grazie’ destinato a un Jaken alle prese con un recalcitrante Ah- Un.

Ora sapeva perché era importante sopravvivere, sapeva con certezza che c’erano cose nella sua vita che non avrebbe mai voluto abbandonare e la buffa quotidianità col demone rospo era tra queste.  

 
E così accadde, non era previsto. Era stato un caso anche la sua presenza in quel luogo, se non fosse stato ferito, se non avesse scelto proprio quel posto per fermarsi non l’avrebbe mai incontrata ma il caso, o il fato, ebbe una squisita intuizione.
Fissandosi negli occhi, entrambi capirono, il demone fece finta di nulla ma quando fu il momento la salvò, e la bambina lo seguì, felice per la prima volta dopo tanto tempo.
Due esseri così diversi, entrambi l’opposto del vicino, iniziarono a convivere e il demone non la cacciò mai. Cercò di convincerla , a modo suo, a vivere con gli umani, ma la bambina scosse il capo e il codino sbatacchiò allegro.
Erano così diversi e forse fu proprio grazie a questa diversità che i piccoli gesti del quotidiano assumevano tinte così straordinarie, già il fatto di esistere insieme era straordinario.

 

“RIN!” la voce del demone rospo gracchiò di nuovo nel silenzio. “Si può sapere che ti prende? È inaccettabile che mi ignori così! Sei proprio una seccatura, non solo hai fatto pescare me ma..”
Gli strepiti infastiditi del demone furono interrotti dal provvidenziale arrivo di un pugno.
Gli occhi della bambina si illuminarono di gioia “Padron Sesshoumaru!” esclamò subito, aprendosi in uno dei suoi luminosi sorrisi.
“Padronee!” la voce di Jaken, che si stava massaggiando il nuovo livido, era carica della solita ammirazione. “Meno male che siete tornato! Non riuscivo più a stare con questa insopportabile bambina.” 
Tra le lamentele senza fine di un Jaken sempre più logorroico, il demone guardò la bambina che ricambiò il suo sguardo. Gli occhi dorati e sottili del demone si erano attardati una manciata di secondi più del necessario per poter spacciare lo sguardo come dovuto al caso.

Distolse lo sguardo ma ormai era già successo.
E la bambina sorrise felice, mentre il demone fissava le stelle assorto, era contenta di quella vita, di quelle scene ripetute così spesso da poter essere definite quotidiane e a tratti ordinarie, ma non c’era nulla di ordinario in quei piccoli istanti di quotidianità, non quando erano loro ad essere così straordinari nel loro stare ordinariamente insieme, come un gruppo, come una famiglia.

 

E fu così, fu così che accade.
Il demone osservò la bambina e lei fece altrettanto.
Un bisogno accomunava due esseri tanto diversi: il bisogno di trovare qualcuno, qualcuno che fosse presente, che condividesse appieno ciò che  a parole non sapevano pronunciare.

La bambina aveva bisogno di qualcuno che la guardasse senza disprezzo, il demone di qualcuno che lo guardasse senza paura.

Ognuno ottenne la realizzazione del proprio bisogno e qualcosa di straordinario nella sua semplicità si instaurò tra loro. Un sentimento che di semplice ha tutto e forse nulla ma che viene condiviso ovunque, un sentimento straordinario per chiunque ma che per loro assumeva connotati ancora più utopici.
Così diversi, eppure così simili, nel loro disperato bisogno di trovare qualcuno.

 

Rin, d’un tratto, riuscì a capire quale dovesse essere la giusta gioia che doveva provare per essere sopravvissuta, e come a suo tempo le avevano detto quelle persone fu grata, fu grata di essere sopravvissuta perché come diceva Jaken era questo l’essenziale, morire non era tra le sue possibilità, la morte screditava il ricordo della sua famiglia morta nel tentativo di salvarla.
Rise, quando padron Sesshoumaru fece tacere il demone rospo con un calcio ben assestato dopo le insistenti domande di quest’ultimo.
E si sentì leggera o semplicemente felice. Felice di essere sopravvissuta e di aver avuto la possibilità di vivere quei momenti di straordinaria quotidianità.

 

Fu così che la bambina che si sentiva sola curò il demone ferito, o forse fu il demone che si sentiva solo a curare la bambina ferita?

 

Note della Red______

Questa doveva essere una fanfiction per un contest, più precisamente il 'Survivor contest' indetto dal panda Fan fiction, purtroppo è stato annullato per penuria di concorrenti. XD
La fanfiction è rimasta e quindi ve la appioppo! *evil laugh*
Perdonatemi.  

Red. 

 

 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: Red S i n n e r