-Fai
piano. Sta
dormendo.
Bianca dormiva da ore, ormai, quando Camilla non aveva
trovato altre commissioni da fare e si era rassegnata a tornare a
casa. Il problema era che Camilla non sapeva che la sua presenza
avrebbe potuto costituire serio motivo di disturbo per Bianca. Lei
pensava di poterla aiutare, e invece l'avrebbe soltanto
ferita.
Tuttavia, non poteva saltarsene fuori “ah, scusa, Cami,
mi ero dimenticato, è da quando ho la sua classe che
continua a
ripetermi che è innamorata di me e che cerca ogni sistema
possibile
per portarmi a letto”. Avrebbe decretato la fine della sua
esistenza felice. Tra le due, decise di sacrificare Bianca;
dopotutto, dati gli ultimi eventi, era improbabile che si mettesse a
pensare al suo fantomatico amore per lui, no?
Si ripeteva questo,
ma in realtà la guardava con ansia crescente.
-Me la immaginavo
proprio così – mormorò Camilla, come se
stesse osservando un
animale raro allo zoo dietro la sicurezza del vetro infrangibile
–
è... è invadente. Esteticamente, intendo.
Guardarla è come
prendersi uno schiaffo in faccia.
-E non la immagini quando parla
– mormorò Emanuele di rimando. Silenziosamente, si
avviarono verso
la loro camera.
-Che facciamo? - riprese Camilla – Dovrà
tornare a casa, prima o poi. I suoi sanno che è qui?
-No, non lo
sanno. Credo che non sappiano assolutamente nulla di quello che fa
questa ragazza.
-Forse è un bene. L'ammazzerebbero. Sai, è
così
strano averla qui.
-Sì. È strano che ci sia un'altra persona in
casa.
-Sì, ma proprio lei. Per me è
una leggenda che
prende vita.
-Capisco cosa intendi.
Bianca si svegliò un'ora
più tardi, in un momento in cui Camilla era in cucina a
preparare da
mangiare ed Emanuele stava leggendo distrattamente il giornale seduto
al tavolo. Se la ritrovarono sull'uscio della porta, con aria
frastornata, che li guardava tutti e due con una mano tra i capelli
cotonati.
-Scusate – mormorò – mi sono
addormentata. Forse è
meglio se torno a casa.
-Ti accompagno – Emanuele si alzò
immediatamente.
-No, no. Mi porti solo fino alla stazione, poi a
Padova prendo l'autobus.
-Be', ti posso accompagnare anche a
piedi, non è lontana. Ti prendo il cappotto.
-Grazie.
Cercò
di sbrigarsi, perché non era molto tranquillo a lasciare
quelle due
da sole. Fu così veloce che, quando tornò,
Camilla stava ancora
girando le melanzane sulla piastra e Bianca stava sbadigliando con
vigore.
-Andiamo?
Bianca annuì e Camilla si voltò verso di
loro, facendo un cenno di saluto. Le sorrise e sospinse delicatamente
Bianca, che si stava vestendo, finalmente fuori dalla porta di casa
sua.
Camminarono in silenzio per un po', mentre il respiro si
condensava.
-Ma di notte dormi? - le chiese ad un tratto,
curioso.
-Non molto – rispose lei – sono occupata in
giro.
-Ah. Be', certo. Hai preso la pillola?
-Eh...?
-La
pillola anticoncezionale. Quella volta l'hai presa di pomeriggio. Non
l'hai dimenticata?
-Ah. La pillola. Sono nella settimana di
sospensione.
-D'accordo, allora.
Rimasero in silenzio fino alla
stazione. Una volta arrivati, Emanuele comprò un pacchetto
di Fruit
Joy; gliene offrì una, ma lei rifiutò.
-Questo è il binario. Ti
faccio il biglietto alla macchinetta.
-Grazie.
Si allontanò,
fece stampare un biglietto regionale, glielo porse. Il treno era
già
arrivato.
-Ti conviene andare dentro, qui fuori fa freddo.
-Sì,
vado, vado.
Lo disse con un tono tale che si sentì in colpa. Ma
non disse nulla.
Bianca salì sul treno, lo salutò con la mano,
lo ringraziò e poi si allontanò senza voltarsi.
Non l'aveva
mai vista così inespressiva. Ma dovette farci l'abitudine,
perché,
da quel giorno, Bianca cambiò completamente.
In classe non apriva
bocca, né con i compagni né con gli insegnanti.
Essendo stati
informati della situazione da Emanuele, i suoi colleghi decisero di
lasciarla per ultima in tutti i giri d'interrogazione, nella speranza
che si riprendesse. Ma Bianca non dava cenni di ripresa.
-Sembra
quasi mutismo selettivo – osservò un giorno
Mariolina – ma la
realtà è che parla con chiunque, solo che lo fa
quando non può
fare altrimenti.
-Possibile che una cosa simile l'abbia segnata
così tanto? - intervenne Sonia, nervosa
perché non riusciva
a venirne a capo – Voglio dire, certo, è grave. Ma
al punto di non
parlare più e non muoversi dal suo banco per sei ore?
-E la
preside? - domandò Emanuele – Ancora si rifiuta di
dare
spiegazioni? Ma sa qualcosa, alla fine?
-Non ne ho idea –
mormorò Mariolina – non ne ho proprio idea. Da un
lato, se sa
qualcosa e non ce lo dice, significa che non è nulla di
grave.
Dall'altro, se in realtà non sa nulla, perché
continua a
comportarsi come se sapesse?
Bianca non tornò da lui in aula
ricevimento. E lui non avrebbe saputo come avvicinarsi a lei per
parlarle; era sempre inespressiva o cupa, sembrava che non volesse
nessuno attorno, che tutto le fosse diventato un peso. Nelle prove
scritte era sempre la prima della classe, ma Emanuele temeva che non
avrebbe aperto bocca in caso d'interrogazione.
Un giorno, dopo due
settimane di quella situazione, Emanuele entrò in terza A
durante la
ricreazione.
La trovò lì, muta e immobile, a fissare i suoi
compagni sotto di lei. Aveva l'espressione di chi aveva vissuto
cent'anni.
-Bianca? - la chiamò.
Lei si voltò verso di lui.
Nel suo sguardo, capì finalmente Emanuele, c'era odio.
Malsopportazione. Era lo sguardo di chi ce l'aveva col mondo per
qualche cosa e non ne poteva più di viverci in mezzo. Quello
sguardo, anche se proveniva da una bambina di sedici anni,
riuscì a
intimidirlo.
Ma se lei se ne fosse accorta ne avrebbe
approfittato, e così fece finta di nulla.
-Posso sedermi qui con
te?
-Prego.
Si sistemò sul banco davanti al suo. Avevano poco
tempo, per cui decise di non girarci attorno.
-Che cos'hai, da un
po' di tempo a questa parte?
-Scusi?
-Ma sì. Non parli con
nessuno, non esci nemmeno dalla classe... non mangi...
Non
blateri più che mi ami follemente, avrebbe voluto
aggiungere.
-Non lo so – rispose lei, inaspettatamente – mi
sento così. Forse ci avevo investito troppe energie... in
troppe
cose, e ora... sono tutte fallite. Va sempre così. Ma
è normale,
per me andrà sempre così. Basta abituarcisi.
-Non è detto che
andrà sempre così – protestò
Emanuele – andrà meglio,
sicuramente. Le cose non possono sempre andar male.
-Non ho
detto questo, infatti.
-E allora cos'hai detto?
-Ho detto che
io mi butterò a capofitto in milioni di progetti, ancora
molte
volte, prima di stancarmi. E poi succederà questo, di nuovo.
Ogni
volta.
-Succederà che cosa? Che non vadano in porto?
-Già. E
che io stia così. I miei non mi lasciano più
stare a
casa.
-Perché?
-Perché mio padre dice che sono solo viziata e
stupida, e che se mi vede a casa mi prende a calci in culo.
-No,
intendevo, perché dovresti stare a casa?
-Perché qui non ci
riesco a stare. Tra poco credo che non avrò nemmeno
più voglia di
parlarle.
-Ti do fastidio?
-No, no. È solo che... - scosse la
testa, come se lui non avesse potuto capire – beh, lasciamo
perdere.
-E se a me non andasse, di lasciar perdere?
Le
sorrise. Lei, stupita, lo guardò.
-Prof – incominciò, atona –
lei mi ha fatto capire molto chiaramente quali siano i suoi
sentimenti, se di sentimenti si può parlare, nei miei
confronti. Io
non voglio la sua pietà. Non voglio un assistente sociale.
Non
voglio nemmeno un amico, e, anche se lo volessi, di sicuro non lo
cercherei in lei. Le ho esplicitato in diverse occasioni che cosa io
desidero dalla sua parte, e lei, in tutte quelle occasioni, mi ha
ripetuto che non era possibile; il sunto di tutto ciò
è che per
quanto mi riguarda lei può tranquillamente lasciar perdere.
Io sto
bene così. Si dimentichi di me. Pensi a Camilla e al lavoro
e al
cane e a tutte le cose che la fanno sentire bene, e non perda tempo
con una sedicenne problematica che non le procura altro se non brutti
pensieri. Davvero, non la biasimerò. Farei la stessa cosa
anch'io,
al suo posto.
Emanuele si sentì enormemente dispiaciuto.
-E
chi si occuperà di te, allora? - le chiese.
-Senta... - sembrava
esasperata – come le ho già fatto presente, non ho
bisogno di
assistenti sociali. Non sono un cagnolino abbandonato in autostrada,
e lei deve scendere una volta per tutte dal cavallo bianco.
-Non
volevo darti quest'impressione...
-Ne abbiamo già discusso, delle
sue 'impressioni'. Ma vuole sapere qual è la mia, di impressione?
Ha presente La Piccola Principessa, dove l'indiano
dell'abbaino di fronte vede che è sola, povera e triste, e
le
riempie la camera di belle cose e poi la adotta come se fosse figlia
sua? Ecco; la mia impressione è che lei
voglia fare questo.
Bene: se lo scordi. Si scordi di poter fare il salvatore, si scordi
di potermi aiutare in qualche modo. Lei non ne è in grado.
Se mi
ricambiasse, forse cambierebbe qualcosa, ma così non
è, e quindi,
se non può fare questo, grazie lo stesso, ma si faccia gli
affari
suoi.
-Bianca, smettila di essere così maleducata –
insorse
Emanuele. Iniziava a stancarsi di quei modi.
-Ah sì? - fece lei,
con sfida – E perché? Lei sarebbe gentile con una
che la rifiuta e
poi pretende anche di essere la sua crocerossina?
-Ma rifiutare
cosa?! Bianca, hai sedici anni, sei ancora troppo
piccola per
parlare di rifiuto.
-Oh, ma dai – sbottò lei – beh, meno
male
c'è lei, dall'alto della sua saggezza, che mi spiega
cos'è l'amore.
La prego, io mi fermo qui; lo faccia anche lei, prima di costringermi
a dire cattiverie.
-Non costringere me a dirle –
replicò
a denti stretti Emanuele – e ti assicuro che ne avrei, nella
mia
cartucciera.
-Allora, onde evitare di dire cattiverie da entrambe
le parti, mi faccia l'enorme favore di alzarsi e lasciarmi stare.
Lo
guardò con odio. Lui restituì lo sguardo.
-Vedi di rivolgerti
con più educazione ai tuoi insegnanti.
Lei ghignò con sarcasmo.
-È a questo che siamo arrivati? Lei che mi fa la predica sui
miei modi? E magari se non sto zitta mi mette una nota? Ma lei non
voleva essere quello diverso, l'amicone di tutti?
-PIANTALA
– gridò, battendo una mano sul suo banco.
Lei lo fissò
imperturbabile.
Perché doveva ricordargli ogni volta quanto fosse
piccolo, stupido e fallito?
-La smetto se lei mi lascia stare. E
adesso per favore, va bene così?, per favore, mi lasci stare.
Lei
si girò di scatto e quell'enorme massa di capelli rossi le
coprì
interamente il viso.
Ma una goccia si schiantò sul banco con un
rumore quasi impercettibile, ed Emanuele si sentì
sprofondare. C'era
davanti a lui una ragazzina di sedici anni che gli raccontava di
essere stanca della vita, e lui le urlava contro perché gli
aveva
fatto notare che la trattava con condiscendenza.
Non avrebbe
voluto fare l'insegnante severo. Non avrebbe nemmeno voluto porsi
come un insegnante. Meno ancora, avrebbe mai voluto ferirla.
Ma
questo era ciò che alla fine aveva fatto.
E se l'era presa con
lei, solo perché non era stato in grado di corrispondere
alle sue
stesse aspettative su se stesso.
-Mi dispiace – mormorò – ho
sbagliato.
-No – la voce rotta di Bianca emerse flebile dalla
massa di capelli.
-Non volevo gridare. È solo che...
Come
poteva spiegarglielo?
-Lo so. Lo so, cazzo. È solo che...
-Lo
so.
Emanuele allungò una mano verso il suo banco. Soltanto una
mano, non si mosse da dov'era. Allungò una mano e la pose
sopra
quella piccola e fredda di Bianca. Con il pollice ne
accarezzò
lievemente il dorso e le goccioline trasparenti continuarono a cadere
sul banco, con un rumore quasi impercettibile.
*
-In
bianco. In
bianco, ti dico! Non mi è di sicuro simpatica, ma
è sempre stata la
mia alunna migliore.
Il vecchio Leandro era attonito. Scuoteva la
testa di fronte al foglio protocollo vuoto. Non l'aveva nemmeno
firmato.
-E cos'ha fatto tutto il tempo? - si stupì Sara.
-Ha
guardato fuori dalla finestra. Quando le ho chiesto perché
consegnasse in bianco, è tornata al suo posto in silenzio.
Cosa
volete che le dicessi?
-È successo anche a me – intervenne
Rossella – non credo proprio che non fosse capace di svolgere
il
compito. Nemmeno una riga?
-In effetti, in classe non muove un
dito – constatò Sara – da un lato,
è meglio, perché finalmente
si fa lezione in pace. Dall'altro, ho una studentessa che non parla,
non scrive, non interagisce. È come se non ci fosse.
-Credo che
dovremo aspettarcelo tutti, d'ora in avanti –
ragionò Emanuele –
non so, è come se si stesse... spegnendo.
-Sono preoccupata –
asserì Sonia, con forza – sono veramente in
pensiero.
-Non
riesco a capire – Mariolina si massaggiò la tempia
– che cos'ha?
Possibile che sia depressione?
-Ma così, da un momento all'altro?
Cosa può esserle capitato di così grave? -
protestò Sonia.
-Ricordati la faccenda del padre – le ricordò
Emanuele.
-Sì,
ma arrivare a
questi livelli?
-In effetti, però, un po' di tempo fa l'avevo già
vista così. Prima di quella lunga assenza. Un giorno. Poi
è tornata
ed era come prima. In realtà, quel giorno il suo umore
sembrava
piuttosto soggetto a sbalzi.
-E se fingesse...? - suggerì
Mariolina – Se tutta quella vivacità fosse solo
una maschera che
nasconde la tristezza? Se quella che vediamo adesso fosse la vera
Bianca...?
Tutti la guardarono, nessuno parlò. Velocemente il
discorso cambiò e virò sul lavoro, sugli
studenti, sulle
riunioni.
Questo dava l'idea che Mariolina avesse centrato il
bersaglio, e che nessuno di loro sapesse come affrontare questa nuova
verità.
Passò un'altra settimana e Bianca non cambiò
atteggiamento. Si avvicinavano le vacanze di Natale e gli studenti
stavano affrontando l'ultima sessione di verifiche; Bianca
riportò
una serie di 'inclassificabili'. Tentarono di farle capire che una
buona interrogazione avrebbe cancellato gli inspiegabili risultati
delle prove scritte, ma lei si rifiutava di parlare. A volte rimaneva
seduta al suo banco anche dopo l'orario scolastico.
Un giorno
Emanuele, che si era attardato per parlarle dopo l'ultima ora,
assistette ad una scena curiosa.
-Bianca – la chiamò
Cappelletto, mentre gli altri preparavano gli zaini e si avviavano
verso l'uscita – ehi, Bianca. Mi caghi?
Ma lei non si girava
nemmeno. Il ragazzo s'intestardì e si posizionò
sul banco davanti a
lei.
-E adesso? Mi dai retta?
Nulla. Bianca non intendeva
parlargli.
-Senti, dai, adesso basta fare la muta. Lo sai cosa
dicono tutti? Che vuoi sempre attirare l'attenzione. Lo sapevi?
Se lo sapesse o
meno, Cappelletto non ne ebbe mai la conferma. Lei taceva e nemmeno
lo guardava in faccia.
-Non fare la figa misteriosa. Non sei figa
e non sei misteriosa. Soprattutto non sei misteriosa, dato che te
l'hanno vista tutti.
Emanuele sarebbe intervenuto, se non fosse
stato così curioso di vedere il prosieguo di quella strana
conversazione univoca.
-Ma perché non mi parli? Ti ho fatto
qualcosa, io? Vabè, alla fine è vero che l'hai
data a tutti, non ha
senso che ti offendi. E poi, se mi avessi parlato prima non te
l'avrei detto.
Lei si voltò nella sua direzione, ma tenne lo
sguardo fisso sul banco.
-Cos'hai? Sei triste? Perché non parli?
Guarda che puoi dirmelo. Magari ci facciamo un giro. Ci divertiamo. E
poi ti passa.
Bianca aprì impercettibilmente la bocca, ma subito
la richiuse e deglutì. Gli occhi le si fecero lucidi.
Cappelletto
sembrò agitarsi.
-Cos'hai? È perché ti ho detto... ma dai, a me
sei simpatica lo stesso. Non importa! Dai, non fare... oh, porco ***.
Daaai! Bianca!
-Ma tu chi sei...? - mormorò lei, tanto piano che
Emanuele faticò per sentirla, nonostante l'aula semivuota.
-Come,
chi sono? Sono Cappelletto, sono. Detto Cappellotto. Non volevi
vederlo, il mio cappellotto?
-Ma chi sei? - insistette lei, tra le
lacrime. Lo disse con una vocina tanto indifesa che perfino
Cappelletto rimase spiazzato un momento, prima di riprendersi e dare
un'interpretazione.
-In che senso...? Vuoi dire... chi sono io per
chiederti di uscire? Beh, allora vaffanculo, Ferreri, io lo dicevo
per te. Cosa vuoi che me ne freghi di uscire con una
troia.
-Cappelletto – intervenne finalmente
Emanuele, con
voce ferma – fammi un piacere. Vai a casa e lascia stare
Bianca.
-Ma prof, questa qua è una stronza.
-Cappelletto, ci
arrivi o no? Bianca non sta bene. Lodevole l'intenzione di portarla
fuori, ma se lei non vuole ci sono modi migliori di reagire. Abbi un
contegno.
Cappelletto borbottò qualcosa, ma alla fine
mormorò
delle scuse in direzione di Bianca e raccolse lo zaino per poi
andarsene.
Emanuele si avvicinò a Bianca piangente. Stavolta le
si sedette accanto. Le posò una mano sulla spalla, poi,
vedendo che
non accennava a smettere, la circondò col braccio e la
strinse
vicino a sé.
-Cos'hai? - le chiese dolcemente.
-Non lo so –
singhiozzò – voglio andare a casa. Voglio stare a
letto. Non
voglio venire qui!
-Stare a letto a fare cosa?
-Voglio solo
dormire in pace.
In effetti, era accaduto diverse volte che si
addormentasse in classe, a volte per ore intere.
-Ma Bianca, dormi
continuamente. Non ti basta dormire la notte?
-Voglio stare in
pace – ripeté, tirando su col naso –
voglio andare a letto. Mi
porti a casa, per favore.
-Ma i tuoi vogliono che tu vada a casa.
Se ti trovano a casa a dormire, si arrabbiano.
-Ma io voglio
andare via – pianse lei, disperatamente, ed Emanuele non
seppe più
che pesci pigliare.
-Se ti porto a fare un giro, sei contenta?
-No
– si lamentò, asciugandosi le lacrime dalle guance
– mi porti a
casa. Per favore. Voglio andare a letto. Qui ho freddo.
-Beh,
potresti vestirti un po' di più, per esempio.
-Non posso –
bisbigliò, sfregandosi gli occhi e sbavando trucco nero
dappertutto.
-Che cos'hai, Bianca? - tagliò corto Emanuele –
Come posso aiutarti?
-Voglio andare a letto – piagnucolò, e poi
si nascose il viso tra le mani.
-Rimani pure a casa, stavolta.
Dubito le importi. Non so cosa fare, la porto da noi.
-Ma certo.
Le preparo il letto in mansarda.
Osservò Bianca al suo fianco che
dormiva, appoggiata alla sua spalla. Aveva dovuto sorreggerla in
autobus, andando verso la stazione. In treno si era addormentata
profondamente, mentre Emanuele sfogliava Fatherland senza
davvero riuscire a concentrarsi.
Quando arrivarono alla loro
fermata, faticò a svegliarla. Si alzò
svogliatamente e ci misero un
tempo lunghissimo ad arrivare fino a casa. Lì, Camilla li
accolse
cercando di nascondere la sua preoccupazione.
-Ho preparato un po'
di the caldo, se ne volete una tazza – esordì,
guardando prima
lui, poi Bianca, poi lui, poi Bianca.
-Io sì, grazie. Bianca?
Vuoi?
-No, grazie – mormorò lei, intimidita. Non
guardò
nemmeno in faccia Camilla.
-Ti abbiamo preparato il letto in
mansarda, se vuoi dormire. Vuoi che ti porti di sopra?
-Sì,
grazie – fece lei con sollievo.
-Dammi pure il cappotto. Ecco
qua – la aiutò a sfilarlo, lo appese
all'attaccapanni in entrata –
su, andiamo. Ti mostro anche dov'è il bagno.
Si avviarono su per
le scale, tappezzate di foto dalla loro adolescenza in poi. Bianca
non ne guardò neanche una. Continuò a fissare le
scale per due
rampe, finché non furono arrivati.
-Prego. Vuoi un pigiama, un
qualcosa?
-No – mormorò lei – grazie. Tolgo solo i
vestiti.
-Come vuoi. Il bagno l'hai visto. Se hai bisogno di
qualunque cosa, hai fame, sete, qualunque cosa, chiamaci pure. Solo,
avverti i tuoi genitori che non torni, ok?
-Ok – fu la flebile
risposta, poi lei iniziò a levarsi il maglione. Emanuele
uscì dalla
stanza e socchiuse la porta.
Giù in cucina l'aspettava una
Camilla sbalordita.
-Ma questa è la Bianca iperattiva che non sta
mai zitta? - esordì – Cioè,
è sempre lei... vestita a quel modo,
con quei capelli... ma... cosa le hanno fatto? Sembra un morto che
cammina. Hai visto com'è magra?
-Ci credo, non mangia mai. Non so
se a casa le diano da mangiare, ma io non l'ho mai vista comprarsi un
panino o portarsi un pacchetto di crackers.
-Ma cos'ha? È
depressa?
-Non lo so... non lo so davvero. Conosci i criteri
diagnostici?
-Non alla lettera, ma so che dormire così tanto è
un campanello d'allarme. Il fatto che non parli e non abbia voglia di
fare nulla, poi, avvalla questa teoria.
-Non credo – Emanuele
scosse la testa – la depressione, per quanto ne so, ha un
decorso
piuttosto lungo. Bianca è così da poche
settimane. Diventa così di
punto in bianco, ma di solito è allegra. Non credo sia
depressa.
Mariolina, però, suggeriva che la sua allegria sia solo una
maschera... che voglia nascondere la tristezza che in realtà
prova.
-Ma allora, perché non lo fa anche ora?
-Perché forse
non ce la fa più? Non lo so. Voglio dire, non è
successo tutto
consequenzialmente. Un momento è così, un momento
è colà...
-Forse
è solo adolescente, e vivendo in una famiglia problematica
il
risultato è questo.
Camilla, dopo quest'ultima considerazione che
lo lasciò senza ulteriori alternative, si alzò e
versò il the
bollente nelle tazze. Camilla amava il the; avevano una mensola
interamente occupata da vasetti di the in foglie, dei gusti
più
disparati. Quello di adesso era al finocchio e liquirizia. Si
mischiavano i gusti come in un cocktail, pensò Emanuele.
-Intendi
parlarci? - riprese Camilla all'improvviso. Emanuele diede un piccolo
sorso prudente.
-Non è che si possa parlarci molto. Mi fa
impazzire, mi ricorda che... che fallisco nel mio intento, nel mio
lavoro. E mi chiedo sempre se mi sento un fallito per colpa sua, che
fa di tutto per farmici sentire, o per colpa mia, perché non
riesco
ad essere ciò che vorrei. Ma alla fine sono codardo e
preferisco
sempre dare la colpa a lei.
Si rabbuiò. Camilla gli prese una
mano, come lui aveva fatto prima con Bianca a scuola.
-Non
accusarti così duramente. Lei ti mette alla prova, ti porta
al
limite... diciamocelo: non è una ragazzina normale.
È ovvio che ti
confonda.
Ma non era quello. Non era solo quello.
Lui aveva
tradito Camilla; ed era colpa di Bianca, che l'aveva provocato, o
colpa sua, che non aveva saputo trattenersi? E ancora: aveva
aggredito una ragazzina di sedici anni con evidenti problemi. Era
colpa di quella ragazzina, che dava fuori di matto al punto che non
la si poteva controllare, o era colpa sua, che non sapeva controllare
se stesso e per estensione neanche quella ragazzina?
Certo, lei lo
spingeva, ma perché lui non riusciva ad opporre resistenza?
Era una
colpa, o una debolezza? Era lei troppo forte, o lui troppo
fragile?
-Il punto è che non riesco ad aiutarla. Nonostante ce la
metta tutta... nonostante le offra il mio aiuto... lei rimane
lì,
con le sue lacrime e i suoi silenzi e le sue scopate. E io mi sento
inutile.
-Non dovresti basare la tua autostima su di lei.
Ricordati che ha sedici anni, è soggetta a sbalzi ormonali e
umorali, e per di più è evidente che la
situazione a casa non le fa
affatto bene. È emotiva, difficile, contorta... chi potrebbe
aiutarla? Per di più, mi sembra che lei non voglia essere
aiutata.
Mi sembra voglia che la lasciate sola.
-E solo perché lei lo
vuole, io dovrei acconsentire? Questo non è 'gettare la
spugna'? Non
posso fare una cosa del genere. Che uomo sarei, Camilla? Che
insegnante è uno che non dà tutto se stesso per i
suoi
studenti?
-Un buon insegnante, direi – replicò lei
tranquilla.
- Ascolta. Non devi fartene carico. Tu sei il loro insegnante, non
loro fratello. Se continui a prenderti responsabilità per
loro, è
chiaro che starai male, perché ti dai delle colpe che non
hai.
Primo: non sta a te occuparti della loro stabilità emotiva.
Secondo,
posto che tu voglia farlo, non hai alcuna colpa se non riesci a
rimettere a posto ciò che si è rotto. Non sta a
te, e in certi casi
non è possibile. Questo è uno di quei casi.
-Oggi mi ha detto di
scendere dal cavallo bianco – mormorò, passandosi
una mano sulla
fronte – capisci? È lei a sapere, a dirigere. Io
sono il sedicenne
e lei è la trentenne disillusa.
-Ehi, ehi – Camilla gli prese
il viso tra le mani – resetta tutti questi pensieri. Ti sta
facendo
del male, te ne rendi conto? Ti sta portando nel posto dov'è
lei.
-Un giorno me l'ha detto – mormorò ancora
– me l'ha
detto, che non voleva portarmi nel posto dov'era lei. È solo
che...
-... che vuoi sapere dov'è quel posto.
-Già.
Nonostante tutto, voglio ancora saperlo. E provare ad andarci, per
vedere se posso portarla via di lì.
Camilla sorrise
amaramente.
-E a me sta il compito di aspettare qui, guardandoti
deprimere ogni giorno di più per lei?
-No – Emanuele si
risvegliò – no. Non voglio... no. Assolutamente.
Abbiamo costruito
così tanto assieme; non voglio rovinarmi la vita per lei.
-Lo sai
che non puoi seguirla senza farti del male, vero?
Abbassò la
fronte. Sospirò.
-Lo so – rispose.
Continuarono a
sorseggiare i loro the bollenti, senza sentirne il sapore
perché ad
ogni sorso si scottavano la punta della lingua.
Si accorse di
Bianca quando andò al primo piano per prendere un libro
dallo
scaffale. Sentì dei singhiozzi sommessi provenire dal piano
superiore; percorse le scale fino alla mansarda e la trovò
che
piangeva infagottata sotto la trapunta.
-Cosa succede? - Si
precipitò accanto a lei. - Ehi. Perché piangi?
Piccoli
singhiozzi continuarono a scandire i secondi. Le accarezzò i
capelli
secchi e sfibrati.
-Bianca? - sussurrò – Perché piangi?
Dimmelo. Vediamo se si può rimediare.
-Noo – replicò lei,
girata dall'altra parte.
-Ma forse sì. Sono un po' più grande di
te per un motivo, no? E magari conosco un metodo che tu non
conosci.
Non ci fu risposta, solo altri singhiozzi. Le tirò
dolcemente una ciocca rossa.
-Avanti, dimmelo. Intanto dimmelo,
così almeno capisco.
Ci fu un po' d'esitazione, ma alla fine
riuscì a captare la parvenza di un discorso.
-P... perché...
io... lei ha Camilla... la casa... io... uh... e ogni volta... e
penso di farcela, e invece... e non posso dormire a casa... e lei
non... io volevo... ma lei non... - scoppiò a piangere di
nuovo.
-Camilla e la mia casa? Ti fanno stare male?
Lei annuì
con foga, stringendosi nelle coperte.
-Beh, ma sapevi fin
dall'inizio che ho una fidanzata e una casa. Non immaginavi che le
avresti viste, venendo qui?
-Sì, ma...
-E quanto a 'farcela',
farcela a fare cosa? Non mi sembra che tu avessi una missione da
compiere, o no? E anche se l'avessi, che importa se non ce la fai?
Sai quanta gente non ce la fa a fare cose semplicissime, eppure va
avanti lo stesso? Capita a tutti ogni giorno: provarci e non
riuscire. E allora che fai, ti inchiodi lì piangendo? Lascia
perdere
e prosegui, no?
-Uh...
-E quanto a dormire, be', puoi dormire
un po' ovunque, deve essere proprio a casa?
-Ma non...
-E
quanto a me che non ti ricambio: quanto scommettiamo che passa? Mi
dai retta che forse io ci sono passato prima di te?
-Non è
quello...
-No, lo so che non è quello. Non è questo a
ferirti
così tanto. È qualcos'altro al quale io non ho
accesso. Giusto?
Lei
annuì ancora.
-Pensi che si possa risolvere, questo
qualcosa?
Silenzio.
-Ehi? Pensi che possiamo farcela?
-Non
so – si limitò a mormorare lei, e poi si strinse
ancora di più
tra le coperte.
Continuò a piangere piano, ed Emanuele non seppe
cosa fare.
-Vuoi che rimanga? - chiese, titubante.
-Non serve –
bisbigliò lei – passerà. Non cambia
anche se lei rimane. Vada
tranquillo.
-Stai tranquilla – mormorò, dirigendosi verso al
porta. A quelle parole lei singhiozzò forte, e poi si
avvolse la
trapunta addosso quasi avesse voluto soffocarci dentro.
Emanuele
si sedette fuori dalla porta, e dopo un po' Camilla lo raggiunse. La
ascoltarono piangere per un'ora, assorti nel silenzio, tenendosi
forte per mano. Poi si allontanarono, e, quando tornarono un paio
d'ore dopo, lei stava ancora piangendo.
Nessuno dei due lo disse,
ma sapevano che non aveva mai smesso.
Si parlarono solo quando
arrivarono in cucina, quasi dovessero proteggersi dalla presenza di
Bianca.
-Sono preoccupata – mormorò Camilla, fissando il
tavolo
– non va bene. Non so cos'abbia, ma ha bisogno di aiuto.
-Non so
cosa dirti. Vago nel buio. Sembra che abbia perso ogni
speranza.
-Capisco perché non riesci a lasciarla
perdere.
-Sì?
-Ti stringe il cuore. Ed è difficile non amare
il personaggio drammatico, vero? Non ci riesco neanch'io, nonostante
odi il modo in cui ti coinvolge e ti fa soffrire.
-Non possiamo
dare la colpa a una sedicenne in queste condizioni.
-Ma allora è
sempre colpa di noi adulti? - insorse Camilla –
Possibile che
dobbiamo lasciare che ci facciano impazzire, senza poter puntare il
dito contro nessuno?
-Ora mi capisci.
-Sì – mormorò
Camilla, abbassando gli occhi – ora ti capisco.
Quando gli
parve che avesse finito di piangere, Emanuele le disse di vestirsi,
ché l'avrebbe riportata a casa. Lei obbedì
silenziosamente, e,
sempre silenziosamente, salì in macchina. A Camilla aveva
dedicato
un debole “arrivederci, scusi il disturbo”, a cui
lei aveva
risposto con un sorriso.
Durante il viaggio tacque, non dormì, ma
non disse nulla; notò però che continuavano a
scenderle lacrime
dagli occhi, anche se non singhiozzava e il suo volto rimaneva
inespressivo. Sembrava impotente di fronte a qualcosa più
grande di
lei.
La guardò strascicare i piedi verso casa; aprì
svogliatamente il portone e scomparve dietro il vetro a specchio.
L'aveva salutato debolmente, come se fosse esausta e non aspettasse
altro che di riposarsi un po'.
La settimana seguente, quella
prima delle vacanze, fu difficilissima per tutti. Bianca piangeva
durante le lezioni, non parlava, si addormentava. Alla proposta di
convocare i genitori Emanuele reagì opponendosi fermamente,
ricordando l'episodio della violenza.
-Ma non possono non essere
informati della figlia che piange in continuazione –
protestò
Sonia – non è possibile che continuino a far finta
di niente di
fronte a un problema di questa portata.
-L'opinione del padre è
che lei sia una stupida viziata che fa scene –
sospirò Emanuele –
probabilmente sanno che succede, ma la mandano a scuola comunque.
-E
allora è nostro dovere informarli che non è il
caso!
-Sonia, non
possiamo fare molto – intervenne Mariolina – se i
genitori non
vogliono, non li possiamo di certo costringere.
-Ma saranno
costretti almeno a pensarci, se interveniamo noi.
-Adesso
ci sono le vacanze di Natale – tentò di mediare
Antonella –
magari quando tornerà starà meglio. A sedici anni
tutto il nostro
mondo può cambiare da un momento all'altro, per motivi che
magari a
noi appaiono futili. Ma a loro, chissà...
Annuirono tutti con
partecipazione. La partecipazione non esprimeva tanto l'accordo,
quanto il desiderio che Antonella avesse ragione. Che fosse l'età.
Che fosse, se non gestibile, quantomeno passeggero.
Le vacanze
arrivarono senza più occasioni per parlare con Bianca, ed Emanuele si chiese
che Natale avrebbe passato.
Quanto a lui, passò delle vacanze
da sogno: finalmente libero dai pensieri, riuscì a godersi
Camilla,
i suoi genitori e i suoi amici. Passò il Natale tra parenti,
con i
pro e i contro di tali ricorrenze, e finalmente passò
giornate
intere con la sua fidanzata tra il centro città, le case in
montagna
degli amici e la sua casa, dove finalmente poterono fare l'amore
senza il pensiero della sveglia alle sei e mezza il giorno dopo.
I
bagordi di Capodanno si svolsero nella baita di un amico a Vigo di
Cadore, all'insegna del buon vino e della buona compagnia.
Finalmente, dopo tanto tempo, Emanuele poté godersi un po'
di
spensieratezza, lontano da Bianca, dai compiti e dagli spostamenti in
treno. Non gli sembrava vero di passare del tempo con adulti, adulti
che gli piacevano, per di più. Non che si trovasse male con
i suoi
colleghi, ma i colleghi non si potevano scegliere, mentre gli amici
sì: passò dei giorni sereni discutendo di libri
letti, film visti,
prossime mostre, raccontando aneddoti sui suoi studenti senza
però
mai menzionare quella a cui era più legato, quella su cui
avrebbe
potuto raccontare aneddoti infiniti. Lo doveva a Camilla.
Passò con
lei giornate tanto belle che pensò che probabilmente gli era
stata
grata per non averla inserita nelle loro vacanze di Natale.
Eppure,
pensò molto a Bianca in quei giorni. Pensò a lei
che piangeva, al
padre che la picchiava, alla madre che la puniva. Si chiese se per
lei ci fossero state tavolate allegre con parenti idioti. Si chiese
se si fosse divertita a Capodanno, se l'avesse passato con amici,
oppure con gente interessata soltanto a ubriacarla e portarla a
letto. Il giorno dell'Epifania non poté fare a meno di
pensare a
lei, di pensare che avrebbe voluto portarle qualche torroncino e i
marshmallows.
Sapeva che anche Camilla pensava a lei, ma il loro
tacito accordo di non farla entrare in quei giorni felici rimase
solido fino al sette gennaio, giorno in cui entrambi ritornarono al
lavoro.
La notte del sei gennaio rimasero svegli a lungo, la dolce
chiusura di venti dolcissime giornate.
(Nda:
salve ^-^!
Stavolta ci ho messo un po' di più, vero ^^? Pardon, pardon
u_u.
CTA gli altri personaggi sono così
orribili che mi
commenti solo Camilla XD?
Piaciuque: lieta che tu abbia
gradito ;D spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto ^^
Yuki:
no, non sbagli XD c'è ancora tanta carne da mettere al
fuoco. Grazie
mille dei complimenti ^_^.
Dance of Death: oddio ma mi hai
recensito i due capitoli *_* *commozione* grazie ;.;! Mi fa piacere
di essere riuscita a rendere esattamente ciò che mi ero
riproposta e
che i personaggi siano almeno un po' coinvolgenti. Grazie dei
dolcissimi commenti ^_^!
Pnin: addirittura da attraverso
l'Atlantico, azz che invidia ._. spero che questo capitolo sia
riuscito a renderti un po' più simpatico Emanuele, dato che
ne
rappresenta sostanzialmente il dramma rispetto a Bia :) comunque
dalle scene Cami-Bia non aspettarti delle catfight, non vedremo mai
donne che si strappano i capelli nel fango per Ema XD questa proprio
mettetevela via XD!
Grazie a tutti per i vostri commenti, fav e
letture :*! Buon weekend ^___^!)