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Autore: The Corpse Bride    24/10/2009    5 recensioni
-Bianca, per favore, smettila con questa storia. Non cederò mai. Devo ripetertelo? Sono il tuo professore; non sarò mai il tuo amante.
La ragazzina sbuffò. Sedici anni, capelli rosso fuoco freschi di cotonatura, un trucco nero pesantissimo sfumato dal giorno prima.
Aveva una scollatura così profonda, e una minigonna così corta, e degli stivali così alti, che non si poteva fare a meno di guardarla, a prescindere dagli istinti sessuali che poteva o non poteva provocare.
'Provocare': ecco cosa faceva.
Non chiedeva solo sesso. Chiedeva anche l'altrui disapprovazione. E chiedeva che le parlassero alle spalle, sicuramente. In fin dei conti, per come la vedeva Emanuele, quello che chiedeva era semplicemente attenzione.
-Professore, lei non può sapere per certo che non cederà mai. Chi lo sa cosa potrebbe passarle per la testa domani, o il mese prossimo, o l'anno prossimo?
-Lo so io, cosa mi passerà per la testa: la mia fidanzata, il mio lavoro, i compiti da correggere, le cene fuori coi miei amici. Il mio cane, al massimo. Ma non il sesso con te. Non mi induci in tentazione, Bianca, mettitelo in testa.
-Ma davvero? - lei sorrise malignamente, alzò un sopracciglio, accavallò le gambe e si stese bene sullo schienale; si comportava come una spogliarellista trentenne. - Allora perché ha usato il termine 'cedere'? È alle tentazioni che si 'cede', o sbaglio? Altrimenti avrebbe detto 'non mi piacerai mai'. È già più vicino al concetto del quale lei cercava di convincermi.-Bianca...
-O di convincere se stesso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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-Fai piano. Sta dormendo.
Bianca dormiva da ore, ormai, quando Camilla non aveva trovato altre commissioni da fare e si era rassegnata a tornare a casa. Il problema era che Camilla non sapeva che la sua presenza avrebbe potuto costituire serio motivo di disturbo per Bianca. Lei pensava di poterla aiutare, e invece l'avrebbe soltanto ferita.
Tuttavia, non poteva saltarsene fuori “ah, scusa, Cami, mi ero dimenticato, è da quando ho la sua classe che continua a ripetermi che è innamorata di me e che cerca ogni sistema possibile per portarmi a letto”. Avrebbe decretato la fine della sua esistenza felice. Tra le due, decise di sacrificare Bianca; dopotutto, dati gli ultimi eventi, era improbabile che si mettesse a pensare al suo fantomatico amore per lui, no?
Si ripeteva questo, ma in realtà la guardava con ansia crescente.
-Me la immaginavo proprio così – mormorò Camilla, come se stesse osservando un animale raro allo zoo dietro la sicurezza del vetro infrangibile – è... è invadente. Esteticamente, intendo. Guardarla è come prendersi uno schiaffo in faccia.
-E non la immagini quando parla – mormorò Emanuele di rimando. Silenziosamente, si avviarono verso la loro camera.
-Che facciamo? - riprese Camilla – Dovrà tornare a casa, prima o poi. I suoi sanno che è qui?
-No, non lo sanno. Credo che non sappiano assolutamente nulla di quello che fa questa ragazza.
-Forse è un bene. L'ammazzerebbero. Sai, è così strano averla qui.
-Sì. È strano che ci sia un'altra persona in casa.
-Sì, ma proprio lei. Per me è una leggenda che prende vita.
-Capisco cosa intendi.
Bianca si svegliò un'ora più tardi, in un momento in cui Camilla era in cucina a preparare da mangiare ed Emanuele stava leggendo distrattamente il giornale seduto al tavolo. Se la ritrovarono sull'uscio della porta, con aria frastornata, che li guardava tutti e due con una mano tra i capelli cotonati.
-Scusate – mormorò – mi sono addormentata. Forse è meglio se torno a casa.
-Ti accompagno – Emanuele si alzò immediatamente.
-No, no. Mi porti solo fino alla stazione, poi a Padova prendo l'autobus.
-Be', ti posso accompagnare anche a piedi, non è lontana. Ti prendo il cappotto.
-Grazie.
Cercò di sbrigarsi, perché non era molto tranquillo a lasciare quelle due da sole. Fu così veloce che, quando tornò, Camilla stava ancora girando le melanzane sulla piastra e Bianca stava sbadigliando con vigore.
-Andiamo?
Bianca annuì e Camilla si voltò verso di loro, facendo un cenno di saluto. Le sorrise e sospinse delicatamente Bianca, che si stava vestendo, finalmente fuori dalla porta di casa sua.
Camminarono in silenzio per un po', mentre il respiro si condensava.
-Ma di notte dormi? - le chiese ad un tratto, curioso.
-Non molto – rispose lei – sono occupata in giro.
-Ah. Be', certo. Hai preso la pillola?
-Eh...?
-La pillola anticoncezionale. Quella volta l'hai presa di pomeriggio. Non l'hai dimenticata?
-Ah. La pillola. Sono nella settimana di sospensione.
-D'accordo, allora.
Rimasero in silenzio fino alla stazione. Una volta arrivati, Emanuele comprò un pacchetto di Fruit Joy; gliene offrì una, ma lei rifiutò.
-Questo è il binario. Ti faccio il biglietto alla macchinetta.
-Grazie.
Si allontanò, fece stampare un biglietto regionale, glielo porse. Il treno era già arrivato.
-Ti conviene andare dentro, qui fuori fa freddo.
-Sì, vado, vado.
Lo disse con un tono tale che si sentì in colpa. Ma non disse nulla.
Bianca salì sul treno, lo salutò con la mano, lo ringraziò e poi si allontanò senza voltarsi.

Non l'aveva mai vista così inespressiva. Ma dovette farci l'abitudine, perché, da quel giorno, Bianca cambiò completamente.
In classe non apriva bocca, né con i compagni né con gli insegnanti. Essendo stati informati della situazione da Emanuele, i suoi colleghi decisero di lasciarla per ultima in tutti i giri d'interrogazione, nella speranza che si riprendesse. Ma Bianca non dava cenni di ripresa.
-Sembra quasi mutismo selettivo – osservò un giorno Mariolina – ma la realtà è che parla con chiunque, solo che lo fa quando non può fare altrimenti.
-Possibile che una cosa simile l'abbia segnata così tanto? - intervenne Sonia, nervosa perché non riusciva a venirne a capo – Voglio dire, certo, è grave. Ma al punto di non parlare più e non muoversi dal suo banco per sei ore?
-E la preside? - domandò Emanuele – Ancora si rifiuta di dare spiegazioni? Ma sa qualcosa, alla fine?
-Non ne ho idea – mormorò Mariolina – non ne ho proprio idea. Da un lato, se sa qualcosa e non ce lo dice, significa che non è nulla di grave. Dall'altro, se in realtà non sa nulla, perché continua a comportarsi come se sapesse?
Bianca non tornò da lui in aula ricevimento. E lui non avrebbe saputo come avvicinarsi a lei per parlarle; era sempre inespressiva o cupa, sembrava che non volesse nessuno attorno, che tutto le fosse diventato un peso. Nelle prove scritte era sempre la prima della classe, ma Emanuele temeva che non avrebbe aperto bocca in caso d'interrogazione.
Un giorno, dopo due settimane di quella situazione, Emanuele entrò in terza A durante la ricreazione.
La trovò lì, muta e immobile, a fissare i suoi compagni sotto di lei. Aveva l'espressione di chi aveva vissuto cent'anni.
-Bianca? - la chiamò.
Lei si voltò verso di lui. Nel suo sguardo, capì finalmente Emanuele, c'era odio. Malsopportazione. Era lo sguardo di chi ce l'aveva col mondo per qualche cosa e non ne poteva più di viverci in mezzo. Quello sguardo, anche se proveniva da una bambina di sedici anni, riuscì a intimidirlo.
Ma se lei se ne fosse accorta ne avrebbe approfittato, e così fece finta di nulla.
-Posso sedermi qui con te?
-Prego.
Si sistemò sul banco davanti al suo. Avevano poco tempo, per cui decise di non girarci attorno.
-Che cos'hai, da un po' di tempo a questa parte?
-Scusi?
-Ma sì. Non parli con nessuno, non esci nemmeno dalla classe... non mangi...
Non blateri più che mi ami follemente, avrebbe voluto aggiungere.
-Non lo so – rispose lei, inaspettatamente – mi sento così. Forse ci avevo investito troppe energie... in troppe cose, e ora... sono tutte fallite. Va sempre così. Ma è normale, per me andrà sempre così. Basta abituarcisi.
-Non è detto che andrà sempre così – protestò Emanuele – andrà meglio, sicuramente. Le cose non possono sempre andar male.
-Non ho detto questo, infatti.
-E allora cos'hai detto?
-Ho detto che io mi butterò a capofitto in milioni di progetti, ancora molte volte, prima di stancarmi. E poi succederà questo, di nuovo. Ogni volta.
-Succederà che cosa? Che non vadano in porto?
-Già. E che io stia così. I miei non mi lasciano più stare a casa.
-Perché?
-Perché mio padre dice che sono solo viziata e stupida, e che se mi vede a casa mi prende a calci in culo.
-No, intendevo, perché dovresti stare a casa?
-Perché qui non ci riesco a stare. Tra poco credo che non avrò nemmeno più voglia di parlarle.
-Ti do fastidio?
-No, no. È solo che... - scosse la testa, come se lui non avesse potuto capire – beh, lasciamo perdere.
-E se a me non andasse, di lasciar perdere?
Le sorrise. Lei, stupita, lo guardò.
-Prof – incominciò, atona – lei mi ha fatto capire molto chiaramente quali siano i suoi sentimenti, se di sentimenti si può parlare, nei miei confronti. Io non voglio la sua pietà. Non voglio un assistente sociale. Non voglio nemmeno un amico, e, anche se lo volessi, di sicuro non lo cercherei in lei. Le ho esplicitato in diverse occasioni che cosa io desidero dalla sua parte, e lei, in tutte quelle occasioni, mi ha ripetuto che non era possibile; il sunto di tutto ciò è che per quanto mi riguarda lei può tranquillamente lasciar perdere. Io sto bene così. Si dimentichi di me. Pensi a Camilla e al lavoro e al cane e a tutte le cose che la fanno sentire bene, e non perda tempo con una sedicenne problematica che non le procura altro se non brutti pensieri. Davvero, non la biasimerò. Farei la stessa cosa anch'io, al suo posto.
Emanuele si sentì enormemente dispiaciuto.
-E chi si occuperà di te, allora? - le chiese.
-Senta... - sembrava esasperata – come le ho già fatto presente, non ho bisogno di assistenti sociali. Non sono un cagnolino abbandonato in autostrada, e lei deve scendere una volta per tutte dal cavallo bianco.
-Non volevo darti quest'impressione...
-Ne abbiamo già discusso, delle sue 'impressioni'. Ma vuole sapere qual è la mia, di impressione? Ha presente La Piccola Principessa, dove l'indiano dell'abbaino di fronte vede che è sola, povera e triste, e le riempie la camera di belle cose e poi la adotta come se fosse figlia sua? Ecco; la mia impressione è che lei voglia fare questo. Bene: se lo scordi. Si scordi di poter fare il salvatore, si scordi di potermi aiutare in qualche modo. Lei non ne è in grado. Se mi ricambiasse, forse cambierebbe qualcosa, ma così non è, e quindi, se non può fare questo, grazie lo stesso, ma si faccia gli affari suoi.
-Bianca, smettila di essere così maleducata – insorse Emanuele. Iniziava a stancarsi di quei modi.
-Ah sì? - fece lei, con sfida – E perché? Lei sarebbe gentile con una che la rifiuta e poi pretende anche di essere la sua crocerossina?
-Ma rifiutare cosa?! Bianca, hai sedici anni, sei ancora troppo piccola per parlare di rifiuto.
-Oh, ma dai – sbottò lei – beh, meno male c'è lei, dall'alto della sua saggezza, che mi spiega cos'è l'amore. La prego, io mi fermo qui; lo faccia anche lei, prima di costringermi a dire cattiverie.
-Non costringere me a dirle – replicò a denti stretti Emanuele – e ti assicuro che ne avrei, nella mia cartucciera.
-Allora, onde evitare di dire cattiverie da entrambe le parti, mi faccia l'enorme favore di alzarsi e lasciarmi stare.
Lo guardò con odio. Lui restituì lo sguardo.
-Vedi di rivolgerti con più educazione ai tuoi insegnanti.
Lei ghignò con sarcasmo.
-È a questo che siamo arrivati? Lei che mi fa la predica sui miei modi? E magari se non sto zitta mi mette una nota? Ma lei non voleva essere quello diverso, l'amicone di tutti?
-PIANTALA – gridò, battendo una mano sul suo banco.
Lei lo fissò imperturbabile.
Perché doveva ricordargli ogni volta quanto fosse piccolo, stupido e fallito?
-La smetto se lei mi lascia stare. E adesso per favore, va bene così?, per favore, mi lasci stare.
Lei si girò di scatto e quell'enorme massa di capelli rossi le coprì interamente il viso.
Ma una goccia si schiantò sul banco con un rumore quasi impercettibile, ed Emanuele si sentì sprofondare. C'era davanti a lui una ragazzina di sedici anni che gli raccontava di essere stanca della vita, e lui le urlava contro perché gli aveva fatto notare che la trattava con condiscendenza.
Non avrebbe voluto fare l'insegnante severo. Non avrebbe nemmeno voluto porsi come un insegnante. Meno ancora, avrebbe mai voluto ferirla.
Ma questo era ciò che alla fine aveva fatto.
E se l'era presa con lei, solo perché non era stato in grado di corrispondere alle sue stesse aspettative su se stesso.
-Mi dispiace – mormorò – ho sbagliato.
-No – la voce rotta di Bianca emerse flebile dalla massa di capelli.
-Non volevo gridare. È solo che...
Come poteva spiegarglielo?
-Lo so. Lo so, cazzo. È solo che...
-Lo so.
Emanuele allungò una mano verso il suo banco. Soltanto una mano, non si mosse da dov'era. Allungò una mano e la pose sopra quella piccola e fredda di Bianca. Con il pollice ne accarezzò lievemente il dorso e le goccioline trasparenti continuarono a cadere sul banco, con un rumore quasi impercettibile.


*


-In bianco. In bianco, ti dico! Non mi è di sicuro simpatica, ma è sempre stata la mia alunna migliore.
Il vecchio Leandro era attonito. Scuoteva la testa di fronte al foglio protocollo vuoto. Non l'aveva nemmeno firmato.
-E cos'ha fatto tutto il tempo? - si stupì Sara.
-Ha guardato fuori dalla finestra. Quando le ho chiesto perché consegnasse in bianco, è tornata al suo posto in silenzio. Cosa volete che le dicessi?
-È successo anche a me – intervenne Rossella – non credo proprio che non fosse capace di svolgere il compito. Nemmeno una riga?
-In effetti, in classe non muove un dito – constatò Sara – da un lato, è meglio, perché finalmente si fa lezione in pace. Dall'altro, ho una studentessa che non parla, non scrive, non interagisce. È come se non ci fosse.
-Credo che dovremo aspettarcelo tutti, d'ora in avanti – ragionò Emanuele – non so, è come se si stesse... spegnendo.
-Sono preoccupata – asserì Sonia, con forza – sono veramente in pensiero.
-Non riesco a capire – Mariolina si massaggiò la tempia – che cos'ha? Possibile che sia depressione?
-Ma così, da un momento all'altro? Cosa può esserle capitato di così grave? - protestò Sonia. -Ricordati la faccenda del padre – le ricordò Emanuele.

-Sì, ma arrivare a questi livelli?
-In effetti, però, un po' di tempo fa l'avevo già vista così. Prima di quella lunga assenza. Un giorno. Poi è tornata ed era come prima. In realtà, quel giorno il suo umore sembrava piuttosto soggetto a sbalzi.
-E se fingesse...? - suggerì Mariolina – Se tutta quella vivacità fosse solo una maschera che nasconde la tristezza? Se quella che vediamo adesso fosse la vera Bianca...?
Tutti la guardarono, nessuno parlò. Velocemente il discorso cambiò e virò sul lavoro, sugli studenti, sulle riunioni.
Questo dava l'idea che Mariolina avesse centrato il bersaglio, e che nessuno di loro sapesse come affrontare questa nuova verità.

Passò un'altra settimana e Bianca non cambiò atteggiamento. Si avvicinavano le vacanze di Natale e gli studenti stavano affrontando l'ultima sessione di verifiche; Bianca riportò una serie di 'inclassificabili'. Tentarono di farle capire che una buona interrogazione avrebbe cancellato gli inspiegabili risultati delle prove scritte, ma lei si rifiutava di parlare. A volte rimaneva seduta al suo banco anche dopo l'orario scolastico.
Un giorno Emanuele, che si era attardato per parlarle dopo l'ultima ora, assistette ad una scena curiosa.
-Bianca – la chiamò Cappelletto, mentre gli altri preparavano gli zaini e si avviavano verso l'uscita – ehi, Bianca. Mi caghi?
Ma lei non si girava nemmeno. Il ragazzo s'intestardì e si posizionò sul banco davanti a lei.
-E adesso? Mi dai retta?
Nulla. Bianca non intendeva parlargli.
-Senti, dai, adesso basta fare la muta. Lo sai cosa dicono tutti? Che vuoi sempre attirare l'attenzione. Lo sapevi?
Se lo sapesse o meno, Cappelletto non ne ebbe mai la conferma. Lei taceva e nemmeno lo guardava in faccia.
-Non fare la figa misteriosa. Non sei figa e non sei misteriosa. Soprattutto non sei misteriosa, dato che te l'hanno vista tutti.
Emanuele sarebbe intervenuto, se non fosse stato così curioso di vedere il prosieguo di quella strana conversazione univoca.
-Ma perché non mi parli? Ti ho fatto qualcosa, io? Vabè, alla fine è vero che l'hai data a tutti, non ha senso che ti offendi. E poi, se mi avessi parlato prima non te l'avrei detto.
Lei si voltò nella sua direzione, ma tenne lo sguardo fisso sul banco.
-Cos'hai? Sei triste? Perché non parli? Guarda che puoi dirmelo. Magari ci facciamo un giro. Ci divertiamo. E poi ti passa.
Bianca aprì impercettibilmente la bocca, ma subito la richiuse e deglutì. Gli occhi le si fecero lucidi. Cappelletto sembrò agitarsi.
-Cos'hai? È perché ti ho detto... ma dai, a me sei simpatica lo stesso. Non importa! Dai, non fare... oh, porco ***. Daaai! Bianca!
-Ma tu chi sei...? - mormorò lei, tanto piano che Emanuele faticò per sentirla, nonostante l'aula semivuota.
-Come, chi sono? Sono Cappelletto, sono. Detto Cappellotto. Non volevi vederlo, il mio cappellotto?
-Ma chi sei? - insistette lei, tra le lacrime. Lo disse con una vocina tanto indifesa che perfino Cappelletto rimase spiazzato un momento, prima di riprendersi e dare un'interpretazione.
-In che senso...? Vuoi dire... chi sono io per chiederti di uscire? Beh, allora vaffanculo, Ferreri, io lo dicevo per te. Cosa vuoi che me ne freghi di uscire con una troia.
-Cappelletto – intervenne finalmente Emanuele, con voce ferma – fammi un piacere. Vai a casa e lascia stare Bianca.
-Ma prof, questa qua è una stronza.
-Cappelletto, ci arrivi o no? Bianca non sta bene. Lodevole l'intenzione di portarla fuori, ma se lei non vuole ci sono modi migliori di reagire. Abbi un contegno.
Cappelletto borbottò qualcosa, ma alla fine mormorò delle scuse in direzione di Bianca e raccolse lo zaino per poi andarsene.
Emanuele si avvicinò a Bianca piangente. Stavolta le si sedette accanto. Le posò una mano sulla spalla, poi, vedendo che non accennava a smettere, la circondò col braccio e la strinse vicino a sé.
-Cos'hai? - le chiese dolcemente.
-Non lo so – singhiozzò – voglio andare a casa. Voglio stare a letto. Non voglio venire qui!
-Stare a letto a fare cosa?
-Voglio solo dormire in pace.
In effetti, era accaduto diverse volte che si addormentasse in classe, a volte per ore intere.
-Ma Bianca, dormi continuamente. Non ti basta dormire la notte?
-Voglio stare in pace – ripeté, tirando su col naso – voglio andare a letto. Mi porti a casa, per favore.
-Ma i tuoi vogliono che tu vada a casa. Se ti trovano a casa a dormire, si arrabbiano.
-Ma io voglio andare via – pianse lei, disperatamente, ed Emanuele non seppe più che pesci pigliare.
-Se ti porto a fare un giro, sei contenta?
-No – si lamentò, asciugandosi le lacrime dalle guance – mi porti a casa. Per favore. Voglio andare a letto. Qui ho freddo.
-Beh, potresti vestirti un po' di più, per esempio.
-Non posso – bisbigliò, sfregandosi gli occhi e sbavando trucco nero dappertutto.
-Che cos'hai, Bianca? - tagliò corto Emanuele – Come posso aiutarti?
-Voglio andare a letto – piagnucolò, e poi si nascose il viso tra le mani.

-Rimani pure a casa, stavolta. Dubito le importi. Non so cosa fare, la porto da noi.
-Ma certo. Le preparo il letto in mansarda.
Osservò Bianca al suo fianco che dormiva, appoggiata alla sua spalla. Aveva dovuto sorreggerla in autobus, andando verso la stazione. In treno si era addormentata profondamente, mentre Emanuele sfogliava Fatherland senza davvero riuscire a concentrarsi.
Quando arrivarono alla loro fermata, faticò a svegliarla. Si alzò svogliatamente e ci misero un tempo lunghissimo ad arrivare fino a casa. Lì, Camilla li accolse cercando di nascondere la sua preoccupazione.
-Ho preparato un po' di the caldo, se ne volete una tazza – esordì, guardando prima lui, poi Bianca, poi lui, poi Bianca.
-Io sì, grazie. Bianca? Vuoi?
-No, grazie – mormorò lei, intimidita. Non guardò nemmeno in faccia Camilla.
-Ti abbiamo preparato il letto in mansarda, se vuoi dormire. Vuoi che ti porti di sopra?
-Sì, grazie – fece lei con sollievo.
-Dammi pure il cappotto. Ecco qua – la aiutò a sfilarlo, lo appese all'attaccapanni in entrata – su, andiamo. Ti mostro anche dov'è il bagno.
Si avviarono su per le scale, tappezzate di foto dalla loro adolescenza in poi. Bianca non ne guardò neanche una. Continuò a fissare le scale per due rampe, finché non furono arrivati.
-Prego. Vuoi un pigiama, un qualcosa?
-No – mormorò lei – grazie. Tolgo solo i vestiti.
-Come vuoi. Il bagno l'hai visto. Se hai bisogno di qualunque cosa, hai fame, sete, qualunque cosa, chiamaci pure. Solo, avverti i tuoi genitori che non torni, ok?
-Ok – fu la flebile risposta, poi lei iniziò a levarsi il maglione. Emanuele uscì dalla stanza e socchiuse la porta.
Giù in cucina l'aspettava una Camilla sbalordita.
-Ma questa è la Bianca iperattiva che non sta mai zitta? - esordì – Cioè, è sempre lei... vestita a quel modo, con quei capelli... ma... cosa le hanno fatto? Sembra un morto che cammina. Hai visto com'è magra?
-Ci credo, non mangia mai. Non so se a casa le diano da mangiare, ma io non l'ho mai vista comprarsi un panino o portarsi un pacchetto di crackers.
-Ma cos'ha? È depressa?
-Non lo so... non lo so davvero. Conosci i criteri diagnostici?
-Non alla lettera, ma so che dormire così tanto è un campanello d'allarme. Il fatto che non parli e non abbia voglia di fare nulla, poi, avvalla questa teoria.
-Non credo – Emanuele scosse la testa – la depressione, per quanto ne so, ha un decorso piuttosto lungo. Bianca è così da poche settimane. Diventa così di punto in bianco, ma di solito è allegra. Non credo sia depressa. Mariolina, però, suggeriva che la sua allegria sia solo una maschera... che voglia nascondere la tristezza che in realtà prova.
-Ma allora, perché non lo fa anche ora?
-Perché forse non ce la fa più? Non lo so. Voglio dire, non è successo tutto consequenzialmente. Un momento è così, un momento è colà...
-Forse è solo adolescente, e vivendo in una famiglia problematica il risultato è questo.
Camilla, dopo quest'ultima considerazione che lo lasciò senza ulteriori alternative, si alzò e versò il the bollente nelle tazze. Camilla amava il the; avevano una mensola interamente occupata da vasetti di the in foglie, dei gusti più disparati. Quello di adesso era al finocchio e liquirizia. Si mischiavano i gusti come in un cocktail, pensò Emanuele.
-Intendi parlarci? - riprese Camilla all'improvviso. Emanuele diede un piccolo sorso prudente.
-Non è che si possa parlarci molto. Mi fa impazzire, mi ricorda che... che fallisco nel mio intento, nel mio lavoro. E mi chiedo sempre se mi sento un fallito per colpa sua, che fa di tutto per farmici sentire, o per colpa mia, perché non riesco ad essere ciò che vorrei. Ma alla fine sono codardo e preferisco sempre dare la colpa a lei.
Si rabbuiò. Camilla gli prese una mano, come lui aveva fatto prima con Bianca a scuola.
-Non accusarti così duramente. Lei ti mette alla prova, ti porta al limite... diciamocelo: non è una ragazzina normale. È ovvio che ti confonda.
Ma non era quello. Non era solo quello.
Lui aveva tradito Camilla; ed era colpa di Bianca, che l'aveva provocato, o colpa sua, che non aveva saputo trattenersi? E ancora: aveva aggredito una ragazzina di sedici anni con evidenti problemi. Era colpa di quella ragazzina, che dava fuori di matto al punto che non la si poteva controllare, o era colpa sua, che non sapeva controllare se stesso e per estensione neanche quella ragazzina?
Certo, lei lo spingeva, ma perché lui non riusciva ad opporre resistenza? Era una colpa, o una debolezza? Era lei troppo forte, o lui troppo fragile?
-Il punto è che non riesco ad aiutarla. Nonostante ce la metta tutta... nonostante le offra il mio aiuto... lei rimane lì, con le sue lacrime e i suoi silenzi e le sue scopate. E io mi sento inutile.
-Non dovresti basare la tua autostima su di lei. Ricordati che ha sedici anni, è soggetta a sbalzi ormonali e umorali, e per di più è evidente che la situazione a casa non le fa affatto bene. È emotiva, difficile, contorta... chi potrebbe aiutarla? Per di più, mi sembra che lei non voglia essere aiutata. Mi sembra voglia che la lasciate sola.
-E solo perché lei lo vuole, io dovrei acconsentire? Questo non è 'gettare la spugna'? Non posso fare una cosa del genere. Che uomo sarei, Camilla? Che insegnante è uno che non dà tutto se stesso per i suoi studenti?
-Un buon insegnante, direi – replicò lei tranquilla. - Ascolta. Non devi fartene carico. Tu sei il loro insegnante, non loro fratello. Se continui a prenderti responsabilità per loro, è chiaro che starai male, perché ti dai delle colpe che non hai. Primo: non sta a te occuparti della loro stabilità emotiva. Secondo, posto che tu voglia farlo, non hai alcuna colpa se non riesci a rimettere a posto ciò che si è rotto. Non sta a te, e in certi casi non è possibile. Questo è uno di quei casi.
-Oggi mi ha detto di scendere dal cavallo bianco – mormorò, passandosi una mano sulla fronte – capisci? È lei a sapere, a dirigere. Io sono il sedicenne e lei è la trentenne disillusa.
-Ehi, ehi – Camilla gli prese il viso tra le mani – resetta tutti questi pensieri. Ti sta facendo del male, te ne rendi conto? Ti sta portando nel posto dov'è lei.
-Un giorno me l'ha detto – mormorò ancora – me l'ha detto, che non voleva portarmi nel posto dov'era lei. È solo che...
-... che vuoi sapere dov'è quel posto.
-Già. Nonostante tutto, voglio ancora saperlo. E provare ad andarci, per vedere se posso portarla via di lì.
Camilla sorrise amaramente.
-E a me sta il compito di aspettare qui, guardandoti deprimere ogni giorno di più per lei?
-No – Emanuele si risvegliò – no. Non voglio... no. Assolutamente. Abbiamo costruito così tanto assieme; non voglio rovinarmi la vita per lei.
-Lo sai che non puoi seguirla senza farti del male, vero?
Abbassò la fronte. Sospirò.
-Lo so – rispose.
Continuarono a sorseggiare i loro the bollenti, senza sentirne il sapore perché ad ogni sorso si scottavano la punta della lingua.

Si accorse di Bianca quando andò al primo piano per prendere un libro dallo scaffale. Sentì dei singhiozzi sommessi provenire dal piano superiore; percorse le scale fino alla mansarda e la trovò che piangeva infagottata sotto la trapunta.
-Cosa succede? - Si precipitò accanto a lei. - Ehi. Perché piangi?
Piccoli singhiozzi continuarono a scandire i secondi. Le accarezzò i capelli secchi e sfibrati.
-Bianca? - sussurrò – Perché piangi? Dimmelo. Vediamo se si può rimediare.
-Noo – replicò lei, girata dall'altra parte.
-Ma forse sì. Sono un po' più grande di te per un motivo, no? E magari conosco un metodo che tu non conosci.
Non ci fu risposta, solo altri singhiozzi. Le tirò dolcemente una ciocca rossa.
-Avanti, dimmelo. Intanto dimmelo, così almeno capisco.
Ci fu un po' d'esitazione, ma alla fine riuscì a captare la parvenza di un discorso.
-P... perché... io... lei ha Camilla... la casa... io... uh... e ogni volta... e penso di farcela, e invece... e non posso dormire a casa... e lei non... io volevo... ma lei non... - scoppiò a piangere di nuovo.
-Camilla e la mia casa? Ti fanno stare male?
Lei annuì con foga, stringendosi nelle coperte.
-Beh, ma sapevi fin dall'inizio che ho una fidanzata e una casa. Non immaginavi che le avresti viste, venendo qui?
-Sì, ma...
-E quanto a 'farcela', farcela a fare cosa? Non mi sembra che tu avessi una missione da compiere, o no? E anche se l'avessi, che importa se non ce la fai? Sai quanta gente non ce la fa a fare cose semplicissime, eppure va avanti lo stesso? Capita a tutti ogni giorno: provarci e non riuscire. E allora che fai, ti inchiodi lì piangendo? Lascia perdere e prosegui, no?
-Uh...
-E quanto a dormire, be', puoi dormire un po' ovunque, deve essere proprio a casa?
-Ma non...
-E quanto a me che non ti ricambio: quanto scommettiamo che passa? Mi dai retta che forse io ci sono passato prima di te?
-Non è quello...
-No, lo so che non è quello. Non è questo a ferirti così tanto. È qualcos'altro al quale io non ho accesso. Giusto?
Lei annuì ancora.
-Pensi che si possa risolvere, questo qualcosa?
Silenzio.
-Ehi? Pensi che possiamo farcela?
-Non so – si limitò a mormorare lei, e poi si strinse ancora di più tra le coperte.
Continuò a piangere piano, ed Emanuele non seppe cosa fare.
-Vuoi che rimanga? - chiese, titubante.
-Non serve – bisbigliò lei – passerà. Non cambia anche se lei rimane. Vada tranquillo.
-Stai tranquilla – mormorò, dirigendosi verso al porta. A quelle parole lei singhiozzò forte, e poi si avvolse la trapunta addosso quasi avesse voluto soffocarci dentro.
Emanuele si sedette fuori dalla porta, e dopo un po' Camilla lo raggiunse. La ascoltarono piangere per un'ora, assorti nel silenzio, tenendosi forte per mano. Poi si allontanarono, e, quando tornarono un paio d'ore dopo, lei stava ancora piangendo.
Nessuno dei due lo disse, ma sapevano che non aveva mai smesso.
Si parlarono solo quando arrivarono in cucina, quasi dovessero proteggersi dalla presenza di Bianca.
-Sono preoccupata – mormorò Camilla, fissando il tavolo – non va bene. Non so cos'abbia, ma ha bisogno di aiuto.
-Non so cosa dirti. Vago nel buio. Sembra che abbia perso ogni speranza.
-Capisco perché non riesci a lasciarla perdere.
-Sì?
-Ti stringe il cuore. Ed è difficile non amare il personaggio drammatico, vero? Non ci riesco neanch'io, nonostante odi il modo in cui ti coinvolge e ti fa soffrire.
-Non possiamo dare la colpa a una sedicenne in queste condizioni.
-Ma allora è sempre colpa di noi adulti? - insorse Camilla – Possibile che dobbiamo lasciare che ci facciano impazzire, senza poter puntare il dito contro nessuno?
-Ora mi capisci.
-Sì – mormorò Camilla, abbassando gli occhi – ora ti capisco.

Quando gli parve che avesse finito di piangere, Emanuele le disse di vestirsi, ché l'avrebbe riportata a casa. Lei obbedì silenziosamente, e, sempre silenziosamente, salì in macchina. A Camilla aveva dedicato un debole “arrivederci, scusi il disturbo”, a cui lei aveva risposto con un sorriso.
Durante il viaggio tacque, non dormì, ma non disse nulla; notò però che continuavano a scenderle lacrime dagli occhi, anche se non singhiozzava e il suo volto rimaneva inespressivo. Sembrava impotente di fronte a qualcosa più grande di lei.
La guardò strascicare i piedi verso casa; aprì svogliatamente il portone e scomparve dietro il vetro a specchio. L'aveva salutato debolmente, come se fosse esausta e non aspettasse altro che di riposarsi un po'.

La settimana seguente, quella prima delle vacanze, fu difficilissima per tutti. Bianca piangeva durante le lezioni, non parlava, si addormentava. Alla proposta di convocare i genitori Emanuele reagì opponendosi fermamente, ricordando l'episodio della violenza.
-Ma non possono non essere informati della figlia che piange in continuazione – protestò Sonia – non è possibile che continuino a far finta di niente di fronte a un problema di questa portata.
-L'opinione del padre è che lei sia una stupida viziata che fa scene – sospirò Emanuele – probabilmente sanno che succede, ma la mandano a scuola comunque.
-E allora è nostro dovere informarli che non è il caso!
-Sonia, non possiamo fare molto – intervenne Mariolina – se i genitori non vogliono, non li possiamo di certo costringere.
-Ma saranno costretti almeno a pensarci, se interveniamo noi.
-Adesso ci sono le vacanze di Natale – tentò di mediare Antonella – magari quando tornerà starà meglio. A sedici anni tutto il nostro mondo può cambiare da un momento all'altro, per motivi che magari a noi appaiono futili. Ma a loro, chissà...
Annuirono tutti con partecipazione. La partecipazione non esprimeva tanto l'accordo, quanto il desiderio che Antonella avesse ragione. Che fosse l'età. Che fosse, se non gestibile, quantomeno passeggero.
Le vacanze arrivarono senza più occasioni per parlare con Bianca, ed Emanuele si chiese che Natale avrebbe passato.

Quanto a lui, passò delle vacanze da sogno: finalmente libero dai pensieri, riuscì a godersi Camilla, i suoi genitori e i suoi amici. Passò il Natale tra parenti, con i pro e i contro di tali ricorrenze, e finalmente passò giornate intere con la sua fidanzata tra il centro città, le case in montagna degli amici e la sua casa, dove finalmente poterono fare l'amore senza il pensiero della sveglia alle sei e mezza il giorno dopo.
I bagordi di Capodanno si svolsero nella baita di un amico a Vigo di Cadore, all'insegna del buon vino e della buona compagnia. Finalmente, dopo tanto tempo, Emanuele poté godersi un po' di spensieratezza, lontano da Bianca, dai compiti e dagli spostamenti in treno. Non gli sembrava vero di passare del tempo con adulti, adulti che gli piacevano, per di più. Non che si trovasse male con i suoi colleghi, ma i colleghi non si potevano scegliere, mentre gli amici sì: passò dei giorni sereni discutendo di libri letti, film visti, prossime mostre, raccontando aneddoti sui suoi studenti senza però mai menzionare quella a cui era più legato, quella su cui avrebbe potuto raccontare aneddoti infiniti. Lo doveva a Camilla. Passò con lei giornate tanto belle che pensò che probabilmente gli era stata grata per non averla inserita nelle loro vacanze di Natale.
Eppure, pensò molto a Bianca in quei giorni. Pensò a lei che piangeva, al padre che la picchiava, alla madre che la puniva. Si chiese se per lei ci fossero state tavolate allegre con parenti idioti. Si chiese se si fosse divertita a Capodanno, se l'avesse passato con amici, oppure con gente interessata soltanto a ubriacarla e portarla a letto. Il giorno dell'Epifania non poté fare a meno di pensare a lei, di pensare che avrebbe voluto portarle qualche torroncino e i marshmallows.
Sapeva che anche Camilla pensava a lei, ma il loro tacito accordo di non farla entrare in quei giorni felici rimase solido fino al sette gennaio, giorno in cui entrambi ritornarono al lavoro.
La notte del sei gennaio rimasero svegli a lungo, la dolce chiusura di venti dolcissime giornate.








(Nda: salve ^-^! Stavolta ci ho messo un po' di più, vero ^^? Pardon, pardon u_u.
CTA gli altri personaggi sono così orribili che mi commenti solo Camilla XD?
Piaciuque: lieta che tu abbia gradito ;D spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto ^^
Yuki: no, non sbagli XD c'è ancora tanta carne da mettere al fuoco. Grazie mille dei complimenti ^_^.
Dance of Death: oddio ma mi hai recensito i due capitoli *_* *commozione* grazie ;.;! Mi fa piacere di essere riuscita a rendere esattamente ciò che mi ero riproposta e che i personaggi siano almeno un po' coinvolgenti. Grazie dei dolcissimi commenti ^_^!
Pnin: addirittura da attraverso l'Atlantico, azz che invidia ._. spero che questo capitolo sia riuscito a renderti un po' più simpatico Emanuele, dato che ne rappresenta sostanzialmente il dramma rispetto a Bia :) comunque dalle scene Cami-Bia non aspettarti delle catfight, non vedremo mai donne che si strappano i capelli nel fango per Ema XD questa proprio mettetevela via XD!
Grazie a tutti per i vostri commenti, fav e letture :*! Buon weekend ^___^!)

  
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