Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Tori    24/10/2009    2 recensioni
Creatura nata da amore proibito, soppresso nel sangue, affogato nella vergogna.
A tre giorni dal suo primo respiro, suo padre rinuncerà alla vita attraverso il suo stesso padre.
La creatura sarà marchiata come un animale, come un Mezzosangue, illegittimo figlio del Destino.
A sette anni da questo giorno, la madre deciderà della vita.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
11. Fortuna
La piccola Adwen era seduta sul prato.
Mentre accarezzava l’erba, scopriva attorno a sé la sua collina preferita.
Era tutto bellissimo, perfetto.
E di colpo, cantava ‘Tanti Auguri’ insieme alla sua bellissima mamma, Arianna.
Com’erano dolci i suoi abbracci, le sue coccole…! Com’erano distanti.
Era tutto così splendido fra le sue braccia che quando tutto sparì avvolto in una calda nebbia Adwen non ebbe paura. Il vento spazzava il prato, trasportando via perfino la sua sorpresa.
La bambina si alzò e si accorse di essere cresciuta: aveva quindici anni, ma nemmeno adesso paura o confusione le affollavano la testa.
Osservò così con sincera curiosità il bel fiotto di luce blu e verde che sbucava dagli alberi.
“Corri” le disse quel fiotto “Non avere paura, ci sono qui io”.
Adwen non ne aveva e corse il quel bosco. Familiare era l’aggettivo giusto per quel luogo.
“Fidati di me, non c’è pericolo” diceva quella luce danzante. Calda. Affettuosa. Paterna “Io sono come te”.

La sveglia la fece sobbalzare.
Fosse stata leggermente più cosciente, avrebbe maledetto di cuore l’inventore di quell’aggeggio infernale.
- Ma chi cavolo…? – brontolò, allungando a malincuore un braccio verso la sveglia.
La cercò tentoni e la spense con violenza, buttandola con odio giù dal comodino.
Dopodiché, Adwen si ributtò a dormire, al caldo sotto le coperte, senza che l’idea del suo primo giorno di scuola la sfiorasse minimamente.

Matthew Leonard Johnson aveva trascorso un mese a casa della signora Gwenael.
La buona donna si era dimostrata tanto generosa con lui quanto di poche parole.
Invece, sua figlia di nove anni, Alisia, quasi non lo degnava di uno sguardo.
Per quanto lui avesse insistito nel cercarsi una nuova sistemazione, Gwenael era stata assolutamente irremovibile: non voleva che andasse via.
Quella mattina, alle sette precise, venne a svegliarlo bussando gentilmente alla porta della sua stanza, che poteva sembrare allo stesso tempo, sia uno studio, che un salotto, con divano letto, scrivania, accesso al bagno e ingresso. Tutto in appena sedici metri quadrati.
- Mh? – grugnì Matthew.
- Sono le sette – rispose Gwenael, facendo capolino dalla porta socchiusa.
Aveva un bel viso chiaro, dai lineamenti morbidi. I capelli, leggermente mossi e castani chiari, erano legati in una coda alta da cui sfuggivano ciuffi scalati. Gli occhi verdi, chiarissimi, sbirciavano qua e là per la stanza, lievemente imbarazzati. Era una donna piuttosto carina, sul metro e settanta e di media corporatura. Perfino a colpo d’occhio, sembrava una madre premurosa.
- Sì, certo… - Matthew si mise a sedere sul divano, scostando le coperte con grazia – Ehm… Grazie.
Gwenael si dileguò nel massimo silenzio, lasciandolo a cercare qualche vestito decente. Alla fine Matthew optò per il jeans, le scarpe e la t-shirt rossa che aveva comprato due giorni prima ai grandi magazzini. Si spostò brevemente davanti allo specchio appeso sopra la scrivania per dare un’occhiata all’anonimo insieme del suo aspetto.
Il ritratto di un gran bel ragazzo gli restituì lo sguardo. Aveva la pelle leggermente abbronzata, i capelli mossi, castani scuri, e occhi ipnotici, di un mogano profondissimo… Ovviamente la perfetta forma fisica e l’abbondante metro e ottantacinque non guastavano per nulla l’effetto.
Matthew iniziò a mettere insieme l’occorrente per il primo giorno di scuola. La strada non era poi tanto lunga, ma come nuovo studente almeno sarebbe dovuto arrivare in orario.
Il tempo di recuperare qualche quaderno di appunti, penna, matita e gomma, e poi, verso le sette e un quarto, finalmente si decise a sbirciare la cucina dalla porta socchiusa della camera.
La piccola Alisia, ancora nel suo pigiama azzurro, si trascinava sbadigliando verso la sua tazza di cereali al cioccolato. Quando si sedette, non lo sentì entrare e, ritrovandoselo davanti all’improvviso, rovesciò tutti i cereali sul tavolo, arrossendo di rabbia.
Alisia aveva ereditato i capelli e gli occhi della madre, ma in tonalità molto più scure. Nell’insieme sarebbe parsa una bambina solare e divertente.
Se almeno la presenza di Matthew non la incupisse in quel modo, almeno.
Lui divorò un pezzo di pane con il burro e ingollò il caffè lasciato da Gwenael nella caffettiera. Nonostante il terribile imbarazzo, lanciò qualche sguardo fugace ad Alisia, cui lei si dimostrava assolutamente indifferente. Sperava di cuore che non lo odiasse.
Dopodiché, il ragazzo perse un quarto d’ora arrabattandosi con il divano letto. Aveva visto la signora Gwenael aprirlo e richiuderlo almeno un centinaio di volte, ma ancora gli era oscura l’utile tecnica che le permetteva di non perdere qualche dito durante l’operazione.
Alle sette e mezza desistette.
- Accidenti… - imprecò, s’infilò le scarpe senza badare ad allacciarle, agguantò la cartella e uscì di casa più veloce che poté.
Scese le scale a due e a tre: per arrivare a scuola con calma ci voleva circa mezz’ora. Correndo ci avrebbe messo la metà, ma lo infastidiva l’idea di arrivarci madido di sudore…
- Ora che posso permettermi di non sudare ogni santo mattino, pomeriggio e ser-
Sul penultimo scalino, inciampò e mancò poco a che precipitasse sul pianerottolo del secondo piano.
- Ma porca…!
Per sua fortuna, riuscì istintivamente ad aggrapparsi al corrimano.
Ripensando alla sua infanzia, pensò a come l’avrebbe preso in giro il fratello, ma alla fine dovette ammettere che era meglio perdere qualche secondo ad allacciarsi le scarpe.
“Fortuna che nessuno mi ha visto, almeno…” ghignò, divertito.
Sovrappensiero, s’inginocchiò esattamente a venti centimetri dalla prima porta accanto alle scale…

- Adwen? Che ci fai ancora a letto?! Alzati! È tardissimo!
- Nonna, lasciami dormire…
- Ma che stai dicendo?
Nonna Ofelia la tirò letteralmente giù dal letto.
- Sono le sette e un quarto passate! C’è scuola.
- Scuola? Oh, cazzo!
Adwen si rialzò di scatto, leggermente dolorante per il brusco risveglio, e corse in cucina stringendo ancora il cuscino. Mentre si versava una tazza enorme di caffè, ascoltò distrattamente il rimprovero sulle parolacce di sua nonna.
“Un quarto d’ora, un quarto d’ora!” era l’unico pensiero che le rimbalzava nella testa.
Si fiondò in bagno a lavarsi i denti, ignorando il suo riflesso nello specchio.
Adwen aveva corti capelli nerissimi, sciolti in tanti piccoli boccoli intorno al viso ovale, e un corpo snello. La carnagione scura faceva risaltare in maniera impressionante i suoi magnifici occhi grigi, solcati da una sottile linea azzurra attorno all’iride come se un limpido fiume percorresse un mare lunare.
Gettò via i vestiti e, dopo una doccia fulminea, si concentrò sulle operazioni mattutine di rito.
Vale a dire, asciugarsi alla bell’e meglio i capelli, cercare dei vestiti adatti al primo giorno di scuola (in questo caso, una maglietta blu scuro con leggera scollatura a ‘V’ e i suoi jeans preferiti), recuperare qualche quaderno, diario e astuccio e buttarli in cartella, lasciare fuori posto quanti più strumenti d’igiene personale possibile…
Nonna Ofelia le urlò di fare ordine prima di uscire, ma ormai erano già le sette e mezza e non c’era tempo da perdere.
- Lo faccio quando torno, promesso!
- Sì, come no! – Le rispondeva a tono la donna – Ti conosco!
- Ma nonna…!
- MUOVITI!
Adwen abbassò la maniglia della porta, ma non l’aprì.
- Le chiavi di casa! – Non aveva ancora perso quella terribile abitudine e le lasciava sempre in giro.
Le trovò subito sul cassettone accanto all’ingresso, sul centrino lavorato all’uncinetto, accanto alle sue foto da piccola, stretta fra le braccia della madre.
Tenendole ancora in mano, ancora impegnatissima a schiaffare le chiavi nello zaino aperto, spalancò di corsa la porta…

Matthew aveva appena finito di allacciarsi la scarpa destra. Era così concentrato a non perdere nemmeno un millisecondo fra un nodo e l’altro che fu colto di sorpresa dalla specie di confuso turbine scuro e bluastro che gli inciampò addosso.
Barcollò leggermente verso sinistra, ma qualsiasi cosa lo avesse investito cadde invece lunga distesa sul pavimento. La ragazza si rialzò subito, imprecando, senza che lui avesse il tempo di offrirle il suo aiuto.
La prima porta accanto alle scale, intanto, si era chiusa con un tonfo.
- Mi dispiace! Non avevo visto…
Iniziò a scusarsi immediatamente, ma si bloccò non appena i loro sguardi s’incrociarono.
Quegli occhi d’argento lo trapassarono da una parte all’altra, come lame affilate.
- Lascia perdere! – gemette lei irritata, raccogliendo la cartella e imprecando di nuovo – Ciao.
Matthew, folgorato, non le ricambiò il saluto. La vide scendere le scale a due e a tre, come poco prima aveva fatto anche lui.
Solo che lei frugava contemporaneamente nelle tasche del jeans e dello zaino e man mano che scendeva s’infuriava ancora di più, evidentemente in cerca di qualcosa.
- Uffa! – sbraitò, prima di sbattere il portone dietro di sé.
“Chissà che ha perso”.
Matthew tornò ad allacciarsi la scarpa sinistra, ma la risposta alla sua domanda brillò davanti ai suoi occhi, accanto al battiscopa dall’altro lato del pianerottolo.
Il ragazzo raccolse il mazzo e ne ammirò l’anello portachiavi: una vecchia ‘A’ di legno ammaccato.
Si ributtò la cartella in spalla, si mise quelle chiavi in tasca.
Era ancora in tempo per raggiungerla, restituirgliele… Magari anche chiederle il numero di telefono.
Fuori dal palazzo, però, nonostante avesse anche corso, non riuscì a raggiungere quella ragazza. Pur dribblando sgarbatamente le persone, schivando le macchine in mezzo alla strada, lei lo precedeva sempre, mantenendo almeno la sua stessa velocità.
“Accidenti” pensò, molto divertito, con ancora i suoi occhi nella mente.
Inseguendola, si dimenticò perfino del suo importante appuntamento con l’istruzione e fu davvero con sorpresa che la vide sparire, in compagnia di una ragazza bionda, in quella che da quel giorno sarebbe stata anche la sua scuola: la scuola superiore di Ilewind, edificio bianco e blu, con ampie e lustre finestre luminose, bella in vista sul viale alberato.
Fissando le scale che lo separavano dall’atrio, gli venne in mente una cosa:
“Quando si dice la fortuna…”.
Costretto dal suono della campanella, salì pigramente insieme agli ultimi studenti ancora non rassegnati al nuovo anno.
Al massimo, l’avrebbe cercata per i corridoi durante l’intervallo, avrebbe chiesto in giro se qualcuno la conosceva…
Cercò la sua classe ma sbagliò piano due volte.
Finalmente, maledicendo le indicazioni degli studenti del primo anno (- Non ci vuole mica la laurea! Mi serve solo la seconda A!), trovò la porta giusta.
La prima cosa che vide, con grande sollievo, era la cattedra vuota. Poi lo sguardo cadde sulla lavagna nera, appesa al muro fra la cattedra e la finestra, e sulle cartine geografiche, attaccate dietro la sedia del professore. Di fronte alla cattedra, in coppie ordinate, stavano disposti ventisei banchi. Gli altri ragazzi lo guardarono con curiosità (anche se si poteva già notare il compiacimento di alcune per il nuovo acquisto della classe) mentre cercava un posto libero.
- Lì, in fondo a sinistra – gli disse qualcuno.
A quanto pareva, il suo compagno di banco era arrivato e aveva occupato il posto con dei quaderni, ma si era subito allontanato. Non era l’unico a mancare: mezza classe razzolava ancora per i corridoi.
Mollò lo zaino sulla sedia e stava quasi per fiondarsi fuori alla ricerca della bella ‘A’ quando, preceduta da un gruppo di frettolose ragazze ridacchianti, una professoressa entrò di corsa, i registri sotto il braccio e la borsa, visibilmente pesantissima, nell’altro.
- Buongiorno, ragazzi! – li salutò pimpante.
Era alta, bionda, snella, con gli occhiali e sprizzava gioia da tutti i pori. Di quelle che hanno il dono di contagiare gli alunni con la loro allegria.
- Buongiorno, professoressa – la salutò la classe, alzatasi.
- Ve l’avrò detto duecentoquarantadue volte: piantatela di alzarvi in quel modo! Mi sento il presidente!
Scatenò le risate generali, che coprirono il rumore della porta che si richiudeva dietro le spalle di due studentesse.
- Buongiorno, professoressa – la salutarono sorridenti prima di correre ai banchi.
Quella bionda, si sedette esattamente davanti a lui, lanciandogli uno sguardo interessato.
Quella scura di pelle, con i capelli neri a piccoli boccoli e gli occhi grigi, lo fissò stupefatta, mentre si sedeva accanto a lui e si appoggiava al muro con la schiena, quasi senza battere le ciglia.
Lui le sorrise, ma l’espressione di lei divenne solo interrogativa.
Aveva un qualcosa di diffidente in quello sguardo che, per almeno un attimo, lo fece sentire così a disagio da dover distogliere lo sguardo.
Solo durante l’appello (- Bells! Dov’è Anne? – chiedeva la prof), la misteriosa ‘A’ gli rivolse la parola:
- Tu sei quello che mi ha fatto inciampare.
C’era un che d’inquisitorio nella sua voce.
- Ehm – Eppure, quegli occhi lo incantarono – S-sì.
Lei lo squadrò ancora una volta. Se possibile, sembrava ancor più diffidente.
- Come ti chiami? – Gli chiese subito.
- Matthew Leonard Johnson – rispose lui, sicuro.
La ragazza si morse il labbro dubbiosa, tanto che lui subito aggiunse, a mo’ di scusa giocosa:
- Matt, per gli amici!
Solo allora la misteriosa ‘A’ gli sorrise: un sorriso timido, a metà fra l’imbarazzo e la decisione. Matt ricambiò la domanda, ma la professoressa lo precedette:
- Dawn! Dove s’è seduta Adwen? Ah!
‘A’ alzò la mano, sorridendo all’insegnante; poi la porse al suo nuovo compagno di banco.
Matt la strinse con piacere.
Passarono il tempo dell’appello fra le scuse di Matt e i commenti di lei. Solo alla fine, quando Adwen maledì la perdita delle chiavi di casa, il ragazzo lasciò perdere per un secondo quei fantastici occhi grigi. Gliele restituì, scusandosi ancora.
Lei le guardò un secondo dov’erano, sul banco. Infine, aggiunse, molto divertita:
- Quando si dice la fortuna…

Ce l'ho fatta: ho postato! ^^
Vorrei davvero sapere che ne pensate (anche le critiche - non me la prendo così tanto. Beh, oddio, potrei prendermela, ma dovreste dimostrarvi davvero insensibili e crudeli -.-' Spero che non se siate capaci). È da una vita che nessuno recensisce… ç_ç
Per il resto, direi che la storia sta diventando interessante *_*
Spero che Adwen e Matthew risultino accattivanti anche per voi.

A presto! ^^
Grazie a tutti i lettori, grazie a tutti i recensori!!!
Graziegraziegrazie XD
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Tori