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Autore: Red S i n n e r    24/10/2009    5 recensioni
Incoerente verso se stessa, si beava in una luce che non le apparteneva, una luce che l’accecava come la luce del tramonto, ma che lei sosteneva di amare; l’aveva sfidato quell’insopportabile fulgore ed aveva perso.
Si era mestamente ritirata nell’ombra -ma sosteneva di non essersi arresa- della sua casa troppo grande osservando {in}felice i petali scuri che ricoprivano il pavimento candido.
{Kodachi centric - Nonsense}
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kodachi Kuno, Ranma Saotome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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_____Heart Shaped Box }


I've been locked inside your Heart Shaped box, for weeks
I've been drawn into your magnet tar pit trap.[**]


La risata echeggiò lugubre nelle enormi stanze di quella casa troppo grande per solo tre persone.

Camminava lenta, lasciando che il suo adorato nastro scivolasse sul pavimento coperto dai petali. Camminava a piedi nudi in quella casa troppo grande, tra quei corridoi così lunghi.

Con la dovuta calma calpestò i petali neri da lei stessa gettati ed osservò come il suo nastro rosso, strisciando come un serpente, pulisse il pavimento chiaro in contrasto con quei petali così scuri.

Una luce improvvisa avvolse la figura che alzò finalmente lo sguardo, spostandolo dai petali neri sul pavimento, alla grande finestra che dava sul giardino; da quella stessa finestra sprizzava la luce del caldo tramonto. L’unica luce in quel corridoio buio cosparso da petali così scuri.

La donna posò la mano sul vetro e trovandolo freddo se ne stupì. La luce del tramonto era così calda, perché quel vetro non scottava? Non vi badò e continuò a guardare fuori sfidando la luce che l’accecava,  forse avrebbe potuto scorgere la casa in cui abitava, forse sfidando la luce rossa come il fuoco avrebbe potuto scorgerlo mentre si allenava, mentre mangiava, mentre dormiva …

Ma in quella casa… In quella casa c’era anche lei.

Strinse il manico bianco del suo nastro rosso e lo sentì scricchiolare.

Lei  non doveva competere contro la fastidiosissima luce del tramonto solo per sperare di vederlo.

Ma lui poteva essere solo suo, lui doveva essere solo suo. 

I want you now
I'll feel my heart implode[*]
{Ti voglio ora, sentirò il mio cuore esplodere.}


L’aveva visto, l’aveva scelto e lo voleva.

Perché non avrebbe dovuto averlo? Era suo.

Voleva inserire anche lui in quella scatola a forma di cuore, quella in cui custodiva i suoi preziosi ricordi, tutti ricordi che giravano -come satelliti intorno al Sole- intorno alla sua presenza, tutti ricordi che attestavano la sua esistenza.

Anche lui, anche lui doveva vivere in quella scatola a forma di cuore, doveva essere suo e di nessun’altra. Suo senza riserve.

Accecata, accecata d’amore -come lo era della luce del tramonto- non vedeva nulla, non sentiva nulla e non le interessava nulla che non fosse lui.

Era cieca e sorda, annientata da quell’amore -senza tregua e senza fondo- in cui rischiava di annegare e a cui si era aggrappata; quell’amore che sembrava solo un capriccio e che, forse, lo era per davvero.

Era cieca e sorda, sì, non vedeva né  sentiva nulla che non lo riguardasse ma proprio perché guardava lui si era accorta di come lui guardasse lei.

Era cieca e sorda ma Kodachi non era mai stata stupida.

Camminò ancora nascondendosi da quella fastidiosa luce – Oh, no non si stava ritirando, non si stava arrendendo! - il colore nero dei petali, sì, quello voleva vedere.

Entrò nella sua camera adocchiando la  grossa scatola rosa a forma di cuore che faceva bella mostra di sé sul letto, la aprì velocemente sparpagliandone il contenuto sul letto.

Tante foto, un sacchetto di biscotti e una ciocca dei suoi capelli saltarono fuori, adagiandosi ubbidienti sul copriletto così scuro.

Quelli erano i suoi ricordi, loro vivevano in quella scatola, non tentavano di scappare; erano buoni, buoni ricordi.

Rise.

Non era mai stata stupida, anzi, ma accecata aveva finito per compiere azioni sempre più illogiche.

Non badava più alla ragione, nè alla sua intelligenza, le aveva bruciate quelle inutili cose.

Sapeva ma fingeva di non capire, vedeva ma fingeva di non avere occhi.

S’ingannava, fingendo che fosse la verità quella sua menzogna.

Incoerente verso se stessa, si beava in una luce che non le apparteneva, una luce che l’accecava come la luce del tramonto,  ma che lei sosteneva di amare; l’aveva sfidato quell’insopportabile fulgore ed aveva perso. Si era mestamente ritirata nell’ombra -ma sosteneva di non essersi arresa- della sua casa troppo grande osservando {in}felice i petali scuri che ricoprivano il pavimento candido.

Incoerente verso se stessa, fuggiva dalla realtà creandosi una menzogna più comoda in cui vivere, una in cui potesse far finta di non capire, in cui poter vivere indisturbata, in cui poter essere cullata da quel sogno così caldo dai riflessi così veri.

Poteva affermare con certezza che il suo sogno aveva la forma di un cuore, proprio come quella scatola. Era quella scatola, viveva in quella scatola. Ed era un sogno così reale, eppure così fragile; tangibile, eppure così effimero. Le scivolava via tra le mani come quel fiocco rosso, di quel rosso così acceso con il quale avvolgeva strettamente quel suo sogno ad occhi aperti, quella scatola a forma di cuore.

Sorrise e richiuse la scatola attenta a disporre i suoi tesori – i ricordi buoni, quelli che non tentavano di scappare come invece faceva lui- e dispose nella scatola una manciata di petali neri, in modo che loro facessero compagnia al suo ricordo all’interno della scatola.  

Alzò lo sguardo e fissò il suo doppio nella superficie perfetta del grande specchio.

Una ragazza fasciata in un body da ginnastica le restituì lo sguardo, sorrise di nuovo ma il sorriso nello specchio non era il suo.

Lo specchio non sorrideva veramente, la guardava con compassione; guardava quella ragazza illogica divenuta stupida e  cieca che si costringeva a guardare un sogno che non le apparteneva.

Una ragazza che si struggeva e distruggeva contando i petali delle sue infinite rose nere, attendendo quel lui che non sarebbe mai arrivato.

Kodachi si vide, vide chi era veramente.

Un’illusa.

Urlò e la grande casa si riempì delle sue urla ma nessuno accorse, quella casa era troppo grande.

Era prigioniera, prigioniera del suo stesso sogno. Ma come poteva essere possibile? L’aveva creato lei quel sogno! L’aveva creato per fuggire e nascondersi da quella realtà così banale, priva del romanticismo che, invece, appestava con i suoi fumi  favole e racconti. Poteva quello stesso sogno ribellarsi? Non lo sapeva ma le sembrò di annegare.

Guardò lo specchio. Il suo riflesso non  urlava ma la fissava con quel sorriso incerto, così fragile, ma così reale, quello che sembrava strafottente ma che in realtà era solo impaurito; il sorriso che esibiva tutti i giorni.

Osservando il proprio riflesso Kodachi capì e maledì la conoscenza. Con un abile movimento del polso annodò il proprio nastro allo specchio facendolo cadere.

Il rumore del vetro in frantumi coprì la eco del suo urlo e rise.

Rise come mai aveva fatto prima d’ora, così forte e così fragorosamente che lacrime iniziarono a scendere dalle sue guance.

I frammenti sparsi a terra come lacrime di vetro le rimandarono la sua stessa immagine distorta in mille frammenti.

Kodachi si vide mille volte.

 Vide il suo volto coperto dalle lacrime mille volte e mille volte ancora maledì la conoscenza.

Furiosa schiacciò le schegge, si fece male, ma il suo sangue era rosso, rosso come il nastro che chiudeva la scatola – quel suo sogno perfetto, quello che somigliava ad una favola ma che era amaro come il fiele - lo considerò un segno del destino, e scioccamente sorrise, già dimentica delle lacrime.

 

But I'm breaking out
Escaping now
Feeling my faith erode[*]

{Ma sto collassando, fuggendo ora, sentendo la mia fede che si deteriora.}

Uscì dalla propria camera ed osservò il cielo dalla finestra, il tramonto era sparito ora il buio regnava al di fuori del vetro, toccò la finestra e di nuovo la sentì gelida.

Ma perché?

Perché il cielo era scuro?

Doveva essere rosa come la sua scatola a forma di cuore, doveva essere rosso come il nastro che avvolgeva il suo sogno, doveva profumare di rose quel cielo, proprio come i petali che, fedeli, accompagnavano il suo cammino.

In un lampo il cielo diventò roseo, s’illuminò di rosso e le rose profumarono l’aria e Kodachi fu felice, stupidamente felice perché quel cielo sembrava la sua scatola,-  era la sua scatola!- felice perché Ranma viveva nel cielo rosa all’interno della sua scatola a forma di cuore.

***

“Kodachi!”

La voce le arrivò come da molto lontano ma era stanca, non voleva alzare lo sguardo.

Kodachi, Kodachi, Kodachi, Kodachi, Kodachi!

La voce era insistente. Alzò lo sguardo e incontrò quello esasperato di suo fratello.

“Kodachi, finalmente!” Kuno si passò una mano fra i folti capelli castani, “Kodachi perché hai invaso il corridoio con i tuoi petali? “

La ragazza lo guardò senza vederlo veramente. Fissò la finestra che ancora riluceva di rosa e rosso.

“Kodachi, come sei incoerente! Avevi detto che non avresti più tagliato le rose. Perché l’hai fatto?”

Kodachi rise, “Oh, fratello è perché nella scatola ci sono i miei petali. Sai… “ aggiunse poi avvicinandosi. “gli fanno compagnia e lui ama la compagnia dei miei petali, lo so perché dalla scatola non fugge mai.”

Rise, rise forte, e la sua risata echeggiò a lungo in quel corridoio pieno di petali.

  Echeggiò anche in quella stanza cosparsa da lacrime di vetro, la sentì perfino il Ranma all’interno della scatola e rabbrividì quando anche i petali risero con lei.

«Sono stato rinchiuso per settimane nella 
tua scatola a forma di cuore
Fui trascinato nella tua trappola magnetica, pozzo di 
catrame.
» 

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Note della Red_______
Questa fanfiction avrebbe dovuto partecipare ad un contest indetto proprio dal mio mio forum su Ranma, pensate un po'.
Il contest aveva come tema 'l'incoerenza' e come unica clausola quella di utilizzare un personaggio secondario.
Ovviamente, dato che l'uso del condizionale non è un caso, capirete bene la fine che ha fatto il mio povero contest.
Aargh, al giorno d'oggi anche la vita dei contest è dura! °A°
Spero vi sia piaciuta anche se è terribilmente vecchia e fa anche terribilmente schifo  e non è un granchè.

Ah, il primo pezzo di canzone è "Heart Shaped Box" [Da qui il titolo.]dei mitici Nirvana, la traduzione è scritta a fine fanfiction.
La canzone che si trova nella fic è "Hysteria" dei Muse, la traduzione è in grigio e in corsivo poco più in basso.

Alla prossima!

Red.

   
 
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