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Autore: Manuel Lanhart    09/06/2005    2 recensioni
Un incontro inaspettato...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un ragazzo avanzava curvo lungo le stradine deserte di Private Drive, passando oltre la porta con un quattro inciso sopra e gettandovi un’occhiata distratta. Voci e risa fluttuavano mischiate dalla finestra aperta alla fresca brezza della sera.
Quando calava il sole finiva la tortura della sete, lasciando il posto all’agonia notturna degli incubi. L’adolescente dalla faccia coperta di barba mal rasa e pochi brufoli poco si curava dei sogni, per quanto orribili potessero essere, tanto la realtà era peggio. Magari avesse potuto restare per sempre impigliato nella rete di irrealtà che instancabilmente il suo cervello tesseva!
Avanzando nel fresco venticello della sera, il ragazzo fischiava sommessamente melodie –carole- quanto mai fuori luogo in quel quartiere ben curato, in quell’estate così torrida. Era la metà di luglio, e il caldo era soffocante. Quelle carole, le cantava Sirius il natale precedente, felice che non dovesse trascorrere le vacanze solo in compagnia di un elfo svitato e di una madre che continuava a sputare veleno da un quadro a pian terreno. Hermy sarebbe inorridita a quel che il ragazzo pensava dell’elfo, Ron avrebbe riso ripensando alla signora puro sangue di Grimmauld Place, già da qualche settimana in compagnia del figlio nell’aldilà. Inutile, nemmeno il sarcasmo più nero distoglieva il giovane dal rattristarsi.
Un momento davvero bello era stato quando, all’arrivo dell’Espresso al binario, la sua Avanguardia quasi al completo aveva incusso timore nei suoi zii e nel suo cuginastro, con la minaccia di venire di persona a controllare la situazione, se Harry veniva trattato male o non si faceva sentire per più di tre giorni. Ma lui, in fondo, preferiva la compagnia di sé stesso che quella degli altri, dovevano capirlo che non era più un bambino da quando sapeva la verità. Del resto, non aveva sempre sospettato, nella parte più remota del cuore, che la sua vita si sarebbe conclusa ad un’età prematura o che avrebbe vissuto sempre…da diverso? E dopo gli avvenimenti dell’Ufficio Misteri, l’aura di differenza-santità, avrebbe detto Malfoy- si era accresciuta parallelamente alla fiducia che su di lui veniva nutrita sempre più dalla comunità magica. Bello, il destino, quando aveva bisogno di essere creduto, aveva dovuto convincere una giornalista svitata a dargli il giusto spazio per un’intervista, e adesso che voleva essere lasciato in pace –“diamine”! Aveva fatto fin troppo, ora voleva riflettere.
Sempre fischiettando canzoni fuori stagione, Harry si ravvivò i capelli, e raggiunto il parco, o meglio quella sezione di verde e altalene che il cugino e la sua banda non avevano distrutto per qualche motivo oscuro, si sedette e prese a dondolarsi distrattamente. Era ormai tradizione assodata che i suoi ultimi giorni di anno scolastico su a Hogwarts fossero parecchio movimentati per cause che potevano essere riassunte nelle dita di una mano: Voldemort, Mangiamorte, Male all’opera. E nel giro di pochi attimi, di un breve movimento di bacchetta, di parole urlate e raggi colorati lanciati, cambiava il senso di una vita, a meno che questa non venisse privata anche della più intima…ragion d’essere.
Sirius.
E pronunciare quel nome con lenti movimenti delle labbra senza che alcun suono fuoriuscisse dalla bocca, era il dolore fatto persona. Col piede scavava la terra alla base della giostra, dove già i piedi di mille bambini, felici, scalpitavano di fare anche loro un giro, come segnando il suolo di un marchio che era l’essenza stessa della gioia. Il cigolio della catena fece sobbalzare Harry: ogni rumore attutito, lontano, sinistro, era per lui il tremolio dell’anima: cosa poteva essere? Il respiro di un dissennatore? I passi strascicati di un mago oscuro? O solo Codaliscia che era venuto a portarlo dal beneamato padrone?
“Via”!
Si disse, era il momento di smetterla di fantasticare. Aveva sofferto fin troppo in quei giorni, era il momento di guardare avanti, anche se verso un futuro più vuoto, altrimenti il quinto anno sarebbe apparso una gita alla Tana, in confronto a quello che l’avrebbe aspettato, se non si fosse sforzato di vivere. C’erano gli amici, c’erano i Weasley, c’era Silente e la fiducia che una scuola e una comunità magica riponevano in lui…
“C’è voluto un anno per convincerli! Figurarsi se qualcuno ancora stenta a credere al ritorno di Voldemort. Cosa pretendono? Di vederlo bussare alla porta delle loro case, come fece con i miei genitori?”
La smorfia di disgusto che gli deformò i bei lineamenti del viso attrasse l’attenzione di una ragazza che già da qualche minuto l’osservava, nascosta dietro una siepe. Naturalmente, come tutti nel quartiere, sapeva bene chi aveva davanti, e del resto l’aveva visto più e più volte, durante quell’estate, camminare a testa bassa lungo i viali della zona, sempre da solo, sempre un’espressione corrucciata, mai un sorriso. Lei conosceva pure il cugino, Dumbly o Dursley o qualcosa del genere: non esisteva essere più disgustoso sulla faccia di Londra. La semplice fantasticheria di venire sfiorata da quel suino la fece rabbrividire.
Per l’ennesima volta fu tentata di avvicinarsi a Harry, ma finora non aveva trovato coraggio sufficiente per farsi avanti. Non le importava delle voci che sarebbero girate, ma quel ragazzo era…strano. E forse per questo intrigante.
- Puoi venire avanti, sai?
Quelle parole la colpirono come i coltelli di un giocoliere del circo. Rimase interdetta, per poi percorrere a passi lenti uno stretto passaggio tra le siepi. L’aria fresca della sere fece frusciare alcune fronde contro i suoi jeans bianchi.
- Parlavi con me?
Harry aveva smesso di dondolarsi e si era alzato andandole incontro. Un sorriso lo illuminava, cambiando notevolmente il suo aspetto.
- Non vedo nessun altro - disse. - Comunque ti ho vista da un pezzo...
Lei arrossì suo malgrado, sentendosi quanto mai ridicola. -Ehm…è che…non so, pensavo di disturbarti…- aggiunse in fretta, -Eri immerso in profonde riflessioni, credo.- Come balla non suonava così male, dopo tutto.
- Non preoccuparti- la rassicurò Harry accentuando il sorriso. -Io sono Harry Potter, lieto di conoscerti-. La ragazza gli strinse la mano. -Io sono Lily…Lily Smith. Che ho detto?-, domandò sorpresa, avendo visto l’altro sobbalzare e diventare pallido.
- N-niente, niente, scusami! Quel nome…il tuo nome mi ricorda una persona cara.
- Ah, beh, - disse Lily sollevata - non è un nome raro, poi.
“Che figura!, pensò Harry aggiungendo un’imprecazione poco elegante. Accidenti alla mia timidezza!”
Era meglio passare ad altro. - Sei da sola qui?
- Si. Sai, a casa non c’è niente da fare, e i miei amici sono tutti in vacanza. Per ingannare il tempo ogni tanto vengo a fare una passeggiata. “Questa è la serata delle bugie, vero, Lily?”
- Ti andrebbe di farmi compagnia? - osò Harry, intimidito ma in fondo rincuorato. D’incanto, la voglia di stare solo era svanita. La ragazza non era niente male! Si soffermò a guardale gli occhi azzurri, su cui ricadevano capelli rossi. “Chissà che ne direbbe Ron…” Era alta quasi quanto lui e dal fisico atletico. Probabilmente praticava qualche sport.
Harry attese un cenno d’assenso da Lily e si spostò cedendole il passaggio; la seguì fino ad una panchina semidivelta dal divertimento sregolato di Dursley e della sua banda, e si sedette accanto a lei.
Dopo pochi, imbarazzanti attimi di silenzio, Lily disse:
- Sei nuovo di qui? “Brava, brava, continua così”.
- Oh no, ci vivo da quando sono nato…ma i miei parenti…diciamo, prima d’ora non mi facevano uscire spesso.
- Ti capisco. Anche i miei genitori sono tipi apprensivi. “Lily, non andare lì”, “Lily non andare là”, “Lily, prendi i voti e fatti suora e stattene a casa”! - Con suo grande piacere, Harry rise, e fu proprio un bel ridere, secondo lei.
Un grillo cominciò a cantare alla sera, su un ramo sopra di loro, mentre la brezza aumentava piacevolmente. Harry non potè non notare che come lui, anche Lily aveva una massa di capelli ribelli, impossibili da tenere ordinati. E il colore, poi, ricordava quello del sole al tramonto. Ops! Si accorse di starla fissando da un pezzo.
Lei non si era accorta di niente, o almeno sembrava. - Dove vivi?
- Private Drive numero 4 - rispose lui con prontezza, come se stesse recitando una formula usuale. - Non lontano dal parco.
- Si, ho capito. Io invece vivo dalla parte opposta, in Albion Avenue… - lasciò la frase in sospeso perché un rametto al suolo si era spezzato in un punto imprecisato attorno alla giostre, spezzato da qualcuno. - …un agglomerato di case chic, popolate da uomini chic e mogli altrettanto chic, fiere del loro giardinetto, l’unica occupazione decente della loro vita.
- Un ritratto fedele della mia adorata zietta, Petunia, se aggiungi anche l’hobby di origliare il vicinato. - Tuttavia Harry, pur sentendo il riso argentino della ragazza, non gioì, perché pensava ai segreti della zia e alle domande che dall’estate precedente che avrebbe voluto rivolgerle.
- …e mio padre invece…Harry, mi stai ascoltando?.
- Eh si scusa! Questa volta ad aver distratto il ragazzo fu un risolino mal represso, che era echeggiato al di là della staccionata di confine del parco. Riportò l’attenzione su Lily.
- Mio padre è un giornalista, lavora per il Sun, e si occupa di economia, mia madre invece, da degna abitante di questi luoghi, - disse in tono pomposo, - fa la casalinga, e non è capace nemmeno di gestire una casa. Immagino che se avessi avuto dei fratelli o delle sorelle, sarebbe fuggita alla nostra nascita!
- I miei genitori sono morti in un incidente stradale quando io ero ancora neonato, e gli unici parenti che mi erano rimasti sono i Dursley; mi hanno affidato a loro subito dopo la loro morte. “Non posso che mentire Lily, mi spiace”. Fu sul punto di toccarsi per istinto la cicatrice, nascosta da una ciocca fuori posto, ma si bloccò.
- Mi spiace, Harry, non potevo saperlo. - Il suo imbarazzo parve sincero, e lui gliene fu grato. Occorreva di nuovo cambiare argomento. Ci mancava poco che gli chiedesse dove studiava! Glielo avrebbe chiesto di certo, ma in quel momento era meglio evitare.
- Domani potremo incontrarci e conoscerci meglio, ti va? - chiese lui con un tono più supplichevole di quanto si fosse aspettato.
Lily fu spiazzata li per lì dalla domanda, ma alla fine annuì. - Credo che tu abbia ragione, altrimenti i miei s’arrabbiano di brutto. “Ti ho già annoiato?”
- Sono stato davvero bene con te, mi sembri molto simpatica, - Harry cercò di recuperare le redini della situazione, per cancellare l’immagine di scortesia che si era appena creato. Non si era mai pentito come in quell’istante di essere mago. “Spero di non averla offesa…” - Anche per me è ora di rincasare, o zia Petunia mi sottoporrà alla Corte Suprema - aggiunse in una pessima imitazione di Lily. “Che idiota!”
Si alzarono e raggiunsero l’ingresso del parco. Nessuno si vedeva da una parte e dall’altra della strada.
- Ti posso accompagnare, Lily?
- Oh, non preoccuparti, grazie! - esclamò raggiante. Il suo umore migliorò, e ciò non sfuggì a Harry. - E’ stato un piacere, mister Potter - gli strinse la man come un ufficiale dell’esercito, dopodichè si baciarono sulle guance.
- Anche per me…Domani qui alle dieci?
Lei finse di pensarci un attimo, nonostante le fosse chiara la risposta. - Nessun problema! A domani, ‘notte.
Harry la osservò finchè non ebbe svoltato l’angolo in fondo ad una ripida discesa, e ancora interrogandosi su come avrebbe fatto l’indomani a intavolare una conversazione con lei senza svelare i propri segreti, si voltò ringhiando:
- Potete venire fuori, razza d’idioti! - La mano corse subito alla bacchetta tenuta nella tasca posteriore dei pantaloni.
Un coro di risate divenne sempre più distinto via via che Dudley e il resto della combriccola sbucarono da una catasta di legna e copertoni abbandonati che erano stati gettati non lontano da dove Harry si era intrattenuto con Lily.
- Che c’è? Hai un’amichetta adesso, Harry caro? - disse sarcastico il cugino.
- Va via, maiale troppo cresciuto!
- ”Posso accompagnarti?”
- ”Sono stato bene con te”
- Ho detto che dovete tacere! L’urlo non sortì alcun effetto.
- Si, state zitti voi - convenne Dudley gridando ai ragazzi che avevano parlato. - Me la sbrigo io con lui, non preoccupatevi. Ci vediamo domani da te, Harold, d’accordo?
Un ragazzo basso e tarchiato con un paio di enormi occhiali da sole sulla testa annuì a quella che sembrava più un’intimazione che una domanda, mentre si allontanava con gli altri raggiungendo le biciclette.
- E ora a noi due, Potter!
- Che diavolo vuoi? Non hai malmenato abbastanza bambini da soddisfare i tuoi istinti primordiali, cugino?
- Non potrei mai stancarmi di prendermela con te, anche se c’è di meglio con cui sporcarsi le mani - sorrise in un modo che inquietò Harry.
- Allora, chi era quella?
- Un’amica. Ma cosa t’importa? - disse l’altro cominciando a spazientirsi, le mani ancora poggiate sulle bacchetta. La pressione della punta sulle dita quasi lo rassicurò, ben sapendo comunque che gli era proibiti fare incantesimi in quell’anonima strada inglese.
- Il fatto che parli con qualcuno all’infuori di me, mamma e papà, è un evento da segnare in rosso sul calendario, e - concluse fissandolo negli occhi verdi - tu lo sai bene.
Una fitta di rabbia e rimorso attanagliò lo stomaco di Harry: si, conosceva bene la solitudine, ci aveva familiarizzato negli ultimi mesi, soprattutto in Giugno, dopo la chiusura estiva della scuola, anche se aveva fatto di tutto per non far notare al cugino il peso di quanto doveva sopportare.
- Stanotte hai intenzione di continuare a chiacchierare nel sonno?
- Che vuoi dire? - mentì Harry, prevedendo già la risposta dell’odiato parente e incamminandosi in direzione di casa: litigare con lui era l’ultimo dei suoi desideri, per rovinare quella minima parvenza di serenità che Lily era riuscita a trasmettergli. Voleva tornare al numero quattro di Private Drive allegro, una volta tanto.
- L’anno scorso quel Diggory, ora un certo Sirius…credo proprio che se i tuoi amichetti muoiono uno dopo l’altro - disse Dudley tallonandolo. - Rimarrai solo soletto pure nella tua stramba scuola.
- Sempre meglio che essere destinati a vendere trapani per tutta la vita, giusto, cugino? - ironizzò Harry guardandolo in faccia e poi riprendendo a camminare.
- Sempre meglio che continuare a strisciare soli da perdenti, stupido, sempre meglio che piangere ogni notte come un matto, perché nel tuo mondo succedono cose assurde e tu ne sei spesso al centro. Chissà come mai, però la cosa non mi stupisce.
Harry si fermò, dandogli le spalle. - Non esagerare adesso. - Le parole vennero scandite lentamente.
- Immagino che tirerai la bacchetta, dato che non sei capace di…
Non terminò la frase perché un pugno di Harry sulla bocca glielo impedì. Dudley perse l’equilibrio e cadde sull’asfalto; un rivolo di sangue gli uscì dal labbro inferiore, bagnò il mento e gocciolò a terra quando lui tentò di rialzarsi prontamente. Afferrò il mago per il collo, lo sollevò di pochi centimetri dal suolo mostrando una forza incredibile e lo lasciò andare di colpo, mandandolo a seguire il suo esempio: Harry atterrò sulle ginocchia, ma non voleva mostrarsi debole. Tornò a fronteggiare Dudley, i cui centimetri erano più abbondanti sia in altezza che in larghezza, e imprecando gli sputò in volto.
Lo stupore trattenne il cugino per una manciata di secondi, prima che cercasse di colpire Harry con un pugno anche se invano, perché quello aveva estratto la bacchetta. Vedere la sottile asta di legno puntata contro di lui fu un avvertimento sufficiente.
- C’era da a-aspettarselo, codardo - balbettò. - Non sai difenderti a mani nude.
“Non voglio sfogarmi su di te, non te lo meriti.” - Va al diavolo, Dursley, stammi alla larga, o ti ritroverai con un piede che ti penzola dalla pancia.
Lasciando il cugino con un’espressione allibita e spaventata, Harry riprese il suo percorso.
  
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