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Autore: Geneviev    25/10/2009    5 recensioni
Una breve storia. Breve, come la vita di un'insignificante creatura. La storia di sopravvivenza, di fame e di passione, di un'inumana creatura e della sua preda.
Con un finale sorprendente!
Genere: Demenziale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Insignificante creatura

Era bellissima. La creatura più bella che avessi mai visto. Ed era così piena di vita. Potevo vedere il fuoco dentro quel corpo stupendo, vedevo il calore che dentro di lei viaggiava. Lo distinguevo chiaramente con i miei occhi inumani al buio della notte inoltrata.

La brezza estiva che entrava dalla finestra muoveva appena le lenzuola di seta su cui era adagiata, il tessuto blu scuro accarezzava quella pelle perfetta, liscia, che odorava di vaniglia. Oh quanto avrei voluto essere quell’alito di vento, per poterla accarezzare.

Era così preziosa quella pelle, appena dorata dalla luce del sole della prima estate. Una luce che io non potevo sopportare.

Era nuda, sopita dolcemente nel sonno. Alle mie spalle i raggi della luna pallida e malata, attorniata dalle sue piccole ancelle, cercavano di entrare nella stanza come avrei voluto fare io. E invece rimanevo lì, sciocca creatura poggiata al davanzale della finestra, a fissare quel corpo flessuoso coricato su un fianco e quei vaporosi capelli biondi sparsi sul cuscino. Com’erano belli quei capelli, così luminosi e soffici. Anche loro profumavano di buono. Era invidia la mia?

Poi lei si spostò, muovendosi nel sogno, e dai suoi polmoni uscì un sospiro delicato. Si mise supina, mostrandomi le morbide curve del seno spoglio, il fragile tendine del collo. Oh soave dannazione, il suo odore arrivò fino a me e ne fui colpito come da un pugno. Volevo il suo sangue.

Lo sgradevole odore che prima copriva quello di lei se n’era andato, l’unica cosa che mi divideva da quel corpo pieno di nutrimento per il mio freddo e oscuro essere. Un acre incenso, come i fiori d’aglio che si appendevano alle finestre per tenere lontani i Vampiri.

Mi voltai a osservare le luci artificiose del litorale, da lontano arrivava il chiasso della spiaggia ancora piena di vita. Erano luci create dagli uomini ed erano così brillanti e potenti da uguagliare e, io credevo, superare quella del giorno, ma erano luci fredde, luci della notte. Erano le mie luci.

E quelle persone non volevano andare a dormire, sfidavano le tenebre. La musica non era stata spenta, la gente si muoveva ballando ubriaca di alcol, con i capelli spettinati e la pelle sudata.

Quel mondo non aveva attrattiva per me. Io sentivo quel forte odore di sangue, quel corpo armonioso mi chiamava con il suo calore. La volevo.

Mi spostai appena sul davanzale e finalmente entrai, volando lentamente sopra di lei, alzandomi fino al soffitto. Ruotai la testa per guardarla. I miei sensi impazzivano, i miei occhi vedevano i fiumi caldi di linfa che scorrevano dentro i tubicini delle sue vene, sotto quella pelle tanto sottile, tanto invitante.

Profumo di sangue, di vita, di passione. Fissai quel corpo nudo, caldo e appetitoso, quelle morbide forme di donna. L’avrei morsa ovunque. Sul collo, sulle gambe, sui fianchi, sui piedi, sulle braccia, sulla pancia, sul viso. Era irresistibile agli occhi degli uomini quell’attraente confezione di carne morbida e liscia pelle profumata, che conteneva prelibato nettare magico. Era bellissima, lo sapevo, ed io non riuscivo più a resistere alla fame, all’attraente odore di sangue che emanava quel corpo perfetto.

Bramavo saturarmi la bocca di quel sacro liquido, riempirmi fino a scoppiare, a non poterne più contenere. Sentirmi il corpo ebbro di quell’ambrosia color rubino, colmarmi fino a farmi sentire male. Come un vaso che trabocca di viscido e caldo orrore, io volevo traboccare di vita, della sua vita. Che scaldasse ogni mia cellula.

Sentivo il desiderio di affondare i miei denti in quella carne morbida, trapassare quella pelle con tanta avida delicatezza che non se ne sarebbe accorta, non se ne accorgeva nessuno. Le avrei fatto male forse, irritatandola con il veleno della mia bocca, ma la fame è una bestia feroce, non si può addomesticare, specialmente la fame di una creatura come me. E' il nostro modo di sopravvivere.

Scesi lentamente su di lei, come un petalo delicato che discende verso la terra, e mi posai sopra il suo corpo caldo e fragrante. Affondai i denti senza riuscire più a trattenermi, morsi la sua pelle gustosa e arrivai a sentire il sapore estatico del suo sangue.

Ma poi… qualcosa di sbagliato… si mosse… la sua mano…

SCIACK!

 

 

 

 

 

* STORIA DI UNA ZANZARA MORTA SPIACCICATA *

   
 
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