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Autore: RickishMorty    27/10/2009    6 recensioni
La mia personale interpretazione dell'infanzia e di una parte dell'adolescenza di Fenrir Greyback. Questo personaggio mi affascina ed incuriosisce, purtroppo è stato analizzato pochissimo dalla Rowling, ma ho comunque deciso di scrivere una storia su di lui. Grazie a chiunque leggerà!
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Fenrir Greyback
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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FlashGreyBack


“Raccontami la tua storia…”
“Non ti piacerebbe…”

Il bambino camminava per la foresta. Aveva vestiti laceri e strappati, sporchi di fango, terra ed erba.
Le maniche della sua camicia erano tirate in su, e sulle sue braccia si vedevano i primi accenni dei muscoli che si stavano formando. Coperti da grandi lividi violacei…
Camminava, calciando ogni tanto qualche sassolino… Tenendo in mano una sacca marrone.
Si abbassava non appena trovava una ghianda, una noce o qualche fungo commestibile, inserendolo nella sacca.
Aveva le nocche delle mani arrossate e graffiate, e ogni volta che stringeva le mani, sotto alla pelle si potevano vedere i capillari rotti.
Le sue sopracciglia erano corrucciate, e i suoi begli occhi grigi erano rivolti verso la terra, verso i suoi piedi nudi che alzavano piccoli sbuffi di polvere.
Ogni volta che poteva usciva da quella casa, diretto non importa dove, non importa perché, ma FUORI.
Il bellissimo, meraviglioso fuori…
Il mondo che sembrava meno brutto in una giornata di sole nella foresta.
Si piegò a raccogliere un’altra nocciola, voltandosi di scatto… Aveva intravisto un’ombra dietro ad un albero, muoversi velocissima.
Non era la prima volta.

“MUORI! MUORI MUORI! MUORIIII!!!”
Uno specchio si infranse. Vetri si sparsero ovunque catturando milioni di angolature di quella scena orribile.
Il ragazzino sotto ad un tavolo attaccato al muro.
La madre che urlava con le lacrime sul volto, con una mano sporca di sangue.
Il padre che stava davanti a lei, tenendola per i capelli, tirandoglieli talmente forte da strappargliene quasi ciocche intere.
Uno schiaffo violentissimo sul volto della donna.
Le urla della madre riempivano la stanza, insieme al rumore dei vetri infranti schiacciati sotto ai loro piedi.
La donna graffiava il volto dell’uomo, tirandogli pugni in pieno petto, ricevendo altri schiaffi.
Schiaffi, pugni, calci, urla, gemiti, morsi, sangue e schegge.
Il ragazzino si teneva la testa tra le mani, intravedendo tra le dita la scena. Guardò per terra, la paura gli aveva provocato un’asma incessante, respirava talmente veloce che si poteva vedere il suo petto sobbalzare.
Si graffiò il volto, tentando di concentrare tutta la sua mente, tutta la sua essenza su altro, ma non questo.
Ma riusciva ancora a sentire la madre…
“MUORI BASTARDO!! MUORI! MUORI! VAI VIA SPARISCI SCOMPARI! MAI Più MAI Più”
L’uomo la buttò per terra, tirandole un libro addosso, e poi un altro, e un altro ancora.
Fenrir riconobbe i suoi libri di scuola volare sul volto e sul corpo della donna.
Intravide il titolo “Trasfigurazione per il I anno”.
La donna se ne andò in un’altra camera, continuando ad urlare, tenendosi una mano sopra al volto.
Il ragazzino saettò con gli occhi verso il basso, stringendosi la testa tra le mani. Terrorizzato.
Sentì dei passi avvicinarsi, dei passi lenti… Diretti verso di lui.
Riusciva a distinguere ogni singolo battito del suo cuore, unico altro rumore oltre a quello delle scarpe dell’uomo.
Vide un’ombra davanti a se, sostituita subito dagli stivali dell’uomo.
Alzò lievemente lo sguardo… Vedendo il padre piegato verso di lui, che lo fissava.
Spalancò gli occhi.
“… Ciao figliolo”
Il suo respiro si mozzò quando vide una mano aprirsi verso di lui. Scattò verso destra, cercando di uscire da sotto il tavolo; ma una mano l’aveva già afferrato per i capelli, rigettandolo a terra e facendolo sbattere a una gamba di legno.
“NO NO! NO” sentì un calcio arrivargli dritto sui denti, e il sapore metallico e dolciastro del sangue diffonderglisi in bocca.
Da quanto lo conosceva quel sapore…?
Urlò di dolore, a denti stretti e con una mano davanti alle labbra, prima di tacere all’improvviso: un calcio in pancia era riuscito a mozzargli le grida.
Si rivoltò a pancia in sotto, cercando di reggersi sulle proprie braccia… Dalla sua bocca usciva sangue e saliva.
Sentì un altro calcio arrivargli da sotto, dritto nel ventre, fra le costole.
Tossì, sputando ancora, crollando definitivamente a terra.
“Fai un trucchetto… Andiamo avanti… Fai un trucchetto di magia… AVANTI”
Un altro calcio, il ragazzino quasi non respirava più…
Ansimando, alzò leggermente il viso; le sue labbra erano sporche di sangue e il suo sopracciglio era spezzato. Guardò il padre, cercando di catturarne l’espressione.
Era un sogghigno… Un sogghigno che si alternava ad una rabbia che esplodeva con le parole…
Quando vide i suoi occhi se li impresse nella mente per sempre, per sempre. Aveva conosciuto la follia, stavolta per davvero.
“Sorprendimi…”

Qualche raggio di sole entrava dalla finestra, diffondendosi flebile nella piccola casa…
Solo due persone si trovavano nell’abitazione in quel pomeriggio di inizio autunno.
Una donna stava rattoppando dei pantaloni marroni, mentre un ragazzo di 12 anni stava aggiustando una mensola sul tavolo della cucina. Era all’ultimo chiodo da attaccare, poi avrebbe finito il lavoro.
Finito.
Andò nel soggiorno, pronto ad attaccarla; non guardò nemmeno la madre, e lei fece altrettanto.
Prese il martello dalla tasca, staccando un chiodo dal bordo della sua camicia, attaccandolo al muro.
Stava per ripetere l’operazione, quando venne sorpreso da una domanda.
“Quando tornerai in quella scuola?”
Col chiodo a mezz’aria il ragazzo aspettò un momento prima di rispondere.
“Tra qualche settimana” cominciò a battere il martello.
“… Vuoi davvero andarci?”
Non lo sapeva. Voleva andarsene da lì. Ma l’atmosfera che provava in quella scuola… Era pesante, lo era per forza
“Si”
La donna lo guardò, coi suoi profondi occhi color oro vecchio.
“E allora vedi di morirci”
Un nodo si formò spontaneo nella gola di Fenrir. Anche la sua mano si era fermata, come il suo cuore aveva perso un battito. Per poi ripartire entrambe.
“Maledetto”
Stavolta si fermarono, più a lungo. Ma le parole della donna no.
“… Maledetto. Demone. Demonio. Bestia, stortura”
Un’espressione di disgusto deformava il viso della madre, che guardava il figlio, con lo sguardo fisso sul muro.
“Sai perché non ti abbiamo ucciso vero?”
Silenzio dall’altra parte.
“Per il solito motivo… La forma, il bon ton… Il carcere no? Ogni assassino ragionerà così immagino… Prima di fregarsene”
Il ragazzo voltò lievemente il viso.
La donna scosse la testa, come con rimpianto.
“Pensare che tuo padre ci è andato così vicino…”
Strinse il martello…
“Un mago… Mpffr… Meglio un assassino… Sarebbe più umano di te”
Si girò completamente verso di lei, a denti stretti, graffiando il legno del manico del martello con le unghie, strette fino allo spasmo.
Solo per non soddisfarla… Solo per non farla contenta… Non commise un omicidio quel giorno.

Era andato al villaggio. Doveva fare delle commissioni: comprare il pane, pagare il merciaio e consegnare una lettera al notaio.
Tossendo si diresse dal fornaio, stringendosi di più la sciarpa marrone al collo.
Passò davanti al fioraio, sentendo l’odore dei gigli e dei tulipani… E vedendo una ragazzina. Rallentò inconsapevolmente il passo, fissando la figura minuta.
Aveva dei lunghi capelli castano chiaro, e dei grandi occhi color cioccolato. Portava un vestito a fiori che le arrivava alle ginocchia, lievemente sbucciate.
Giocava con una margherita… Ne contava i petali senza strapparli, seduta su un muretto, agitando le gambe.
Il ragazzino sentì un piccolo sorriso spuntargli sul viso…
La bambina alzò gli occhi, guardandolo. Immediatamente il bambino voltò lo sguardo, tirando dritto, non sentendo poi più così freddo…

Era una giornata umida, tropicale. Fenrir stava fuori dalla baracca, sul rialzo in legno che era l’ingresso di casa.
Era seduto sulla balaustra, scalfita dagli agenti atmosferici.
Affilava una statuina, ovviamente di legno; erano circondati da legno ai margini di quella foresta. Era una rudimentale raffigurazione di un lupo: adorava quegli animali… Selvaggi, forti, bellissimi e misteriosi. Ma soprattutto, agivano in branco. Niente era più importante del gruppo per i lupi. Aveva sentito di branchi che attaccavano tutti insieme, diventavano invincibili con strategie che riuscivano a battere i fucili dell’uomo.
Niente era più importante dell’unità, della famiglia…
Il ragazzo si morse le labbra.
Scosse la testa, mettendoci improvvisamente più forza nel maneggiare il coltello.
Corrucciò lo sguardo. Tra poco sarebbe dovuto andare a raccogliere delle pannocchie nel campo vicino. Suo padre gli aveva detto che quella sera a cena ci sarebbe stata una sorpresa…
Fen scese, scansando coi piedi le varie bottiglie di alcolici lasciate lì da suo padre. Prese un sacco, lasciando giacca e sciarpa a casa. Non ne aveva decisamente bisogno in quella calura fastidiosa.
Era decisamente tardi, aveva perso la cognizione del tempo intagliando: erano le sei, ci avrebbe messo almeno un’ora per arrivare lì al campo. Cominciò a correre, pensando che almeno sarebbe stato più facile rubare le pannocchie con l’aiuto del buio.
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Ansimava, aveva il fiatone per quanto aveva corso. Eppure erano le 7 meno un quarto, aveva risparmiato solo un quarto d’ora… Doveva muoversi, per una volta che sarebbe successo qualcosa di bello…
Riprese a correre, infilandosi nella folta schiera di spighe. Respirava rumorosamente, scansando dal proprio cammino le messi biondeggianti. Per quanto poteva vedere al buio perlomeno.
Oramai era quasi notte e l’aria della sera era calata, cacciando via l’afosità che aveva posseduto il giorno.
Per un attimo Fenrir pensò di rinunciare… Ma sapeva benissimo cosa sarebbe successo se non avesse accontentato suo padre.
Alzò lo sguardo: una grande e tonda luna piena illuminava il tutto.
Ad un tratto si fermò: aveva sentito un rumore. Come qualcuno che correva. Si guardò intorno, girando su se stesso.
Corrucciò lo sguardo, cercando di concentrare i sensi sull’udito e sulla vista…
Forse… non era niente...
Deglutì, voltandosi nuovamente verso la direzione giusta, orientandosi con la luna.
C’era il silenzio, tranne i fruscii provocati dai suoi movimenti.
All’improvviso lo sentì chiaramente: un corpo che si muoveva, veloce, rapido. Improvvisamente ebbe paura di non riuscire ad arrivare al campo… o di tornare a casa.
Si girò di scatto: un’ombra.
Ricominciò la sua corsa, diventata folle, lasciando cadere il sacco.
Scostava violentemente la folta foresta di spighe davanti a se, correndo, rapido. Stava per inciampare, ma non poteva. Non poteva.
L’avrebbe raggiunto.
Sentiva qualcuno correre dietro di se, ne sentiva il respiro forte e rumoroso, e sentiva il proprio, terrorizzato e affannato…
Ad un tratto cadde, sentì il viso incontrare la terra ruvida e polverosa. Si mise immediatamente in piedi, voltandosi di scatto all’indietro.
Nessuno.
Respirava affannosamente, per la paura e la stanchezza. Strinse gli occhi, cercando di individuare un qualcosa davanti a se.
Non c’era niente.
Si mise una mano sul cuore, sentendolo pompare impazzito. I battiti gli rimbombavano nelle orecchie e in testa, mentre non riusciva ancora a regolarizzare i respiri…
Improvvisamente ebbe una strana sensazione. Un sesto senso.
C’era qualcosa dietro di se.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime.
Si voltò, lentamente, e vide il suo destino.
Spalancò gli occhi, e i battiti si interruppero.
Nei suoi occhi si rifletteva una figura immensa che lo sovrastava, ne uomo ne animale, ma entrambi, uniti in un ibrido spaventoso.
Una massa scura, grande, imponente, con gli occhi assetati di sangue e le zanne che scintillavano nella luce lunare.
Un licantropo.
La bestia si avventò su di lui, e Fenrir sentì il dolore più acuto provato finora: sentì i denti del lupo mannaro addentargli il collo, perforargli la carne ed i suoi artigli graffiargli le braccia, lacerandogli i vestiti.
Le lacrime andarono a rigargli le guance, e i suoi occhi grigi erano dilatati e immobili, fissi sulla luna.
Era come paralizzato, dal dolore e dal terrore che circolavano come droga nel suo sangue.
La bestia si staccò e un altro morso si incise sul suo petto.
Il ragazzo urlò, sentendo il suo corpo lacerarsi, ancora, ancora e ancora.

Avanzava strascicando, tenendosi un braccio con l’altro.
Aveva la sensazione che il sangue non avesse mai finito di sgorgare dal suo corpo, dal numero indefinibile di ferite che aveva…
Il suo sguardo spento era rivolto verso il basso, tremava e gli battevano i denti.
Si, aveva perso troppo sangue. Sentiva troppo freddo.
Strascicava una gamba, ferita anche quella.
Si stava meccanicamente dirigendo verso casa. Quando il licantropo all’improvviso se n’era andato, nel momento in cui si accorse di vivere ancora, una sola parola appariva nella sua mente: casa.
Si era alzato, senza una parola ne niente.
Lo shock nel quale la sua mente era immersa impediva ogni tipo di pensiero legato alle emozioni.
Se si fosse potuto vedere avrebbe urlato di nuovo. Era pieno di graffi, tagli e sangue. Dei lividi si stavano già formando sulla sua pelle, sotto i vestiti, quasi completamente strappati.
I suoi occhi erano fissi e smorti, guardavano verso il basso. Erano privi di qualsiasi luce.
Sentì un urlo di donna in lontananza, ma non ci diede quasi peso. Era come in una specie di trance. Non aveva più effetto niente.
Un vago odore di fumo aleggiava nell’aria…
Una risata, folle e cattiva, che conosceva molto bene echeggiò nella foresta…
Alzò lo sguardo.
Vide delle fiamme innalzarsi tra gli alberi.
Zoppicando avanzò più velocemente, sentendo un’improvvisa forza diffondersi nelle membra.
Superò la fila degli alberi che lo dividevano dalla sua casa.
E la vide in fiamme.
La baracca dov’era nato, cresciuto, l’unico luogo insieme alla scuola in cui aveva un posto, stava bruciando in un rogo immenso.
Rimase a bocca aperta, con gli occhi dilatati.
Non era possibile.
In un guizzo vide una figura dentro la casa.
… No.
No no no no no NO NO NO NO NONONONONONONO.
“MAMMAAAAAAAAA”
Urlò, impazzito, sentendo per l’ultima volta le grida della donna.
Cominciò a correre verso le fiamme quando sentì un forte colpo al fianco. Cadde a terra, sputando sangue. Il calcio era arrivato su una delle tante ferite…
Alzò lo sguardo e vide il sogghigno malato e perverso di suo padre.
Scosse la testa, piano, più volte, rendendosene conto: sarebbe diventato come lui, ora aveva il suo stesso sguardo, ne era sicuro.
L’uomo lo prese per i capelli, alzandolo da terra: nel suo sguardo bruciavano le fiamme che lui stesso aveva appiccato.
“Piaciuta la sorpresa?”
Un’altra risata squarciò la notte, squarciò l’anima, squarciò il cuore, squarciò la mente.
E si interruppe.
L’uomo guardava il figlio sconvolto, con gli occhi spalancati. Non diceva niente. Abbassò semplicemente lo sguardo, incontrando il braccio del ragazzo che gli era entrato direttamente nel petto, sfondandolo.
Un rivolo di sangue usciva dalla bocca del padre, che osservava la causa della sua morte: un braccio che cresceva in continuazione, come gonfiandosi di muscoli e coprendosi di peli.
Una forza irresistibile scorreva nel sangue del lycan.
L’uomo guardò per l’ultima volta il figlio, assistendo alla sua prima trasformazione: il suo viso si allungò, trasformandosi in un muso. I suoi occhi cancellarono la sclera bianca, allargandosi e riempiendo l’orbita; come quelli di un animale.
Il suo corpo subì la stessa sorte del braccio, diventando sempre più grande.
Le sue unghie divennero artigli e i suoi denti zanne.
La sua anima era divisa per sempre.
Un urlo umano uscì dalle sue fauci per poi concludersi in un lungo ululato.
Guardò l’uomo, azzannandogli il viso.










  
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