Martedì
L’aria della mattina era leggermente più fresca del
giorno precedente e faceva venire la pelle d’oca alle gambe delle giovani
studentesse che, vestite con le loro belle divise blu, camminavano compostamente
sul marciapiede, le cartelle che dondolavano tra le mani o appese alle spalle.
Il rumore del loro chiacchierare vacuo era spesso coperto dal rombo del motore
delle automobili che si muovevano nella strada, sole e cupe.
In mezzo a quel buio, la scuola, dietro la quale si vedeva spuntare il cerchio
dorato del sole, sembrava l’unica ancora di salvezza per le anime perse. Il
viale ordinato e silenzioso venne invaso da un’orda di
ragazzi e ragazze, per niente preoccupati di poter in qualche modo rovinare quell’aura quasi arcana che si era creata, tra il vento che
soffiava dolcemente nelle aiuole.
«Etchì» starnutì
leggermente Miyon, posando una mano sulla bocca. «Accidenti, ho preso il
raffreddore…» Tirò davanti la cartella per recuperare un fazzoletto.
«Salute» disse Yami, senza apparire.
Non aveva intenzione di disturbarla anche quel giorno.
«Che se ne va» aggiunse lei
scontrosa.
«Tutta colpa tua, che mi hai fatto prendere freddo
ieri sera»
«Non sapevo che fossi così leggerina…» sbuffò lui.
Non aveva voglia di litigare di prima mattina.
«Cosa ti succede?» Miyon
sistemò la sua cartella marrone anche sull’altra spalla, mentre le sue compagne
la superavano per unirsi al fiume degli altri studenti.
«Niente» rispose Yami immediatamente.
«Non mentire» ribattè lei,
cambiando tono di voce. «Tu sei dentro di me, quindi posso sentire i tuoi stati
d’animo» Poggiò una mano sul petto «Sei triste»
«Un po’, forse» ammise lui. «Mi manca il mio partner» La notte
precedente, infatti, si era reso conto per la prima volta della situazione,
come se si svegliasse da un lungo sogno. Yuugi era importante per lui e non avrebbe mai immaginato di potersi trovare in un altro corpo,
come invece era successo. Pensava anche a lui: chissà come stava, senza avere
sue notizie! Avrebbe voluto andare subito da lui, ma
non poteva, lo sapeva molto bene. Non avrebbe dovuto dirlo a Miyon, perché lei
avrebbe potuto fraintendere.
Invece Miyon sorrise. «Allora dovrò darmi da fare,
per essere degna di lui»
«Che intendi?» La ragazza si fece largo a gomitate tra tutta la
folla vociante e si sporse sulla strada, agitando la mano per richiamare
l’attenzione del pullman arancione che veniva nella sua direzione, solo come
tutte le altre automobili. Una volta che le porte automatiche si furono aperte con un
rumore metallico, salì velocemente saltando gli scalini in
gomma nera, incurante degli sguardi curiosi che i ragazzi le tiravano
distrattamente. «Che
stai facendo?!»
«Oggi forchiamo!» annunciò
allegra Miyon gettando senza cura la cartella sul pavimento sporco dell’autobus
e accomodandosi con un balzo sulla sedia più vicina, quella che sembrava
ridotta meglio. Il resto del pullman era praticamente
deserto. «Conosco una sala giochi fantastica!»
«Tu sei pazza…» scosse la testa Yami, ma gli
scappò un sorriso che non cercò in nessun modo di trattenere. «E le lezioni?»
«Oggi non ho matematica» alzò incurante le spalle
lei.
La sala giochi di cui parlava Miyon era la stessa
che si trovava nel quartiere di Yuugi. Lui ci era stato
molte volte, perciò conosceva a memoria la maggior parte dei giochi. In
effetti, era la migliore della città in fatto di ultime
novità tecnologiche. Miyon entrò con la cartella in mano, assolutamente
tranquilla. Lui, invece, si sentì un poco a disagio per via degli sguardi
stupiti che gli altri giocatori, per la maggior parte
ragazzi che avevano lasciato la scuola come lei, le stavano tirando. Era ovvio, pensò Yami. Al contrario di loro, Miyon aveva
l’aspetto di una brava ragazza, di quelle casa, chiesa
e scuola. Mai si sarebbero aspettati di trovarla in un luogo del genere. Invece
lui aveva imparato a non stupirsi più di niente.
«Giochiamo a questo» Lei si fermò davanti al primo
di una fila di videogames, quindi si chinò e dalla
tasca laterale della cartella tirò fuori uno dei gettoni, dimostrando di essere
una frequentatrice abbastanza assidua, e lo infilò nella fessura. «E’ l’unico
in cui non sono ancora riuscita a superare il record di Kaiba»
«Dai!» esclamò lui, conoscendo la
bravura del suo rivale. Tuttavia, si dovette ricredere vedendo con quanta
facilità Miyon riusciva a maneggiare il joystick rosso
e i due bottoni verde e giallo, quasi come se fossero terminazioni nervose del
suo corpo. Il suo personaggio di muoveva rapido nello schermo, sconfiggendo in
un paio di mosse l’avversario. La tattica era sempre la stessa, ma funzionava. «Brava…»
«Se ti stufi smetto» disse
lei prendendo un minuto di fiato al termine di un altro combattimento.
Lui scosse la testa. «Piuttosto, fai giocare un po’ anche me»
«Credi di esserne capace?» lo guardò fisso lei.
«Lascia fare» sorrise lui mentre gli veniva lasciato il controllo del corpo. In questa occasione, fu lui a sorprendere Miyon, in quanto la
sua tecnica non aveva nulla da invidiare a quella di lei.
«Accidenti!» commentò lei, vedendo che il
punteggio si avvicinava al record di Kaiba. «Noi
due potremo vincere le olimpiadi di picchiaduro!»
«Ci puoi giurare!» rise lui.
All’improvviso uno dei ragazzi seduti a uno dei videogame più vicino all’entrata, si alzò di
scatto e corse verso il fondo del locale, quasi spaventato. Yami alzò lo
sguardo dal gioco, mettendo in pausa. Nella sala stava entrando una banda di
ragazzi, con a capo uno con la faccia da teppista e da
presuntuoso senza alcun motivo. Teneva i capelli biondo canarino su con il gel
e si guardava intorno come se fosse il padrone del mondo.
«Hirutani…»
«Lo conosci?» chiese Miyon mentre lo
guardava con un’espressione indecifrabile.
«Si» Yami riprese il gioco. «E’ un teppista, ma non
vale nulla. Era un ex-compagno di Jono-Uchi, il miglior amico mio e del mio
partner e ha fatto di tutto per costringerlo a tornare con lui» Un ultimo colpo
di joystick e l’ennesimo avversario venne sconfitto.
«Ma gli abbiamo sempre dato delle belle lezioni»
Vedendo il ragazzo di nome Hirutani
avvicinarsi a loro, Miyon chiese leggermente «lascia fare me» Riprese il controllo del
suo corpo.
«Bambolina, mi sa che è ora di tornare a casa e di
lasciare fare agli esperti» ordinò Hirutani una volta
che le fu accanto, guardandola dall’alto in basso.
«Bambolina?» commentò Yami arrabbiato.
Miyon gli scoccò uno sguardo distratto da sotto le
lunghe ciglia nere. «E dove sarebbero questi esperti?»
chiese quindi, senza staccare gli occhi dallo schermo luminoso.
«Ce li hai davanti, bellezza»
«Ah si?» Lei spinse lo
joystick indietro, stiracchiandosi. «E’ proprio vero che le apparenze
ingannano…» Mise in pausa. «Se sei davvero così bravo, perché
non combatti contro di me?» Indicò la postazione a fianco. «Si può
giocare in due»
«Non ho tempo da perdere coi
pivelli»
«Dicono tutti così» ribattè
secca lei rimettendosi a giocare. «Certo, farsela sotto dalla paura solo per
una ragazzina…»
«Io…» Hirutani non riflettè nemmeno, infilando il getto nell’altra postazione a afferrando velocemente il joystick. «Adesso vedrai»
«Fai giocare
me» disse
Yami. «Soddisfazione personale»
«Accomodati» allargò le braccia Miyon, lasciandogli
il controllo.
L’incontro durò appena cinque minuti. All’inizio,
Yami si divertì solamente a schivare i colpi, per farlo arrabbiare, come infatti avvenne. Non appena Hirutani,
seccato, abbassò la guardia con un attacco troppo diretto, lui fece saltare il
suo personaggio al di sopra e lo attaccò alle spalle con il colpo speciale,
togliendogli la metà dei punti vita. Quindi, mentre
l’avversario era ancora a terra, lo colpì ripetutamente fino a togliergli anche
ciò che era rimasto. Game over.
«Scarsino…» mormorò Miyon
guardandolo amabilmente.
«Razza di…» iniziò Hirutani
avvicinandosi pericolosamente.
«Fa attenzione» la avvertì Yuugi.
Miyon annuì, quindi si
spose in avanti, afferrando il braccio che Hirutani
tendeva verso di lei, e lo colpì con una ginocchiata, lasciando agitare la
gonna blu sopra le sue cosce. Hirutani si piegò in
due dal dolore. «Il punto debole dei maschi» sussurrò lei, mentre Yami si
voltava dall’altra parte, massaggiandosi la fronte ma lasciando trapelare un
sorriso dalla bocca carnosa.
Vedendo che la situazione volgeva al brutto, il
gestore del locale si avvicinò, come una massaia che si prepara a togliere i
panni prima della pioggia. «Ragazzi…» iniziò, con lo sguardo spaventato rivolto
soprattutto agli amici di Hirutani, ancora a terra,
tenendosi la parte ferita con entrambe le mani.
«Io non ho nulla da rimproverarmi» intervenne subito
Miyon. «Hanno iniziato loro. Soprattutto, sconsiglio a tutti di avvicinarvi» Si
toccò la divisa. «Come avrete capito, faccio la Sasaki. I miei genitori sono i titolari del più importante
studio legale di Domino e sarebbero molto contenti di
sbattervi tutti in riformatorio per i prossimi cent’anni»
Si chinò a terra per riafferrare la cartella, stando ben attenta a non scoprire
nuovamente le mutandine, e si avviò verso il fondo del locale, mentre tutte le
persone si scostavano per farla passare, come il Mar Rosso con Noe. «Facciamo
un gioco di rally?» disse piano rivolta a Yami.
Lui stava ridendo. «Sei una grande…»
«Niente di speciale…» Lei si trattenne dal scoppiare in una grande risata.
«Non mi avevi
detto che i tuoi erano impiegati?» domandò poi lui, cercando di riprendersi.
«E’ così» Lei si sedette ad un’altra postazione. «Ma loro che ne sanno?» A quel punto, entrambi fallirono il
tentativo di trattenere le risate.
Quando i due ragazzi uscirono
dalla sala giochi, l’aria fredda e misteriosa del mattino, che sapeva un poco
di film horror, era stata completamente sostituita da una confusione calda e
asfissiante. Il sole sembrava più luminoso e caldo del solito, mentre lasciava
correre i suoi lunghi raggi attraverso il cielo terso e senza nuvole. Attorno,
vi era un gran via vai di automobili e persone,
incuranti dell’atmosfera afosa attorno. Questi si lasciavano sfiorare dai raggi
solari senza provare il minimo sentimento, al contrario di Miyon che aspirava
quel sapore bruciante a pieni polmoni, come se si trovasse in montagna e non ai
bordi di una trafficata strada metropolitana. La lancetta corta dell’orologio
aveva ormai superato la metà dell’oriente.
«Non credevo
che al mondo esistessero altre persone come me o come il mio partner, capaci di
passare un’intera mattina in una sala giochi»
concluse Yami, la cui figura era ancora più trasparente del solito a causa
della luminosità dell’aria.
«Vedo che la tristezza di è passata» sorrise Miyon,
chiudendo la lampo della tasca laterale della sua
cartella.
«Si…» Lui si sentì un po’ in
colpa.
«Prima o poi riusciremo a
farti tornare da mou hitori no Yuugi, perciò non
preoccuparti» lo incoraggiò lei. «Godiamoci questa giornata!»
«Hai ragione» convenne Yami. «Comunque, non
sapevo che fossi così brava nei videogames. Suppongo
sia per questo che vuoi diventare ingegnere elettronico»
«Più o meno» Miyon attraversò la strada non appena
il semaforo brillò del verde del via libera. «In realtà, questo sogno risale ad
un episodio della mia infanzia»
«Raccontamelo»
Miyon si lasciò perdere fra la folla dei pendolari.
«Quando ero alle elementari, ho visto un bambino, ai
giardini, che piangeva. Gli si era rotto un gioco, sai, quelli che usavano una volta?
Tipo Game Boy, ma con un gioco solo?» Yami annuì. «Era veramente disperato
perché era un regalo dei suoi genitori, che erano partiti per un lungo viaggio.
Allora ho pensato che sarei riuscita a consolarlo, se fossi stata in grado di
ripararlo» Lei guardò il vicolo laterale, in ombra, e lo imboccò. «Solo dopo ho
scoperto che i suoi genitori erano morti e mi sono sentita ancora peggio per
non essere stata in grado di riparare quel giocattolo»
«E’ una bella
storia»
disse Yami.
«Non è vero niente» disse seria Miyon, mentre un
sorriso le si allargava sul volto. «Me la sono appena
inventata! Voglio fare l’ingegnere elettronico solo perché adoro i videogames!»
Yami scoppiò a ridere. «Sei impossibile…»
«Trovi?» chiese lei. «Sai, finisco sempre per essere
in colpa per voler fare un lavoro così… inutile come produrre giochi
elettronici, quando magari al mondo ci sarebbe bisogno di strumenti medici,
cose così. Ma che ci posso fare, se a me piacciono
solo i giochi elettronici? Non potrei fare altro!»
«Non è così» la contraddisse lui. «Sai, anche Kaiba si sta specializzando per
costruire parchi gioco in tutto il mondo. Esistono
bambini che non hanno mai nemmeno visto un videogame e lui vuole riparare a
tutto ciò. Vuole restituire l’infanzia a chi non l’ha avuta»
«Allora in fondo è buono…» dedusse sorpresa Miyon.
Yami si mise un dito sulle labbra carnose. «Si, ma non diciamolo in giro. Non vuole che
si sappia»
«Va bene» rise lei.
«Tu vai avanti
per la tua strada, chissà che prima o poi non vi
incrociate di nuovo»
«Non credo, dopo la figuraccia che mi hai fatto fare» scosse la testa lei, agitando al sole i suoi capelli,
illuminando le ciocche bionde di riflessi violacei. «Ma
non importa. Sarebbe inutile, in fondo, dire “io da sola non posso fare nulla
per migliorare la situazione”. In fondo, il modo migliore per prevedere il
futuro è costruirselo. Il disfattismo non porta da nessuna parte. »
«Sono d’accordo
con te»
convenne Yuugi. «Peccato che di
disfattisti ce ne siano fin troppi, al mondo»
Il discorso polemico fu interrotto da un fortissimo
odore di hamburger che, aumentato dal caldo del meriggio, penetrava nelle loro
narici con forza, costringendoli a respirare più forte.
«Il Burger World» disse
annusando l’aria Miyon.
«Ci lavorava la
mia amica Anzu, una volta» raccontò lui. «Poi
l’hanno licenziata perché aveva picchiato un cliente
maniaco. Mi ricordo che l’avevano anche presa in ostaggio, una volta. Meno male che c’ero io»
«Certo che ne hai vissute di avventure,
tu…» commentò Miyon ricordando quello che era accaduto poche ore prima con Hirutani. «Gli hamburger non sono cattivi, ma… Io
preferisco i cibi tradizionali»
«Anch’io!» esclamò soddisfatto Yami,
che, di solito, era invece costretto a ingerire enormi
quantità di quei panini farciti di carne dalla sconosciuta provenienza. «Sushi?»
«Sushi» ribadì Miyon
sorridendo.
Alle quattro di pomeriggio, il caldo soffocante era
andato scemando piano piano, rendendo una passeggiata
al parco doverosa e piacevole. Seduta su una panchina
che dava sull’acqua liscia e verde del laghetto, attraversata solo da leggere
increspature per la presenza di cigni, Miyon leccava leggermente il gelato al
cioccolato e alla crema comprato al chiosco bianco come il fiordilatte
situato nelle vicinanze. Le sue scarpe di vernice disegnavano strani simboli
nella ghiaia del sentiero e i suoi capelli, riscaldati dal sole, ondeggiavano
leggermente al tempo della sottile brezza, simili alle canne di papiro sulla
riva del Nilo. Gli schiamazzi allegri dai bambini coprivano perfettamente i
suoi discorsi con Yami.
«Era la prima
volta che forcavi?» le stava chiedendo lui.
«Si» fu la risposta. «Ma stavo progettando da tempo di farlo, almeno una volta nella vita»
«Come mai non
l’hai fatto prima?»
La figura trasparente di Yami comparve accanto a lei sulla panchina in legno, con le gambe accavallate.
«Non c’era nessuno di divertente come te con cui
farlo» Questa semplice frase portò le guance di Yami a
infiammarsi leggermente come se fossero state scottate dal sole. «Bella giornata,
vero?»
«Puoi dirlo!» Lui sorrise, posando
lentamente la mano sulla sua, che teneva mollemente adagiata sulla panchina. Il
desiderio di tenersi per mano.
«Che buono…» cambiò poi
argomento Miyon, prendendo un altro boccone di gelato al cioccolato. «Solo qui
lo fanno così bene, anche se non come in Italia»
«E’ italiano il
gelato?»
domandò Yami, scostando lo sguardo dalle mani.
«Si, certo» annuì lei. «Quando
sarò ricca, andrò sicuramente in Italia a mangiare un vero gelato. E una vera pizza. Poi in Francia per le crêpes
al cioccolato, in Germania per i wurstel e la birra, in Spagna per il cuscus e
in Inghilterra… per il tè!»
«Ma pensi solo a mangiare!» rise lui.
«Oh, bè… Già che sono lì,
poi potrei anche visitare qualche posto…»
«Si, per
dimagrire i venti chili che prenderai!» Yami scosse la testa, negando a sé stesso che non
gli sarebbe affatto dispiaciuto un viaggio culinario nell’antica Europa.
«Vuoi un po’?» Miyon porse verso di lui il cono
gelato, da cui scendevano le sottili gocce gialle della crema che andava
sciogliendosi. Si bloccò, stupita per aver fatto quella domanda stupida. Era
stata così bene con lui, che aveva dimenticato la sua natura. Lasciò
imbarazzata la sua mano e si alzò, saltellando leggermente. «Abbiamo parlato di
me tutto il giorno» disse leccando le gocce di crema prima che le sporcassero
la mano. «Adesso dimmi un po’ tu. Come sei diventato un fantasma?»
«Oh, bè… Sono morto» Yami guardò con tristezza la sua mano, con la quale
aveva potuto sfiorare solo virtualmente la pelle abbronzata e liscia di lei.
Quanto avrebbe desiderato essere nel corpo del suo
partner, per poterle parlare come un ragazzo fa con una ragazza.
«Dimmi qualcosa che non so» commentò lei polemica,
lasciando chiare impronte sulla ghiaia. «La tua morte è un pochino ovvia, come
cosa»
«Io non ricordo niente della mia vita passata, te l’ho detto» Yami chiuse gli occhi viola
e si sdraiò maggiormente sulla panchina scomoda.
«Non sia proprio niente niente
di te?» Miyon abbassò lo sguardo sulla terra, bagnata delle gocce di gelato che
non era riuscita a fermare in tempo.
«Una cosa
sola…» Yami
riaprì gli occhi e la osservò malinconicamente. «C’è una leggenda egizia, secondo cui il diciottesimo
Faraone, assieme ai suoi sei apostoli, si sarebbe sacrificato per sigillare
il potere oscuro dietro una porta divina. Si prega ancora perché al risveglio
della memoria del sovrano non resusciti anche la forza maligna. Ecco, pare che io sia questo Faraone»
Alle ultime parole le labbra di Miyon, che prima
erano serie e attente, si piegarono in un sorriso. «Tu, un Faraone?» Scoppiò in
una risata cristallina che risuonò per tutta l’aria calda. «Ma
dai!!»
«Perché non potrei esserlo?» si offese lui, piegando
all’interno le labbra.
«Non so se ti sei visto» Miyon lasciava andare le risate
a ruota libera. «Scarpe di vernice, pantaloni di pelle, maglietta attillata,
cintura e braccialetti con le borchie» elencò, sempre ridendo. «Più che un
Faraone, mi sembri un metallaro»
«Grazie per la
fiducia»
Yami si alzò dalla panchina e scomparve, simile al miraggio di un’oasi nel
deserto.
Solo a quel punto Miyon riuscì a smettere di ridere.
«Ti sei offeso? Yami?» chiamò. «Dai, aspetta. Stavo
solo scherzando… Certo, che però…» Rischiò di essere colta nuovamente da un
attacco di risa. «Dai, Yami. Yami!» Dall’interno non arrivarono rispose. Come
dice un noto proverbio, “finisce in pesce”. Ciò che è stato iniziato bene,
spesso termina nel peggiore dei modi.
Note di Akemichan:
In questo capitolo ci sono alcuni riferimenti alla
prima serie, che in Italia non è stata trasmessa, e che corrisponde ai primi
tredici numeri del manga italiano… Non è nulla di importante,
ma se qualcuno volesse delle delucidazioni (anche solo per curiosità se non
compra il manga) chieda pura ^^ Sono sempre disponibile… Che aggiungere… Spero
che anche questo capitolo vi piaccia! Grazie per averlo letto ^^
Reviews:
Phoenix: Grazie ^///^ Per la cronaca, penso di
pubblicare un capitolo ogni venerdì, se la cosa interessasse ^^
Ayu-chan: Hai letto tutto l’altra storia in un giorno solo?! O.o… Dovrei farti un monumento, complimenti… ^^ Spero
che anche questa ti piaccia come la precedente, e grazie dei complimenti…
Heven: Grazie mille ^///^ ma
davvero so coinvolegere nella lettura? Ho sempre
pensato il contrario… MI fa piacere che le descrizioni ti piacciano!