Ok, piccola storiella stupida e breve su Ernie e Hannuccia,
giusto per ricambiare la dedica di Ryta che ringrazio
infinitamente =***
Avevo ispirazione, così ne ho approfittato.
Spero che ti piaccia ^^
Un bicio
Sara
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.Don’t get lost in heaven.
Potrei
cominciare questa storia con un semplice “c’era una volta”, seguito da ogni più
dettagliato particolare in riferimento al tempo, al
luogo, ai protagonisti, per arrivare ad uno svolgimento tra i più intrecciati
che finisce per sfociare incredibilmente in un finale felice…come in tutte le favole.
Ma
questa è molto più di una favola.
E non
merita la classica introduzione da storiella per bambini.
Merita
molto di più.
Perché
parla d’amore.
Si,
d’amore.
L’amore
più inimmaginabile.
Quello che
ti strappa il fiato dalla gola.
E
naturalmente parla di due persone.
Un uomo e
una donna.
Che una
volta erano un bambino e una bambina.
E sono
maturati, cresciuti e cambiati insieme, tenendosi sempre per mano, e dondolando
appena le loro braccia come quasi tutti i bambini amano fare.
Ma quando
si è bambini non si capisce bene cosa voglia dire amare. Si sa, ma in un modo tutto
particolare. Da piccoli si vuole bene, ma non si ama cose lo
si fa da grandi.
Non si è
capace di provare quelle emozioni così forti che l’amore ti dona.
E non si
capisce di avere accanto la persona più speciale di
questa terra.
Solo
quando maturi ti rendi conto che questa persona ha aperto gli occhi esattamente quando lo hai fatto te, e ti sta aspettando,
adesso.
Con i palmi
delle mani tesi verso di te.
E la bocca
aperta in un grande sorriso.
Così faceva
Hannah.
Lì, ferma, incapace di dire anche solo una parola, di mormorare, di
respirare.
E
aspettava…aspettava con pazienza che il suo principe azzurro la venisse a prendere e la portasse lassù, solo dove gli
innamorati possono arrivare.
Aspettava…e
nella foga di farlo non si era resa conto che quel principe azzurro le era
appena passato davanti.
Camminava
veloce, lo sguardo basso, le guance rosee. Decisamente
in imbarazzo.
E fingeva
come al solito di non accorgersi di lei, ancora troppo
occupata ad aspettare per fare lo stesso con lui.
Improvvisamente
la porta si aprì.
Una figura
alta, magra e dai lineamenti severi tuonò un ‘Hannah
Abbott’ rivolto alla ragazza.
Lei entrò
in quella stanza, senza degnare di un’occhiata quel ragazzo che la guardava da
lontano, quasi più in ansia di lei.
Ernie non aveva capito che stare senza fare nulla non era né l’unica
soluzione, né quella più conveniente o saggia.
Le cose
sarebbero rimaste così all’infinito se non avesse mosso un dito.
Ma vederla
entrare nella stanza d’esame, tremante e confusa, i capelli biondi furiosamente
legati in una coda di cavallo che le accentuava i lineamenti del viso, e la
divisa leggermente stropicciata dalla notte passata appallottolata sotto al letto, lo fece sentire ancora più impotente.
Era troppo
lontana per lui.
O
forse…forse era semplicemente troppo vicina.
Non lo
sapeva.
Teneva a lei, così come lei teneva a lui.
La
quantità d’affetto era la solita, identica, smisurata, solo che lui la vedeva
in modo diverso.
E per
lei era solo un amico. Niente di più…niente di meno.
Ma da
pochi mesi Ernie aveva capito che l’amicizia non bastava per esprimere
quell’incredibile misura di affetto che provava nei
suoi confronti.
Vederla
ogni giorno diventava sempre più difficile, e anche se continuava a convincersi
che il tempo avrebbe risolto tutto e che prima o poi
lei lo avrebbe visto con occhi diversi, sapeva che non avrebbe potuto aspettare
tutta la vita.
Al massimo
un’ora.
Forse due.
Il tempo
che sarebbe servito ad Hannah per uscire da quella
stanza, temporaneamente abitata da piccole particelle di pura paura, e da
quattro studenti in preda al panico più assoluto.
Una volta
fuori l’avrebbe presa per mano e le avrebbe detto tutto.
Tutto quanto.
Tanto lui
aveva già finito gli esami.
Aveva
tutto il tempo che voleva.
Ma non
il coraggio.
Era stato tutta la notte rimuginando su quello che avrebbe fatto e non fatto il giorno
dopo.
Sapeva di
non essere abbastanza coraggioso per dirle tutto in
una volta.
Non quando
lei non se l’aspettava neanche un pochino.
Perlomeno
per quanto lui sapesse.
E infatti fu così.
La vide
uscire allegramente dalla stanza, così come era
entrata, un po’ confusa forse, le guance rosse come peperoni e i capelli ancora
più alla rinfusa, e non fu capace di fare niente.
La vide
avvicinarsi, sorridergli timidamente, mordersi le labbra.
La vide
persino allontanarsi con un piccolo saluto della mano, raggiungere
Susan, compagna di avventure e dolori e scomparire con un’ultima, sfuggente
occhiata.
E tutto
era passato così veloce un’altra volta.
Troppo
veloce.
Il tempo
di vederla arrivare e già il suo cuore si era fermato.
Neanche
questa volta Ernest McMillan aveva trovato il coraggio.
Per un
piccolo attimo pensò di essersi perlomeno meritato il premio per lo studente
più incapace di Hogwarts.
Non era
una gran consolazione a dir la verità.
Il premio
che veramente avrebbe voluto vincere se n’era appena andato.
E
tornandosene abbattuto verso la sala comune, accompagnato dai suoi unici due
appigli, dalle sue uniche speranze (rompiballe, ma pur sempre speranze), capì
che non avrebbe potuto fare tutto da solo stavolta.
Neanche
mettendoci tutta la sua forza di volontà.
Avrebbe
dovuto chiedere aiuto a qualcuno per potersi liberare da quella cappa di impotenza che lo circondava.
Ma non
osava chiedere aiuto. Neanche alle due speranze, che a dir
la verità sembravano occupate a pensare ad altro. In realtà Zachary e Justin-qualcosa
conoscevano bene, forse anche meglio di Ernie stesso, come
stavano le cose.
E lo
stavano già segretamente aiutando.
Solo una spinta, una piccola spinta avrebbero dato a quei due
imbranati terribilmente innamorati l’uno dell’altra, ma così estranei da non
accorgersene.
E se da
una parte Ernie passava le giornate riflettere, a meditare e a darsi del
coglione pensando a lei, dall’altra Hannah continuava a guardarsi le unghie ormai
finite dal continuo mangiarle.
La verità
era che Ernie la metteva in agitazione.
Lo vedeva
lontano, distante, e lo sentiva persino più freddo, quasi come uno sconosciuto.
Il peggio
era che lui non era uno sconosciuto. E lei non voleva
che lo diventasse.
Era pur
sempre il suo migliore amico, e non capiva perché lui si rifiutasse di esserlo.
Non sapeva
neanche bene cosa volesse in realtà, perché come lui
era diventato un’altra persona, così lei aveva capito che forse non tutto di
quella che una volta era la loro amicizia era andato perso.
Piccoli
segnali poi, il cuore che non smetteva di battere furiosamente in sua presenza,
le guance che arrossavano prima che potesse dire qualsiasi cosa, quelle unghie
quasi scomparse e il pensiero continuamente centrato su una cosa sola, le
facevano capire che forse l’amicizia non era davvero tutto.
Così
voleva riavvicinarlo, ma allo stesso tempo aveva paura, una paura
tremenda anche solo di incontrarlo, che le impediva di starci insieme.
Lo
allontanava ancora di più, e sapeva di sbagliare, ma al momento era tutto
quello che fosse capace di fare.
E per
tutta risposta lui, tentando goffamente di apparire una persona normale, le
aveva detto di essere irrimediabilmente innamorato di una ragazza.
Di una
ragazza che lei conosceva bene.
Ma di
cui non poteva dire il nome.
E Hannah
non aveva capito…non aveva capito che quella ragazza era lei.
E fu
così che l’amicizia compì il suo dovere.
Forse
anche un po’ egoisticamente.
Il fatto
era che più nessuno sopportava le strane paranoie di Ernie
e Hannah. Susan non riusciva più bene a capire cosa la sua migliore amica
provasse veramente e Zach e Just avevano imparato a fingere talmente bene di
ascoltare i discorsi di Ernie su Hannah, che ormai
quest’ultimo si ritrovava a parlare da solo.
Ma a lui
non importava, purché ci fosse ancora qualcuno disposto a fingere di ascoltare,
così tanto per non sembrare fuori di testa o mentalmente
impossibilitato.
Quel
giorno…
Quel
giorno finalmente i loro sguardi tornarono a
incrociarsi timidamente dopo tanto tempo.
Un
semplice tranello, una stanza vuota e un po’ di coraggio riunirono quelle due
anime così cieche e distanti.
Né
Hannah né Ernie si erano mai aspettati che succedesse.
Non in
quel momento.
Non in
quel modo così irruento ed improvviso.
In un
attimo si ritrovarono l’uno di fronte a l’altra,
spogliati delle loro giustificazioni, lasciati da soli, di fronte alla realtà
dei fatti.
La
confusione più totale arrivò a regnare in quella stanza, chiusa, riempita
d’aria calda, soffocante.
L’unico
rumore che, sono certa avrebbe potuto essere sentito
anche ad una smisurata distanza, erano i loro due cuori, i cui battiti
rimbombavano violentemente nel silenzio assordante dell’aria.
E le loro
orecchie ne erano bombardate, assordate veramente da
quel battito, così che non potevano sentire neanche il loro stesso respiro.
Non
sapevano perché gli amici avessero compiuto un gesto simile, ma a poco a poco
un barlume di comprensione cominciò a farsi spazio dentro di loro.
Lo avevano
fatto apposta.
E adesso
si ritrovavano faccia a faccia con i loro sentimenti.
L’avevano
combinata stavolta.
Con
l’unica eccezione che non ci sarebbe stato nessuno a
punirli.
Forse solo
la timidezza.
Ma
bastarono due semplici passi, due brevi parole, due respiri affannosi a farli
riavvicinare.
Così
capirono che in realtà non si erano mai allontanati.
Che
nessuno aveva mai osato staccarli l’uno da l’altra,
separarli. Neppure la paura.
C’era
solo…c’era solo un piccolo abisso da attraversare, e
bastava un salto, bastava un semplice salto perché tutto tornasse alla
normalità.
Ed
entrambi saltarono, nello stesso istante, ritrovandosi
l’uno vicino all’altra a parlare dei propri sentimenti e a chiarire tutti gli
errori e i malintesi che c’erano stati.
Tutto quel
tempo Ernie aveva passato pensando di non farcela, pensando
di aver talmente tanto bisogno di lei che persino il destino agisse contro di
lui sbarrandogli la strada, ma adesso bastava allungare la mano. Bastava trarre
un respiro più profondo degli altri e…farlo.
Non
serviva più l’aiuto di nessuno.
Nessuno
aveva già fatto il suo lavoro.
Adesso
stava a lui. Solo a lui.
E così
trovò il coraggio, e con una semplice domanda capì che alla fine non ce ne
voleva così tanto.
E
trovandoselo a pochi passi da lei, pure Hannah comprese di provare veramente
qualcosa di molto più profondo, molto più violento, decisamente
più complicato.
Lo disse.
Così come
lo comprese, lo disse e dopo la tempesta che c’era stata nella sua testa,
sembrò tornare il sereno.
E c’era
quiete adesso che pure lui aveva espresso i sui sentimenti.
Tutto era
più facile una volta che la situazione era stata
chiarita.
E
nonostante il battito dei due cuori continuasse a pulsare convulsamente nelle
orecchie, e il sangue a scorrere sempre più velocemente nelle vene, le loro
labbra si sfiorarono per la prima volta, delicatamente.
Entrambi sentirono il più grande bisogno dell’altro.
Così,
scacciando via la paura, il timore, l’agitazione, persino la vecchia amicizia,
si baciarono, stringendosi convulsamente la mano che era
diventata l’unico appiglio con la realtà.
E da
quel giorno nemmeno il destino riuscì a separarli.
Quel
destino che in realtà ed innocentemente non aveva mai impedito ad Ernie di
amare la sua Hannah.
Era solo
sembrato un intralcio, caricandosi la colpa di tutto, e adesso se ne restava da
parte, lasciando che finalmente l’amore trionfasse.
Davvero
come nelle favole.
Il
principe era riuscito a conquistare il cuore della sua bella e lei, così
innamorata e persa nella sua voce, nei suoi sguardi e
nei suoi gesti, lo amava come non mai, a conoscenza del fatto di essere
diventata, e in fondo di essere sempre ed irrimediabilmente stata, la cosa più
importante per lui.