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Autore: cosmopolitans xo    31/10/2009    0 recensioni
Fissammo il cielo per un po’, prima che Troy mi baciasse di nuovo. “Non voglio che tu vada via.” mormorò.
La mia testa sulla sua spalla, sorrisi distrattamente all’oscurità intorno a noi: “Sono qui,” lo rassicurai “Brie è qui.”
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gabriella Montez, Troy Bolton
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Parte quarta, Bussare Sul Legno

Parte quarta, Bussare Sul Legno

 

Le lunghezze che coloro che si tagliavano dovevano usare per nascondere il loro segreto erano pazze. Sono sicura che amassero particolarmente il periodo invernale, dove le maniche lunghe e le giacche e le felpe potevano essere indossate comodamente. E nei giorni con cose tipo Educazione Fisica ed allenamenti, Troy portava dei polsini, ed io dei braccialetti. Non andavamo da nessuna parte senza delle bende nuove, e ogni tanto facevamo affidamento l’una sull’altro per la riserva. Un accordo tacito si era formato tra di noi. Non parlarne, e offri una mano d’aiuto quando serve.

 

Era arrivato alla mia attenzione che i pensieri di suicidio e il desiderio di morire erano due cose altamente diverse. La voglia di morire era flessibile –finchè il risultato era lo stesso, non ti importava la sua causa. Solo finchè eri morto. Ma la mia tomba si stava scavando più velocemente di quanto avessi mai immaginato fosse possibile. Una pigra sera, premetti il coltello nel mio polso un po’ più forte di quanto avrei dovuto. Uscì più sangue, e fui grata mentre correvo in bagno che mia madre non fosse in casa. Mentre facevo scorrere l’acqua sul mio polso, iniziai a tremare. “Suicidio.” sussurrai.

 

 

---

 

 

Nei primi giorni di gennaio, mio padre mi chiamò. “Ehi, Ella,” disse con voce felice “Come sta la mia ragazza preferita?”

 

Auto-distruttiva, pensai nervosamente mentre giravo un ciondolo sul braccialetto che Troy mi aveva dato per Natale. Mi ricordava di lui ogni giorno, benchè non ci vedevamo molto ora che la scuola era ricominciata. Una volta ogni tanto lui passava e facevamo gli stupidi, ma nient’altro davvero. Lo rimpiangevo parecchio.

 

“Bene, papà,” replicai piano “Come stai?”

 

Questa vacuità della conversazione non migliorò molto. Non lo faceva mai, se posso essere totalmente onesta. Ma sapevo che mio padre ci stava provando… provando a tenersi in contatto, anche se era dall’altro lato della Terra. Voleva ancora starmi vicino, nonostante la distanza che giaceva fisicamente tra di noi. Ero anche grata di ciò.

 

“Senti, tesoro, devo andare. Ti chiamo nel prossimo paio di settimane, okay?” domandò, ed io annuii mentre una coraggiosa lacrima rotolava lungo la mia guancia. All’improvviso ebbi l’impulso di confessare il mio segreto a mio padre. Ora che Troy ne era una parte, non potevo affidarmi a lui per un rimedio psicologico. Noi eravamo due persone, intrappolati in un mondo sanguinante che nessuno poteva capire per paura di esserci dentro. Avevo bisogno di uscirne.

 

Quando mio padre riagganciò, io percepii l’aria morta ed presi fiato. “Papà, io mi taglio.” esclamai blandamente. Corrugai un sopracciglio e ricominciai, un’avversione del mondo in cui suonavo che covava dentro di me. “Papà… mi taglio i polsi. Lo faccio un sacco. E anche Troy lo fa. Ed è a causa mia. Odio questo fatto. Tu non lo odi? Voglio dire, davvero, vorrei che si fermasse. Ma questo mi rende un’ipocrita, giusto? Vorrei solo che capisse perché lo faccio. Lui è l’Hotshot del basket, lui ha ogni ragazza al suo volere, eppure ha scelto me, ed io finisco per incasinarlo. Dov’è la giustizia in tutto questo?”

 

Certo, non ci fu risposta. Ma solo sapere che lui era lontano una telefonata mi diede un po’ di conforto. Per la fine del mese, la mia vita sembrava iniziare a riprendere il suo equilibrio naturale. Cioè, finchè non iniziai a perdere qualcosa che pensavo non si sarebbe mai potuto perdere: il mio cuore.

 

Crescendo, non avevo l’idea di che cosa fosse davvero la gelosia. Ovviamente, invidiavo mio padre per la sua libertà e le ragazze a scuola per le loro famiglie stabili, ma il risentimento non era mai diventato il vero impulso delle mie emozioni. Iniziò con una particolare scena dopo la scuola. In qualche modo, Troy evitò l’allenamento di basket e venne a casa mia. Ci allontanammo dal letto, e il pubblico –persone nel cielo a cui piaceva guardarci contorcerci- osservò lui sedersi sul pavimento mentre io rimanevo alla mia scrivania. Lui si stava togliendo una crosta sul braccio. “Perché lo fai ancora?” domandai tagliente, schiaffandomi una mano sulla bocca non appena le parole lasciarono le mie labbra. Lui mi lanciò un’occhiata.

 

“Ci siamo già passati,” rispose piatto. I nostri occhi si incontrarono e lo implorai silenziosamente di smetterla. “Gabriella, non so perché sei così tesa riguardo al tagliarsi. Non è che tu non lo faccia.”

 

“Ma io sto cercando di fermarmi,” replicai, tentando di suonare intensa “Sai che sto facendo uno sforzo, Troy. E non è che io sia una quantità di talento tale da essere una grossa perdita una volta che sono morta. Le sue sopracciglia si corrugarono e Troy si alzò in piedi, stringendo il bordo della scrivania. Sapevo che avevo colpito un nervo.

 

“Smettila di dirlo,” sibilò, la rabbia che bolliva sul suo viso “Smettila di dire che non vali la pena e smettila di dire che non è rimasto niente nella tua vita, bla, bla, bla, tutte quelle stronzate. Perché sai cosa, Gabriella? Ho provato di tutto per farti capire che sono qui. Io ne valgo la pena, giusto? Lo pensavo, almeno. Pensavo che fossi un buon compenso per tutta la roba che dobbiamo sopportare. La sua voce tremò. “Non capisci? Il mio tagliarmi è nato così che le tue abitudini scomparissero. È un sacrificio. Perché ti amo! Gabriella, cazzo, io ti amo. Ma cosa significa questo per te? Tutta quella merda che fa andare fuori di testa i miei genitori e fa andare fuori di testa tua madre… ha qualche vero effetto su di te?”

 

Prima che potessi rispondere, benché la mia bocca fosse di nuovo asciutta il che rendeva difficile rispondere, lui raccolse la sua borsa e si precipitò fuori dalla stanza. Io rimasi seduta, il braccio premuto contro il bordo della scrivania, gli occhi fissati sulla porta. “Bel lavoro,” sospirai tra me, con la gola che gracchiava dolorosamente. Non sapevo che altro dire. “Troy, per favore, torna indietro. Torna indietro.

 

 

---

 

 

Ci fu una sorpresa riguardo al modo in cui reagii alla litigata. Certo, ci eravamo scambiati i Ti amo e c’erano state varie, ahem, scappatelle nella mia camera, eppure non avevo mai pensato che saremmo finiti insieme. Lui era diretto all’NBA, mentre io ancora non avevo idea di che fare della mia vita. Lui riusciva con successo ad evitarmi a scuola, e io per fortuna riuscivo ad essere calma ogni volta che ero con gli altri. Questo periodo di serenità si fermò presto quando Taylor mi disse che Troy aveva un appuntamento per San Valentino. Mi sentii come un cartone, il cuore che affondava alla fine dello stomaco e che si rompeva a metà.

 

“Mi dispiace tanto…” esclamò comprensiva durante la lezione di biologia quando notò il ripetuto ‘Vaffanculo Troy Bolton’ scarabocchiato su tutto il mio quaderno. Mi prese la penna e le mise il tappo, lasciandola cadere in uno dei nostri zaini tra le nostre sedie. Io fissai le mie scritte simili a dei graffiti e feci una smorfia. Non importava quante volte scrivessi quella frase, non mi sentivo per niente meglio.

 

“Sarebbe carino morire.” borbottai con rabbia. Taylor ripiegò la mia mano così che formasse un pugno e battè le mie nocche contro il banco. La guardai alzando un sopracciglio.

 

“Bussare sul legno,” spiegò “Tiene lontano gli spiriti.”

 

Non le credetti.

 

Fu allora che realizzai che i pensieri di suicidio e il desiderio di morire erano molto diversi. Io non mi consideravo suicida. Volevo solo morire. Andai a casa a piedi quel pomeriggio, declinando ogni passaggio che mi venisse offerto. Si creò un ritmo mentre i miei piedi marciavano lungo il marciapiede, ed io mossi la testa, con i capelli che ondeggiavano leggermente mentre ritornavo a casa. Mia mamma aveva lasciato un biglietto sul bancone della cucina, scritto velocemente… “fuori con Jim. Ci vediamo verso le undici, G. xo Mamma.” Avevo letto di meglio.

 

Per qualche motivo, la stanza degli ospiti aveva il bagno più carino. Una larga vasca da bagno ricoperta di mattonelle giaceva giusto nel centro, e i lavandini erano di marmo e argento o qualcosa del genere. Mi appoggiai alla vasca e aprii l’acqua calda, osservando il vapore salire mentre iniziava a riempirsi. Il grande specchio a grandezza naturale alla mia sinistra raccontò una storia mentre io mi toglievo ogni articolo del mio abbigliamento. C’era una volta una ragazza, fragile e debole e sfortunata. Lei tagliava il suo corpo molto spesso; alla lunga, era stato ribattezzato auto-mutilazione. Le ne rideva. Non era niente del genere. Solo qualcosa per passarsi il tempo.

 

La ragazza era carina, lei lo sapeva, ma non aveva i mezzi per riempire gli spazi vuoti dove pensava che cose come compassione e senso comune sarebbero dovuti andare. Il suo corpo nudo era curvo e sembrava una vecchia foto, imbellita in seppia; spesso era graziato dalla presenza di un altro corpo. Lei sentiva la mancanza del calore di lui, molto intensamente. Il modo in cui le labbra di lui baciavano ogni parte di pelle che potessero raggiungere. Lei scorse l’unica parte mutilata della sua figura… i polsi. I bendaggi erano stati avvolti quella mattina, e lei sussultò mentre li toglieva. Le ferite non erano guarite. Ma non importava.

 

Lei chiuse il rubinetto, e prese il coltello. L’acqua stava fumando. Lei poteva sentire il calore intrappolare il suo corpo mentre scivolava sempre più sotto la superficie, fino a che solo le punte dei suoi capelli rompevano l’altrimenti calma acqua.

 

L’elogio sarebbe stato fantastico. Ad una ragazza che una volta amava vita e musica e un ragazzo. Ad una ragazza che una volta pensava che i decathlon fossero fantastici e le partite di basket avessero un valore. Ad una ragazza che aveva visto giorni migliori. “Questo è per lei.” sussurrai, e premetti la lama nel mio polso. Il sangue fuoriuscì dal taglio, proprio mentre un bussare alla porta riempì la stanza silenziosa.

 

“Gabriella?” mia madre. O almeno, era lei. “Gabriella, che stai facendo?”

 

Poi arrivò l’altro polso. L’acqua presto fu macchiata di rosso corallo. Non sapevo com’era sentirsi morti, ma in quel momento mi sentivo piuttosto in pace. Magari rilassata, nei pochi momenti in cui potevo provare piacere. E, secondo la leggenda che la vita ti scorre davanti agli occhi prima che stia per finire, vidi Troy.

 

 

  
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