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Autore: Dark Roku     31/10/2009    10 recensioni
Roxas ha tutti i motivi del mondo per odiare Halloween. Ma qualcosa (o perchè no, qualcuno) gli farà cambiare idea.
Come la mia collega sono qui con una fan fiction a tema Halloween (in questo caso una one-shot). Il pairing è il solito: Akuroku (Axel x Roxas) (Sei innovativa, vero? n.d.a.m.) Non ho la più pallida idea di come sia venuta, quindi leggete e commentate. Ah,ci sono dei personaggi di Bbs, ma è AU. Saluti dalla vostra Kim.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Trick or Kiss?






Desclaimer (per una volta ho deciso di metterlo): Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Tetsuya Nomura (perchè qua di disney non c'è una virgola...no, Winnie the Pooh è della disney, vero? Allora c'è anche la disney) presi dal gioco Kingdom Hearts, la fanfiction non è scritta a scopo di lucro ecc.
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Walter Disney (?), citati dal film "T come Tigro.
Probabilmente vi starete chiedendo cosa diamine c'entra Tigro con la storia...leggete e vedrete.


Roxas sbuffò guardando il calendario appeso alla parete dell’aula: 25 ottobre. Odiava quel giorno.
Avrebbero portato i compiti di storia (o erano di geografia?), gli avrebbero sbattuto in faccia il solito dieci, e avrebbe dovuto sopportare le occhiatacce e i commenti poco amorevoli dei suoi compagni, che andavano da “E ti pareva! Quel secchione di merda!” a “E’ raccomandato. Il cocco della professoressa.”. I lati negativi di essere il più bravo della classe.
Ma non era quello che gli dava fastidio, a quello ci era abituato ormai.
Era il fatto che Halloween si stesse avvicinando, e un clima eccitato si spargeva nell’aria.
Halloween era la festa più attesa dell’anno, nel suo paese; questo perché non si festeggiava carnevale, e tutte le altre erano considerate festività erano considerate noiose.
Tra i pipistrelli appesi alle porte -per geniale idea di quella pazza della professoressa di Arte e Immagine- e ricette di torte alla zucca (poco commestibili, pensava sentendo “devi metterci 3 limoni interi”), Roxas era tentato di rinchiudersi in casa per riuscire a metà novembre, una volta finite quelle smancerie.
Perché i ragazzi delle Destiny Island avevano un modo tutto loro di festeggiare Halloween.
Ormai passato di moda “Trick or treat?”, andavano forte le feste private.
Che poi fossero sulla spiaggia, come quelle di Yuna, o su un Jet privato, come quelle della “Signorina Naminè” aveva poca importanza.
L’importante era avere più invitati degli altri, e potersi crogiolare, una volta tornati a scuola di quanto si fossero divertiti.
In ogni classe c’erano almeno tre organizzatori, e alla fine, almeno ogni persona di quella scuola aveva un invito.
Tranne lui, perché quell’anno, come tutti gli altri, nessuno l’avrebbe invitato.
I lati negativi di essere il più bravo della classe.
E come se non gli bastasse sentire gli altri organizzare feste a cui non avrebbe mai partecipato, andavano anche da lui a rigirare il coltello nella piaga cercando assurde scuse per il mancato invito: “Sai, io ti inviterei anche…ma credo che tu abbia la pressione alta, e alla nostra festa ci sono cibi pieni di sale. Quindi è per il tuo bene.” Questa Olette poteva risparmiarsela. Non c’era scusa più assurda…no, forse quella di Yuna “Tidus soffre di claustrofobia, quindi se diventiamo troppi, lui si sente male.” era ancora più insensata.
E se ci rimaneva male con il “Il Jet ha solo sessantadue posti. E cinquantotto sono riservati agli amici immaginari di Sora, quindi non c’è proprio posto. Mi dispiace.” di Naminè che era sua cugina, non poteva restarci che una merda per “Sei troppo piccolo per partecipare alle nostre feste. Ci sono cose che non puoi vedere, per tutto il resto c'è Mastercard.” dei tredici, o meglio di Demyx.
I tredici erano un’associazione che provvedeva a tutelare le leggi dell’istituto.
Ne faceva parte in pratica, anche se veniva considerato poco e niente, come dimostrava il fatto della festa.

E se Roxas non aveva ricevuto neppure uno straccio d’invito per il giorno di Halloween, non si poteva dire lo stesso per il ragazzo più popolare della scuola.
Anche per lui periodo di fine ottobre era un inferno, ma per motivi diversi.
Innanzitutto perché non poteva aprire l’armadietto senza ritrovarsi sommerso dagli inviti (naturalmente non c’era ragazzo o ragazza che non lo invitasse), e poi la gente che lo perseguitava chiedendogli “Ci vieni alla mia festa?” era alquanto stressante.
Eh sì, avere Axel alla propria festa era il secondo sport più seguito dalla scuola.
Il primo era prendere in giro il secchione della classe, ovviamente.
Spesso la sfida la vincevano i tredici, facendone Axel stesso parte.
Non che questo a Roxas importasse tanto, i suoi problemi iniziavano in un secondo tempo.
Nel momento in cui si vedeva il ragazzo più carino/popolare/fico della scuola salutare il più sgobbone e impopolare cominciavano i cazzi amari (per l’impopolare).
Ma Roxas era certo che le anonime (ma anche no) minacce del tipo “Sappi che se ti avvicini di nuovo ad Axel, riabbraccerai presto i tuoi genitori. Lui è mio!” che gli arrivavano, non fossero tanto male, considerando il filo spinato con cui veniva puntualmente legato nello spogliatoio.
Ma avrebbe tanto voluto ignorarle.
Axel era stato il suo unico amico, prima di andare a liceo, gli voleva davvero bene.
Splendenti occhi smeraldo, una zazzera di folti capelli rosso acceso, che si reggevano in aria per miracolo, erano questi a fare di lui un ragazzo tanto speciale.
E il suo carattere era…particolare. Così particolare da farlo sembrare meraviglioso.
Era un sacco di tempo che non lo vedeva, forse per le minacce, forse per paura. Di cosa?
Beh, notizia dell’ultimo minuto: anche i secchioni hanno dei sentimenti.
Il biondo poteva affermare con certezza di avere una cotta per lui dall’asilo, come poteva giurare di non considerarlo affatto e che ormai faceva parte del passato.
Di questo aveva paura, questo gli avevano insegnato i suoi adorati libri.
Il passato va affrontato prima o poi.
E Roxas sperava con tutto se stesso che quel prima o poi non arrivasse mai.


Erano tanti i motivi per cui odiava il 31 ottobre, e l’avrebbe volentieri cancellato dal calendario.
In primis quelli sopracitati e poi la sua vita era stata rovinata in quel giorno…

La famiglia Destiny è sempre stata la famiglia più ricca e ben voluta delle Destiny Island.
La loro specialità è da generazioni il grande festone di Halloween a cui invitano tutte le isole.
Suvvia, quale abitante non può dire di essere stato alla loro grande villa sulla tredicesima strada per la sera della paura?
Nessuno poteva immaginare che questa tradizione sarebbe diventata la loro rovina.
Ieri notte ogni abitante era lì, come ogni anno.
Eppure perché nessuno ha sentito il suono degli spari? Perché solo un uomo, cercando il signor Destiny si è accordo dei tre cadaveri nella cucina?
Adam, Elen e Ven Destiny trovati morti con delle pallottole conficcate al centro del petto.
La serata degli orrori ha ospitato l’orrore più grande che il paese potesse immaginare.
La polizia sta indagando sul caso, il cui unico indizio sembra essere un orologio macchiato di sangue ritrovato la sera stessa nel giardino della villa.
Chi può aver fatto cosa così spregevole, se i Destiny erano amati da tutti?
Tutti i beni della famiglia andranno in eredità ai Draw, unici parenti degli scomparsi.
E persino il piccolo Roxas Destiny, di sei anni, che era in camera sua al momento dell’accaduto verrà affidato al nucleo familiare, che ha già una bambina.
Ma intanto le isole del Destino ricorderanno per sempre l’esempio di solidarietà e bontà che i Destiny hanno dato al nostro paese.
Articolo di K.H.
1 Novembre.



Aveva pensato che sarebbe stato davvero macabro incorniciare quel giornale e appenderlo in camera sua.
Eppure, per quanto si sforzasse di dimenticare, quelle parole erano sempre lì, vivide nella sua mente.
La sua famiglia…il suo fratellone…morti.
Erano passati nove anni dall’accaduto, e il dolore lo stava consumando troppo lentamente, per i suoi gusti. Un colpo secco sarebbe stato meglio.
Spesso si ritrovava a chiedersi “Perché continui a vivere?”, e, altrettanto spesso, non riusciva a trovare una risposta alla domanda. Ma un presentimento ce lo aveva.
A volte ripensando all’articolo gli veniva da ridere.
Probabilmente il giornalista doveva avere un concetto un po’ contorto di “Per sempre”, visto che gli avevano portato rispetto per meno di due anni, e poi il ricordo di tutto quello che aveva fatto la sua famiglia per le isole era svanito.
E poi, i signori Draw prendersi cura di lui…tsk, che baggianata.
Aveva passato quattro anni in cui collegio, e poi l’avevano rinchiuso in una villetta delle Destiny, con una paghetta di mille munny al mese per mantenersi.
“Abbiamo ricoperto la zona di allarmi, così se l’assassino -che non hanno ancora preso- decide di finire l’opera, non avrà scampo” si erano pavoneggiati davanti alla polizia.
Ma Roxas era certo che se il signor. Draw avesse deciso di ammazzare ANCHE lui, avrebbe saputo come disattivarli, avendoli installati lui stesso.
Naminè non poteva immaginare che il suo amato papino era un assassino, e Roxas aveva deciso di non dire a nessuno quello che aveva visto quella sera.

FLASHBACK.
- Adam dammi i soldi. -
- Ma certo! Quanto ti serve? –
- Voglio tutto! –
- Mi dispiace ma non posso dartelo. –
- Allora sarò costretto ad uccidere la tua adorata famiglia. –
- No! Loro no! –
- Dammi i soldi! –
- La solita storia della borsa o la vita! Se te li do moriremo comunque di fame, no? –
- Allora sarò costretto a prendermeli con la forza. –
E poi…
BANG. BANG. BANG.
La morte ha un suono così ridicolo…
FINE FLASHBACK.

Si sentiva un vigliacco. Se fosse entrato, probabilmente sarebbe morto con la sua famiglia.
Questo ad Axel non l’aveva mai perdonato. L’aveva trattenuto, e non gli aveva permesso di morire.
“Dobbiamo dirlo alla polizia, Ax. Dobbiamo dirgli che lo zio è cattivo, che è stato lui.”
“Non ci crederanno mai Roxy. Se lo dirai lui te la farà pagare.”
“Mi ucciderà?”
“No. Non permetterò mai a qualcuno di farti del male. Non voglio perderti.”
“Neanche io. Sei l’unico che mi rimane.”
E adesso, per colpa di quel giorno, non aveva più nessuno, perché dopo l’accaduto anche il suo migliore amico, l’aveva evitato in ogni situazione, fino ad allontanarsi completamente da lui.
Halloween significava passato.
Significava morte, significava rimpianto.
Halloween significava perdita di Axel.
Era anche per questo che lo odiava.


Se c’era un giorno dell’anno in cui le galline facevano davvero fortuna, quello era proprio il 31 ottobre.
Ciò era testimoniato dalla divisa del biondino, un tempo azzurra, ricoperta da tuorli e albumi senza distinzione…Beh, almeno erano freschi!
Inutile dire che sembrava una frittata con l’aggiunta di qualche ricciolo di schiuma e piume.
Entrò nel cortile della scuola in ritardo, essendo stato “intrattenuto” fuori, e facendo scoppiare la scuola in una risata collettiva.
Vide Axel, circondato dai tredici, ridere sguaiatamente come tutti gli altri.
E questo gli fece davvero male.
“Happy Halloween Roxas.” Pensò attraversando il giardino di corsa per rintanarsi nei bagni maschili.
C’era solo una ragazzina intenta a togliersi della schiuma dai capelli, che conosceva di vista.
Era una sua simile, la secchiona dell’altra classe.
Esattamente un anno prima erano stati eletti “Mister e Miss miglior travestimento di Halloween”.
Il problema era che loro non si erano mai travestiti.
- Vedo che non sei riuscito a sfuggire alla furia distruttiva di “Attilairi, la flagella di Sora” – rise la ragazza togliendogli una piuma.
- Neanche tu stai messa bene. – rispose aprendo il rubinetto.
- Sono arrivata alle sei, riuscendo a sfuggire alle uova. Ma non ho potuto evitare la schiuma della principessa, che è nel bagno femminile a spruzzare a chi le capita.- mormorò.
“La principessa” era il soprannome di Naminè, naturalmente, e “Attilairi” quello di Kairi.
Storse il naso:
- Tu puzzi. – lo indicò.
- Ma chissà perche! – fece Roxas ironico. – Ho la cambiata nella borsa. – aggiunse.
L’altra chiuse la fontana e si avviò verso la porta.
- Io ho finito, anche se tornerò tra circa cinque minuti. Ciao. - si avviò.
- A dopo. – fece il biondo aprendo lo zaino.
- Ah, Roxas! – tornò indietro.
- Sì? –
La ragazza sorrise:
- Buon Halloween. – lo prese in giro. Roxas la fulminò con lo sguardo, poi rise di rimando:
- Buon Halloween Xion. – concluse. -- (Contento Ant? Te l’ho messa con dolore e rimpianto. Mi sono punita dando a testate contro il muro. Non sai quanto mi è costato scrivere quel cavolo di nome! N.d.a.)

Il resto delle lezioni trascorse “normalmente”, per quanto normali possano essere degli squilibrati nel giorno più squilibrato dell’anno.
Roxas rimpianse di non essersi portato tre, anzi no quattro, anzi no sette ricambi.
Ma dove le prendevano tutte quelle uova???
Mistero della scienza!
La campanella gli sembrò più liberatoria di tutti gli altri giorni.
Si chiese se Anna Frank avesse sentito il suono allo stesso modo, nel caso fosse stata liberata.
Si rese conto di essere macabro, davvero.
Uscì normalmente, sorpassando in fretta tutti i suoi compagni, e in poco si ritrovò fuori dal cortile.
- Roxas – una voce che conosceva fin troppo bene, lo richiamò. Si voltò nervoso:
- Cosa c’è? Ha voglia di farsi altre risate, o gli è rimasta una bomboletta di schiuma, signorino Flames? – spuntò quelle parole avvelendole abbondantemente.
- Volevo solo chiederti scusa.- mormorò mesto l’altro. Roxas riprese a camminare, ignorandolo:
- Va al diavolo. – borbottò sparendo in un vicolo, lasciando Axel a piangersi addosso.
Si morse il labbro in colpa; aveva fatto troppi errori.
Era tempo di rimediare.


La porta della piccola cripta si aprì cigolando con un rumore sinistro; era molto vecchia, logico che lo facesse.
Probabilmente qualunque altra persona sarebbe defunta di paura, lì dentro, il giorno più pauroso dell’anno ma Roxas ci era abituato. Era l’anniversario della morte dei suoi genitori, ci andava tutti gli anni. E anche a Natale, a Pasqua, e a ogni festività che avrebbe dovuto festeggiare con la sua famiglia.
Si guardò attorno con aria triste: la cappella era esattamente come la ricordava.
Le pareti in pietra, lasciavano penetrare alcuni spiragli di luce, attraverso le loro crepe.
Lungo i muri le varie tombe dei suoi zii, prozii, nonni eccetera.
Non c’erano lampadari, solo qualche candela qua e la.
Il soffitto non era molto alto, era un semplice soffitto crepato, che lasciava penetrare i pallidi raggi di sole autunnali, e il pavimento era ricoperto da un tappeto, che un tempo sarebbe dovuto essere di un bel rosso scarlatto, che in quel momento, ricoperto dalla polvere, si avvicinava di più a un bordeaux spento.
Infine, davanti a lui si ergeva un altarino, ricoperto da un telo azzurro, affiancato da due altari più grandi, ricoperti da dei teli bianchi.
Solo l’altare più piccolo aveva dei fiori freschi, a tutte le altre tombe i fiori dovevano essere vecchi di settimane, se non di mesi.
Roxas si strinse nel suo maglione azzurro: faceva freddo, e quel posto aveva un’aria da brivido.
Facendosi coraggio accese alcune candele e cominciò a mettere i fiori sulle tombe.
“Una rosa bianca per la mamma” pensò poggiando il fiore sull’altare.
“Un tulipano per papà” si soffermò a guardare la foto dei suoi genitori: com’erano belli!
Era stata scattata al loro anniversario di matrimonio, due mesi prima della loro morte.
Lei con i suoi capelli dorati, e gli occhi cerulei luminosi sorrideva splendidamente stringendo la mano a un uomo dai ribelli capelli corvini, e gli occhi color cielo. Sembravano così felici…
Sentì le lacrime salirgli agli occhi, e le ricacciò dentro, passando alla tomba centrale.
Un bambino, che gli somigliava così tanto, rideva, facendo brillare gli occhi color cielo.
Quel giorno era il suo settimo compleanno: aveva ricevuto tutto quello che voleva, ma non era quello il motivo della sua felicità. Nei suoi occhi brillava la fiducia di una promessa:
“Non ci lasceremo mai vero Ven?”
“Naturalmente Rox. E’ una promessa.”
Le lacrime cominciarono a bagnargli le guance, senza che potesse far niente per fermarle.
- Mi manchi così tanto, fratellone.- mormorò accarezzando la foto.
L’orologio della chiesa che scoccò le sei, lo riportò alla realtà: sarebbe fatto buio presto, gli conveniva tornare a casa.
Spense velocemente tutte le candele, e uscì, chiudendo la porta a chiave.
Si voltò, trovandosi faccia a faccia con una persona. Sobbalzò appiattendosi contro porta della cripta.
- L’ho spaventata signorino Destiny? – si trovò davanti gli occhi azzurri del guardiano, che gli tendeva la mano.
La accettò volentieri:
- Non si preoccupi Terra. – loro due erano così simili.
Se c’era una persona in tutto il mondo, più sola di lui il giorno di Halloween, quello era proprio Terra Tsukami, il guardiano del cimitero di Destiny.
Lui aveva perso tutto nello stesso modo di Roxas.
A quattordici anni Terra era scappato di casa, stanco delle sfuriate che i suoi genitori non mancavano di fargli perché “Non doveva frequentare gente di quel tipo”.
L’amico di cui si parlava era Ven Destiny, un cinquenne di benestante famiglia, che sembrava deciso a non mollarlo.
Era stata proprio la famiglia del piccolo a ospitarlo, trattandolo come un vero e proprio familiare.
Ma il ragazzo si era improvvisamente ritrovato sul ciglio di una strada, la sera del 31 ottobre, con l’assassinio di Ven e genitori.
Roxas sapeva quanto Terra aveva sofferto. Tanto. Forse più di lui.
Sapeva che amava profondamente Ven, e che era l’unica persona che contava per lui.
E le lacrime che gli aveva visto versare in quella fredda notte d’inverno, erano solo testimoni incorrompibili dei cuori che si erano spezzati.
E ciò faceva male ad entrambi, nonostante non fossero mai stati in rapporti strettissimi.
Però erano un quartetto affiatato.
Il biondo ricordava nostalgicamente, i felici pomeriggi, passati a giocare a nascondino a Villa Kokoro, facendo contare sempre il moro perché, “Sei tu il più grande, e quindi sai contare meglio, giusto Roku?” decisione di “Mister istrice amico del fratello di Ven”, come amava definirlo “Mister strano essere con i capelli marroni, amico di mio fratello” nomignolo dato da Roxas, o “Fratellino nanetto, che difende un coso rosso”, soprannome amorevolmente inventato da Ven, che veniva chiamato dal “coso rosso”, “Fratello di Roxas, che (anche se lo crede) non è tutta questa grande cima, e riesce solo a dare fastidio”.
E a quel punto cominciava una furiosa lotta tra i due più grandi, con il tifo dei fratelli che terminava solo con l’arrivo dei biscotti della Signora Destiny.
Quelli sì, che erano bei tempi.
- Anche oggi da soli, signorino? – Terra gli rivolse uno sguardo amorevole.
- Come sempre, Terra. E chiamami Roxas, per favore. – tentò di liberarsi dalla presa del più grande, e solo in quel momento si accorse di essere incastrato tra il muro e il castano. Gli mancò il fiato; Terra era così vicino, i loro nasi si toccavano, e l’altro aveva gli occhi socchiusi.
E siccome Roxas era un ragazzo perspicace, gli ci vollero pochi secondi per elaborare la situazione: stava per baciarlo. Il migliore amico di suo fratello stava per baciarlo, e lui era incapace di fare qualsiasi cosa.
Terra aprì gli occhi, e poggiò delicatamente le sue labbra su quelle del più piccolo.
Sentì Roxas irrigidirsi, e guardò i suoi occhi color cielo, allagarsi.
E per un attimo lo vide: il suo Ventus, in quelle pozze blu spaventate.
Ma era solo un riflesso. Lui se n’era andato tanto tempo prima.
E per quanto fosse difficile e doloroso, doveva accettarlo.
Quello non era Ven. Quello era Roxas. Roxas non gli apparteneva, apparteneva a Lui.
Anche se forse quell’idiota era troppo egoista ed egocentrico per capire quanto stesse facendo soffrire il biondo.
Si staccò di botto.
- Mi perdoni, mi dispiace- – corse via, ma si sentì afferrare il polso.
- Lo so Terra. – la voce di Roxas era piatta, inespressiva. Lo vide abbassare lo sguardo, e mettersi una mano in tasca. – Volevo darti questa. – gli porse un pezzo di carta strappato.
Lo accettò esitante: una foto. Sorrise malinconicamente guardandola.
Terra e Ven, come recitava una frase sul retro. Ricordava quando l’avevano scattata: era il suo compleanno. Ven gli aveva regalato una macchina per i pop corn, la sua grande passione, e in quella foto stavano ammirando il regalo con tanto di occhi a cuoricino.
- Grazie Ven. – mormorò. L’altro sorrise a quel nome:
- Di niente, Terra.-
Il moro si allontanò stringendo quel foglio, come se fosse stata la cosa più importante che avesse mai ricevuto.
Roxas fece lo stesso, guardando l’altro pezzo della foto, quello che si era tenuto.
E ancora una volta rimase colpito dagli occhi verdi.
Quegli occhi verdi che gli avevano inflitto una ferita nel cuore, troppo profonda per essere guarita.


- E se trovo altri tigri, potremo fare tutti insieme il salto in lungo e in largo con il balzo di rimbalzo!-
- Il manzo della manzo…di che cosa in lungo e in largo?-

Roxas si tirò le coperte fin sopra la testa: sapeva che sarebbe finita così. Finiva così tutti gli anni.
Era sdraiato sul divano di velluto coperto da un grosso piumone azzurro, di fronte alla televisione.
Dove stavano trasmettendo, come tutti gli anni, “T come Tigro”, film che ormai sapeva a memoria.
E ancora non riusciva a spiegarsi cosa c’era di Hallowenesco!
Sì, Tigro era arancione e nero, ma non gli sembrava affatto un buon motivo per trasmetterlo per dieci anni di fila, la sera del 31 ottobre.
Non sarebbe stato più logico fare qualcosa del tipo “Nightmare before Christmas” ?
Probabilmente i produttori non la pensavano allo stesso modo, o forse pensavano che non ci fosse nessuno era così sfigato da rimanere a casa in quel giorno.
Beh, certo avrebbe potuto cambiare canale, ma non aveva molta voglia di guardare un documentario sulla morte dei suoi genitori (altro programma ricorrente), o film del tipo “Il Mai Nato” o “The Ring”, che gli facevano venire gli incubi di notte, preferiva di gran lunga stare su un canale per bambini poco intelligenti dove trasmettevano ventiquattro ore su ventiquattro “Dora” e “La casa di Topolino”.
Inoltre si sentiva particolarmente male: aveva freddo e gli girava la testa, come se si fosse drogato, forse il bicchiere di tequila che aveva bevuto aveva avuto i suoi effetti.
Era stato un gesto estremo: aveva tentato di affogare la sua tristezza nell’alcool, ottenendo come risultato solo un fastidioso mal di testa.
Ma in fondo non gli importava più di tanto, quello era il suo Halloween e nulla avrebbe potuto spezzare la monotonia.
DLIN DLON.
Appunto. Chi poteva essere?
Nessuno, mai nessuno aveva osato bussare a quel campanello, tanto meno in quel giorno funebre.
Si trascinò in piedi, completamente avvolto dalla coperta, e rimpianse di non aver attivato l’allarme.
Svogliatamente aprì la porta e…



- Ah! – la persona fece un balzo all’indietro. – Sappi che se la tua intenzione era di spaventarmi, complimenti, ci sei riuscito benissimo. Ottimo travestimento sembri davvero uno zombie.-
- Sto ridendo talmente tanto, che il mio stomaco ha deciso di fare una capatina in gola. – disse inespressivo:
- Si può sapere cosa vuoi, Axel?- domandò serio al ragazzo di fronte a lui.
Indossava un pantalone e una giacca neri, di pelle, e una maglia color sangue con un teschio:
- Cattivo. E io che volevo farti una sorpresa.- Axel fece una linguaccia, cacciando un sacchetto dalla tasca. Lo aprì e ne tirò fuori un cioccolatino a forma di cuore:
- Sono giorni che mi bombardano con questi cosi. Caspita, io credevo che fosse Halloween, non San Valentino! – rifletté, tentando di mettere il cioccolatino in bocca all’altro, che gli bloccò il braccio:
- Vattene. – disse freddamente. Non aveva voglia di vedere nessuno, benché meno quella sottospecie di Goku versione inferno.
- Senti Roxas, non ha la minima idea di cosa ti stia succedendo in questi giorni. Si può sapere cosa ti prende? – domandò il rosso esasperato. Roxas lasciò ricadere il braccio sotto la coperta, sorpreso:
- Cosa mi prende??? Tu, chiedi a me cosa prende???- urlò isterico alzando gli occhi al cielo.
- Mi prende che sono stanco signor Popolarità! Stanco di quegli stupidi ragazzini che vanno in euforia per una stupida festa! Stanco di essere trattato come un bersaglio vivente e di essere minacciato, perché uno stupido essere con degli stupidi capelli mi ha fatto ciao con la mano. – cominciò a gesticolare nervosamente.
- E soprattutto.- aggiunse esaurito – Stanco di uno stupido tizio che stasera si è presentato qui come se per nove anni non mi avesse completamente ignorato e preso in giro. – aveva le lacrime agli occhi.
Axel reagì d’istinto: lo abbracciò, lasciandolo interdetto. Gli circondò le spalle con le braccia, accarezzandogli la schiena.
- Mi dispiace. So di non poter capire quello che provi, ma mi dispiace. Di averti ignorato, ma comprendimi: quando te ne sei andato in quel collegio io mi sono sentito perso, e quando sei tornato, non sapevo come comportarmi. Ho seguito la massa. -
Roxas si lasciò cullare e pianse appoggiato al petto del più grande: in tanto tempo non si era mai sentito così bene, quel caldo abbraccio era così familiare.
- Sei un idiota. – concluse.
Axel si tolse il giubbotto, si chiuse la porta alle spalle, e accese l’allarme. Trascinò sul divano Roxas che appoggiò la testa alle sue gambe.
- Come ai vecchi tempi…- sussurrò nostalgico. Rivolse uno sguardo alla televisione; alzò un sopracciglio:
- T come Tigro. Un programma molto educativo senza dubbio. –
- A te piaceva. Dicevi sempre che ci somigliavano. Mi paragonavi a Rò. – mormorò il biondo chiudendo gli occhi. Axel rise.
- Avevo tutti i motivi per farlo, quando arrivavo ti mettevi a saltellare come un canguro, e Ventus cominciava a seguirti, chiedendosi cosa ci fosse di tanto straordinario nel campanello che suonava. Ti vedo particolarmente stanco. Hai preso qualcosa? – domandò toccandogli la fronte.
- Sì. – mentì Roxas – Un sonnifero –
- E’ perché?-
- Soffro di insonnia. – Non gli avrebbe rivelato Mai e poi Mai, neanche sotto tortura che la sua “insonnia” era il pensiero fisso di un istrice rosso, che lo ignorava.
Chiuse gli occhi, assaporando quel momento: avrebbe voluto che non finisse mai.
Quando gli sarebbe ricapitato di stare così vicino ad Axel?
Di certo, il giorno successivo sarebbe tornato tutto alla “normalità”, quel momento sarebbe rimasto impresso solo nella sua mente.
Lo odiava, per questo. Se solo avesse potuto dimenticare…
- Perché non sei a una festa? – chiese il rosso stupidamente. Era una domanda retorica, si capiva.
Il più piccolo sbuffò:
- Non mi piacevano i dolci. – fece ironico.
La scena aveva un ritmo lento: Axel domandava, Roxas rispondeva, Axel rifletteva e faceva un’altra domanda.
Ma era meravigliosa per questo. Per la sua imbarazzante semplicità.
- Quindi deduco che ti piacciono ancora i dolci al cioccolato. – constatò il più grande…e quello che diamine c’entrava???
Cioè, insomma, Axel doveva essere stato alle feste di tutto il paese (cosa probabile), e aver controllato che non ci fosse cioccolato da nessuna parte (cosa improbabile, visto che sulle Isole Del Destino c’erano più cioccolatieri che supermercati), e infine essere andato da lui a fargli quell’insensato interrogatorio.
-…e quindi tu ora devi mangiare questo cioccolatino, per assaggiare il vero gusto di Halloween. – tirò fuori un cuoricino dalla tasca. Ma dove voleva andare a parare?
Tentò di infilarglielo in bocca, come aveva fatto prima. Roxas oppose resistenza ma Axel gli rifilò un sadico sorriso, e dopo un’assurda lotta si ritrovarono per terra, Axel su Roxas, che gli teneva bloccati entrambi i polsi, solo con la coperta a separarli.
Il biondo arrossì vistosamente.
- Trick…- cominciò Axel. Aveva una fissa per l’inglese, Roxas se lo ricordava bene…
Eppure, nel bacio che gli diede non c’era assolutamente niente di inglese, per lo più era molto, molto alla francese.
Non era come quello di Terra, delicato e gentile, no, lui si era abbattuto con forza contro le sue labbra, insinuando brutalmente la sua lingua nella bocca dell’altro, e cominciando ad esplorarla con violenza, mentre con le mani toglieva quel telo che li divideva.
E proprio per questo era stupendo, quel bacio era Axel.
Roxas, dal canto suo, non poteva che godere del momento tanto desiderato, e ringraziare ogni santo che conosceva, per quel momento. Sfiorava Axel con imbarazzo, quasi timore.
- …or kiss? – concluse una volta staccatosi. Non gli aveva dato possibilità di scelta, e ne era grato.
Si guardarono affannati e rossi in viso. La situazione era cambiata: ora erano entrambi in ginocchio, con le fronti che si sfioravano, e chissà come ci erano finiti, entrambi a torso nudo e con i pantaloni troppo stretti.
Bastò un malizioso sorriso da parte del più grande, per far perdere a Roxas quel poco di autocontrollo che gli era rimasto, e ricominciare a baciarlo con foga e con passione.
Fin quando la loro passione non si fu esaurita, di fronte a una televisione che nessuno si ricordò di spegnere, prima di addormentarsi.
Fu una notte di Halloween fantastica, la migliore della loro vita.
Oh sì, fu davvero una notte grandiosa.


EPILOGO (Purtroppo c’è pure questo)



Si asciugò le lacrime frettolosamente: che idiota che era stato! Uno stupido, un illuso, un ebete.
Quando la mattina precedente si era svegliato con un mal di testa atroce, sdraiato sul suo divano, con la TV accesa e un bicchiere di tequila vuoto sul tavolinetto, si era costretto a rendersi conto che era stato tutto un sogno.
Uno stupido inutile sogno, dal quale non si sarebbe mai voluto risvegliare.
Sapeva che era così, lo aveva letto in una rivista di psicologia.

“I sogni sono i nostri desideri più grandi che si realizzano, anche solo per una notte.
A volte ci aiutano, ci rendono più forti e più ostinati a raggiungere il nostro obiettivo.
Altre, se i sogni sono tanto belli quanto irraggiungibili, possono essere davvero pericolosi.
Fino a portare al suicidio, nella speranza di raggiungere quel mondo che tanto abbiamo amato.
Beh, sognatori di tutto il mondo, mi dispiace deludervi: non esiste nessun mondo dei sogni, aldilà della vita.
Posso solo ripetervi le parole disse Cenerentola:
“Non disperare nel presente ma credi veramente, e il sogno realtà diverrà”.
A volte le fiabe insegnano più di quanto noi possiamo capire.
In conclusione, sognatori di tutto il mondo, continuate a vivere.
Ma soprattutto continuate a sognare.

Dreamer.”



Che cavolata.
Forse lo scrittore si era dimenticato di aggiungere la terribile sensazione di essere stati fottuti, al risveglio, o forse era capitata solo a lui, visto che aveva passato la domenica a piangere.
Non aveva per nulla voglia di andare a scuola, si sarebbe perso volentieri le moine dei suoi compagni che riguardavano la “grandiosa festa”.
Ma poi non poteva fare assenze, visto che i suoi tutori erano in viaggio e non potevano firmargli la giustifica.
Si sciacquò per l’ennesima volta la faccia, tentando di pensare ad altro.
Era inutile, l’immagine di Axel che lo baciava era più forte di qualsiasi altro pensiero.
Uscì di casa a passo lento, sperando di non trovare nessuno sul suo tragitto.
Naturalmente non fu così. A metà strada una limousine nera si fermò di fronte. Ne scese una ragazza della sua età, bionda, con la divisa scolastica, messa in modo alquanto particolare.
- Roxy – cinguettò contenta. – Gran belle feste l’altro ieri, vero? Tu a quale hai partecipato? – fece aggiustandosi la gonna.
- A nessuna, Naminè. Ora se me lo concedi, devo andare a scuola. – si avviò a passo veloce.
- Sai…- cominciò a giocherellare con i propri capelli, la ragazza. – Ieri alla mia festa è venuto Axeluccio. – civettò. Roxas si bloccò di scatto: Naminè era l’unica a sapere della sua amicizia con Axel, e spesso usava ciò per ricattarlo. Che stronza.
- Ha portato…il suo ragazzo. –
Colpo dritto al petto.
Roxas avrebbe tanto voluto che in quel momento qualcuno lo portasse via, per distrarlo da quell’insopportabile rumore che era il suo cuore che si spezzava.
- Devo andare. – borbottò correndo via.
Naminè si compiacque della sua bugia: Larxene era davvero un’ottima insegnante.

Sorpassò il cancello della scuola a passo deciso, e con lo sguardo ancora rivolto verso il basso.
Roxas credeva che il suo cuore e il suo sguardo, non avrebbero retto nemmeno un secondo agli occhi di Axel.
- Ehi, Roxas. – pensandoci bene, nemmeno alla sua voce. Ma perché lo stava chiamando? Non avevano litigato loro? Si sentì afferrare il polso, e arrossì istintivamente. Quel tocco era lo stesso del sogno.
Si voltò lentamente, continuando a tenere gli occhi bassi: sapeva che sia i tredici, sia quelli della sua classe li stavano guardando.
- Che vuoi? – cercò di avere un tono autoritario, ma ottenne un suono stridulo e imbarazzato.
- Vedi…- iniziò il rosso con tono indifferentemente alto. – L’altra notte, mi sono dimenticato di dirti una cosa. – Roxas, certo di essere molto vicino all’infarto, alzò lo sguardo, contemporaneamente ad Axel, che al contrario, si stava abbassando per trovarsi faccia a faccia con il più piccolo.
- Ti amo. – lo baciò allo stesso modo del “Sogno”.
Roxas, completamente in estasi, non fece neppure caso alle urla e agli svenimenti che ci furono attorno a loro, era in una bolla di sapone, solo lui ed Axel.
Lo amava, lo amava tantissimo, ma soprattutto Axel gli aveva dato un buon motivo per amare Halloween.

OWARI



*Passano gli operai a ritirare la spazzatura, e a pulire il vomito dei lettori*


NOTE (STUPIDE) DI UN’AUTRICE STUPIDA SULLA STORIA (ORRIBILE) (VI ASPETTAVATE CHE DICESSI STUPIDA, VERO???):
Dopo Regole torna con questa “fan fiction” se si può chiamare così.
Allora…la storia non mi convince affatto.
Nata di getto (come una vomitata, insomma n.d. altra me), in un bel giorno di primavera (Ma si può sapere cosa ti sei fatta? N.d.altra me.)
Verità: scritta in una notte insonne (nelle ore dello sclero), dopo averla a lungo premeditata.
Penso che mi sia venuta una mezza schifezza (Idem n.d.altra me) e voi???
Ringrazio anticipatamente coloro che recensiranno, ma anche coloro che leggeranno.
Da me c’è un’influenza in giro, così la festa di Halloween che avevo organizzato è saltata.
Bah, stavolta non so davvero che scrivere (e allora perché non ti fermi e fai un piacere a tutti??? N.d. altra me), quindi mi limito a salutare.
Baci & Abbracci.
Dalla vostra Kim.

P.S. Quasi dimenticavo:
Happy Halloween a tutti voi!!!!!!!!!!!!!
  
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