Il soffio del vento.
Avverto un movimento accanto
a me.
“Ryco!”
Bastardo di un cane.
“Torna qua!”
Lo sento ringhiare.
“Se ti acchiappo!”
Abbaia. Stupido animale.
Tasto la superficie su cui
sono seduto. Legno.
Inspiro a fondo. Sembra
vernice.
Non ricordavo di essere
arrivato su una panchina.
Continuo a tastare.
Ah, ecco il mio bastone.
Lo pianto a terra e mi
spingo verso l’alto.
Mi sollevo. Mi giro intorno.
Picchio il pavimento con il
bastone. Asfalto.
Tiro un altro profondo
respiro.
Che ci faccio in un parco?
Ricordavo di essere sul
molo, il profumo del mare che mi inondava i polmoni.
Invece adesso sento l’odore
dei fiori. Bello, per carità, ma strano.
Non pensavo fosse primavera.
Mi ricordo ancora il lieve
tintinnio della neve sulle strade, sulle finestre. Un dolce suono ormai
scomparso.
Avanzo di qualche passo,
incerto.
Sento ancora quel bastardo
abbaiare.
“Vuoi stare zitto?” urlo.
Lui abbaia più forte.
Mi sento ridicolo. Sgrido il
mio cane come se potesse ascoltarmi. Ormai ho perso l’abitudine di parlare. La
mia stessa voce è uscita dalla bocca rocamente.
Ancora un passo. Il bastone
picchia qualcosa di diverso. Perdo l’equilibrio e scivolo.
Bestemmio.
“Ha bisogno di una mano?”
La voce è anziana,
femminile, intimorita. Una vecchia che ha paura di Ryco mi sta aiutando ad
alzarmi.
“Ha bisogno di qualcosa?” mi
chiede dolcemente, una volta che mi sono rimesso in piedi.
Valuto per quale risposta
optare, alla fine scelgo quella educata.
“No, grazie”
“Sicuro? La posso
accompagnare in qualche centro per…”
“No, grazie”
“Mi permetto di insistere…”
La rabbia comincia a
ribollirmi.
“Se ne vada!” urlo. “Vada
via! Non ho bisogno di lei! Non ho bisogno di nessuno!”
Scaglio il bastone in
direzione della voce.
Sento un tonfo di legno che
cade per terra e di piccoli passi che si affievoliscono velocemente.
Odio la gente che prova
compassione per me.
Mi ci sono rassegnato, più o
meno. Ma faccio ancora fatica.
I primi giorni sono stati un
inferno.
Un cieco cammina per la
strada.
Ha in mano un bastone, che
sbatacchia per terra, e accanto a lui vi è un cane scodinzolante.
La figura non sfugge agli
occhi del piccolo Timmy.
“Mamma, mamma” grida il
piccolo, tirando la manica della giacca della donna accanto a lui.
Lei si gira e osserva un po’
malinconica la neve che la circonda. Lei odia il freddo.
“Dimmi, tesoro”
“Guarda quello!” e addita
qualcosa davanti a lui. “Guardalo, guardalo!”
La donna volta lo sguardo
verso il punto indicato dal piccolo indice e i suoi occhi si riempiono
d’allarme.
“No, Timmy, non guardare.
Andiamo, tesoro, andiamo a guardare un’altra vetrina”
“Mamma, mamma, che sta
facendo?” la sua voce si alza di varie ottave. “Perché ha quegli occhiali
buffi?”
“Timmy, ti ho detto di non
guardare” e aumenta il passo.
Semaforo rosso.
Il bambino, impaziente, si
gira e guarda la sagoma del cieco venirgli incontro.
“Sta venendo qua, mamma,
guardalo!”
Tutti i presenti si voltano
a guardare la scena. La mamma arrossisce.
“Timmy, ti ho detto basta!”
“Perché barcolla? Eh, mamma,
perché ha quel bastone? Che cos’è?”
Qualcosa sferza l’aria.
È un bastone nero.
Colpisce secco il palo
emettendo un rumore sordo fortissimo.
“Mamma, ho paura” il bimbo
si mette a piangere e la madre spera nel verde del semaforo.
“Signora, glielo spieghi
cosa sono” dice il cieco.
La donna impallidisce.
“Avanti. Se non lo fa lei,
lo farò io… a mio modo”
Il bambino lo guarda
terrorizzato.
“Avanti, piccolo Timmy,
vieni qua. Vuoi accarezzare il mio bel cane?” la voce cambia nettamente
registro. Adesso è quasi suadente.
Il bimbo è ancora un po’
spaventato, ma guarda con vivo interesse.
Il cane mostra la sua lingua
e sbava contento.
“Dai, accarezzalo. Non aver
paura”
Timmy si volta verso sua
madre. Nei suoi occhi vi è il terrore.
Prova a trattenere il figlio
ma egli si è già spinto vicino al cane.
L’animale scodinzola e si
lascia accarezzare.
“Bravo, Timmy, bravo”
“Come si chiama?” chiede il
bimbo, in un momento di coraggio.
“Ryco. Non è mio, ma mi ha
seguito. Bello, vero?”
“Sì” asserisce il ragazzino,
più rilassato. Si volta verso la madre, anche lei tranquilla adesso.
“E tu… ehm… che cosa sei?”
Succede tutto in un attimo:
tra le urla dei presenti, il cieco setaccia l’aria e trova la maglietta del
ragazzino, la porta a sé e si abbassa gli occhiali.
L’urlo di Timmy mi
riecheggia ancora nella testa.
Ridacchio a quel pensiero.
Da solo.
“Alla fine ti ho preso,
brutto cagnaccio malefico”
Gli accarezzo il pelo.
“Ne abbiamo passate tante
assieme, vero, bello?”
Il suo respiro affannoso e
lo sbattere della sua coda mi suggeriscono una risposta affermativa.
Gli do una pacca sul dorso.
Da quando c’è Ryco mi sento
meno solo.
Certo, non mi dispiacerebbe
una compagnia più… umana, ma sono dell’idea che questo bastardo puzzolente sia
più fedele di molti umani.
Eppure, non è sempre stato
così…