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Autore: Janet Mourfaaill    01/11/2009    5 recensioni
Oh, quant'è dolce nascondersi in casa propria, ancor più che ritornarci dopo molto tempo. Trovare cunicoli e capire di non averla mai conosciuta sul serio – e questa stanza? E questo pianoforte? E quel quadro? Buffo.
Ed è meraviglioso constatare quanto essa sia sfarzosamente e ostentatamente enorme.
A voi non capita mai?
No?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lope

 

Lope

 

 

 

Oh, quant'è dolce nascondersi in casa propria, ancor più che ritornarci dopo molto tempo.

Trovare cunicoli e capire di non averla mai conosciuta sul serio – e questa stanza? E questo pianoforte? E quel quadro? Buffo.

Ed è meraviglioso constatare quando essa sia sfarzosamente e ostentatamente enorme.

A voi non capita mai?

No?

 

 

Narcissa era solita avvicinarsi agli ultimi invitati arrivati, sorridente e serena, mostrando loro la via più breve per recarsi al salone centrale.

Il Salone centrale del pianterreno, ovviamente.

Le piaceva apparire attenta e premurosa nei confronti di chiunque; salutare con garbo, scambiare cortesi convenevoli, presentare il cugino di secondo grado a quel caro amico di Lucius, tra un drink e l'altro.

Il collo marmoreo avvolto da perle lucenti, perfette, che a guardarle parevano essere state create per quella donna e nessun altro.

Un rossetto scuro né troppo appariscente né troppo poco. Da donna matura ma non dimessa, non poi così adulta. Che osa pacatamente.

Narcissa congedò i coniugi Leighton prima di rivolgere una rapida occhiata alla Sala già gremita di gente.

Incrociò lo sguardo del marito, anch'esso distaccato e quasi casuale, prima di distoglierlo e sorridere gentilmente a una nuova coppia di invitati.

Draco non si era ancora visto.

 

 

***

 

Era scoppiato a ridere, poi si era tappato la bocca zittendosi da solo.

Shhhhhhhhhht!

Una bottiglia di vino rosso in mano, il viso meno pallido del solito e una luce scarsa in quello sgabuzzino sconosciuto. Mai visto prima, invero.

Che poi, per essere uno sgabuzzino era davvero immenso.

Aveva smesso di ridere una buona volta e ora era serio.

Aveva preso a camminare in tondo - lo specchio alla sua destra lo disturbava, gli sembrava quasi vivo mentre rifletteva la sua immagine vorticante, instabile, un po' stupida.

C'erano centinaia di persone al piano di sotto, ma lui come al solito non si sarebbe presentato prima delle undici.

Shhhhhhhhhht.

Appoggiò la testa contro il muro, sentendosi improvvisamente male.

Aveva decisamente bevuto troppo.

Ma cos'era una bevuta? Un salto troppo lungo, azzardato, su di un pavimento infangato che fa scivolare, scivolare, scivolare. 

Dimenticati i problemi, in uno sgabuzzino ridicolmente sontuoso cosa restava da capire? Archiviate le impressioni, le idee, i pensieri, i ricordi.

Cosa c'era dietro una bottiglia di vino, in grado di far dimenticare?

Non poteva essere tutto merito suo.

Suo padre non aveva idea che lui si ubriacasse ogni volta.

Nemmeno sua madre, probabilmente.

Era come un rituale silenzioso, indipendente, senza un reale senso e senza un reale scopo.

E a lui non importavano delusione, preoccupazione o responsabilità.

Aveva una casa da esplorare sempre meglio e quei ricevimenti erano la sua occasione, erano la sua ancora. Assieme ad una bottiglia di vino e qualche pensiero da cacciare via a forza.

Sale da guardare con indifferenza perché non conservano ricordi o episodi rilevanti, mura immacolate e divanetti su cui nessuno si è mai seduto in vent’anni.

Eppure senza polvere.

Barcollò, cadendo a terra con violenza e riprendendo a ridere.

Faceva ridere pensare di vivere in una casa pronta a mutare ogni giorno. Troppo grande per essere materna, troppo bella per assorbirla a pieno. Troppo… troppo.

Erano pensieri remoti che la sua mente collegava tra loro per pura abitudine: fiotti di considerazioni stracciate, molli, scivolose come quel pavimento di pietra. Nemmeno da ubriaco riusciva a distaccarsi del tutto da se stesso, da ciò che comportava essere Draco Malfoy e da ciò che conseguiva il rendersene conto. Scendere a patti con l’idea di qualcosa che di solito protegge, cresce, accompagna.

Casa.

Aveva appoggiato la testa contro il muro, guardando il quadro davanti a sé. Ritraeva lui, suo padre, sua madre e i suoi nonni.

Non c’erano sorrisi né espressioni particolarmente felici; c’era una compostezza familiare che tutto sommato non lo disturbava e colori cupi, anch’essi quasi amici, quasi compagni di viaggio.

Draco sorrise mestamente, la testa che gli scoppiava.

Un quadro di famiglia nello sgabuzzino.

Rise più forte. Improvvisamente aveva il singhiozzo e le lacrime agli occhi.

Sua madre aveva messo un quadro di famiglia in sgabuzzino.

In uno sgabuzzino di venti metri quadrati e con tanto di specchi, comodini e armadietti ma Cristo… pur sempre uno sgabuzzino.

Quando posò lo sguardo di nuovo sul quadro non rideva più.

Si ricordava ancora il momento esatto in qui lo ritrassero. Aveva undici anni, all’epoca, suo nonno era ancora vivo.

Gli chiesero di vestirsi completamente di nero, e chiesero a suo nonno di posargli la mano sulla spalla sinistra.

Suo nonno, che lo odiava.

Roteò gli occhi, bevendo ancora un po’.

Prima di scoppiare a ridere, di nuovo, singhiozzando.

No, decisamente non poteva essere tutto merito di una bottiglia di vino.

 

 

 

***

 

 

- Davvero? -

- Davvero. -

- Non me n'ero accorto. -

La conversazione era terminata lì, secca e quasi indifferente.

Non se n'erano accorti, prima.

Tuo figlio è ubriaco. Succede sempre, ogni volta.

Davvero?

Davvero.

Non c'era un bisogno di capire il perché, il come e il quando.

Nessuno dei due aveva sentito il bisogno di andarlo a cercare e parlargli, chiedergli cosa stesse succedendo.

La premura non era cosa loro, non era... consueta.

- Margaret. - Narcissa aveva sorriso a una zia, allontanandosi dal marito senza aggiungere altro. Lui la seguì con lo sguardo, in silenzio.

- Lucius. - L'uomo si voltò, sentendosi chiamare.

Sorrise a uno dei suoi colleghi, raggiundendolo.

- Tuo figlio? -

Lucius allargò il sorriso, serafico. - Oh, sarà qui a momenti. -

 

 

 

***

 

 

Aveva sbattuto la testa contro il muro sedici volte.

Sedici volte.

Era scoppiato di nuovo a ridere e si era zittito, prima di uscire dallo sgabuzzino e raggiungere la propria stanza.

Si era buttato sul letto senza pensarci, improvvisamente stava piangendo.

Chissà che cosa stava dicendo, ora, sua madre.

Con chi stava parlando, interessata, delle sue proprietà e della sua famiglia.

Di suo figlio.

La bottiglia si era rovesciata e aveva bagnato il letto, ma Draco stava già per addormentarsi e non ci fece caso, più impegnato a tentare di scacciare quel rombo costante che aveva in testa.

Come balzi su e giù per la mente, violenti, inarrestabili.

Shhhhhhhhhhht.

Chiuse gli occhi, senza pensare ad altro, mentre quasi gli pareva di star ridendo ancora.

Improvvisamente rideva forte, sguaiato, spensierato.

Un momento dopo dormiva, in viso ancora una risata amara.

 

 

***

 

 

 

Era sceso dalla gradinata, lo smoking impeccabile e la cravatta perfetta, lucida, orgogliosamente di un verde bottiglia.

Bottiglia.

Shhhhhhht!

Aveva smaltito la sbornia – quel termine volgare, così strano da concepire che poteva essere a malapena pensato e la cui pronuncia suonava di pessimo gusto persino a lui – e si era vestito di tutto punto, come previsto.

Come previsto.

Aveva percorso qualche metro ed era stato fermato da una decina di persone; aveva salutato con garbo, senza tuttavia soffermarsi.

Quella donna con le perle al collo e la schiena scoperta, quasi al volersi lamentare mutamente di non essere più oggetto di attenzioni del proprio uomo, così per vendetta cercava di esserlo quantomeno per tutti gli altri.

- Oh, eccoti qui, Draco. - Un sorriso. Semplicemente un sorriso.

Draco non disse nulla.

Le baciò la guancia, incrociando lo sguardo del padre dall'altra parte della sala.

Lui non sorrideva.

Non sorrideva perché non aveva nessuno a cui spacciare per paterno il suo sorriso.

Draco distolse lo sguardo, sorridendo appena alla coppia che sua madre gli stava presentando.

Oh, com'era bello e amabile non pensare al tempo e allo spazio in casa propria, lontano... lontano.

E scoprire di vivere in un luogo infinito, segregato e al contempo costretto ad esplorare per rintracciare. Scoprire di vivere e sopportare al contempo.

Di non conoscere nemmeno le proprie stanze, i propri ricordi, le proprie verità.

E trovare conforto in uno stanzino sperduto, da solo, tra una risata solitaria e l'altra.

Oh, com'era dolce.

Un'ultima occhiata a sua madre, priva di significato o spiegazioni.

Che tanto spiegare portava alla menzogna e il significato era palese per entrambi.

Shhhhhhht.

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice:

 

Questa storia è nata nel giro di trentacinque minuti.

Perciò abbiate pazienza e pietà.

Ad ogni modo, partecipa alla Criticombola con il Prompt 61 [“Davvero?” – “Davvero.” – “Non me n'ero accorto:”] e all' “Iniziativa Estemporanea: Sbornia”. Entrambe sono iniziative di Criticoni.

Grazie per i passaggi dovuti e non dovuti, eventuali sorrisini e alzatine di occhi al cielo.

Fa sempre piacere, a prescindere.

 

Janet.

 

  
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