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Autore: NinfaDellaTerra    01/11/2009    1 recensioni
Riku, la notte dell’attacco degli Heartless a Destiny’s Islands, inizio del primo gioco. Le riflessioni di un giovane che si sente in trappola, e, pur di far sopravvivere la propria anima, pur di continuare a vivere, è disposto a inoltrarsi nel più fitto dell’oscurità. Quarta classificata al contest "Good vs Evil" indetto da Dike_Nike e .Yuri_giovane_contadina sul forum di EFP.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Questione di sopravvivenza
Autore: NinfaDellaTerra
Personaggi: Riku, Sora, Kairi (marginale)
Genere: Malinconico, Introspettivo
Rating: Giallo
Avvertimenti: One - Shot
Colore scelto:
Blu, n°1 ( Parola: Morte)
Tema: Male
Introduzione:

Riku, la notte dell’attacco degli Heartless a Destiny’s Islands, inizio del primo gioco. Le riflessioni di un giovane che si sente in trappola, e, pur di far sopravvivere la propria anima, pur di continuare a vivere, è disposto a inoltrarsi nel più fitto dell’oscurità.
Il tema assegnato – quello della Morte – è trattato nel rapporto conflittuale tra Riku e l’Isola: la paura che la morte che ne pervade ogni anfratto possa alfine avere la meglio anche sulla propria anima, lo spinge a riporre le sue speranze nella fuga che l’oscurità gli offre; paradossalmente, il prezzo da pagare sarà proprio la morte di ciò a cui tiene di più: la sua amicizia con Sora e Kairi.

… o, almeno, così credeva lui allora!XD
Ho cercato di immaginare cosa possa aver pensato Riku nella notte che ha effettivamente dato inizio a tutto. E’ un personaggio estremamente affascinante, e la dinamica che ne regola tutto il corso dell’avventura, che è strabiliante e complessa secondo me, trova radici proprio nel suo odio viscerale per il mondo in cui è nato.
Buona lettura!
J

 

 

~ Questione di sopravvivenza

 
Non riusciva a prendere sonno.
Non aveva chiuso occhio per ore, e alla fine aveva deciso di uscire a fare una passeggiata sulla spiaggia, nonostante i nuvoloni all’orizzonte – non temeva certo la tempesta, lui.
Si diresse direttamente sulla porzione di scogliera morbida su cui sorgeva l’albero di Paopu, gettandosi con stizza sul ramo, ben conosciuto, su cui di solito sedeva a guardare il tramonto con Sora e Kairi. Si sistemò, accomodandosi nell’incavo del legno, che una volta doveva esser stato scomodo, ma che ormai era perfettamente levigato.
Fissava l’imponente massa d’acqua che lo separava dal resto del mondo – dei mondi, degli infiniti, fantastici mondi al di fuori di quella chiazza di sabbia chiara dimenticata dal cielo, con aria perfettamente indifferente. Eppure, quello che covava nel cuore, se avesse potuto essere trasformato in realtà, avrebbe disintegrato quel miserabile atollo.
Se avesse potuto, Riku avrebbe spazzato via senza pensarci un attimo l’intero, piccolo universo che rispondeva al nome, ironicamente pieno di speranza, di Destiny’s Islands. E, in maniera velatamente sadica, avrebbe guardato compiaciuto ogni singola molecola di quell’arcipelago solitario disfarsi lentamente sotto i suoi occhi. E lui avrebbe riso, e con i suoi amici sarebbe fuggito, finalmente senza più legami con quel posto senza futuro, senza più inutili zavorre da trascinare con sé. E sarebbero andati lontano, lontanissimo, avrebbero vissuto mille avventure. E sarebbero stati felici. Sarebbero stati vivi.
…certo, prima avrebbe dovuto convincere Sora e Kairi, ovvio.
Sbuffò. L’assurdità della sua condizione stava proprio in questo: l’odio per la gabbia ristretta in cui il fato lo aveva – tanto ironicamente quanto letteralmente - chiuso a chiave, contrastava nettamente con l’affetto viscerale che provava per le uniche due persone, oltre a se stesso, per cui valesse la pena essere al mondo. Loro non volevano andarsene. Poteva sfruttare la loro curiosità di bambini, giocare con le parole, lui che sapeva perfettamente come fare, quali tasti toccare, e spingerli a salire con lui su una nuova zattera, più grande di quella che la tempesta aveva distrutto, farli viaggiare in lungo e in largo semplicemente facendo credito sulla fiducia cieca che riponevano in lui. Poteva fare tutto questo, e anche di più, ma nulla sarebbe cambiato. Sarebbero sempre tornati a casa, loro.
E quando Kairi, spalancando quegli occhi enormi e azzurri - parevano fatti d’oceano, ma nonostante questo li adorava come poche altre cose - asseriva candidamente di sentirsi a casa lì, nel suo cuore Riku non poteva fare a meno di provare una fitta dolorosa e stizzita. E Sora, lui le dava sempre manforte. In fondo, entrambi agognavano una tranquillità che lui, al contrario, odiava nel più profondo delle sue viscere.
Tutto, in quel luogo, ai suoi occhi altro non era che morte. Sotto quella patina di pace apparente, nonostante la natura si sviluppasse rigogliosa, e l’isola fosse sempre piena delle voci e delle risate dei suoi amici, l’isola era morta, per Riku. Così morta da essere un pericolo vitale per chi ci viveva – poteva uccidere davvero, con il suo silenzio forzato, con i suoi ritmi monotoni a abitudinari, con la sua distanza totalizzante, geografica, ideale, visiva, da tutto ciò che era altro – altri mondi, altre persone, altre vite.

Per un assurdo paradosso, lui era sempre riuscito ad essere lontano da lì. Anche quando vi si trovava fisicamente, quando le sue dita disegnavano cerchi e spirali sulla fresca sabbia bagnata, o staccavano rabbiosamente le foglie dei cespugli, o strisciavano sulla terra battuta all’ingresso del rifugio segreto, la sua mente si trovava altrove, vagando per le avventure, le possibilità che lo attendevano fuori da lì – infinite come i mondi che lo aspettavano. Tuttavia, mai era riuscito a fuggirne fisicamente, a lasciarsi alle spalle tutto quello che più odiava, e che nonostante questo, continuava a circondarlo quotidianamente.
Era così, lo era sempre stato. E le cose promettevano di non cambiare.
Sbuffò, rivelando finalmente una smorfia di disappunto malcelato. Già, tutto sempre e comunque uguale a se stesso, monotono, piatto. Digrignò i denti con rabbia.
Non avrebbe permesso che quella maledetta isola divenisse la sua tomba.
E lui si sentiva talmente prossimo alla fine da temerlo davvero. La sensazione di ristretta solitudine che pervadeva quell’universo minuscolo, senza un’identità definita, una meta, uno scopo, lo attanagliava alla gola come una morsa, indefinitamente, spropositatamente grande. Soffocante, lo avvolgeva nelle spire di un presente e un passato sempre uguali, di un futuro che, come il labirinto del Minotauro, pareva doversi ripetere all’infinito nelle stesse mura, negli stessi ambienti, nelle stesse effigi scolpite nella pietra secolare del cielo, dell’oceano, delle foglie, a ogni passo. Nessuna svolta, nessun cambiamento. Solo la morte, prima della curiosità, poi dell’entusiasmo. Infine, dell’anima stessa.
Rabbrividì, alzando gli occhi al cielo, insolitamente nuvoloso e tetro. L’aria satura di elettricità pareva avvolgere la spiaggia immacolata come una fitta nebbiolina scura.
“L’ora è giunta.”
No, non lo avrebbe mai permesso.
“Lascia che ti renda più forte…”
Piuttosto che finire in quel modo…
“Conosco il tuo desiderio più grande.”
… avrebbe affrontato a testa alta qualsiasi cosa.
“Dammi il tuo cuore.”
Il potere di restare in vita era nelle sue mani. L’avventura, l’emozione, la gloria, erano davanti a lui, frutto ormai maturo e pronto per essere colto. Doveva solo allungare la mano.
 “ Dammi il tuo cuore. Ti porterò lontano da qui.”
Sorrise, mentre l’oscurità lo avvolgeva da capo a piedi, rinvigorendolo, donandogli nuova vita. Una vita adrenalinica, sporca, in qualche modo. Ma una vera vita.
Avrebbe dato tutto, anche il suo cuore, per quello. Non sarebbe morto dentro. Mai.
Un ultimo sguardo sprezzante alla prigione d’acqua che per quattordici lunghi anni lo aveva relegato in quello stato di coma apparente, soffocandolo in spire troppo strette per essere sciolte da qualcuno. Lui poteva farlo. Lui lo stava facendo. Solo l’avventura e la gloria al di là di quell’enorme buco nero.

In fondo, non era sempre stato il più in gamba di tutti loro?

Chissà, magari un giorno sarebbe tornato, e avrebbe liberato anche Sora, e Kairi. E forse anche tutti gli altri. Lo avrebbero seguito, perché lui avrebbe visto e poi raccontato loro le meraviglie che c’erano là fuori. E, forse, chissà, sarebbe anche riuscito a trovare il mondo dove Kairi era nata. E lei gli sarebbe stata grata, e avrebbe sorriso solo per lui.
Le labbra si piegarono istintivamente all’insù, in una smorfia compiaciuta.
L’ultima cosa che vide, prima di essere inghiottito dall’oscurità, furono due grandi occhi azzurri che lo fissavano preoccupati e addolorati.


“… Riku!”
Una lieve fitta al centro del petto. Chiuse gli occhi, strizzandoli forte.


… Sora. Kairi.

 
Poi più nulla.

  
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