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Autore: Darik    11/06/2005    2 recensioni
Dopo tanto tempo, un antico male si è risvegliato. Nota: questo racconto è il seguito di Bloody Parallelisms, nella sezione crossover, di cui è sottointesa la lettura.
Genere: Azione, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Asuka Soryou Langley, Rei Ayanami
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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1° CAPITOLO

“Bah, ma dimmi tu se devo starmene rintanata in una stiva!” sbuffò la ragazza con i capelli rossicci, che indossava una tuta rossa.
Se ne stava seduta sopra una grossa cassa di legno ancorata con dei cavi d’acciaio alla parete.
“Puoi sempre farti una passeggiata fuori, se vuoi” le rispose atona la sua compagna di viaggio, in piedi a riflettere guardando il vuoto.
La ragazza squadrò quella persona, leggiadra figura dai capelli azzurrini avvolta da un vestito bianco quanto la sua pelle.
“Quanto sei spiritosa” replicò allora acida.
Tirò fuori da una borsa una sacca di plastica piena di un liquido rosso, l’addentò e cominciò a succhiarlo avidamente.
“Bada che le scorte sono state calcolate in modo da durare esattamente quanto il viaggio. Se finisci la tua razione adesso, poi non venirmi intorno a piagnucolare che hai ancora sete” le fece notare l’albina.
“Lo so, lo so” rispose infastidita l’altra ragazza riponendo la sacca e sdraiandosi sulla cassa “Però questo viaggio è una noia mortale. Potevamo prendere almeno l’aereo”.
“Non avevo voglia di volare”.
“Oh, stupendo! Da dove salta fuori questa tua paura di volare?”
“Non ho detto che mi fa paura. Ho detto che non mi andava”.
“E perché scusa?”
Calò un pesante silenzio.
“Ci rinuncio. Tutti i saggi del mondo impazzirebbero per capire una come te!” sbottò la rossa. “Tra quanto arriveremo?”
“Tra due giorni”
La rossa si mise una mano sul viso emettendo un mugugno a metà tra il piagnucolare e l’infastidito.
Poi guardò la sua Master che continuava a fissare il vuoto persa in chissà quali pensieri.
Forse il comportamento della sua allieva la infastidiva o forse no.
Ma che Asuka si lamentasse del viaggio era il minimo, dato che Rei non le aveva neppure detto il motivo di quell’improvvisa partenza per il Giappone.
Neppure i suoi superiori del santo sinodo ortodosso glielo avevano detto, pare su richiesta della sua Master. Asuka doveva limitarsi ad accompagnarla.
Non le avevano spiegato neppure che cosa ci fosse in una piccola scatola che gli episcopi avevano consegnato a Rei.
Un pacco chiuso con un sigillo rosso.

“NON DOVEVI!!! NON DOVEVI!!!!” strillò il ragazzo lanciando per aria un vecchio tavolo di legno. Era già piuttosto rovinato e si distrusse quasi completamente.
Le sue grida riempirono le stanze del vecchio edificio abbandonato.
“Non dovevo fare cosa?”
“Non dovevi fare del male ad Hikari!!!”
“Guarda che io ho semplicemente fatto quello che nel profondo pensavi di fare tu”.
“Non è vero!!!”
“E’ verissimo, e smettila di fare il bambino. Tu ti sei dichiarato a lei con tutto il cuore, e lei invece non solo ti ha rifiutato, ma addirittura si è permessa di riderti in faccia definendoti uno scarafaggio”.
La voce del ragazzo si affievolì.
“E’ vero che ho sofferto tantissimo per quello che è successo, ma mai avrei pensato di ucciderla…”
“Raccontalo a qualcun altro. Anche se per pochi secondi, hai desiderato schiacciarle quel collo secco fino a renderlo sottile come una foglia. E’ questo mi è stato sufficiente”.
“Io… però…”
“Ora andremo a finire il lavoro”.
La rabbia del giovane si riaccese: “Che cosa?! ASSOLUTAMENTE NO!!!”
“Non si lasciano i lavori a metà”.
“Non farò mai ancora del male ad Hikari”.
“Va bene, vorrà dire che aspetterò che ti venga sete”.
“Me ne frego di questa sete di sangue!!!”
“Se avessi avuto un denaro per ogni volta che ho sentito questa frase…”

“Aaahhhh, la grande e caotica città di Tokyo. Da piccola desideravo tantissimo abitarci, perché siccome mio padre stava sempre all’estero, il Giappone praticamente non lo conosco”.
Era ormai notte fonda, Asuka e Rei camminavano per alcune stradine poco frequentate della metropoli giapponese.
Ogni tanto qualche passante lanciava delle occhiate interessate a quelle due bellissime ragazze.
E la stessa Asuka ogni tanto guardava, però con perplessità, la sua Master.
Da quando era iniziato quel viaggio, Rei stava sempre in silenzio.
Non che fosse mai stata una persona molto loquace, ma stavolta quel silenzio era diverso dalle altre volte.
Sembrava che Rei fosse troppo preoccupata per parlare.
Aveva persino accettato passivamente la decisione di Asuka di camminare normalmente per le strade, proprio lei che sembrava fissata con l’idea di muoversi sempre nell’ombra.
“Ehi Rei, qualcosa non va?”
“No”.
“Ma sei sicura? Mi sembri avere troppi grilli per la testa”.
“Prego?”
“Adesso fai pure la finta tonta? Si vede lontano un miglio che sei preoccupata”.
Rei si fermò, scrutando in silenzio Asuka e guardandola dritto negli occhi.
Poi riprese a camminare, lasciando interdetta l'altra.
Era davvero la prima volta che vedeva la sua Master in quelle condizioni.
E non sapeva proprio cosa pensare.
D’un tratto Rei si bloccò, come se sentisse qualcosa.
“Seguimi!” gridò infine, corse verso un angolo della strada immerso nell’oscurità e si fuse con quest’ultima.
Asuka rimase allibita.
La sua Master aveva appena utilizzato i suoi poteri da vampiro in una strada frequentata da persone normali, lei che solitamente era sempre così discreta.
“Al diavolo! Odio quando non capisco cosa succede!” esclamò la vampira correndo dietro a Rei e fondendosi anche lei con le ombre.

La ragazza giaceva immobile nell’ospedale, la testa fasciata.
Vari strumenti analizzavano costantemente le condizioni del suo corpo.
Una donna le stringeva una mano, fissando la ragazza con un'espressione addolorata.
Un uomo osservava entrambe dalla porta, quando fu avvicinato da un dottore.
“Il signor Horaki?”
“Sì”.
“Salve, sono il dottor Ogisa, volevo…”
Horaki gli fece cenno di tacere un momento, e lo allontanò dalla porta.
“Se sono cattive notizie, non voglio che mia moglie le senta. E’ già distrutta”.
“Capisco. Be, posso dirle che sua figlia ha riportato un brutto trauma cranico, ma per il resto è illesa. Non è in pericolo di vita, salvo improvvise complicazioni, e se tutto va bene, potrà riprendere conoscenza tra qualche giorno. Potrebbe farlo già adesso, ma la teniamo sotto sedativi perché preferiamo che la ferita alla testa si rimargini ulteriormente”.
Horaki trasse un enorme sospiro di sollievo: “Meno male, mi sento decisamente meglio adesso, lo dirò anche a mia moglie”.
L’uomo tornò nella stanza dov’era ricoverata la figlia, il dottore ritornò al suo reparto.
E una terza persona, che dando loro le spalle, stava parlando ad uno dei telefoni del corridoio, ripose in silenzio la cornetta e si avvicinò alla stanza.
“C’è voluto decisamente meno tempo di quanto pensassi per convincerti”.
Il ragazzo stava in silenzio.
“Si vede che voi novizi non sapete resistere alla sete”.
Ancora silenzio. “Però, siccome sembrava che ci tenessi di più a quella ragazzina, credevo davvero che avresti opposto una resistenza più fiera”.
“SILENZIO!” sibilò a denti stretti il ragazzo.
Un lieve ridacchiare.
Il padre della ragazza ricoverata uscì dalla stanza per andare al bagno.
Vedendolo uscire il giovane prima si girò, poi si affacciò sulla stanza.
“Chi…?”
La madre di Hikari si voltò e vide la persona vicino alla porta.
“E tu chi… un momento! Ti conosco! Tu sei quel ragazzo che stanno cercando… Ikuto”.
Il ragazzo non disse niente, entrò nella stanza, e pochi secondi dopo, si udì un tonfo.
Ikuto passò sopra il corpo della madre di Hikari, e si fermò a fissare la ragazza, che sembrava dormire beatamente.
Le accarezzò il viso.
“E’ davvero carina…”
“Poche chiacchiere. Fallo!”
“Io… n… non…”
“UBBIDISCI!”
La mano di Ikuto si trasformò in una gigantesca mano nera con unghie lunghissime a mo di artigli.
La alzò per colpire.
“Fermo!”
“Cosa?”
“Lei è qui!”
E un istante dopo una gamba fasciata di rosso diede un fenomenale calcio sul viso di Ikuto, facendolo volare all’indietro fuori dalla camera.
“Non ti sembra da vigliacchi colpire una persona ferita?” domandò Asuka con un sorriso sprezzante.
Kuto, perplesso, si rimise in piedi. “Chi… sei… tu?”
“Quella che ti rifarà i connotati!” rispose Asuka lanciandosi di nuovo all’attacco.
Ma stavolta il ragazzo non si fece cogliere impreparato, afferrò al volo Asuka e la scagliò contro la parete del corridoio facendogliela sfondare in parte.
Asuka reagì, trasformandosi in nebbia sfuggì alla presa del nemico e si materializzò sotto di lui, in modo da spingerlo e farlo volare contro il soffitto, dove lasciò l’impronta del suo corpo.
Il padre di Hikari, alcuni medici e infermieri, accorsero richiamati da quel trambusto, e rimasero ammutoliti da quello che videro.
Soprattutto quando videro che il giovane anziché cadere verso il basso, rimase attaccato al soffitto con le mani e i piedi come se fosse un grosso ragno, e muovendosi rapidamente, si diresse verso una grossa finestra alla fine del corridoio, la sfondò e si volatilizzò.
“Merda! Non mi sfuggirai!” ringhiò Asuka, che fece per andargli dietro.
Per un momento si bloccò, e si guardò indietro perplessa.
“E adesso dove è finita quella?” mormorò.
Poi si lanciò all’inseguimento.
Si tuffò nel vuoto, la finestra si trovava al terzo piano dell’ospedale, e non appena il suo corpo cominciò a cadere, si trasformò in nebbia.
Sotto quella forma, si diresse verso le ombre di un tetto, e si fuse con esse.

Ikuto correva sopra i tetti, compiendo dei balzi prodigiosi anche di venti o trenta metri.
Dopo un ultimo salto, si fermò sul tetto di un edificio più alto degli altri, per riprendere fiato.
“Perché… mi hai fermato?”
“Perché ho sentito qualcuno che non pensavo avrei rincontrato così presto. Credevo che avrei dovuto cercarla, invece è venuta lei da me”.
“Non capisco…”
“Non devi capire”.

Asuka si materializzò dalle ombre su un tetto, e si guardò intorno.
“Se la traccia è esatta, dovrebbe essere qui vicino”.
Annusò l’aria, e localizzò il suo bersaglio, che stava su un palazzo più alto e vicino al suo.
Con un salto incredibile, la ragazza raggiunse quel tetto, deserto.
Si mosse con circospezione ponendosi al centro.
“Eppure sento che è qui”.
Con uno scatto improvviso si spostò di lato, e il pugno di Ikuto, che si era nascosto sopra un muro, si schiantò sul pavimento frantumandolo.
“Piuttosto banale come trappola” rispose la ragazza preparandosi a colpire a sua volta.
Ma il suo pugno attraversò il corpo di Ikuto come se fosse un fantasma.
Si era trasformato in nebbia?
No, il suo corpo si sfaldò, dividendosi in una miriade di frammenti.
“Ma questa…” pensò stupefatta Asuka.
Ma qualunque suo pensiero fu troncato dal braccio mostruoso che spuntò da dietro il muro e l’afferrò per la cassa toracica, con quelle dita enormi e artigliate che penetravano nella sua carne e nelle sue ossa.
Il muro si disintegrò, e il gigante scuro con il corno si presentò in tutto il suo orrore.
Asuka, col sangue che cominciava ad uscire copioso dalla bocca, fissava inorridita e spaventata quel mostro, che teneva letteralmente in mano la sua vita.
Le aveva afferrato la cassa toracica, e se avesse voluto, con un solo gesto avrebbe potuto strappargliela dal resto del corpo insieme agli organi, tra i quale c’era anche e soprattutto il cuore, e maciullarli.
In realtà alcuni vampiri particolarmente potenti, come Rei, si erano dimostrati capaci di sopravvivere anche alla distruzione totale del loro corpo, ma Asuka non aveva ancora raggiunto quel livello.
E non sapeva se sarebbe stata abbastanza veloce a trasformarsi in nebbia.
La creatura si chinò mettendosi faccia a faccia con la ragazza e la annusò.
“Hai il suo odore… sei la sua allieva, vero?”
“C…come?”
Si stava sicuramente riferendo alla sua Master.
Dunque la conosceva?
“Dimmi, cosa è per te?”
“C… cosa?”
“Non rispondermi con un’altra domanda” ringhiò la creatura, cominciando a stringere la presa, e mandando fitte lancinanti di dolore ad Asuka.
“E’… e’… la mia Master…”
“Questo l’avevo già capito”.
“E… allora… cosa vuoi?”
“Se per te non è altro, allora puoi morire”.
La stretta aumentò sempre di più, con un suono orrendo di ossa che si spezzano, il sangue sprizzava dalle ferite, e Asuka credeva di essere arrivata ormai alla fine della sua non-vita.
“LASCIALA!” tuonò all’improvviso una voce, due pugnali d’argento si conficcarono negli occhi e nella gola della creatura, che per il dolore mollò la presa, e Asuka stramazzò al suolo.
Poi un grosso pezzo di muro venne scagliato da una forza invisibile contro il ventre del mostro, che sbilanciato cadde dal tetto precipitando nel vuoto per almeno duecento metri.
L’impatto con l’asfalto di una strada sottostante fu tremendo, vi aprì una grossa voragine e per poco le auto che passavano non vi finirono dentro.
Alcuni automobilisti scesero dalle auto per andare a vedere cosa fosse successo, quando la creatura riemerse incolume dal buco.
Gli automobilisti terrorizzati cominciarono a scappare.
La creatura invece si tolse i pugnali dagli occhi e dalla gola, e le ferite guarirono all’istante, fissò per qualche interminabile secondo la sommità del palazzo da cui era caduta, poi si lanciò contro alcuni passanti che stavano fuggendo da quel mostro, ne prese due e svanì con loro fondendosi con le ombre.

Il luogo era abbastanza buono, il suo olfatto le diceva che quell’appartamento era vuoto da almeno una settimana.
Probabilmente i suoi proprietari erano partiti per un viaggio, ma questo non aveva importanza.
Era importante che Asuka si riprendesse.
Soprattutto in quella situazione.
La ragazza vestita di rosso giaceva su un letto, febbricitante, il sangue non smetteva di uscire dalle ferite nonostante Rei vi avesse applicato delle bende.
Ed era pallidissima.
Rei si sedette affianco alla sua allieva, e le passò una mano sulla fronte.
“P… perché… n-non gu…gua… risco…?”
“Le ferite inflitte dagli artigli di quel mostro non sono ferite normali. E’ un vampiro, ma decisamente particolare”.
“A... allora m… morirò…?”
“Solo se non intervengo. Hai bisogno di nutrirti. Ma il sangue di un normale essere umano non è sufficiente”.
Rei si chinò su Asuka e si scoprì il collo.
“Bevi” ordinò.
“C…cosa? Perché?”
“Fallo, se vuoi vivere ancora”.
Asuka allora si decise e a fatica affondò i canini nel pallido collo di Rei, che restava impassibile.
Mentre la sua allieva si nutriva, Rei le sussurrò: “Mi dispiace, è tutta colpa mia. Non avrei dovuto farti combattere da sola contro quella maledetta. Ma lo stupore e la paura mi avevano paralizzata, in quell’ospedale”.
Asuka ascoltava distrattamente, intenta a nutrirsi.
Ma non le era comunque sfuggito un dettaglio piuttosto strano, che si ricollegava ad altri due strani particolari notati nel mostro.
Le domande comunque, potevano aspettare.

  
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