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Autore: Rain e Ren    02/11/2009    3 recensioni
Isabel: una vita da dimenticare; il cuore colmo di rabbia e dolore. Un sogno abbandonato nei meandri dell’anima.
Pegasus, Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix: cinque amici come fratelli; provengono dallo stesso mondo, abitano nello stesso mondo. Sogni e capacità nascoste anche a loro stessi.
Erì, Esmeralda, Nemes e Fiore di Luna: quattro ragazze come sorelle; stesso mondo da condividere da ormai troppo tempo. La voglia di evadere dentro i loro occhi.
Aggiungeteci una scuola fuori dagli schemi, fidanzate gelose ed ex anche peggio, pretendenti asfissianti, famiglie ricche sfondate, amicizie dal passato, segreti celati nel cuore e tanta musica unita ad una passione racchiusa nell’anima ed ecco il risultato!
Genere: Romantico, Triste, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio, Saori Kido, Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Chiedo umilmente scusa per l’enorme quantità di tempo che ci ho messo per aggiornare ma, purtroppo, tra scuola e lavoro è stato un tantino impossibile scrivere

Chiedo umilmente scusa per l’enorme quantità di tempo che ci ho messo per aggiornare ma, purtroppo, tra scuola e lavoro è stato un tantino impossibile scrivere. Inoltre ci tenevo particolarmente a questo capitolo che farà un po’ tra introduzione a fatti e persone che entreranno in scena più avanti. 

Scusate ancora!!!

 

E ora:

x Kloe2004: Ciao…scusami, per favore, del enorme ritardo con cui posto e per averti fatta aspettare tanto. Mi dispiace davvero. Effettivamente, di storie sulla coppia Pegasus/Isabel, se ne trovano addirittura troppo poche. E io continuo a chiedermi perché visto che sono una delle coppie più intriganti e complesse dell’anime/manga. Sarà che non mi piacciono le cose semplici. Sarà perché Pegasus e Isabel, come personaggi singoli, stentano a piacere al pubblico. Lui è visto come un raccomandato, o un cagnolino fedele pronto a scodinzolare e fare tutto ciò che gli dice Isabel. E lei, forse, non piace proprio per la sua immagine da principessina viziata che possiede. Tuttavia nel corso della serie cambia parecchio, anche troppo. Insomma…passiamo da un opposto all’altro. Prima viziata e capricciosa e poi pronta a pregare e ha dare la vita per il genere umano senza nemmeno un passaggio di personalità ben definito. Sembra una folle con problemi di personalità multipla. Infondo non è difficile capire perché non piaccia, no?! Comunque…ho perso il filo. Avrei voluto postare prima ma il tempo non ce l’ho avuto. Ma da adesso…ci saranno altre svolte, e intendo concentrarmi anche sugli altri personaggi di questa storia, senza ovviamente tralasciare questi due. Grazie del commento. Baci…Ciau.

 

Grazie a tutti quelli/e che hanno commentato e anche solo letto.

Grazie di cuore!

Baci a tutti/e.

 

 

 

 

 

 

9. …Passato…

 

 

 

Quattro mesi prima…

 

C’era un caldo tremendo quel giorno. Il sole di punta inondava tutto con i suoi raggi bollenti che bruciavano la pelle. Lei, distesa comodamente nel cortile interno della sua scuola, si beava tranquillamente di quella stupenda giornata quasi estiva. Accanto erano buttati malamente dei quaderni e dei fogli.

I suoi lunghissimi capelli di seta le facevano sudare il collo candido, e il maglione pesante che si era messa per andare a scuola quella mattina giaceva ormai dimenticato poco lontano; i jeans a vita bassa lasciavano scoperta la pancia piatta, grazie anche alle braccia lasciate inermi dietro la testa che le alzavano la canottiera rossa. Gli occhi chiusi e un’espressione beata contornavano l’immagine.

Il suono della campanella le fece apparire una curiosa smorfia sul viso.

Isabel aprì pigramente gli occhi blu e il sole glieli quasi bruciò. Li richiuse immediatamente e sospirò pesantemente: di andare in classe proprio non c’era voglia! E poi, sinceramente parlando, la professoressa di matematica era talmente rincoglionita che mai più si sarebbe accorta della sua mancanza. Molto meglio restarsene lì, spaparanzata, cercando di concludere quella dannata canzone che le era venuta in mente quella notte.

Black Rose!

Certo il titolo era quello. Di questo era sicura al cento per cento. Ma le parole non legavano con la melodia che aveva nella mente, anzi. Sembrava quasi che stonassero in maniera alquanto fastidiosa. E per questo motivo che, da ormai due ore, si trovava distesa su quel prato, sotto il sole cocente, cercando di trovare le parole giuste per completare quella che, n’era certa, sarebbe stata una canzone meravigliosa.

Improvvisamente il cellulare vibrò nella testa dei jeans facendola sbuffare: chi rompeva?

 

SI PUÒ SAPERE CHE CAVOLO DI FINE HAI FATTO?????? LA PROF. TI STA CERCANDO DA MEZZ’ORA…!!!!

JEJE

 

Isabel inarcò le sopracciglia. A quanto pareva tutti i suoi piani erano saltati. E Jessica glielo aveva spiegato in maniera fine e pacata. Si mise seduta a gambe incrociate e rispose velocemente al messaggio.

 

STO ARRIVANDO…

ISSY

 

Non appena il cellulare le confermò l’invio si alzò, racattà velocemente la sua roba sparsa sul prato e, con calma, si diresse verso in grande edificio bianco che corrispondeva al nome di scuola. Non appena mise piedi in classe la professoressa Watson, docente d’elite della scuola a sentire lei, la spettinò con la sola forza dell’ugola.

“ SIGNORINA KIDO! MA LE SEMBRA L’ORA DI PRESENTARSI IN CLASSE??? E SCOMMETTO CHE, SE LA SUA CARA AMICA JESSICA NON L’AVVISAVA, LEI NEMMENO SI SAREBBE FATTA VEDERE!”

Isabel scosse lievemente la testa: quell’urlo disumano l’aveva rintontita completamente! Aspettò pazientemente che la pazza – così la conosceva tutta la scuola – finisse di sbraitare a destra e a manca e poi, molto educatamente, s’inventò una scusa qualunque, una di quelle che usava quando non ce n’era una gia pronta per l’occasione. Ovviamente la cara professoressa Watson non volle credere ad una delle sue parole, ma la ragazza, per niente preoccupata, sorrise sorniona all’insegnante e andò a sedersi, incurante delle vene che pulsavano pericolosamente sulla tempia della donna.

“ Era ora che arrivassi. Non sapevo più che inventarmi per tenerla buona.” Le sussurrò una ragazza al suo fianco sorridendo furbescamente.

“ Scusa Jeje, ma ho completamente perso la cognizione del tempo stando fuori.” Disse Isabel senza preoccuparsi troppo di abbassare la voce.

Jeje ridacchiò lanciando un’occhiata alla professoressa ora seduta e sudata. “ Le avrai fatto andare la pressione alle stesse. Poveretta…”

“ Oh, tanto povera non direi. Al massimo si prende una o due dosi in più di calmanti. Così la prossima ora dormirà placidamente sulla cattedra e noi saremo libere di non fare nulla.

La ragazza al suo fianco rise nuovamente, stavolta apertamente prima di scuotere la testa e affondare la testa tra le braccia ora posate sul banco. Isabel riconobbe all’istante il messaggio e spostò la sua attenzione su qualcosa di più interessante che, ovviamente, non era la lezione della professoressa. Per un momento la sua attenzione tornò su Jeje, tranquillamente spaparanzata sul banco. Ancora non stava dormendo, ma era possibile che questo accadesse entro breve. I capelli scuri, tagliati in quel caschetto allungato sul davanti, fungevano perfettamente da tende.

Guardandola l’amica che le stava  accanto la sua mente volò indietro nel tempo, a 10 anni prima, a quando s’era trasferita a New York con suo nonno. All’inizio non era stato affatto facile. Il Giappone le mancava tanto, così come Chasya e tutto ciò che aveva laggiù. Aveva provato più volte a convincere suo nonno che non era necessario che andassero in America, soprattutto perché sapeva che lo stavano facendo per migliore la lingua, ma il vecchio Duca era stato irremovibile. Tuttavia era bastato il tempo a placare i problemi e a sanare la ferita che la separazione dalla sua migliore amica aveva causato. Andando a scuola aveva conosciuto Jeje prima di tutti, e poi piano piano anche tutti gli altri. All’inizio non aveva ritenuto possibile che loro, tutti così diversi gli uni dagli altri, potessero trovare un punto in comune, e invece era accaduto proprio questo.

La musica!

Ecco cosa li aveva uniti. Quella cosa chiamata musica. Quella passione che, anni addietro, aveva costruito e poi rinforzato il legame fra lei e Chasya. Tutto, alla musica doveva proprio tutto. Le doveva la presenza costante, anche se lontana, della sua migliore amica; le doveva la presenza ormai essenziale di quei pazzi che erano i suoi amici, i suoi compagni. Quelli con cui aveva formato quella band fuori dagli schemi della società alla quale lei apparteneva. Perché la musica che loro facevano era libertà, era gioia, trasgressione e passione. Un mix esplosivo, certo, ma non ben visto dalle persone snob e aristocratiche che lei frequentava a causa dell’impero di suo nonno.

E così si era trovata divisa. Divisa tra due vite, l’una l’opposto dell’altra.

Da una parte l’eleganza, la raffinatezza, i soldi, la politica e il commercio. Una vita fatta di lussi sfrenati, circondata da persone dai nomi altisonanti e dai corpi ricoperti di diamanti e rubini, oro e argento, zaffiri e smeraldi. Persone appariscenti grazie ai loro soldi, ma vuote e prime di altro. Fredde proprio come i diamanti di cui tanto si vantavano.

E dall’altra una vita completamente diversa. Una vita dove non conta il conto in banca, l’influenza politica e lo sfarzo quasi fastidioso, pieno soltanto di egoismo e monotonia. Una vita dove la musica regnava sovrana, dove si può trasgredire, infrangere le regole e lasciarsi alla spalle una vita che, in fin dei conti, sta bene solo agli adulti, ma che sta stretta a dei ragazzi. Una vita fatta di cose semplici come la scuola, degli amici e una passione che non smette mai di bruciare.

E così Isabel finiva per trasformarsi, come se in lei esistessero due personalità contrapposte. Aveva imparato a fingere bene in quegli anni, aveva imparato a sorridere falsamente a tutti coloro che omaggiano di doni solo per avere favori. Ma quand’era sul palco, con il microfono in mano e le sue canzoni che rimbombavano nella testa come martelli pneumatici tutto questo scompariva. E poteva essere libera. Libera di avere 16anni e di essere chi voleva. Libera di essere semplicemente Isabel.

 

bïa

 

Quella sera…

 

La stanza di Isabel era, tanto per cambiare, un casino totale! E questo perché, come ogni venerdì sera, i componenti della band erano lì riuniti per il consueto pigiama party. Era un’abitudine che avevano preso quasi per caso; una sera Jeje si era presentata a casa sua tutta elettrizzata: aveva composto un numero pazzesco con la chitarra elettrica e non vedeva l’ora di farglielo ascoltare. E una volta che Isabel lo aveva sentito aveva insistito perché anche gli altri lo potessero ascoltare. Così, quella sera stessa, li aveva radunati a casa sua e…ecco che tutto era successo. Da quel giorno ogni venerdì sera erano lì, in camera di Isabel, con patatine, bibite e quant’altro, a ridere e scherzare.

In quel momento erano tutti e quattro intenti a prendere in giro Kevin che, come al solito, si era appena fatto una delle sue magre figure. Non che lui fosse uno “sfigato”, solo un tenero pasticcione dal carattere forse troppo infiammabile. Con quei suoi capelli neri sempre sparati all’in su per sembrare un duro, e gli occhiali sul naso che smentivano quella prima impressione. Ah, se solo se li fosse tolti… Glielo avevano più volte detto che senza sarebbe stato meglio, ma lui, imperterrito, continuava a metterli fregandosi del giudizio degli altri. E dire che aveva due occhi verdi ch’erano la fine del mondo! Di un colore così intenso da non sembrare nemmeno vero. Un contrasto incredibile con il nero dei suoi capelli. Un bel ragazzo, niente da dire, ma per Isabel era soltanto il suo tenero, imbranato e irruento fratellone. Voleva un bene dell’anima a quel ragazzo, tanto che, ormai, il soprannome fratellone non era poi tanto raro per lui. Aveva sempre amato la sua dolcezza e la sua gentilezza, con la quale era in grado di fare da pacere anche nelle risse più violente. Le sue parole erano in grado di arrivare dovunque e a chiunque. Era questo che le piaceva di lui. E ne andava fiera, senza sapere che, tempo dopo, avrebbe incontrato un altro ragazzo come Kevin, un ragazzo che l’avrebbe sempre aiutata e a cui, un giorno, avrebbe dovuto moltissimo.

“ Kevin Kevin…” Lo riprese Jeje ancora ridendo. “ A volte mi domando proprio come fai…”

“ Non ci vuole poi molto. Basta non attivare il cervello…e in questo Kevin non ha alcun problema. Disse James con l’aria da sbruffone che gli apparteneva da sempre.

“ Nemmeno per te sarebbe un problema, Jamie. Tu, il cervello, nemmeno ce l’hai.” Lo prese in giro Isabel strizzando l’occhio a Kevin a battendo il cinque a Jeje.

“ Molto simpatica.” Disse James lanciandole contro un cuscino e fingendosi offeso. Nessuno ci fece troppo caso. Erano ormai abituati ai battibecchi fra Isabel e James, battibecchi che nessuno si premurava più di ascoltare. Erano proprio come cane e gatto quei due! Troppo simili nelle loro idee, ma anche troppo orgogliosi per ammettere che l’altro avesse ragione.

James, al contrario di Kevin, aveva la tipica aria da bullo. Ed era anche un’immagine che gli donava parecchio…se non fosse stato per il cuore grande e il suo animo gentile. James fingeva sempre di essere il capo, il duro, ma in realtà non poteva che cedere davanti ad una ragazza in lacrime, o ad un cagnolino ferito. Con quei suoi capelli castano scuro e la frangia che ricadeva sugli occhi perennemente ossigenata fino a diventare bionda, gli occhi chiari di un azzurro pallido aveva una schiera di ragazze alle spalle. Peccato che usasse questa cosa sempre nella maniera sbagliata…facendo incavolare Jeje ogni due per tre. Ah, quei due erano proprio fatti l’uno per l’altro. Peccato che non lo capissero.

Certo erano due testoni tutti e due. Tanto che Jeje ci aveva messo parecchio per ammettere che James le piaceva. E anche tanto. E Isabel sapeva perfettamente quali fossero i sentimenti del ragazzo nei confronti dalla sua amica. Lui stesso glieli aveva confessato poco tempo prima. Sembrava quasi che l’avessero presa per la confidente del gruppo!?

Ma nonostante quei piccolo intrigo amoroso i rapporti della band erano sempre stati perfetti. Sia sul palco sia nella vita normale. Una sincronia incredibile, un affiatamento mai visto. Avevano capito fin da subito che loro quattro erano fatti per stare insieme, per fare qualcosa insieme. E non si erano mai sbagliati.

Isabel osservò i suoi tre amici che ridevano spensierati. Si sentiva sempre così bene quand’era insieme a loro. E sapeva perfettamente che, un giorno, le sarebbero mancati moltissimo. Perché lei, presto o tardi, se ne sarebbe dovuta andare. Certo aveva frequentato le elementari, medie e adesso si apprestava ad iniziare superiori in America, ma suo nonno aveva più volte espresso il desiderio che l’Università la facesse in Giappone. Aveva urlato contro di lui come mai aveva fatto: perché continuava strapparla ai suoi affetti ogni volta che trovava qualcuno a cui volere bene veramente? Perché continuava a farla soffrire a quel modo?

“ Ragazzi!” Chiamò i suoi migliori amici con la voce seria che le apparteneva solo nei casi più gravi, quel tono che tutti odiavano perché portava sempre notizie poco rassicuranti. “ Io…devo dirvi una cosa…” Ammise abbassando lo sguardo, sentendosi nuovamente sopraffatta dalla tristezza.

“ È successo qualcosa?” Le chiese Jeje preoccupata andandole vicino e poggiandole una mano sulla spalla.

“ No. O meglio…non ancora.” Ci tenne a precisare. “ Ma accadrà e io…io non so se potrò evitarlo…” Sembrava sul punto di piangere. In che era molto raro per lei.

“ Issy…” La chiamò Kevin con immensa dolcezza.

“ Non ve l’avevo detto prima perché pensavo di poterlo impedire ma…ma mio nonno non ha voluto sentir ragione alcuna.” Prese fiato mentre sentiva l’aria intorno a se farsi pesante e carica di tensione. “ Io…dovrò tornare in Giappone.”

CRACK

Le parve si sentirlo distintamente il suo cuore andare in pezzi. Ed insieme a lui una promessa che si erano scambiati tanto tempo prima.

 

“ Noi resteremo insieme per sempre. E diventeremo famosi insieme. Promesso?”
“ PROMESSO!”

 

E faceva male perché in quelle parole ci avevano creduto veramente, nonostante il tempo fosse passato e loro non avessero più 10 anni. Gia, promesse di bambini. Ma loro ci avevano creduto veramente. E faceva male pensare che ben presto tutto sarebbe andato a puttane. Tutto si sarebbe disgregato come polvere.

“ Ma…ne sei sicura?” Chiese Jeje respirando appena.

“ Purtroppo si.” Ammise lei con il capo ancora chino. “ Sono riuscita a convincerlo a rimanere qui per le superiori, ma l’Università dovrò farla in Giappone. Su questo non ha voluto sentir ragione. Io…” Cercò la forza di continuare, ma le lacrime le offuscavano la vista e i singhiozzi uccidevano le parole. “ Mi…mi dispiace tanto. Da.-davvero…”

E Isabel non si trattenne più. Pianse come una bambina, come poche volte aveva fatto nella sua vita. Aveva imparato fin dall’inizio che la vita non è affatto facile, che è piena di segreti, bugie e quant’altro. Ma quello a cui non si era mai abituata era il dolore. A quello proprio non ci riusciva.

Non seppe quando, ma sentii le braccia di James stringerla forte a se. Poche volte lui si era lasciato andare così. E quando lo faceva voleva dire che anche lui stesso stava male. Tanto male. E quello era uno di quei momenti.

Isabel pianse sulla sua spalla. La mano di Jeje ancora appoggia sulla sua e quella di Kevin che si chiudeva sulla sua mano e la stringeva per infonderle forza e coraggio.

“ Non preoccuparti.” Disse James senza lasciarla andare. “ Ce la faremo comunque. Vedrai.”

 

Due mesi dopo…

 

Fissava la sua immagine riflessa nel grande specchio del camerino e si chiedeva se avesse optato per l’abbigliamento giusto. Lei, solitamente, era più un tipo da jeans e scarpe da ginnastica che da minigonne e tacchi. Tuttavia quella sera era speciale. Quello che si apprestavano a fare era l’ultimo concerto della stagione, e se tutto andava bene c’era la possibilità che un noto discografico li notasse. Era talmente eccitata dall’idea che quasi non riusciva a stare ferma.

“ Ehi, Issy.” La chiamò Jeje facendo capolino nel camerino. “ Siamo pronti.”

Isabel si voltò a fissarla brevemente. Stava per iniziare.

Jeje portava un paio di jeans chiari, una maglia viola lunga fino al ginocchio e senza maniche e un paio di decolté nere tacco 14. Al polso aveva messo la stessa rosa nera che lei aveva appuntato sui capelli.

Annuì convinta prima di seguirla dietro le quinte fino a raggiungere il palco. La folla esultò fragorosamente alzando le braccia e urlando a squarcia gola. Isabel portò lo sguardo prima su di loro e poi sui suo amici. Kevin aveva optato per un look più pacato; jeans chiari, camicia bianca sbottonata sul davanti e scarpe da ginnastica. James, invece, doveva come al solito mostrarsi figo. Jeans neri, scarpe da ginnastica e una maglia grigia talmente attillata che Isabel si chiese come facesse a respirarci dentro. Entrambi avevano una rosa nera appuntata al petto.

“ Buonasera a tutti, ragazzi!” Esclamò Isabel prendendo il microfono. Altre grida. “ Come avrete sicuramente notato tutti noi quattro portiamo una rosa nera. E questo perché, questa sera che – che tra l’altro è anche l’ultima – vi faremo ascoltare in anteprima la nostra nuova canzone: Black Rose!” Un boato si alzò dal pubblico; era sempre così quando cantavano qualcosa di nuovo. “ Speriamo che vi piaccia!” E dopo aver fatto cenno a Jeje la musica scoppiò più forte che mai.

Prima di incominciare Isabel lanciò un’ultima occhiata ai suoi amici: Jeje alla chitarra, Kevin alle tastiere e James con la batteria! Perfetto. Tutto era pronto!

“ SI INIZIA!”

 

Poteva ancora sentire l’adrenalina scorrere veloce nel suo corpo. Due ore intere di concerto l’aveva elettrizzata al massimo tanto che, alle 2 di notte, lei non aveva proprio sonno. Aveva salutato gli altri poco prima ed ora si trovava in macchina con suo nonno che, come al solito, era venuto a vederla cantare.

Stava seduto davanti a lei nella grande limousine e le sorrideva ignaro che, entro pochi minuti, quello sarebbe stato il suo ultimo sorriso.

 

Cinque giorno dopo…

 

C’era puzza di disinfettante in quel posto, ovunque lei si trovasse.

Aprì piano gli occhi e un bianco accecante minacciò di bruciarglieli. Troppo chiaro, troppo bianco…troppo silenzio. E…cos’era successo? Dov’era? E suo nonno?

Mille domande si affollavano nella sua mente confusa. Sentiva la testa esploderle quasi mentre, vicino a lei, un suono regolare e acuto le perforava i timpani. Sembrava quasi… Si, quelle macchina che si mettono ai malati che sono in coma.  Ma cosa c’entrava con lei?

“ Bambina.” Disse una voce calma e gentile di donna. “ Come stai? Riesci a sentirmi?” Chiese piano. Solo quando le poggiò però una mano sul braccio risvegliando in lei la sensibilità si accorse che stava parlando con lei.

“ Si…” Sussurrò flebilmente. Purtroppo non riusciva a dire altro. La bocca era completamente impastata ed era gia un miracolo che fosse riuscita ad aprirla.

“ Bene. Allora chiamò il medico.” E se ne andò.

Isabel ci mise pochi secondi a capire che quello in cui si trovava era un letto d’ospedale. Immediatamente le immagini di…di quando? Non riusciva a ricordarlo? Il tempo sembrava inesistente ormai. Ma ricorda il fischio, poi il botto…e poi il buoi totale.

Fu tutto chiaro pochi minuti dopo quando, con un camice troppo bianco, un medico si presentò nella sua stanza con un sorriso gentile.

“ Ben svegliata, Isabel.” Disse sorridendole affabile mentre lei cercava di mettersi a sedere, fallendo. “ No no. Non si sforzi.” La rimproverò lui bonario.

“ Cos’è successo?” Chiese la ragazza tornando distesa.

“ Ha avuto un incidente ed è rimasta in coma per cinque giorni. Ha due costole rotte, così come il braccio sinistro e ha avuto una commozione cerebrale. Ma data la sua giovane età confido che si rimetta al più presto. Non ha riportato danni permanenti e questo è gia qualcosa.” Mentre parlava Isabel aveva la netta impressione che la sua voce fluisse veloce alle sue orecchie, ma lei non riuscisse ad afferrare completamente il discorso.

Poi un lampo. Qualcosa si accese in lei. Tutto fu chiaro. Ogni scena, ogni emozione, ogni piccolo pezzo tornò improvvisamente al suo posto portandole una domanda alle labbra.

“ E mio nonno? Come sta il nonno? E Mylock?” Chiese allarmata mentre, nel suo profondo, c’era qualcosa che gia le suggeriva la risposta. Come un fremito di paura, di terrore. Il presentimento che qualcosa fosse cambiato per sempre.

“ Il signor Mylock sta bene. Ha riportato diverse fratture scomposte e anch’egli una commozione cerebrale ma non c’è da preoccuparsi. Si rimetterà alla grande.” Tuttavia quella spiegazione non convinse la ragazza. Perché il dottore sembrava soppesare la risposta? Cosa c’era di così grave da non poter essere detto?

“ E mio…mio nonno…?” Chiese nuovamente lei cercando di controllare la voce ancora impastata.

L’uomo sospirò scuotendo la testa. “ Mi dispiace, Isabel. Purtroppo suo nonno non ce l’ha fatta…”

CRACK

 

Fine. Qualcosa s’era spezzato per sempre.

Isabel rimase immobile nella sua posizione. Non capiva più nulla. Era come se ci fosse un blackout dentro di lei. Capì di star piangendo solo quando sentì il sapore salato della lacrime che, imperterrite, scorrevano lungo le sue guancie ora pallide e salate e le bagnavano le labbra.

Ma oltre a quelle lacrime non vi furono altre reazioni. Non trovava la forza, dentro di se, di fare altro. Tutte le sue emozioni erano scomparse. Era rimasto solo il vuoto dentro di lei. Una voragine che, in quel momento, stava risucchiando quanto di più bello avesse dentro di lei. I ricordi col nonno…i sentimenti… Ormai non esisteva più nulla!

 

bïa

 

“ Ecco. Ora sai tutto…” Disse piano Isabel uscendo dal flusso dei ricordi e tenendo lo sguardo basso.

Il dolore lacerante che sentiva dentro di se era indescrivibile. Sembrava un fuoco ch arde bruciando tutto quello che gli capita a tiro.

Pegasus, accanto a lei, aveva lo sguardo perso nel vuoto. Quello che Isabel gli aveva raccontato era terribile. Non riusciva nemmeno ad immaginare come si sentisse. Era qualcosa d’inconcepibile per lui in quel momento. Certo, anche lui e sua sorella avevano perso entrambi i genitori da piccoli ed erano stati addottati, ma lui non aveva praticamente assistito alla morte di chi amava così tanto. Lui non li ricordava nemmeno i suoi genitori. Mentre Isabel…

Alzò gli occhi su di lei e la scoprì a piangere ancora, come d'altronde aveva fatto per tutto il racconto. Mai una volta aveva smesso di versar lacrime, quasi stesse cercando di espellere tutto il dolore che sentiva dentro da sempre, ma che aveva segretamente trattenuto cercando di essere forte.

Allungò un braccio verso di lei e la strinse forte al petto. Sentiva il bisogno di stringerla, di consolarla in qualche modo. Tuttavia sapeva benissimo che il dolore che portava dentro di se era difficile da lenire. Solo tempo e tanta forza d’animo, forse, ci sarebbero un giorno riusciti. Ma ora era ancora presto per dimenticare e lasciar andare. Quello era il tempo di sopportare, d’imparare a convivere ancora con la parte più terribile della vita. Solo così sarebbe riuscita, un giorno, a rialzarsi e ad essere più forte.

Isabel si strinse forte a lui cercando quel calore di cui, ora più che mai, aveva bisogno. Quella forza che tanti le avevano invidiato e che ora sembrava essersi dissolta. Strinse forte la camicia del ragazzo con le piccole mani. Aveva bisogno di sfogarsi. E piangere era l’unica cosa che il quel momento potesse fare.

E rimasero lì, soli. Il silenzio faceva da sovrano ai singhiozzi sommessi di Isabel. Le braccia di Pegasus erano ancora intorno alle sue spalle, pronte a stringerla più forte se lei ne avesse avuto il bisogno. Ma in realtà, in quel momento, Isabel aveva solo bisogno della sua presenza.

   
 
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