Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |       
Autore: Happy_Pumpkin    02/11/2009    4 recensioni
Tre amici e la separazione. Si ritroveranno tanti anni dopo, scoprendo che alcune cose sono cambiate; altre, invece, sono rimaste le stesse dei loro ricordi d'infanzia.
[Personaggi: Yahiko, Nagato e Konan]
Seconda classificata al contest "Enjoy the Silence" indetto da Hiko_Chan
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Konan, Pain
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore: Happy_Pumpkin
Titolo: Suteki da ne
Personaggi: Yahiko, Nagato, Konan
Genere: Introspettivo, malinconico
Rating: Giallo
Avvertimenti: Au
Introduzione: Tre amici e la separazione. Si ritroveranno tanti anni dopo, scoprendo che alcune cose sono cambiate; altre, invece, sono rimaste le stesse dei loro ricordi d'infanzia.
Note Autore: La storia è ambientata in un immaginario Giappone rurale, una cittadina ai margini della campagna priva di tecnologie.
“Suteki da ne” è il titolo della canzone principale di Final Fantasy X e in italiano si traduce con “Non è meraviglioso?”; ho scelto di lasciare il titolo originale per via dell'ambientazione giapponese e perché suonava meglio. Forse la trama è semplice, tanto legata alla vita quotidiana, però ho pensato di trarre spunti dalla mia personale esperienza del trasloco e da quella che io considero l'amicizia, l'affetto per persone e oggetti che in un modo o nell'altro hanno fatto parte della propria vita.







S
uteki da ne




Alcuni dicono che la pioggia è brutta, ma non sanno che permette di girare a testa alta con il viso coperto dalle lacrime. (Jim Morrison)



I


Nella città di Ame pioveva sempre; le rare volte nelle quali la pioggia cessava, le strade si trasformavano in ruscelli e le foglie fuoriuscivano dai tombini intasati, galleggiando mosse dalla corrente.
Yahiko saltò da una pozzanghera all'altra, tenendo sollevati i pantaloni già inzaccherati dal fango, e passò oltre un rivolo che trasportava dei sacchetti di carta del negozio all'angolo. Continuando a camminare, osservò curioso la carta impregnarsi d'acqua e affondare, danzando tra le onde.
Fece per seguirla, quando improvvisamente si sentì chiamare; allora alzò la testa e scorse poco più avanti Nagato e Konan che, ombrello alla mano, lo attendevano lungo la via.
Annuì con un cenno della testa e corse loro incontro, sollevando numerose gocce al passaggio irruento, mentre la pioggia gli infradiciava la divisa scolastica. Quando li raggiunse si infilò sotto l'ombrello e gli altri risero di gusto, schiacciandosi un po' di più per riuscire a stare in uno spazio tristemente ridotto.
Superarono chiacchierando le strade della cittadina, contemplando di tanto in tanto qualche cavallo che trainava un carretto, oppure salutando la vecchietta all'angolo che vendeva ciotole di riso caldo – una risorsa preziosa per gli operai che, nella pausa pranzo, dovevano arginare la fame e il buco allo stomaco.
Si incamminarono infine su per la salita che conduceva alla zona dove tutti e tre abitavano; un quartiere tranquillo e senza troppe pretese, per loro il posto migliore in cui vivere. Superarono una serie di case delle alte cinte murarie, fino a che non giunsero di fronte al luogo nel quale risiedevano Yahiko e la sua famiglia: un'abitazione in stile tradizionale, il cui legno resistente non sembrava essere minimamente scalfito dalle continue piogge. Per evitare che marcisse a causa dell'umidità il basamento era in pietra, invece i coppi tinti di una lacca rosso cremisi costituivano il tetto sobrio.
Il ragazzino amava la sua casa: ogni angolo di quelle pareti un po' scricchiolanti rappresentava un ricordo di vita che lo accompagnava. Era come avere tanti bellissimi quadri a disposizione da poter ammirare quando si voleva, a volte con nostalgia, altre con un sorriso in bocca perché ritraevano attimi di divertimento.
Fermandosi davanti al cancello aperto, però, sospirò e lanciò un'occhiata d'intesa ai suoi amici, i quali lo incoraggiarono ad entrare con un cenno del capo; allora prese coraggio e oltrepassò la cancellata in legno, assistendo al triste spettacolo delle pile di scatoloni ammassati sotto al portico. Intravide i suoi genitori seguire con una certa apprensione degli uomini corpulenti, intenti a trasportare i pochi mobili pesanti racchiusi tra le pareti; nonostante tutto la pioggia continuava, insistente, a irrigare il giardino decorato da numerose impronte.
Quando, mesi fa, Yahiko aveva ricevuto notizia che si sarebbe dovuto trasferire, gli era crollato il mondo addosso. Non avrebbe più rivisto quei luoghi, se non per qualche breve visita, né tantomeno si sarebbe inzuppato ancora gli abiti dopo appena un minuto passato sotto l'acquazzone.
Eppure, nonostante le proteste e i tentativi di convincere i suoi a restare, alla fine si era semplicemente rassegnato, pur non rinunciando a sabotare il trasloco; magari svuotando qualche scatolone, oppure mostrando il proprio disappunto. Ma il lavoro era il lavoro, sosteneva il padre, finché non avesse toccato le gioie della maggiore età e preso uno stipendio regolare, il figlio poteva anche scordarsi di contare qualcosa a livello decisionale in famiglia.
Nagato e Konan non avevano preso molto bene la notizia del trasferimento ma in quei mesi si erano impegnati per non far pesare troppo la questione sulle spalle di Yahiko; avevano continuato a frequentarsi come se nulla stesse accadendo, illudendosi abilmente che tutto sarebbe rimasto sempre uguale.
Quel giorno, però, era realmente difficile far finta di niente: la mattina seguente il loro migliore amico sarebbe partito, la casa dove avevano passato interi pomeriggi e nottate di chiacchiere si sarebbe svuotata, simile al guscio secco di una noce.
L'ultima notte insieme. A scuola avevano fatto tanti progetti su come passarla nel migliore dei modi: mangiando dolci di riso, pasta di mandorle, sfoglie al miele a volontà, per poi scongiurare il pericolo carie con qualche birichina preghiera agli dei. In seguito avrebbero parlato fino all'alba, nascosti sotto le coperte dei futon, e se magari non avesse piovuto troppo sarebbero sgattaiolati sul tetto a contemplare il cielo stellato.
Non dovevano pensare al domani o le ultime ore insieme rischiavano di essere contornate dalla tristezza. Bisognava dunque lasciare il meritato spazio alle cose frivole, spensierate, alla complicità delle chiacchiere senza alcun senso.
Oltrepassarono il lastricato del giardino di corsa, dimentichi di ripararsi con l'ombrello appoggiato senza troppa cura alla parete, e lasciarono le scarpe in un angolo presso l'entrata; corsero con indosso le calze bianche tra le stanze vuote, volarono attraverso corridoi deserti, sfiorando con le mani gli shoji in carta di riso, che vibrarono appena grazie al tocco leggero delle mani.
Anche la camera di Yahiko era altrettanto vuota: c'erano solo tre futon già stesi a terra, quasi per tentare di colmare la tristezza delle pareti spoglie. In un angolo era sistemata una scatola ancora aperta, con dentro gli oggetti più cari al ragazzino; delle foto, qualche foglio scribacchiato e altre cose di natura indefinita dalle quali era difficile separarsi, fosse stato anche solo per poche ore.
Yahiko si diresse verso il contenitore e lanciò ai suoi amici alcuni cuscini posti presso i futon, così tutti e tre poterono sedersi sulle assi in legno che scricchiolarono, ricordando il gatto stiracchiato dal carretto del ghiaccio tanti mesi fa. Una volta che gli amici si furono accomodati in ginocchio, il proprietario della casa frugò tra gli oggetti nella scatola e dopo qualche istante trovò un medaglione in legno, malamente intagliato e dall'aria piuttosto consunta.
Lo lanciò agli altri e confessò, portandosi una mano dietro la testa con fare un po' imbarazzato:
“Ci ho messo dentro il ritaglio della nostra foto.”
Nagato lo prese tra le mani e lo aprì, accennando ad un sorriso. Konan gli si avvicinò, sporgendosi in avanti per vedere meglio.
Dopo diversi istanti il ragazzo scherzò pacatamente:
“Hai una faccia molto stupida.”
Yahiko sbuffò, sollevando un ciuffo dei capelli chiari, e incrociando le braccia si giustificò:
“Beh, che importa... era l'unica nella quale ci stessimo tutti e tre; lo spazio del ciondolo non è molto grande, sai!”
“Hai ragione – gli diede pazientemente corda Nagato – Konan invece è venuta proprio bene.”
La ragazza arrossì appena e alzò le spalle: “Non così tanto... in fondo siamo tutti e tre carini insieme, no?”
Sorrise, riassettandosi alla buona i capelli un po' umidi. Yahiko a gattoni si portò di fronte ai due e diede un'ulteriore occhiata alla foto, commentando con fare allegro:
“Certo che dovresti tagliarti i capelli, Nagato. Hai gli occhi sempre coperti da una massa nera, sei inquietante!” scherzò, dandogli uno spintone amichevole sulla spalla.
Tutti e tre scoppiarono a ridere quando si ribaltarono sul pavimento, mentre il medaglione artigianale cadeva a terra, apparentemente dimenticato.
I ricordi erano una lacrima salata che non poteva essere inghiottita: continuava a scivolare sulla pelle, fino a non toccare terra ed esplodere in tanti frammenti trasparenti.
La loro amicizia era quell'occhio che lacrimava; produceva memorie, a volte salate, a volte zuccherate di divertimento. Avrebbero voluto che il loro occhio rimanesse per sempre aperto, anche se sapevano che sarebbe stato impossibile: un battito di ciglia e non ci sarebbero state più altre lacrime da lasciar fuggire via.

La sera erano tutti e tre riuniti sotto le coperte; avevano avvicinato ancora i futon, in modo da formare una sorta di cerchio e rendere più facile udire le chiacchiere sussurrate con complicità.
Una lampada di cartone li illuminava a malapena, così che le ombre danzavano placide sulle pareti spoglie, rendendo la storia di fantasmi – magistralmente raccontata da Yahiko – persino più spaventosa; Konan guardava con gli occhi sgranati il narratore, sbattendo le ciglia di tanto in tanto, mentre Nagato rimaneva semplicemente immobile. Si mordicchiava appena un labbro, sussultando quando il fantasma tormentato di turno faceva la sua comparsa oltre le mura diroccate di un castello.
Una volta terminata la narrazione, Yahiko si sgranchì al pari di un gatto pigro e propose con aria furbetta di compiere un'escursione per la casa, procacciarsi del cibo dalla cucina e ritornare in camera a passo di ladro; ovviamente l'idea venne accolta dagli altri due, così che insieme si alzarono in piedi e aprirono la porta scorrevole che dava sul corridoio.
Camminarono lungo le stanze vuote, illuminate a tratti dai raggi gentili della luna; i loro respiri riecheggiavano tra le pareti in legno e lo scalpiccio dei piedi sui tatami fu più rumoroso di quanto desiderato. Yahiko contemplò ogni singolo angolo di quel luogo bagnato di buio: rivide la sgridata che si era preso quando aveva rovesciato i fiori per l'hikebana, oppure il giorno in cui aveva corso per la casa sventolando la pagella con l'imprevista promozione.
Avrebbe dovuto lasciare tutto questo. I suoi ricordi erano lì, tra quelle mura, e lui li avrebbe dati in custodia a qualche sconosciuto senza valore. Prima di entrare nella piccola cucina, si ripromise di ricomprare quella casa una volta divenuto grande; l'avrebbe presa con i suoi soldi e ci avrebbe vissuto fino a che l'edificio avesse resistito ai colpi di vento, alle sferzate della pioggia e a qualsiasi cosa minasse la sua stabilità.
Rientrarono in camera in fila indiana, con tra le mani le provviste per resistere alla notte insonne e per cariarsi i denti al punto giusto; Yahiko, capofila, teneva anche la lanterna che illuminava il percorso, orgoglioso di poter guidare come sempre i suoi amici.
Konan, in mezzo ai due, si sentiva rassicurata. Era stregata dall'ambiente che si dipingeva davanti ai suoi occhi: riscopriva le stanze notturne, pennellate dalla luna e rese spoglie dall'assenza di oggetti. Sembrava che il tempo quella notte si fosse fermato, soltanto per loro; loro che non avrebbero più potuto fingersi ladri e complici di un gioco infantile, perché ben presto il ragazzino davanti a lei – il ragazzino spigliato che ora illuminava il cammino – non ci sarebbe più stato.
I piedi non avrebbero calpestato rumorosamente il tatami in una corsa maldestra, anche se quelle pareti intrise d'acqua e di vita continuavano ad emanare l'odore di legno, accompagnato al profumo d'umidità che ricordava il muschio delle esplorazioni nei boschi.
Entrarono nella stanza, richiudendo la porta dietro di loro; ridacchiarono, rovesciando su un futon i vari sacchetti di tela, nei quali avevano raccattato alla buona le cibarie pescate un po' a caso. Konan prese compostamente una pasta di mandorle, mentre Yahiko si stava impegnando a non far colare troppo in giro il miele delle sfogliatine che, per una sorta di miracolo fisico incomprensibile, non si erano sbriciolate.
Per qualche istante Nagato osservò divertito gli amici, indeciso su quale delle prelibatezze accumulate iniziare a mangiare; poi distolse lo sguardo e, poco distante da lui, vide a terra il medaglione, evidentemente dimenticato dal proprietario.
Era aperto, con la foto ritagliata in bella vista, nella quale lui aveva i capelli davanti agli occhi, Konan era venuta tutto sommato decente anche se un po' imbronciata e Yahiko dava prova di una certa stupidità. Il cuore perse un battito.
Senza pensarci troppo, con un movimento rapido e silenzioso afferrò l'oggetto: prima che qualcuno potesse accorgersene, lo infilò tra le pieghe dello yukata, stringendolo a sé con forza. Intimamente sperava che Yahiko non se ne andasse; tenendo tra le mani quel pezzo di legno, quella foto che testimoniava la loro amicizia, si sentì più sicuro: gli sembrò di avere il controllo degli eventi, di impedire che quel trasferimento si realizzasse.
Avrebbe tanto voluto essere un mago, per poter incantare i suoi amici e tenerli sempre legati a sé, a quel luogo; non per egoismo, semplicemente perché voleva loro talmente bene da essere disposto a mettere a repentaglio la sua vita. Intimamente, stringendo il ciondolo, provava anche una certa rabbia, siccome in realtà non poteva fare nulla per impedire che le cose cambiassero; abbassò il capo, nascondendo gli occhi lucidi grazie alla frangia che non avrebbe mai tagliato.
Probabilmente in quel momento ricordava il Nagato della foto; la foto che sentiva di aver rubato, con l'assurda speranza di ricattare Yahiko e costringerlo a rimanere.

Mancava ormai poco alla partenza; quella mattina aveva smesso di piovere e Yahiko, assieme a Nagato e Konan, era uscito fuori di casa per ammirare l'arcobaleno che spuntava da oltre il bosco, stagliandosi tra le montagne basse che abbracciavano la città.
Il terreno era pregno d'acqua e gli scatoloni miracolosamente sopravvissuti alle sferzate di pioggia, mentre alcuni rami del giardino giacevano piegati a terra, truccati da gocce di rugiada che scivolavano sulle venature delle foglie.
Gli addetti al trasloco portarono sul camion gli ultimi pacchi, guidati dai genitori di Yahiko che parlavano tra di loro, progettando il noioso viaggio d'andata fino alla casa nuova. Tanto, troppo, distante da lì.
Il ragazzo corse fino in camera sua: i futon erano già stati sistemati e coperti, pronti per essere portati di sotto, invece la sua scatola attendeva nell'angolo ancora aperta. Scrollò le spalle e ammise:
“Bene, credo sia giunto il momento di chiuderla.”
Si mise in ginocchio, mentre Konan e Nagato si scambiarono un'occhiata. Quest'ultimo sentì tra le pieghe del vestito il peso inconsistente del ciondolo; provò un certo rimorso ma non volle tirare fuori l'oggetto e restituirlo al legittimo proprietario.
Cos'avrebbe avuto di Yahiko, della loro amicizia, se glielo avesse ridato indietro?
“Ragazzi, avete visto il mio medaglione?” chiese il proprietario in questione, con una traccia d'ansia nella voce.
Nagato guardò fisso negli occhi Yahiko, ma dalla sua espressione non trapelò nulla, per quanto sentisse un groppo in gola e il subdolo senso di colpa stringergli la bocca dello stomaco. Rimase muto, nonostante l'amico si affannasse a cercare qualcosa in una stanza vuota; uno sforzo inutile, visto che nulla poteva nascondersi dove non c'era altro che il nulla stesso.
Konan si morse un labbro e scosse la testa, rassegnata:
“Non c'è da nessuna parte... sei sicuro di non averlo messo nella scatola?”
Yahiko rifletté un istante poi si fiondò verso il contenitore e lo rovesciò, rivelando i suoi ricordi più preziosi. La carta del gelato che avevano mangiato tutti insieme, la ghianda trovata sul sentiero in una delle numerose esplorazioni tra i boschi, il biglietto della fiera del paese vicino; tanti oggetti sciocchi, infantili, ma tenuti come se fossero stati il più prezioso dei tesori.
Invece ora erano rovesciati miseramente a terra, con le mani di Yahiko che rovistavano disperatamente tra le carte e i monili accumulati nel tempo. Nulla. Il suo ciondolo sembrava essersi misteriosamente volatilizzato nell'aria.
Il giovane si afflosciò a terra, sospirando rassegnato; Konan allora gli si affiancò, posandogli dolcemente una mano sulla spalla. Nagato abbassò lo sguardo, vergognandosi di quello che stava facendo; dopo aver sospirato si umettò le labbra e fece per prendere l'oggetto delle ricerche: doveva ridarlo a Yahiko, tenerlo per sé non gli avrebbe mai riportato indietro l'amico, la sua espressione stupida, le chiacchiere e le risate fatte insieme.
Ma prima che potesse muoversi, la voce della madre chiamò:
“Yahiko, porta giù le tue ultime cose. E' ora di andare.”
I tre si scambiarono uno sguardo un po' spaventato. Non parlarono: fu difficile farlo, muovere la bocca e fare uscire delle sillabe; eppure ci sarebbe stato tanto da dire.
“Non importa. Ho parecchi ricordi, d'altronde.” mormorò Yahiko ritrovando un sorriso, anche se piuttosto scialbo.
“Certo – annuì Konan – e poi noi saremo sempre qui.”
Nagato rimase paralizzato; guardò l'amico prendere la scatola, mentre gli uomini del trasloco sollevarono i futon per portarli via. Senza rendersene conto restò diversi istanti solo nella stanza vuota, almeno fino a che Konan non lo richiamò sussurrando appena il suo nome.
Si ritrovarono in piedi di fronte all'abitazione; i genitori di Yahiko si erano educatamente allontanati, in modo da offrire ai tre amici l'intimità di un'ultima chiacchierata in quel luogo.
“Sono sicura che ti piacerà la nuova casa.” accennò Konan, portandosi le mani dietro la schiena.
“Certo.” fece Yahiko, simulando una certa convinzione; eppure non riusciva a distogliere gli occhi da quelle pareti.
Lo calamitavano: sembravano volergli raccontare altre storie, supplicandolo di restare.
“Vienici a trovare; ci mancherai tanto, ogni giorno.” confessò Nagato, lasciando che la cortina di capelli gli adombrasse il volto pallido. Le parole uscirono a fatica, soffocate da quello che rischiava di diventare pianto.
Yahiko si voltò verso di lui e gli passò un braccio attorno alle spalle:
“Appena potrò mi vedrete sempre qui. Vi tormenterò, statene certi.”
Sorrise, poi abbracciò anche Konan, la quale sussultò per quel gesto, per le emozioni che non riusciva a contenere. Fu impossibile mantenere il controllo studiato di sempre, la maschera di infallibilità che la proteggeva: abbracciò con forza entrambi i suoi amici, così che tutti e tre si strinsero in quell'abbraccio comune. Si toccarono testa contro testa, soffocando i singhiozzi del pianto un po' adolescenziale, mentre il naso colava poco dignitosamente e le lacrime – infide – iniziavano a scorrere, lasciando che il pavimento in legno divenisse un insieme confuso di gocce appartenenti a chissà chi.
Dopo qualche istante, imbarazzato, Yahiko si distolse e passò un dito sotto il naso, facendo finta di nulla; annuì, come per convincersi di quanto stava facendo, e infine ammise:
“Devo andare. Ci vediamo, ragazzi.”
Konan e Nagato sospirarono. Accompagnarono Yahiko fino alla macchina e assistettero alla chiusura del cancello; loro due, uno al fianco dell'altra, guardarono l'amico salire sulla macchina, con in braccio la scatola.
Finché non si voltò verso di loro ed esclamò, muovendo un braccio con quel suo fare sempre entusiasta: “Ah, se trovaste il ciondolo tenetelo e non ridete troppo per la foto!”
La ragazza annuì, silenziosa, e si nascose la bocca con il lembo della manica; tentò di contenere le lacrime, mostrando l'aria più altera che fosse in grado di tenere. Nagato avrebbe voluto confessare tante cose, dirne ancora altre mille: sarebbe bastata anche solo una semplice esortazione a non lasciarli, per rimanere accanto a loro.
Eppure non parlò; fissò, serio e impassibile, la macchina ingranare le marce e partire, in uno sbuffo isterico della marmitta. Finché, senza rendersene conto, non afferrò la mano di Konan e iniziò a correre.
Lei strinse a sua volta le dita magre di lui e lo seguì; corsero insieme, mano nella mano, andando dietro alla macchina che affondava i pneumatici nel fango. Le prime gocce fini di pioggia accompagnarono quell'ultima corsa tra le stradine della campagna che abbracciava i confini della città. Stavano dipingendo il loro personale quadro, con gli alberi verdi, i prati fitti e le rocce coperte di muschio; l'odore del bosco che sapeva di vita ad accompagnare l'inseguimento senza successo, mischiato appena a quello del motore e della benzina.
“Yahiko!” esclamò infine.
Anche Konan lo imitò, lasciando che i capelli curati venissero plasmati dalla velocità della corsa, mentre i vestiti inzaccherati di fango non venivano lavati dall'acqua che iniziava a cadere.
L'interpellato si accorse dell'inseguimento e, radioso, abbassò il finestrino, sporgendosi pericolosamente dallo sportello dell'auto. Si sbracciò, salutando un'ultima volta i suoi migliori amici.
“Non rideremo! – gridò Nagato – Guardando la tua foto non rideremo!”
Come avrebbe potuto farlo?
Forse non sarebbe mai nemmeno risuscito a guardarla ancora.
Yahiko si limitò a ringraziare, dopo essere scoppiato a ridere. Tutti e tre, senza rendersene reciprocamente conto, stavano trattenendo le lacrime; per farlo si sforzavano di sorridere, al punto da sembrare le persone più felici della terra. Decisamente, quella sarebbe stata la migliore finzione della loro vita.
E poi, il ragazzino fuggitivo venne costretto dalla madre a rientrare in macchina, prima di ritrovarsi infradiciato dalla pioggia o rischiare di ruzzolare a terra. L'auto scomparve oltre una curva, perché la corsa di Nagato e Konan non era altrettanto veloce, per quanto disperata.
Così rimasero soli sotto la pioggia, mano nella mano, zuppi di lacrime e di acqua; attorno a loro l'odore del motore era svanito, lasciando solo quello intenso e vitale del bosco.
E Yahiko? Era quel bosco e le avventure che avevano vissuto, anche se fosse stato a chilometri di distanza da lì.




Sproloqui di una zucca

Che dire... sono contentissima di questo risultato raggiunto: è una storia che ha come protagonisti i tre adorabili patati di Ame, che trovo personaggi stupendi purtroppo poco sviluppati nel manga.
Siccome meritano più spazio, conto di scrivere ancora su di loro *O*
Al momento beccatevi questo papiro e il suo futuro secondo capitolo XD
Grazie alla giudice per i suoi commenti precisi, veritieri e dettagliati sotto ogni punto di vista; a Vale, per questi banner e il grande lavoro che c'è stato nel farli. Complimenti ovviamente a tutte le partecipanti ^^

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Happy_Pumpkin