Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |      
Autore: Irys    12/06/2005    1 recensioni
Mai visto linee totalmente differenti congiungersi in un solo disegno? Partiamo da quella congiunzione e dividiamoci. Un disegno è infinito, ma l'amarezza quanto può esserlo?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
0. Ci sono molte strade, nella vita. Strade lunghe, percorse milioni di volte dall’inizio alla fine ed al contrario dalla fine all’inizio. Lunghe e stancanti come un viaggio che non termina, a volte rettilinee, altre curve; ma andando oltre a tutto ciò, stavolta prenderemo quella breve, quella che va da un lato all’altro del ponte, facendo due curve attorno ad alberi prosperi, ma partiremo da metà, stavolta, per rompere l’ossequiosa consuetudine dell’andar retti e non trasversalmente. Allora, mettendo un piede sull’asfalto caldo, lo senti, il battito della terra sotto i piedi? E l’avanzare di quella macchina? Ed il passo silenzioso della formica? No, non senti nulla? Credo proprio che ora sentirai. Girati dando le spalle al Sole, grazie; guarda dritto davanti a te. La vedi, la casa rossa di mattoni? Quella bassa, non quella alta che le sta affianco, quella con il piccolo giardino e l’ombra magra seduta sui gradini, la vedi? Ecco, ora che la hai davanti, avvicinati. Probabilmente c’è un regalo per te, sulle scale: una pezza di torta, un candido anello, una proposta gentile. 1. Lei è lì, seduta sugli scalini, contro la porta chiusa di quella casa rossa di mattoni a vista; ha le dita sporche, di colore, probabilmente, di spray decorativi per la giornata passata a disegnare sui muri. E’ buio, ha passato dieci ore dietro uno stramaledettissimo drago blu, colorandolo per chi poi non lo sa nemmeno Lei. Per saziare chissà quale desiderio di fare qualcosa di nuovo, oltre ai soliti stupidi paesaggi. Stanca, chiude gl’occhi, eppure non par ancora decisa ad aprire la porta. Non la apre. « Smettila, stronza. Smettila. » Quelle poche parole, sussurrate, risposta alla domanda: perché non va a dormire? Appoggia l’orecchio contro la porta: voci, o meglio, una voce soltanto, l’altra sicuramente al telefono. Telefono che non squilla mai, se non quando la donna dentro chiama per ore ed ore aspettandosi nella risposta di un uomo che arriva raramente. Stavolta è arrivata, però. E lei sta fuori ad aspettare che la Madre abbia finito di sputare il suo veleno contro l’adorato marito fuggito senza un perché giorni addietro. Anzi, un perché lo sa pure, ma probabilmente è talmente masticato e rimasticato che la infastidisce anche soltanto pensare che il Padre sia andato via per una causa tanto scontata. « S’era stufato della tua sfottuta isteria, ecco perché! » Ancora una volta lo sente, l’urlo della madre al di là della porta: « Perché? » La sente l’angoscia di quella donna fragilmente forte che parla al telefono con la voce spezzata da singhiozzi nascosti, eccome se la sente. Poi, il silenzio. Il silenzio più orribile che abbia mai sentito. Un silenzio sparso di colpo, come una manciata di grano nella terra sterile. Un telefono lasciato in un angolo, abbandonato a penzolare. Tuuu.. Tuuu.. Tuuu. Cade la linea. Taci. Una. Buona. Volta! La porta si apre, dall’interno due giri ben calibrati di una chiave. L’avverte e, per poco, non cade all’indietro urtando col pavimento, ma si scosta per una fortuna inaudita. La donna, dall’alto l’osserva, ben poco disposta ad attaccare anche Lei, parrebbe. « Ora puoi entrare, Aurora. » Non attendeva altro, Lei, se non quelle parole confortanti, quelle parole che permetteranno al suo sonno di morire fra le morbide coperte di un letto. E’ mezzanotte, di una sera d’inizio giugno, e fa caldo, ha la maglietta attaccata alla pelle, più quanto non lo fosse già di suo, la stanchezza, il sudore provocato dal lavoro ininterrotto sotto lo sguardo dei passanti confusi. Guarda la madre, adesso, dentro la casa ben organizzata, in piedi sul pavimento di marmo, raffinato, ma mai troppo per gl’occhi di quella strana Cleopatra di quarant’anni. « Finalmente » E così, entra, strisciando i piedi sul marmo pulito, strisciando le scarpe sporche di fango, di erba. Sporche di colore. Disegna strisce volontariamente sul pavimento: vuole darle fastidio, vuole farle capire che infondo la odia anche Lei. Ma alla fine, a Cleopatra non importò mai, dell’Amore di Cesare. Non le importò mai, nemmeno quando si suicidò. O almeno, dopo esser stata pugnalata così a Lungo, non le importò. Che senso aveva, d’altronde? Odiare. Amare. Adiare. Omare. Amiare. Odare. Ed ancora il telefono che trilla da solo. Tuu.. tuu.. tuu. Silenzio.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Irys