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Autore: juventina2305    03/11/2009    3 recensioni
[Storia in standby per verifica e aggiornamento!]
“There's something wrong with me Inherently The wrong mix in the wrong genes…”
Wrong. E’ la mia suoneria. Potrei dire è la mia vita. Sono nata sbagliata, nel momento sbagliato, nel posto sbagliato. Sono cresciuta nella famiglia sbagliata, nel quartiere sbagliato. Ho frequentato i ragazzi sbagliati e ho fatto solo scelte sbagliate.
“È meglio se ne parliamo da vicino, Sonja. Qui stanno succedendo un sacco di cose strane. È meglio se torni presto. Abbiamo bisogno di te.”
(NDA:Il Rating è dovuto a qualche parolaccia più che altro e lo Spoiler in realtà ci sarà solo tra qualche capitolo! Siate clementi, è la mia prima ff!)
Genere: Generale, Dark, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Come un incantesimo, o come una maledizione

Siamo in viaggio già da un'ora e Mr Simpatia qui accanto a me non mi ha rivolto nemmeno una parola.
Lo osservo muovere la testa e battere le mani sul volante al ritmo delle chitarre elettriche che risuonano nell'abitacolo.
Gli occhi sono fissi sulla strada, le labbra abbozzano le parole della canzone, il volto è concentrato a captare ogni piccolo segnale del mondo esterno.
Insomma, non mi sta minimamente degnando nemmeno di uno sguardo di sfuggita e la cosa mi scoccia. E non poco.
Non so se è reale indifferenza, se è ancora offeso per il tentato furto o se sta solo giocando a fare il duro.
Cerco di attirare la sua attenzione muovendomi nel comodo sediolino di pelle e sospirando rumorosamente, ma niente.
Ritento, slacciando la cintura di sicurezza e fingendo di stiracchiarmi, gli sfioro il braccio con le dita.
Ancora nessun segno di vita.
Scocciata, ci rinuncio. Stasera non ho proprio voglia di giocare.
Sono preoccupata per le parole di Ellen, ma soprattutto sono ancora scossa dal sogno che ho fatto in aereo.
Sembrava così vero, così reale. Il suo respiro, le sue parole, mi risuonano ancora nella testa.
Stanca di pensare, chiudo gli occhi e mi lascio cullare dal ritmo della musica.
"Sweet home Alabama, Lord I'm coming home to you...", canticchio a voce bassa.
Beh, almeno Mr Chiacchierone ha dei buoni gusti in fatti di musica.
La musica dei Lynyrd Skynyrd lascia posto agli Scorpions, e poi ancora dopo a  Guns 'N Roses, Deep Purple, Led Zeppelin.
Mi correggo. Ha degli ottimi gusti in fatti di musica.
Siamo entrambi immersi nel magico mondo della musica rock, ignorandoci a vicenda, quando le note di "Ramble On" vengono interrotte dalla suoneria di un cellulare.
Il mio.
Perdo qualche secondo a cercare il maledetto telefono che si è ficcato chissà dove nello zainetto e Mr Sono-Un-Duro si volta a guardarmi, quasi scocciato da quell'interruzione.
Il suo sguardo però non è duro, non è cattivo.
Il suo sguardo è triste, spento.
Il suo sguardo è deluso, stanco.
Il suo sguardo è quello di chi ha perso la speranza, di chi sente il peso del mondo sulle spalle.
Vorrei dirgli che lo capisco, che anche io a volte mi sento così, che con me può togliersi la maschera perchè io non sono di certo la persona adatta a giudicarlo, anzi.
Vorrei dirgli tante cose, ma poi penso che tutte le volte che ho cercato di capire una persona, di essere me stessa, le cose non sono andate poi così bene.
Penso che in fondo anche io sono delusa, stanca.
E allora lascio stare e rimango ferma, col cellulare che continua a squillare tra le mani.
"Non rispondi?", mi chiede lui, perplesso.
"Come? Oh, si, si", gli rispondo, portandomi subito il telefono all'orecchio.
"Oh accidenti, ma quanto ci metti a rispondere!", mi rimprovera la persona dall'altro lato del telefono.
"Scusami Ellen", rispondo.
"Dove sei? Ho mandato una persona a prenderti..."
"Si, si, l'ho incontrata", dico, mentre Mr Discrezione continua a guardarmi, di tanto in tanto, "ora siamo in macchina, da qualche parte nel Pine Ridge."
"Bene. Sonja, mi raccomanda, fate attenzione, è pericoloso lì fuori."
"Oh, Ellen, per carità, smettila di dirmi di fare attenzione!", sbotto, infastidita da quell'ennesima raccomandazione, "Se volevi che io non corressi rischi, dovevi dire a papà di tenermi fuori da questa vita. Ma non l'hai fatto e in tutti questi anni ho visto cose che nemmeno tu puoi immaginare. Ho imparato a riconoscere il pericolo, e soprattutto ho imparato a badare a me stessa. Ok?"
Ellen non mi risponde e capisco di aver esagerato.
"Ok, Ellen, scusami, ho esagerato come al solito. E' solo che comincio ad essere davvero stanca di tutto questo...", le dico.
"Lo so, Sonja. Non è facile e io non potrò mai capire davvero.", mi risponde lei, con calma.
Non so cosa risponderle, perchè se da un lato sento forte la tentazione di cadere nell'autocommiserazione, nella sindrome del "nessuno mi può capire", dall'altro so che non è giusto incolpare altri per scelte non loro. Di chi siano poi queste scelte io lo so, solo che è morto da un pezzo, ma io continuo a pagarne ancora le conseguenze.
"Scusami, Ellen, sono giorni che non chiudo occhio e che assumo dosi elevate di caffeina. E' l'esaurimento nervoso a parlare, non io. Sai bene di essere l'unica che mi capisce davvero. Scusami ancora. Ci vediamo presto". Con queste parole chiudo la conversazione. Non mi va di affrontare questo discorso complesso e senza via d'uscita davanti ad un estraneo, anche se in fondo tanto estraneo non è, visto che da quel che ho capito fa la mia stessa vita.
Chiudo il telefono e sospiro rumorosamente, gettando l'aggeggio sul sedile posteriore.
Mi abbandono sul sedile, chiudendo gli occhi.
Ci sono dei momenti in cui vorrei essere una ragazza normale, con una vita normale e degli amici normali.
Questo è uno di quelli.
Forse in un altro mondo c'è un'altra me che è in macchina con un bellissimo ragazzo che la riempie di attenzioni e di amore, magari in viaggio per una vacanza romantica.
Io invece devo accontentarmi di uno sconosciuto che non mi rivolge nemmeno la parola e che dopo provocato numerosi lividi mi sta portando nel bel mezzo del deserto del Nebraska.
"Hai fame?"
Riapro gli occhi e mi volto di scatto.
No. Non ci credo. Mr Non-Sei-Degna-Di-Parlare-Con-Me mi ha rivolto la parola!
Sbatto più volte le palpebre, cercando di capire se ho avuto un'allucinazione o lui ha pronunciato davvero quelle parole.
"Ehi? Mi hai sentito? Ti ho chiesto se ho fame!", mi dice, sventolandomi una mano davanti agli occhi, mentre parcheggia la macchina davanti ad una tavola calda deserta.
"Ma chi, io?", chiedo, ancora incredula.
"Si, si, tu! Vedi qualcun'altro nel raggio di 10 km?", mi risponde, sarcastico, mentre scende dall'auto.
"Hai ragione, scusami. Ho un pò la testa tra le nuvole, stasera."
"Me ne sono accorto, in certi momenti sembravi essere su un'altro pianeta", mi dice e le sue labbra si incurvano in un mezzo sorriso.
"Magari", rispondo in un sussurro, ripensando ai miei pensieri di poco fa.
"E dai, muoviti, allora. Io sto morendo dalla fame"
Rapidamente scendo dall'auto e lo seguo all'interno della tavola calda.
Il locale è uno di quelli come si vedono nei classici film dell'orrore.
Poco illuminato, con la carta da parati che cade a pezzi e i tavoli di plastica e le poltroncine addossati alla vetrine.
Un lungo bancone che ha l'aria di aver visto giorni migliori, un vecchio juke box che perde colpi e una cameriera in pieno stile Barbie, con tanto di abiti succinti, completano il quadro. Manca solo il killer psicopatico con l'ascia, e siamo al completo!
Ci sediamo ad un tavolo in un angolo e restiamo in silenzio per qualche minuto, guardando i menù e studiandoci a vicenda.
I suoi occhi verdi mi incantano, mi incatenano.
Come un incantesimo, o come una maledizione.
Non riesco a staccare lo sguardo, ma la magia dura poco, perchè la cameriera arriva a prendere le ordinazioni.
La osservo bene, mentre fa la civetta col mio compagno di viaggio. La scollatura non lascia niente all'immaginazione, come nemmeno la gonna corta e le occhiate languide che gli lancia. Ma quello che mi lascia di sasso è che lui sta al suo gioco, anzi, sono sicura che se non ci fossi anche io, in questo momento questi due starebbere facendo ben altro che flirtare.
Uomini, penso, alzando gli occhi al cielo.
Lui ordina un doppio cheesburger con patatine e una birra e io faccio lo stesso.
La cameriera si allontana, ma lui continua a fissarle il fondoschiena.
Uomini, appunto.
La cameriera scompare dietro al bancone e lui allora torna a guardare me.
Io sorrido e scuoto la testa.
"Che c'è?", mi chiede lui.
"Niente. E' così che tratti le donne, quindi... O le picchi o ci provi, insomma.", gli rispondo.
"Non è vero. Sai bene che la vita che facciamo non ci consente di avere dei legami stabili, quindi, perchè negarsi qualche piacere di tanto in tanto..."
Sorrido di nuovo mentre penso che in fondo ha ragione.
"E poi nessuna si è mai lamentata di come l'ho trattata, sai. Anzi, mi cercano sempre per il bis...", continua lui.
"Ok, ok", gli dico, facendogli cenno di smettere di parlare, "Non ho detto che voglio conoscere i dettagli della tua vita intima!".
Lui mi sorride a sua volta e per un attimo mi dimentico di tutto, di chi siamo, di perchè siamo qui e di cosa ci aspetta fuori qui.
Per un attimo siamo solo io e lui, a chiacchierare come due vecchi amici.
E di nuovo la cameriera ci interrompe, posando con delicatezza quello che abbiamo ordinato.
Ma stavolta lui non la guarda, ma continua a fissare me, tanto che inizio a pensare di avere una macchia in faccia.
Lei va via, con la coda tra le gambe e io penso che ogni tanto il cervello batte le tette.
"E così sei un'amica di Ellen?", mi chiede, divorando con gusto il suo panino.
"Si. E' un'amica di famiglia, la conosco da quando ero piccola. E tu, come la conosci?", gli rispondo.
"Come te, è un'amica di famiglia."
"Ho capito."
"E come mai mi ha scongiurato di venire a prenderti in tutta fretta?"
"Ehi, ma cos'è? Un terzo grado?", gli chiedo, indispettita da tutte quelle domande.
"No, è solo che mi chiedevo come mai ho dovuto fare quasi 1000 km per venire a prendere una sconosciuta nel bel mezzo della notte, ecco tutto."
"In verità non lo so nemmeno io. Ero a San Pietroburgo, quando Ellen mi ha chiamato, pregandomi di ritornare in tutta fretta da lei. Dice che stanno succedendo delle cose strane qui."
"Qui succedono sempre cose strane", dice, in un soffio, mentre vedo il suo sguardo rabbuiarsi.
Restiamo qualche minuto in silenzio.
In fondo siamo caccatori, la diffidenza è il nostro credo.
Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, mi sono sentita ripetere mille volte, quindi non vedo perchè dovrei dare troppo spiegazioni ad un tipo di cui non conosco nemmeno il nome.
Lui si alza per andare alla toilette e si ferma alla cassa a pagare, scambiando qualche altra battuta con la cameriera-oca.
"Vieni, ho già pagato, andiamo, che il viaggio è ancora lungo.", mi dice.
"Grazie, ma non dovevi, potevamo fare a metà."
"Beh, sono pur sempre un cavaliere."
Usciamo dal locale e l'aria fredda della notte mi punge il viso. 
Mi fermo sui gradini ad ascoltare il silenzio surreale che c'è intorno a me.
Mr Non-So-Nemmeno-Come-Ti-Chiami continua a camminare, dirigendosi verso l'auto.
"Ehi", lo richiamo, "Non so nemmeno come ti chiami".
"Dean.", mi risponde, "Mi chiamo Dean Winchester".


*  *  *
Ciaoooo!! Dono un'infinità di tempo, torno ad aggiornare questa storia...
Non me ne ero dimenticata, ero solo presa da mille altre cose!
Ringrazio chi ha avuto il coraggio di leggerla e prometto che cercerò di essere più costante nell'aggiornamento!
Sono sempre ansiosa di sapere il vostro parere!
Baci

Sonja


  
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