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Autore: Sklupin    04/11/2009    1 recensioni
L'epoca dei Malandrini vista attraverso gli occhi di un Remus undicenne: l'incontro con Sirius, James, Lily e Severus, misteri, trasformazioni e tanta, tanta magia! Il tutto condito da una buona dose di ironia e una spruzzata di amicizia. Cosa aspettate?! Tuffatevi nel magico mondo dei Malandrini!! (versione riveduta e corretta, postata finalmente con codice html!).
Genere: Commedia, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Lucius Malfoy, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti amici, fedeli lettori e curiosi che avete appena cliccato su questa storia.

Innanzitutto grazie per essere qui!

Come alcuni di voi sanno, questa fan fic è stata già da me postata e conclusa tempo fa, quando ancora non avevo scoperto il magico mondo del codice html. Terminato il tomo, con mia notevole fatica e altrettanta pazienza da parte dei lettori (ancora grazie!), ho pensato di effettuare una revisione globale del testo e ripostarlo con il codice html.

Pertanto vi preannuncio che i capitoli verranno postati a ritmo abbastanza sostenuto, ma entro i limiti delle mie possibilità (la revisione non è ancora ultimata).

Per tutti coloro che si affacciano alla storia per la prima volta, devo dire che:

-       l’intera trama è frutto della mia fantasia

-       ho voluto mantenere i personaggi quanto più fedeli alla versione rowlinghiana, ma certe sfumature e particolari sono una mia licenza poetica

-       i personaggi sono di proprietà di J.K. Rowling e questa storia non ha nessuno scopo di lucro.

Detto ciò non vi trattengo oltre, buona lettura e, se sentite l’irrefrenabile desiderio di lasciare un commento, sarò ben lieta di leggerlo e tenerne conto!

Sklupin

 

UNA LETTERA TANTO ATTESA

 

L'alba si era appena affacciata sui rossi tetti di Slavingate, una brezza pungente sospirava alle finestre degli abitanti ancora addormentati e la nebbia faticava a diradarsi dalle stradine sterrate del paesello. Poco sopra le altre case, su una collina solitaria, c'era una fattoria non molto grande, parzialmente nascosta da una fitta vegetazione. Per quanto la famiglia Lupin fosse solita alzarsi di buon mattino, era ancora troppo presto e fatta eccezione per il pigolare di qualche pulcino, regnava un perfetto silenzio.

Solamente una fioca luce tremolante tradiva la presenza di qualcuno che evidentemente non dormiva affatto.

Nella sua stanza al secondo piano, seduto sul letto c'era un ragazzino magro, dal viso un po' sciupato e sporco di terra, i capelli castani incolti gli arrivavano fino alle spalle e il pigiama che indossava sembrava, o meglio, era un insieme di vecchi stracci. Stava borbottando sottovoce e nel contempo evidenziava il testo con una matita spuntata, quando il richiamo della madre lo fece sobbalzare e sbattere la testa contro il basso soffitto di legno.

-Remuuuus! Vieni giù in cucina, la colazione è pronta-

-Sì... arrivo!- urlò di rimando Remus mentre si massaggiava il nuovo bernoccolo.

"Non è un po’ presto per la colazione?" si chiese.

Chiuse il libro e si affrettò a cambiarsi, prendendo dalla sedia la tuta che aveva usato il giorno prima per falciare il prato. Oggi gli sarebbe toccata la disinfestazione del giardino dagli gnomi.

Sulla tavola della cucina lo aspettavano un tozzo di pane raffermo e un bicchiere di latte della loro capra Tes.

-Cavolo, c'è pure il latte? Fantastico!- esclamò tracannando in un sol sorso il contenuto del bicchiere.

-Sì, oggi Tes ha dato il meglio di sè- disse la signora Emma in risposta al figlio, asciugando il lavabo.

Era ancora in vestaglia, i capelli raccolti in una crocchia e sul viso c'erano i segni del cuscino. Contrariamente al suo aspetto, l'espressione era vispa e perfettamente sveglia, come se fosse in piedi da ore, il che insospettì Remus.

Stava per chiedergli cos'era successo per farla alzare all'alba a mungere la capra, ma la madre lo precedette.

-Poco fa è arrivato un gufo e ha portato questa per te!- proferì lei porgendogli una busta giallo ocra, chiusa da un sigillo rosso.

 

Al Signor Remus Lupin

N° 16 Tempington Street

Slavingate - Yorkshire

 

Remus prese la busta osservandola come fosse un cane a tre teste. Non riusciva a capacitarsi di ciò che aveva tra le mani, aveva immaginato questa scena tante volte nei suoi sogni ed ora faticava a credere che fosse reale. Dopo qualche istante in cui la madre lo guardò con aria interrogativa, il ragazzino si scosse e cominciò a balbettare in preda all'emozione.

-è.. è... è la le-lettera per Hogwarts!- riuscì ad esclamare infine.

E prese a saltellare per la cucina strepitando -Evviva!-, incurante del tavolo e delle sedie che andava urtando al suo passaggio.

-Sì Remus.. è proprio la tua lettera di ammissione. Perché non la apri?- gli propose la madre ridendo alla vista di tutta quella contentezza.

Remus obbedì, aprì la busta e iniziò a leggere avidamente la pergamena al suo interno. Dopo poche righe si fermò e sul suo viso apparve un'espressione scoraggiata.

-Tutti questi libri, per non parlare dell'equipaggiamento... costeranno un occhio mamma- disse sedendosi e guardando la madre preoccupato.

La signora Emma gli si avvicinò con un sorriso e lo abbracciò forte rincuorandolo.

-Sempre a preoccuparti dei tuoi vecchi, eh? Cosa credi? Abbiamo risparmiato abbastanza per permetterci di mandare nostro figlio alla migliore scuola di magia e stregoneria dell'intera Inghilterra, e tu dovrai ripagarci diventando un mago con i fiocchi!!-.

Remus s'illuminò e ricambiò l'abbraccio con entusiasmo.

-Adesso vado, mamma, devo fare un sacco di cose!- affermò divincolandosi dalla madre che ancora lo serrava stretto.

Colto da un'ondata di sorprendente energia si mise il cappotto e uscì di casa, diretto al capanno degli attrezzi per iniziare i lavori della giornata. Prese il berretto, una tozza mazza di legno scuro e un buffo fischietto a forma di pera. Era la terza volta che degnomizzava il giardino quell'anno, la prima era stata in primavera con il padre, il signor Gerard Lupin. Lui faceva uscire gli gnomi allo scoperto con un incantesimo, Remus li tramortiva con la mazza e li lanciava fuori dal recinto, dalla parte di collina che dava verso il bosco. Tuttavia il signor Lupin era spesso via alle varie fiere di paese, per vendere i prodotti che coltivavano alla fattoria, e Remus, non possedendo ancora una bacchetta sua, doveva arrangiarsi con mezzi più... babbani.

Per prima cosa collocò il buffo fischietto al centro dell'appezzamento di terra dinanzi alla fattoria, lo schiacciò forte con il piede e quello rimase spiaccicato al suolo. Corse velocemente verso il cancelletto con la mazza ben salda nella mano destra e i muscoli del corpo pronti a scattare. Dopo un paio di secondi partì un fischio assordante dal giardino e piccole figure presero a correre in tutte le direzioni.

Remus si lanciò rapido verso quella più vicina allo steccato, e con un colpo ben assestato della mazza tramortì lo gnomo, lasciandolo steso. Fu il turno degli altri, che uno dopo l'altro vennero presi e dovutamente sistemati in una pila sotto il prugnolo. Fece più fatica del solito, qualcuno era riuscito a sfuggirgli e dovette usare più volte il Trombofischietto, prima di acchiapparli tutti. Inoltre, diciamocelo, il nostro Remus aveva ben altro per la testa quella mattina.

 

Malgrado cercasse di concentrarsi nei suoi compiti quotidiani, era continuamente distratto dal pensiero della lettera e di ciò che rappresentava per lui. Da quando era in grado di ricordare, aveva sempre sentito parlare di Hogwarts dai suoi genitori. Gli avevano raccontato della maestosità del castello, della ricca biblioteca e soprattutto dell'eccellenza dei suoi insegnanti. Loro purtroppo non avevano potuto terminare gli studi: sulla causa erano stati piuttosto vaghi con lui, però avevano conservato diversi testi scolastici e Remus talvolta passava il tempo leggendo formule e incantesimi, sognando il giorno in cui li avrebbe eseguiti con la sua bacchetta. La madre gli aveva detto che nel pomeriggio il padre sarebbe tornato, così gli avrebbero comunicato la bella notizia e l'indomani magari sarebbero andati a Londra, ad acquistare tutto l'occorrente per il suo primo anno scolastico. In questo momento Remus desiderava tanto avere un amico con cui condividere il tumulto di emozioni che provava, qualcuno della sua età con cui scambiare impressioni e sensazioni; ma a Slavingate c'erano pochi bambini, perlopiù piccoli, e inoltre nessuno di loro era un mago o una strega, il che complicava un tantino le cose.

"Chissà se mi farò degli amici a scuola?" pensò fra il preoccupato e lo speranzoso.

Rimise gli attrezzi nel capanno e tornò a casa per il pranzo, pensando a cosa avrebbe potuto fare per occuparsi il pomeriggio e smettere di rimuginare.

Gli venne in mente che quel giorno sarebbe uscita la Gazzetta del Profeta, e siccome per acquistarla sarebbe dovuto andare sino al villaggio di Miltonship, l'unico nel raggio di cinque miglia che avesse dei negozi magici, si disse che era un ottimo diversivo per trascorrere la giornata. Remus non usciva spesso dalla fattoria; la gente del paese era già abbastanza sospettosa nei loro confronti per via degli strani rumori che sentivano, fra i quali proprio quelli provocati dalla degnomizzazione, ma in alcune occasioni aveva accompagnato il padre per delle commissioni fino a Miltonship, e conosceva perfettamente il tragitto e l'autobus da prendere. Avrebbe chiesto il permesso alla madre subito dopo pranzo, certe richieste era meglio farle a pancia piena.

La signora Emma aveva preparato i suoi piatti forti: zuppa di patate dolci, gratin di carote e fettine di pollo in agrodolce, probabilmente per festeggiare l'ammissione del figlio a scuola. Remus mangiò di gusto tutte le porzioni, anche il gratin di carote di cui non andava matto; voleva ripagare la madre per i suoi sforzi e soprattutto era indispensabile mantenerla di buon umore in vista della richiesta che le avrebbe fatto.

-Hai proprio fame, eh Remus? Di solito il gratin non lo finisci mai... - proferì la madre in tono interrogativo. -E' stata così dura mandare via quegli gnomi distruttori stamattina?-

-Già... è stato più difficile del solito...- rispose vago Remus. Era il momento di chiederglielo, e raccogliendo tutta l'innocenza a sua disposizione cominciò: -Sai, mamma, mi sono ricordato che oggi esce la Gazzetta del Profeta...-.

La signora Emma annuì distrattamente inforcando un pezzo di pollo.

Il ragazzino proseguì: -Stavo pensando che a papà farebbe piacere leggerla stasera...- e si bloccò notando lo sguardo sospettoso della madre.

-Già, gli farebbe piacere. Peccato che non possiamo permetterci l'abbonamento, ci arriverebbe puntualmente via gufo- concluse lei allusiva.

Remus capì che era inutile continuare a tergiversare e decise di buttare le carte in tavola.

-Potrei andare a comprarlo io il giornale a Miltonship, ho da parte i soldi per il biglietto dell'autobus e tu devi darmi solo quelli per la Gazzetta- disse rapidamente.

La signora Emma aggrottò la fronte ed esclamò: -Toglitelo dalla testa!- Ogni residuo di buon umore era svanito nel suo tono.

-Ti ho detto mille volte che non devi andare in giro da solo, sei ancora troppo piccolo- affermò lei perentoria.

-Non sono più troppo piccolo, ho undici anni e fra poco inizierò la scuola- rispose Remus lievemente alterato. -Sono sempre dentro la fattoria, aiuto nei lavori in casa e non mi sembra di essere un bambino capriccioso. Credo di meritarmi un po' di fiducia!-

Lei distolse lo sguardo ed andò alla finestra sospirando. Sembrava molto combattuta, in preda a pensieri lontani. A Remus parve di sentirla parlottare fra sé, e la cosa gli fece una strana impressione. Attese qualche minuto, poi la madre si voltò abbozzando un sorriso forzato.

-E' giusto, sei cresciuto e ormai devi saper affrontare quello che c'è fuori da queste quattro mura- disse tormentandosi le mani. -Vado a prendere il borsello, aspettami qui- e salì lungo la scala traballante verso il piano superiore.

Remus era perplesso. Perché sua madre era così preoccupata? In fondo andare a comprare il giornale non gli sembrava un'impresa tanto ardua! Forse si era troppo abituata ad averlo costantemente sott'occhio, che la prospettiva di lasciarlo andare un pomeriggio per conto suo la spaventava. Tuttavia avvertiva che la questione era più seria di quanto lei non volesse dare a vedere.

La signora Emma tornò poco dopo con il borsello in mano, lo aprì e diede al figlio cinque falci e dodici zellini. Lui li prese e se li ficcò in tasca.

-Mi raccomando Remus, non farti notare e stai ben attento a non dare confidenza a nessuno. Chiaro?- scandì lei prendendolo per le spalle e guardandolo dritto negli occhi verde scuro.

-Stai tranquilla mamma, vado e torno- annuì il ragazzino sorridendo, e le diede un bacio sulla guancia.

Preso il suo portafoglio e imbacuccatosi ben bene, come ordinatogli dalla madre, che evidentemente credeva fosse diretto al polo, Remus si diresse verso la fermata dell'autobus lungo la via principale di Slavingate.

Dalla collina della fattoria si vedeva tutto il paese, per lo più composto da casette di sasso coperte da tetti di tegole rossastre e circondato da un fitto bosco di faggi. L'aria era piacevolmente fresca e il sole spandeva i suoi raggi tiepidi su prati e orti pieni di ortaggi d'ogni genere. Slavingate era il luogo tranquillo per antonomasia e i suoi abitanti erano molto fieri di questa "tranquillità", semplici contadini, fabbri e falegnami, estimatori della terra e delle cose semplici. Il genere di persone insomma, a cui non andavano a genio le stranezze e i tipi strani, com'erano appunto Remus e i suoi genitori. L'abbigliamento di Remus, per quanto sciatto e secondo sua madre "poco appariscente", aveva un che di anomalo agli occhi dei babbani e attirava più attenzione che se fosse andato in giro su una scopa volante. Il berretto era viola a strisce gialle con un buffo pon pon in fondo, il cappotto verde smeraldo lungo fino ai piedi era chiazzato qua e là da macchie marroni che lasciavano intravedere vagamente delle stelle dorate, e per finire le scarpe nere laccate erano evidentemente di almeno due numeri più grandi. In verità Remus da tempo si era reso conto che i goffi tentativi della signora Emma di renderlo più anonimo possibile non sortivano l'effetto desiderato. Comunque non gliene importava granché, anzi, si chiedeva come mai la sua famiglia non avesse scelto un villaggio magico dove mettere radici; di sicuro sarebbe stato più comodo.

Alla fermata c'erano una donna con due bambini di circa cinque anni, un contadino sporco di terra e una vecchia signora con fazzoletto in testa e bastone alla mano, che incarnava la perfetta immagine della strega delle fiabe babbane. All'arrivo di Remus tutti si discostarono da lui di qualche passo, ad eccezione dei bambini che lo guardavano con divertita curiosità. Remus se ne stette in disparte, il capo chino a guardarsi le scarpe. Era abituato alla freddezza e alle occhiatacce della gente, ma per un ragazzino di appena undici anni era una realtà dura da accettare. Fortunatamente il bus arrivò nel giro di pochi minuti, e una volta salito tirò un sospiro di sollievo.

Il viaggio durò un'ora buona, fra scossoni e balzelloni; Remus si pentì di non essere andato a piedi. Scese dal piccolo bus arancione e trovò su di sé un cielo gonfio di nubi. -Andiamo bene!- inveì il ragazzino. -Non ho neanche portato un ombrello-

E procedette con passo rapido in direzione del centro, confidando che il tempo reggesse abbastanza per andare e tornare. Attraversò la strada e imboccò un viottolo che ricordava essere una scorciatoia, annuendo man mano che avvistava un'insegna o un edificio che gli confermava la correttezza della direzione intrapresa. Svoltò alla prima a sinistra e nella foga andò a sbattere contro qualcuno, cadendo di sedere sul marciapiede.

-Dannazione!... Maledetto piccolo mostriciattolo…- imprecò l'uomo rimettendosi in piedi.

Remus, ancora col fiato mozzo per la botta, esalò un -Mi scusi- cercando a sua volta di alzarsi.

Quando alzò lo sguardo vide un uomo sulla quarantina, alto, vestito interamente di nero. Il volto era contratto dall'ira e reso ancora più inquietante da una lunga cicatrice che andava da sopra l’occhio sino alla guancia. Remus rimase inebetito a guardarlo, incapace di dire altro.

-Beh? Che hai da guardare moccioso?!- gracchiò. -Non ti piace la mia faccia? Eh?!- e dicendo ciò lo afferrò per il bavero del cappotto, sollevandolo bruscamente da terra.

Remus era atterrito dalla paura, voleva scappare, uscire da quella situazione al più presto possibile. Pensò intensamente alla prima formula magica che gli venne in mente: -Stupeficium!-

Ricadde a terra battendo nuovamente il sedere, e nel contempo udì un'assordante fragore.

Il tizio sfregiato era volato contro la vetrata di un negozio, rovinando sui vetri rotti, e imprecando a gran voce.

Remus non ebbe tempo di pensare, le gambe decisero al posto suo. Senza rendersene conto si era lanciato in una folle corsa lungo il vicolo, che fortunatamente era deserto. Gli parve di vedere un lampo di luce verde passargli accanto, ma era troppo terrorizzato per voltarsi. Corse a perdifiato per le stradine del centro, accorgendosi a malapena che aveva iniziato a piovere, fino a quando giunse in una piazzetta fitta di bancarelle e circondata da portici. Si infilò sotto il porticato e finalmente si fermò, ansimante e scosso da tremiti. Le ginocchia gli cedettero e per un po’ stette così, inginocchiato sulla fredda pietra, pensando a come era fortunato ad essere ancora intero.

" Già... ancora intero... come diavolo ho fatto? " pensò mentre il suo respiro si faceva via via più regolare. Ma le sue riflessioni furono interrotte dalle grida di una donna. Davanti alla bancarella il tizio vestito di nero aveva spintonato una signora, che ora protestava animatamente.

-Lei è un villano, lo sa?! Esigo delle scuse!- trillò la donna inviperita.

-Levati dai piedi, idiota!- tuonò lui facendosi largo fra la folla di curiosi.

Lo stava cercando, Remus ne era sicuro. Prese a muoversi dietro le colonne del porticato, tenendo d'occhio il suo inseguitore e contemporaneamente cercando un posto dove nascondersi. Qualcuno lo afferrò per una spalla e il ragazzino si voltò di scatto pronto a sferrare un pugno, che fermò a mezz'aria. Era una ragazzo, poco più alto di lui e, gli stava intimando silenzio, con un dito sulle labbra.

-Vieni con me, sbrigati- sibilò facendogli cenno di seguirlo.

Remus era un po’ diffidente, ma vista la situazione non gli sembrava di avere alternative migliori. Entrarono nella bottega dietro di loro, dentro era poco illuminato, e Remus urtò un paio di sedie seguendo l’altro dietro al bancone, per fermarsi nel retrobottega. Il negozio era vuoto e a giudicare dallo strato di polvere sui mobili e sul pavimento, lo era da un bel po'. Il ragazzo si sedette su una poltroncina di stoffa e con noncuranza tirò fuori una mela e la addentò. I suoi gesti avevano un che di elegante e ora che lo guardava meglio, Remus notò che anche i suoi abiti dovevano essere piuttosto costosi, tuttavia non dava l'impressione di tenerci molto: c'erano delle macchie e in alcuni punti il tessuto era lacerato, come se fosse rimasto impigliato in qualcosa di appuntito.

-Ehi, che ne dici di sederti e smetterla di guardarmi come fossi una mandragola velenosa- esordì.

Remus si scosse.

-Scusa... sì grazie- disse sedendosi nella poltrona di fronte.

Il ragazzo alzò un sopracciglio e abbozzò un sorriso furbetto.

-Dai, stai tranquillo, non ti mangio mica. Piacere, mi chiamo Sirius- e gli porse la mano.

Remus si rilassò e sorrise a sua volta.

-Piacere mio, io sono Remus, Remus Lupin- rispose stringendogli la mano.

-Complimenti per il nome, Remus. E ora ti va' di dirmi chi era il losco figuro che ti stava inseguendo?- gli chiese Sirius lanciandogli una mela che Remus afferrò al volo e morse con avidità. gran fame.

-Ehm… non lo so... ci ho sbattuto contro svoltando per un vicolo e lui si è arrabbiato di brutto, poi…- Remus si interruppe e rivide con nitidezza il momento in cui lo sfregiato lo aveva afferrato e tirato su come un pollo, minacciandolo con la bacchetta. Aveva notato solo ora un particolare importante, quell'uomo aveva una bacchetta. Perciò quel lampo verde che gli era sembrato di vedere alle sue spalle, con tutta probabilità era una fattura lanciata contro di lui ed era certo che non si trattasse di un incantesimo di levitazione. Aveva corso un grosso pericolo.

-Prontooo? Remus stavi parlando di quel tizio... ci sei?- Sirius gli stava passando una mano davanti agli occhi come per risvegliarlo da un'ipnosi.

-Ah, sì, cioè… niente, poi sono scappato e sono arrivato qui. Piuttosto grazie per avermi aiutato!- proferì scuotendosi dai suoi pensieri.

-Al suo servizio messere. Piuttosto che ne dici di toglierci da questo posto deprimente e andare a mangiare un gelato?- propose il ragazzo alzandosi e stiracchiandosi la schiena.

Remus la trovò un'ottima proposta, e insieme uscirono dal retrobottega, su un viale ampio e ricco di persone che camminavano frettolosamente sotto la pioggia incessante.

Sirius infilò una mano in tasca e ne trasse un borsellino di pelle dal quale, con grande sorpresa di Remus, usci un ombrello bordeaux abbastanza grande per riparare tre persone.

-E' di mia madre, ci ficca di tutto dentro e viene utile in diverse occasioni- affermò ammiccando.

-Forte! Lo avevo visto solo in foto. Bellissimo!- esclamò Remus eccitato.

-In effetti non lo si trova nei comuni negozi magici, come del resto gran parte della roba che sta a casa mia- disse Sirius accigliandosi -Ma lasciamo perdere queste cose... piuttosto tu da dove vieni? Hai un'aria come dire...forestiera-.

-Vengo da Slavingate, sono venuto qui in pullman per comprare la Gazzetta del Profeta- rispose Remus -Ehi, me ne stavo dimenticando! Tu sai dove posso comprarla? Sapevo la strada prima di darmi alla fuga, ma adesso non so più dove sono-.

-Tranquillo, la magidicola è proprio dietro l'angolo. Ci andiamo subito-.

Remus ringraziò la sua buona stella per avergli fatto incontrare Sirius.

 

  
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