40. Now or never
– Wildcats forever
“Giurami
che non sei arrabbiato.” Troy e Gabriella erano stesi sul letto della ragazza,
lui a pancia in su e lei appoggiata al suo torace. La porta era aperta, e loro
erano sopra le coperte, come
espressamente richiesto dal signor Montez, intento a guardare il baseball in
salotto.
Troy
guardò in giù, giocherellando con un boccolo corvino: “Certo che non sono
arrabbiato. Solo che mi sarebbe piaciuto che tu ci fossi a questa partita.”
Gabriella
alzò lo testa: “Anche a me! Ma mia madre ha come giorni libero solo questo
weekend, ed è da un sacco di tempo che non mi vede! È colpa della sua cavolo di
compagnia…”
“Ehi,
tranquilla. Sai a quante altre mie partite potrai assistere? Non ho intenzione
di lasciarti molto presto, signorina Montez. Anzi, non ho proprio intenzione di
lasciarti.”
La mora
ridacchiò: “Ricambio, Bolton. Prometto che chiamerò sempre Tay o Kelsie per
farmi dire come sta andando!”
“D’accordo,
ti credo.” il ragazzo si sporse per incontrare le sue labbra “Ma dovrai
comunque farti perdonare.”
La ragazza
rise di nuovo e lo baciò a sua volta, stringendogli la maglietta per tirarlo
più vicino.
“Ragazzi!
Non sento le vostre voci!” giunse allegra dal piano di sotto la voce del signor
Montez.
La figlia
alzò gli occhi al cielo: “Promise I’ll be kind but I won’t stop until that boy is mine… sei contento, papà?”
“Molto
tesoro, grazie!”
Troy
sorrise: “Tuo padre è forte, lo sai? Non potrò mai ringraziarlo abbastanza per
averti fatto rimanere qui con me.”
Gabriella
si girò sulla pancia, stendendosi di più su di lui: “Beh, lui dice che per
adesso non vuole diventare nonno e vorrebbe che io mi diplomassi prima di
mettere su famiglia. Quindi mi sa che dovrai aspettare, signor Bolton.”
“Tutto il
tempo del mondo per te, Montez.”
Ricominciarono
a baciarsi dolcemente, fino a che non udirono un “Ragazzi!” provenire dal di sotto.
Si
staccarono di nuovo, con Gabriella che borbottò: “Meno male che è forte, vero?”
mentre si alzava e tirava il suo ragazzo per le mani “Forza, scendiamo anche
noi. Almeno sta più tranquillo.”
Il ragazzo
sbuffò: “Ma così non ti posso baciare.”
La mora
rise e scosse la testa: “Tanto non potresti farlo lo stesso, Wildcat.”
Troy fece
per rispondere, ma il suo cellulare squillò in quel momento; sbuffò, e lo prese
fuori dalla tasca: “E’ Chad,” bofonchiò guardando sul display “Pronto? No, sono
da Gabriella. Okay, dammi mezz’ora e… no,
Chad, cinque minuti no. Va bene, va bene, un quarto d’ora. Tra un quarto
d’ora sarò da voi, promesso. Ciao.” chiuse la telefonata e alzò gli occhi al
cielo “Devo andare al campetto nel parco. I ragazzi vogliono essere in forma
per la partita. Credo di non averli mai visti così fissati.”
La sua
ragazza rise e lo abbracciò, appoggiando una guancia al suo petto: “Mi
mancherai, Wildcat.”
Il castano
la cinse con un braccio: “Ehi, sono solo due giorni. Ci vediamo alla festa dopo
la partita, giusto? E’ anche la fine delle nostre due settimane alla East High.”
“Non me la
perderei per niente al mondo.” Gabriella strofinò il naso contro la maglietta
di lui, inebriandosi del suo profumo “Sarà anche la prima volta che l’intero
corpo studentesco andrà a scuola il sabato mattina.”
“Mmmh, che
cosa entusiasmante.” ridendo, Troy le alzò il viso con due dita ed unì le loro
labbra. Giusto per essere interrotti dall’ennesimo trillo del cellulare del
ragazzo “Questo è Chad che mi dice di spicciarmi. Eppure io non faccio così
quando lui è con Taylor.”
“Forse
dovresti iniziare.” la mora si alzò in punta di piedi e lo baciò ancora.
Il
capitano dei Wildcats ghignò e si staccò a malincuore: “Devo andare, Gab, o qui
finisce che non ti levo più le mani di dosso. Deve anche arrivare tua mamma tra
poco, giusto?”
La ragazza
annuì, improvvisamente con aria triste: “Mi chiamerai?”
“Così
tanto che alla fine ti stuferai di me!”
“Ah, io
non potrei mai stufarmi di te.” si scambiarono un ultimo bacio, poi Troy si
avviò alla porta e l’aprì: “Ci sentiamo dopo, Gab.”
Gabriella
sorrise dolcemente: “A dopo Wildcat.”
Di scatto,
il ragazzo le prese una mano, tirandola a sé, e stampandole un velocissimo
bacio sulle labbra: “Ti amo.”
Lei
scoppiò a ridere, spingendolo fuori: “Anche io ti amo, ma ora vai! Non voglio
aver un Chad arrabbiato sulla coscienza!”
Si
salutarono un’ultima volta con la mano, poi Gabriella chiuse la porta, e cercò
di far scomparire quell’allegro rossore sulle guance.
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“Ehi Tay!
Che ci fai qui?” domandò allegro Troy raggiunto il campetto e notando la
ragazza lì.
“Porto le
provviste per i nostri campioni,” alzò un cestino da picnic ricolmo di panini e
bottiglie “Gabby è partita?”
“Credo di
sì,” sospirò affranto il ragazzo “Quando l’ho lasciata sua madre stava per
arrivare.”
Taylor
ridacchiò, passandogli una bottiglietta d’acqua: “Coraggio, lover boy. La tua ragazza tornerà
presto.”
“Sì ma non
ci sarà alla partita.”
“Allora
vedi di concentrarti molto, perché io non voglio perdere!” Chad li raggiunse e
passò un braccio attorno alle spalle della sua ragazza “Quanta roba c’è da
mangiare?”
Taylor
alzò gli occhi al cielo: “Abbastanza per tutti. Cavolo, Danforth, a volte mi
stupisco di quanto tu sia un maiale. E poi, santo Cielo, puzzi!”
“Non è
puzza, è odore maschio. Denota la nostra mascolinità. La nostra forza.”
Troy e
Taylor si scambiarono un’occhiata: “Dì un po’, amico, sei stato con le tue
cuginette di recente?”
Chad si
accigliò: “Sì, perché?”
“Perché le
chance sono due. O hai guardato troppo Hannah
Montana, o troppi documentari sul Fantastico Mondo degli Animali.”
Il
ricciolino tirò il pallone al suo migliore amico: “Parla per te, Romeo. Come
farai ora che la tua Giulietta è partita? Rischierai di subire la punizione
capitale del tuo migliore amico se non pensi ad altro che a lei, oppure
rimetterai la testa sulle spalle e schiaccerai i Knights?”
Troy
incrociò le braccia ed alzò un sopracciglio, divertito: “Sai, questa tua
rielaborazione di Romeo e Giulietta è
interessante. Potresti proporla alla Darbus, chissà che non ne venga fuori un
bellissimo spettacolo.”
Chad
rivolse gli occhi al cielo: “Basta ci rinuncio. Bolton, quando avrai di nuovo
sale in zucca, ti aspetto in campo.”
Taylor e
Troy ridacchiarono: “Verrai alla partita?” domandò poi il ragazzo. La mora
annuì: “Io e Kelsie abbiamo già i biglietti. Direttamente sopra la panchina dei
Wildcats.” Gli fece l’occhiolino e continuò “Martha e Sharpay invece, come sai,
saranno tra le cheerleader, per la gioia di Corinne O’Connors.”
Troy
raccolse un pallone arancione da terra e lo fece roteare sopra l’indice: “Ho
capito male oppure sarà Ryan a fare da mascotte?”
La ragazza
rise: “No, è proprio vero. A quanto pare, Sharpay non si fidava della mascotte
attuale, ed ha, uhm, gentilmente chiesto
al fratello di prendere il suo posto.”
“Scusate,
volete continuare a fare salotto laggiù?” urlò Chad alzando un braccio,
sostenuto da Zeke e Jason, appena arrivati “Noi vorremmo giocare!”
Troy
sospirò: “Ci vediamo alla partita, Tay. Sempre se arrivo vivo, credo che Chad
abbia intenzione di massacrarmi.”
Lei
sorrise: “Buon allenamento, capitano. A sabato.”
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“Non ti vedo da sei ore. È troppo.
Il mio povero cuore non può reggere.”
Gabriella
ridacchiò, stringendo il cellulare: “Non è il tuo cuore a non reggere,
Wildcat.”
Lo sentì
fingere indignazione, all’altro capo della linea: “Ehi, Montez, cosa sono certe insinuazioni?”
“Oh, solo
banali osservazioni derivanti dal fatto che anche a scuola non mi togli mai le
mani di dosso.”
“Non è colpa mia se sei così
dannatamente sexy in versione professoressa di matematica.”
Gabriella
arrossì vistosamente, lanciando un’occhiata a sua madre che si stava pettinando
davanti allo specchio, canticchiando, nella loro camera d’albergo a Phoenix,
dove avevano deciso di passare il weekend: “Piantala.”
Troy rise:
“Ohoh, abbiamo toccato un tasto dolente
eh? O dovrei dire… godente?”
Se
possibile, la sfumatura di rosso sulle guance della ragazza si scurì ancora di
più: “Troy Bolton, se non vuoi che riattacchi immediatamente, smettila subito.”
“Va bene, va bene. Com’è Phoenix?”
“Bella, anche
se abbiamo girato solo un’oretta. Adesso stiamo per andare a cena. Tu come
stai?”
“Beh, se tralasciamo la stanchezza,
la fame ed il fatto che Chad mi ha massacrato perché non voleva ammettere la
sconfitta, direi bene. Ah, giusto, e la partita è dopodomani, e a quanto ne so
ci saranno anche degli osservatori dell’NBA.”
“Dici
davvero? E’ meraviglioso! Vorrei poterci essere anche io…”
“Ma tu ci sarai, piccola. Prometto
che ti dedicherò ogni canestro.”
Di nuovo,
un colore rosato si dipinse sulle guance di Gabriella: “Grazie. Ora devo
andare, mia mamma è pronta ad uscire. Ci sentiamo domani?”
“Certamente. Divertiti, mi
raccomando. Ti amo.”
“Anche
io…” Gabriella chiuse la comunicazione e sospirò, guadagnandosi un’occhiata
incuriosita da parte di sua madre: “Che succede, querida?”
Lei
scrollò le spalle: “Niente mamma. È solo che… beh, dopodomani c’è l’ultima
partita dei Wildcats e mi sarebbe piaciuto esserci. Troy è così teso… ma non fa
niente, la potrò sempre rivedere in DVD, Kelsie porterà la sua videocamera.”
Maria
Montez sorrise comprensiva e le mise una mano sulla spalla: “No te preocupes, querida. Vamonos, vale?”
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Il rumore
della folla, dei tamburi e della banda era lontano, ma chiaro come non mai
negli spogliatoi bianchi e rossi. O forse, l’emozione di essere lì, di nuovo,
lo rendeva ancora più fragoroso, più presente, che schiacciava il silenzio
concentrato e teso.
Taylor era
appoggiata al muro appena fuori dagli spogliatoi. Mancava ancora più di
mezz’ora all’inizio della partita, eppure la palestra era già gremita di colori
rivali. Batteva impaziente la punta della sua ballerina bianca contro il
pavimento, scandendo i secondi che la separavano dall’incontrarsi con Chad.
Strano a dirsi, era agitata anche lei per la sfida incombente. Diede uno
sguardo distratto all’orologio che portava al polso e sbuffò, scostandosi i
capelli perfettamente lisci.
In quel
momento, una porta degli spogliatoi si aprì e ne uscì Chad, già con la divisa
addosso: “Ehi,” la chiamò “Siete già tutti qui?”
La ragazza
annuì e gli si avvicinò: “Noi e tutta la scuola. Non ho mai visto la palestra
così piena. Sharpay e le altre hanno già incominciato a trattenere il pubblico.
Non stupirti, è brava anche come cheerleader.”
Chad le
avvolse i fianchi e posò il mento sulla sommità della sua testa: “Sono
nervosissimo.”
Taylor lo
abbracciò ridendo: “Vedrai che andrà tutto bene. Siete i Wildcats, avete vinto
due campionati, il vostro segreto sta nell’essere una squadra. Non dovete avere
paura dei Knights.”
“Ehi, io
non ho paura!” rimbeccò il ragazzo, solleticandola “E’ solo che… beh, è tanto
che non giochiamo in questa palestra, davanti a questa gente. Se li deludiamo,
tutto quello che abbiamo cercato di insegnargli in queste due settimane andrà
all’inferno. E poi non mi è mai piaciuto essere battuto da quegli antipatici
della West High.”
La mora
alzò il viso e gli diede un bacio leggero: “Allora metticela tutta. Almeno
questo serve a darti un po’ di senso di responsabilità.”
“Io sono responsabile. Ma a volte le
responsabilità sono noiose.”
Taylor
rise: “Quindi io sarei noiosa?”
“No,”
scosse i riccioli ribelli “Tu sei la priorità, che è diverso.”
Le guance
della castana si tinsero di rosso: “Mmm, molto galante, signor Danforth. Non è
che hai qualcosa da farti perdonare?”
“Non posso
fare un complimento alla mia ragazza?” replicò lui, fingendosi offeso.
La ragazza
in questione gli diede un’amichevole pacca sul petto: “Vai, Don Giovanni,
ritorna nello spogliatoio. Sbaglio o il coach dice sempre che dovete
concentrarvi sulla partita?”
“Aspetta,”
Chad la tirò per una mano e la strinse a sé “Prima voglio il bacio
portafortuna.”
Taylor
rise e lo baciò teneramente, infilando una mano tra i suoi ricci selvaggi.
“Ragazzi,
per favore, siamo in un luogo pubblico.” la voce ironica di Sharpay li fece
separare di scatto. “Evans, che ci fai qui?”
La bionda,
in tenuta bianca e rossa da cheerleader [quella
del terzo film, avete presente? xD Nda], scosse le spalle: “Sono venuta a
cercare Zeke. E siccome non ho intenzione di entrare in quello spogliatoio
sporco e puzzolente, vammelo a chiamare.”
Il numero
otto roteò: “Ai suoi ordini, maestà.
Ci vediamo dopo.” dato un altro bacio a Taylor, corse negli spogliatoi, mentre
la sua ragazza si rivolgeva alla sua amica: “Stai benissimo, Sharpay.”
Questa
ultima sventolò una mano: “Naturalmente. Certo, se questa divisa fosse rosa… ma evidentemente in giro c’è
questa strana, mh, cosa del ‘non puoi
avere tutto dalla vita’, quindi… mi sono dovuta
accontentare.” si spazzolò della polvere invisibile dalla gonna a pieghe,
lanciando poi la sua magnifica chioma bionda, parte della quale raccolta da una
coda, oltre la spalla. “C’è anche quella
tra il pubblico?”
Taylor
alzò gli occhi al cielo, divertita: “Sì, c’è anche Rebecca, Ryan è riuscito a
trovarle un posto.”
Sharpay
sbuffò, mettendo le mani sui fianchi: “Perché mio fratello non usa il cervello
quando decide di fare una cosa? Anzi, perché non lo usa mai? Si vede che si è mischiato a quei… Wildcats!”
La mora
scoppiò a ridere: “Credo che tu gli abbia appena fatto un complimento, Shar.
Ora scusami, ma vado al mio posto. Ci vediamo dopo!”
“Riprendetemi
bene con la videocamera!” le gridò dietro “Ma quanto ci mette Zeke?”
“Eccomi,
eccomi, sono qui! Il coach ci stava dando le ultime istruzioni!” il ragazzo
entrò correndo nel corridoio che portava dagli spogliatoi alla palestra “Ma… tu
che ci fai qui?”
“Ehm…”
Sharpay spostò il peso da un piede all’altro, nervosa “Sono venuta per… dirti
in bocca al lupo per la partita.”
“Oh.” Il
numero trentadue dei Wildcats spalancò la bocca, stupito. “Wow. Cioè, volevo
dire, grazie, crepi!” le si avvicinò per darle un bacio, ma la bionda alzò una
mano, fermandolo: “Zeke. Il trucco.”
“Ops,
scusa.” si spostò all’ultimo momento, posandoglielo sulla fronte. “Farai il
tifo per me?”
Lei
sorrise e si girò, mostrandogli un bel numero 32 stampato sulla schiena della
sua maglietta rossa: “Giusto per farlo capire a tutte quelle galline.”
Zeke rise
e le fece l’occhiolino: “Ci vediamo dopo.”
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Gioco corretto e leale, aveva ricordato Jack Bolton prima
dell’inizio della partita tra East High Wildcats e West High Knights. Ma
quella, più che una partita, sembrava una battaglia all’ultimo sangue.
Il gioco
veniva interrotto ogni due secondi dall’arbitro a causa di falli, scorrettezze
e violenza in campo. Chad sfoggiava già un labbro spaccato, Jason aveva un
taglio all’altezza dello zigomo, Troy aveva perso la sensibilità al gomito a
forza di usarlo per spintonare gli avversari, e Zeke esibiva fiero un
bernoccolo sulla fronte esito di uno scontro con un avversario. E tutto questo
dopo solo dieci minuti di gioco.
Neanche
tra le cheerleader c’era pace; poco prima dell’inizio della partita, per cause
ancora sconosciute, c’era stato un vero e proprio scontro fisico tra le due
tifoserie. Ryan, in costume da mascotte, aveva dovuto portare via a forza sua
sorella, che stava rischiando di staccare il cuoio capelluto alla caposquadra
dei Knights.
Non c’era
bisogno di dire che, naturalmente, gli spettatori erano in delirio.
“Cretino
di un arbitro, non vedi che è fallo?!?” strepitò Taylor, in piedi come il resto
della folla “Ha fatto quarantamila passi con la palla in mano!!”
“Già,
mettiti gli occhiali!” la supportò Kelsie, che aveva il berretto tutto storto.
Una sirena
annunciò la fine del primo quarto d’ora di gioco, e le due squadre andarono a
ritirarsi negli spogliatoi, mentre le cheerleader occupavano il campo e
riprendevano a sfidarsi a colpi di coreografie.
“Avevo
detto di giocare pulito!” ruggì Jack Bolton non appena tutti i Wildcats si
furono seduti sulle panchine del loro spogliatoio, sbattendo la sua cartelletta
contro l’armadietto più vicino “Mi sembra di essere davanti ad un campo di
battaglia!”
“Noi ci
proviamo a giocare pulito, ma sono stati loro ad iniziare, papà!” replicò ad alta
voce Troy, così arrabbiato da dimenticarsi addirittura di chiamarlo ‘coach’ “Se
non vuoi che perdiamo come delle femminucce, allora dobbiamo fare il loro
stesso gioco!”
“E invece
no, Troy!” il tono di voce del coach li fece sobbalzare tutti quanti “Non è
questo che vi ho insegnato per quattro anni, non è questo che volete mostrare a
tutti quei ragazzi che vi stanno guardando e fanno il tifo per voi! Non dovete
abbassarvi al loro livello! Voi dovete far vedere che siete capace di batterli,
siete capaci di essere i migliori anche giocando nel modo corretto! E non
importa se alla fine non riuscirete a vincere, l’importante è aver dimostrato
che non volete barare a tutti i costi solo per ottenere ciò che volete. È
l’ultima volta che alcuni di voi indossano questa maglia, ragazzi. Fate vedere
qual è il vero spirito dei Wildcats.”
“Il coach
ha ragione,” Chad si alzò in piedi e guardò ad uno ad uno i suoi compagni di
squadra “Il modo in cui giochiamo stasera è ciò che ci lasciamo alle spalle. Il
ricordo di noi. E dipende da noi. E’
la nostra ultima occasione. Chi è con me?”
Il suo
migliore amico lo raggiunse e gli posò una mano sulla spalla: “E’ la nostra
ultima occasione per lasciare un segno. Quindi rendiamola indimenticabile.”
Il
ricciolino sorrise, mentre tutti gli altri annuivano: “Chi vince?”
“Wildcats!”
Uscirono
correndo, gridando e saltando dagli spogliatoi, ansiosi di ritornare in campo e
dimostrare il loro valore, accolti dalle urla degli spettatori.
Chad
catturò lo sguardo di Taylor nella folla, e le fece l’occhiolino, mentre si
posizionava al centro del campo, davanti al suo avversario giallo-blu. Il
fischio dell’arbitro segnò la ripresa del gioco.
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I corridoi
della East High erano deserti e silenziosi; le grida della partita erano solo
un ronzio lontano che si avvicinava sempre più nella sua corsa verso la
palestra. Il rumore delle sue ballerine bianche a contatto con il pavimento
rimbombava tra i muri, mentre il suo respiro affannoso le riempiva le orecchie.
Scivolò mentre girava un angolo, decidendo di tagliare per il corridoio ovest.
Sperava di essere ancora in tempo almeno per l’ultimo quarto di gioco. Si tirò
leggermente su l’orlo del vestito bianco per poter correre meglio, e finalmente
giunse in vista delle porte rosse della palestra. Già da lì, le grida erano
assordanti. Prese fiato e spinse le porte.
Una
moltitudine di rosso, bianco, giallo e blu le si parò davanti agli occhi,
mentre veniva circondata da ovazioni, fischi, cori di cheerleader e trombette.
Guardando verso il grande tabellone segnapunti, vide che mancavano ancora
dodici minuti alla fine della partita.
Sorrise, e
lo cercò con gli occhi tra le frecce che saettavano nel campo. Eccolo là,
sudato, i capelli appiccicati alla fronte, che cercava di intercettare un
passaggio dei suoi avversari. Sapendo di non poter rischiare di chiamarlo, per
non fargli perdere la concentrazione, si mise a tifare come tutti gli altri.
Ma ecco
che, proprio mentre riusciva a prendere la palla, uno dei Knights si lanciò
contro di lui e cozzarono l’uno contro l’altro.
Il colpo
fu così duro che Troy cadde a terra, con l’aria che gli uscì d’un colpo dai
polmoni. Gli sembrò che la scena rallentasse, che la palestra fosse
all’improvviso più silenziosa. Cominciò a tossire; era stanco, dolorante, sembrava
che i polmoni rifiutassero di accogliere l’aria al loro interno. Sentì Chad
chiamare il suo nome mentre si rialzava a fatica, appoggiandosi al pavimento
lucido; sentì suo padre che lo incitava, la folla che acclamava. E alla fine,
sentì lei. No, era impossibile,
Gabriella sarebbe dovuta arrivare dopo la partita! Aveva anche le
allucinazioni, adesso?
“Troy!” si
voltò verso la direzione da cui proveniva il suo nome. No, non era un sogno.
Gabriella era davvero lì, con indosso un vestito bianco stretto in vita da una
fascia rossa e il suo jersey con il numero 14 e il nome Bolton sulla schiena e
sulla manica, che lo guardava con aria preoccupata ma sorridente. Si sentì come
se avesse recuperato tutte le forze. Lei era lì, e lo stava guardando. Aveva
voglia di attraversare il campo di corsa per stringerla e baciarla, ma sapeva
che non era possibile.
Senza
staccare gli occhi dai suoi, si strinse in pugno la maglietta all’altezza del
cuore: “Faccio fatica a respirare…” mimò, ben sapendo che lei poteva capirlo.
Infatti,
la vide annuire: “Ce la puoi fare. Sappi solo che io ci credo.”
Era come
se le parole di lei, appena sussurrate, fossero le uniche che echeggiavano
nella palestra rumorosa. Era impossibile, lo sapeva, c’era troppo frastuono,
eppure lui le sentiva: “Ed è tutto quello che mi serve.”
Gabriella
sorrise: “Allora forza.”
Troy strinse
i pugni: “Rendimi forte.”
Chad lo
raggiunse e gli mise una mano sulla spalla: “Stai bene?”
Troy
annuì, continuando a guardare Gabriella, sorridente: “Andiamo.”
La scena
sembrò riprendere a scorrere a velocità normale, se non accelerata. “Mancano quattro
minuti.” lo avvisò il numero 8 mentre gli passava la palla per consentirgli di
eseguire i tiri liberi che gli spettavano per il fallo subito.
Il
capitano prese fiato e segnò un canestro dopo l’altro, ad occhi chiusi. Ogni
respiro, un punto, tutti dedicati a lei. Eppure, ancora non bastavano. I
Knights erano avanti di quattro punti, ed il tempo correva veloce.
“Forza
Wildcats!” strillarono le cheerleader, sostenute dalla banda, che
instancabilmente continuava a rullare i tamburi.
“Qual è il
piano, capitano?” chiese Zeke, avvicinandosi a Troy mentre aspettavano l’inizio
dell’azione.
Con un
occhio fisso al centro del campo, dove Chad aspettava che l’arbitro lanciasse
in aria la palla, Troy elaborò: “Marca il 23, Tibbits. Continua a fare falli
per allontanare Jason dal canestro. Se riusciamo a tirare da fuori area,
recuperiamo tre punti. Io cerco di tenere Dench lontano dal canestro; se sono
libero, passatela a me o a Chad. Dobbiamo vincere.”
Il fischio
dell’arbitrò risuonò nella palestra, e tutti i dieci giocatori scattarono. Chad
prese la palla e la passò a Robert, che scartando uno dei Knights riuscì a
farla arrivare fino a Jason, libero grazie a Zeke. Tirò, e il divario di tre
punti fu recuperato, con un gemito di disperazione dalla folla giallo-blu.
“Sì!”
esultò Troy “Forza, ragazzi, non molliamo!”
Corse
vicino al canestro, ma fuori dall’area dei due punti. Era pazzo, lo sapeva,
stava rischiando troppo, mancavano solo quarantacinque secondi, ma voleva un
tiro da tre. Voleva riuscire a batterli con due punti di vantaggio, come non
succedeva da due campionati. “Zeke!” chiamò, attirando l’attenzione del suo
amico che aveva il possesso palla “Passala a Chad!”
Il battito
del suo cuore gli rimbombava nelle orecchie, si scostò con un cenno della testa
i capelli dagli occhi. Il suo migliore amico si avvicinò, scartando con
un’ottima finta un avversario. Si guardarono negli occhi, capendosi in un
lampo. Troy scattò a destra, aggirando il capitano dei Knights; la palla volò
sopra quest’ultimo, e il numero 14 a prese al volo, si girò e senza quasi
mirare, tirò.
Il tempo,
di nuovo, sembrò rallentare; tutta la tribuna dei Wildcats trattenne il respiro,
osservando la traiettoria della sfera arancione che si avvicinava sempre di più
al canestro. Rimbalzò contro il tabellone, fece un giro contro l’anello
metallico, e poi, dopo un tempo che apparve infinito, entrò nel cesto, un
secondo prima che suonasse la sirena di fine partita.
Un boato
esplose dalle gradinate della scuola, che si rovesciarono i campo assieme alle
cheerleader. L’intera squadra sommerse Troy, si abbracciarono tutti, finchè la
spinta di centinaia di studenti non tolse ad ognuno il respiro. Jack Bolton
riuscì a farsi largo tra la folla, in mano la coppa, e la passò a suo figlio,
che fu caricato sulle spalle dei compagni. Altre urla nacquero quando essa fu
alzata in aria.
“Fatemi
scendere, ragazzi!” gridò, dopo aver scorto tra la folla una chioma corvina di
suo interesse. Lasciò la coppa a Chad, che iniziò a coccolarla come se fosse
sua figlia, e corse tra la gente finchè non trovò quel vestito bianco e quel
sorriso dolce.
La prese
tra le braccia e la fece girare: “Cosa ci fai qui? Pensavo arrivassi solo
stasera!”
Gabriella
ridacchiò, tenendo le braccia incrociate dietro al collo di lui anche quando
ritornò coi piedi per terra: “Diciamo che mia mamma si è intenerita e ha deciso
di riportarmi a casa subito. Non ho idea di come sia fatta Phoenix!”
Troy rise
e appoggiò la fronte contro quella di lei: “Non finirò mai di ringraziare tua
madre per averti portata qui, Montez.”
Lei
arrossì e chiuse il divario tra le loro labbra. “Sei sudato. E puzzi.” borbottò
dopo un po’.
“Ehi, ho
appena segnato il canestro del secolo, puoi concedermelo!”
La mora
rise e lo spinse via: “Vatti a lavare, ti aspetto fuori insieme agli altri.”
Il
capitano le strappò un altro bacio, poi corse insieme alla sua squadra negli
spogliatoi, mentre tutta la scuola sciamava fuori, in festa.
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Il campo
da rugby della East High brillava sotto il Sole; là, dove c’era stata la
cerimonia dei diplomi, si stava scatenando la festa per la vittoria. Era un
tripudio di rosso e bianco, la musica era diffusa dalle casse che erano state,
ehm rubate dal teatro della Darbus. La squadra vincente arrivò nel campo,
mischiandosi ai loro compagni. Taylor corse verso Chad e gli saltò in braccio:
“Abbiamo vinto!!!”
“Ti amo,
piccola. Giuro, domani ti porto fuori e ti compro tutto quello che vuoi!”
Troy,
accanto a loro, rise e cercò Gabriella tra la folla; prima che potesse
raggiungerla, però, un uomo dall’aria simpatica gli si parò davanti: “Troy
Bolton?” annuì, e l’uomo continuò “Sono Kyle Matthews, osservatore dei Lakers.
Vengo da parte della UCLA di Los Angeles. Mi è piaciuto il suo modo di giocare.
Suo e del suo amico laggiù, Danforth, giusto?”
Boccheggiando
per lo stupore, il ragazzo si schiarì la gola: “Ehm, sì! Sì, grazie!”
Il signor
Matthews sorrise, accendendosi un sigaro: “Abbiamo avuto ottime notizie su di
voi, e venire a vedervi oggi me le ha confermate. Non ci dispiacerebbe avervi
nella nostra università, l’anno prossimo. Potrebbe aprirvi le porte per i
Lakers.”
“Da-davvero?
Wow! Cioè, volevo dire, sarebbe fantastico! Però… dovrei prima sentire i miei
genitori, e Chad…” e mentre diceva così, l’occhio gli cadde su Gabriella, che
poco distante rideva assieme a Martha.
“Oh, non
preoccuparti, ragazzo. Avete tutto il tempo per pensarci. Basta sapere la
vostra risposta entro il prossimo settembre. Ma, fossi in voi, ci penserei
bene. È una grande opportunità.” Matthews masticò il suo sigaro “Comunque, vi
arriverà una lettera. Spero di vedervi, l’anno prossimo. Arrivederci.”
Lasciando
uno spiazzato Troy nel mezzo del campo, se ne andò seguito da una scia di fumo
puzzolente. Il ragazzo, intanto, stava ancora metabolizzando la notizia. Lui,
Chad, Los Angeles, i Lakers… gli sembravano un sogno! E poi, davanti ai suoi
occhi, balenò l’immagine di una ragazza bruna dal sorriso più bello del mondo…
la stessa ragazza che in quel momento gli buttò le braccia al collo: “Ehi,
Wildcat! Sei nel mondo dei sogni?”
Troy le
sorrise: “No, scusa. Pensavo.”
Gabriella
si accigliò: “A cosa?”
“Niente di
importante,” scosse la testa e la prese per mano “Vieni, andiamo.”
Fece un cenno
a Chad, che gli fece l’occhiolino e gridò: “East High! Venite con me!”
Seguendolo,
si spostarono tutti nel cortile antistante l’entrata della scuola, senza
smettere di festeggiare.
Gabriella
si tenne stretta a Troy, per non rischiare di perderlo tra la folla; quando si
fermarono, salendo sul bordo della fontana, controllò che nella borsa aperta ci
fosse la busta bianca con lo stemma di Stanford che aveva trovato nella
buchetta delle lettere quella mattina.
“Guarda
lassù!” la istruì all’orecchio Troy, passandole un braccio attorno la vita e
stringendola a sé. Lei alzò lo sguardo verso il tetto della scuola, sopra
l’orologio: là stava Chad, che aveva steso un lenzuolo a mò di striscione con
scritto Wildcats forever e il loro
stemma.
Alzò le
braccia al cielo e gridò: “What team?”
E la
folla, unita, tutta insieme: “Wildcats!”
“What team?”
“Wildcats!”
“What team?”
“Wildcats!”
“Wildcats!
Get’cha head in the game! Forever!”
~
The end ~
Eh
già, ragazze, avete letto bene: Fine!! Dichiaro ufficialmente conclusa Wildcats forever!! Dopo ben un anno e
otto mesi di lavoro (sul mio computer è stata salvata l’8 febbraio 2008 ^^), è
finita!! L’ultimo capitolo era in lavorazione da un pezzo, e l’ho finito oggi a
scuola, tra filosofia e latino (sìì, certo, Hypnotic
Poison è sempre moooooolto
attenta alle lezioni ^^).
Ringrazio
sentitamente tutte coloro che hanno commentato il capitolo scorso: ciokina14, Angels4ever, lovely_fairy,
kikka93, romanticgirl, Armony_93 e Titty90;
a te, cara, ti ho lasciata per ultima perché questo capitolo è il tuo regalo di
compleanno un po’ in anticipo. Non smetterò mai di dirti che solo dopo aver
letto le tue ficcy ho avuto il coraggio di aprire quella pagina bianca di Word
e buttare giù una storia che al principio non doveva essere così lunga, e
nemmeno così sorprendentemente tanto amata. Perciò, grazie ancora e buon
compleanno ^^
Naturalmente,
ringrazio anche tutte/tutti coloro che mi hanno seguita fin dall’inizio e che
hanno commentato precedentemente; vorrei nominarvi tutti, ma siete davvero
troppi.
Prometto
che cercherò di non farmi attendere troppo con altre fic; finita questa, mi
tolgo un grave peso dalle spalle, ma la mia vita è abbastanza incasinata in
questo momento, e sono davvero rarissimi i momenti in cui riesco a scrivere. Per
questo mi sono sforzata così tanto di concludere con questo capitolo, che spero
vi abbia soddisfatto.
Un
bacione davvero, ed ancora mille grazie.
Your Wildcat forever,
Hypnotic Poison