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Autore: keli    06/11/2009    3 recensioni
[...] Sapevo solo che quando tornavo alla scrivania dopo le mie inutili ricerche, la musica non cessava, continuava a scorrere fluidamente fra le pareti, attraversandole impregnandole della propria straziante melodia, eppure io non riuscivo a muovermi. Rimanevo immobile a guardare davanti a me, la schiena rigida contro lo schienale duro della sedia girevole, gli occhi sbarrati da un emozione che non riuscivo ad identificare.[...] [Partecipante al Ghost Contest indetto da xXLirin ChanXx]
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Altri, Sakura Haruno
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Allur, qualche parola prima di inziare a leggere questo piccolo parto di una malata mentale.
-ayui, perché non dite che non è così-
Arrivata settima al Ghost Contest di Lirin Chan, è orgogliosa che lo sia stata *^*
E’ stata un po’ modificata dall’originale per far capire meglio gli sbalzi di tempo (come hanno giustamente fatto notare le giudice, prima non si capivano bene i passaggi).
Detto questo, beh, leggete.
Non vi assicuro che vi piacerà.
Io l’ho amata, come si può amare solo qualcosa scritta col cuore <3.
Se la considerate anche minimamente degna d’attenzione, state certi che sarò felice
(Ancor più se lasciate un commentino xD)
Ora la smetto davvero °°
Kisu!




La Casa del Lago





Nagahama, 11 Febbraio, Mattina, Bar La Foglia

<< Ma Sakura-chan ne sei davvero convinta? >>
Guardai il ragazzo seduto davanti a me che aveva l’aria comicamente preoccupata, gli occhi di un azzurro impossibile sgranati, e mi chiesi come facessi a sopportarlo da oltre quindici anni. Per carità, non è che non capissi l’angoscia in cui era finito quel babbeo che mi ostinavo non so per quale kami a definire ancora il mio migliore amico, ma certe cose hanno un limite. E il mio era stato già abbondantemente superato, visto che era una mezz’oretta buona che il ventiduenne davanti a me si ostinava a ripropormi a tradimento la stessa domanda, forse aspettandosi in tutta la sua sciocca ingenuità, che ci cascassi e finissi per dire quel che voleva. Eppure doveva saperlo che io non cascavo a certi trucchetti. Mai. Sorrisi, facendo finta di nulla e mascherando l’irritazione, mentre le dita della mano destra picchiettavano nervosamente contro il tavolino di plastica del piccolo Bar in cui ci eravamo dati appuntamento qualche ora prima. Osservai di sfuggita le goccioline di condensa scivolare dal cristallo dei due bicchieri di birra quasi intatti, dovuti al fatto che entrambi, purtroppo, non riuscivamo a reggere più di mezzo bicchiere figurarsene uno intero.
<< Per la duecentoventinovesima volta Naruto, si sono convinta >>
L’altro sospirò, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia, il braccio destro piegato con la mano fra i capelli sparati col gel, biond’oro, a scompigliarli ancora di più di quanto già non fossero. Faceva sempre così quando era nervoso, e sforzava il suo cervellino per trovare soluzioni che non c’erano. Mi limitai a rigirare il bicchiere ancora freddo tra le mani, lo sguardo basso aspettando con calma la sua esplosione. Non mancava volta che tornasse alla carica, mi sarei stupita se non l’avesse fatto anche stavolta.
<< Ma tutta sola Sakura-chan! Tutta sola in una casa stregata >>
Appunto.
<< Infestata, Naruto, al massimo si dice infestata. E poi per la miseria! Non ho più dieci anni da un pezzo… mi ritieni davvero così incapace da non riuscire a vivere da sola a ventidue anni suonati? >>
Fece per rispondere ma io lo battei sul tempo
<< Ah no quello sei tu >>
<< Ma Sakura-chaaaan! >>
Sbuffò lui offeso, mettendo su il broncio infantile che gli avevo visto mille e altre mille volte addietro. Pensai di colpirlo con un pugno ben assestato nella testolina bacata che si ritrovava, ma mi bloccai, dicendomi clemente almeno per una volta. Infondo Naruto era pur sempre Naruto, non sarebbe cambiato mai e guai se lo avesse fatto, perché tutto sommato a me piaceva il suo carattere allegro sopra ogni cosa e altrettanto ingenuo, tanto da farlo sembrare un bambino che non ha mai visto le brutture di questo nostro mondo. Eterno bambino in un corpo da giovane uomo, ecco cos’era, per mia somma sfortuna. Sospirai, pensando che molto probabilmente avrei avuto bisogno di un bravo psicologo più che di una casa nuova, visto che di questo passo il mio “migliore” amico, mi avrebbe di sicuro mandato al manicomio.
<< Ahahaha >>
La risata che ne venne dopo mi fece sgranare gli occhi sotto le lenti scure degli occhiali da sole. Mi misi ritta di botto, alzando gli occhiali sul capo per vedere meglio se non fossi per caso diventata cieca. No, non avevo alcun problema con i miei brillantissimi nove decimi per cui dovevo portare solo leggeri occhiali di precisione: quel grandissimo idiota di Naruto stava veramente ridendo come se avesse appena sentito la battuta più esilarante di questo mondo.
Lo guardai leggermente risentita, costatando che stava ridendo di me
<< Cos’hai adesso? >>
Lui battè la mano contro il tavolino, tenendo l’altro braccio stretto sul ventre, le lacrime agli occhi, costringendosi a mantenere fisso lo sguardo nel mio che a poco a poco, stava perdendo la calma recuperando scintille di rossa ira.
<< Ahahahaha, d’accordo, compra pure quella casa. Ma lo dirai tu a Temari >>
Mi congelai sul posto, l’ira svanita in uno sbuffo di fumo, cancellata di qualcos’altro di più forte e tremendo.
P A U R A.
Credetti che avrei preso a tremare da un momento all’altro. Quello si che era un colpo basso. Talmente basso che non me lo sarei aspettata dal biondo. Non sapevo se fargli i complimenti o prenderlo a sberle.
Dirlo a Temari era ciò che non avrei mai voluto sentire. Essendo la suddetta ragazza l’altra mia migliore amica, amica per altro in comune con il baka davanti a me che continuava a ridere senza ritegno della sua brillantissima uscita, ed essendo lei stessa la ragazza più irascibile e autoritaria che conosca, pari quasi a un nazista dei tempi di Hitler, anche solo avanzare quell’idea equivaleva a un lento e inesorabile suicidio.
<< S-stai scherzando vero Naruto? >>
<< Ahahaha >>
<< N-naruto?! >>
Il giovane alzò gli occhi color cielo ancora divertiti su di me, cercando di tornare serio. Prese una boccata d’aria, e una di birra, e poi mi guardò. Tremai veramente a quel sorriso brillante che metteva in mostra i denti bianchi a contrasto con la pelle scura, abbronzata dal sole, e che sembrava vagamente dargli l’aspetto di una volpe che giochi con la sua preda. Fu in quell’istante che pensai di chiamarlo Kitsune, soprannome che restò per il resto dei suoi giorni e che venne fuori anche al suo matrimonio, ma questa è un'altra storia.
<< No Sakura-chan. Non sto scherzando >>



Nagahama 11 Febbraio, Pomeriggio, Strada per Tokyo


<< Ehm… allora… >>
Era la centesima volta che provavo ad avanzare il discorso con la ragazza seduta rigidamente nel posto del guidatore, le mani affilate artigliate sul volante come a volerlo stritolare, e il piede pigiato violentemente sull’acceleratore a sfidare il motore a sorprenderla. Il tutto, compreso il fatto che fossimo in un SUV nero brillante, dagli interni di pelle del medesimo colore, mi dava l’idea complementare di un servizio militare efficiente. Non che nella descrizione andassi troppo lontano. In effetti la Sabaku era nei Servizi Segreti Giapponesi da così tanto tempo che alle volte dimenticavo fosse anche una normale ragazza, oltre che una simil-spia o qualunque cosa fosse all’interno di quel corpo governativo a me ignoto. Comunque la giovane bionda dalla figura longilinea, tonificata dagli esercizi massacranti a cui si sottoponeva, i capelli di un biondo sporco, ispidi, legati in quattro codini sparati, gli occhi verdi dissimili dai miei per taglio e sfumatura di colore e l’aria a dir poco marziale, mi impediva qualsiasi tentativo mugugnando fra se e se, tra un cambio di marcia e l’altro, cercando una stazione ben precisa alla radio senza riuscirci.
<< Oh per la miseria Sakura! Dimmi quello che mi devi dire e la facciamo finita >>
Sbottò lei all’improvviso, ringhiando contro l’aggeggio infernale sul cruscotto e decidendo saggiamente di spegnerlo completamente prima di provocare la sua prematura dipartita.
La fissai, immobile, quasi offesa. Via il dente, via il dolore. La faceva facile lei.
<< Ecco… stopercomprareunacasasullagobiwa! >>
<< EH?! >>
Si voltò, guardandomi confusa e rischiando di mettersi sotto un ciclista incauto, limitandosi a voltare poi il volante e superarlo per un pelo, facendo prendere un colpo al malcapitato e a me
<< Vuoi stare attenta alla strada?! >>
Esclamai, atterrita, sprofondando nel mio sedile e sudando freddo. Odiavo andare in macchina con Temari. Era un pericolo pubblico che ci sapeva fare con i motori, ma tu dovevi essere per lo meno un marines esperto per non farti prendere dal panico dalla sua guida a prova di bandito.
La ragazza sbuffò qualcosa, cambiando per la duecentesima volta marcia e imboccando la corsia preferenziale.
<< Ripeti, lentamente sta volta >>
Presi un respiro profondo invocando l’aiuto di tutti quei Kami in cui non credevo, almeno fino a quel momento.
<< Ho deciso… di comprare la casa sul lago Biwa… sai quella villetta galleggiante tanto carina? >>
Chiusi gli occhi aspettando l’esplosione.
<< Uhm, scelta discutibile ma pur sempre una scelta >>
Rimasi spiazzata, riaprendo gli occhi e guardando la sua espressione tranquilla, gli occhi verdi fissi sulla strada. Nessuna esplosione, nessuna belligeranza?!
“Scelta discutibile ma pur sempre una scelta”
Era questo il massimo che riusciva a dirmi dopo che avevo passato le ultime tre ore a prepararmi a una dipartita veloce?
Non era giusto. Francamente, non era giusto.
Mi diedi mentalmente dell’idiota.
<< … solo questo? >>
<< Solo questo >>
Sospettai che infondo infondo Naruto era pur sempre un idiota, quindi di sicuro non aveva mantenuto fede alla sua parola ed era andato a spifferargli tutto magari nell’intento di far comunella per farmi desistere.
<< Te l’ha detto… >>
Temari sbuffò, bloccando improvvisamente la macchina al centro di strada e voltandosi a guardarmi dritta negli occhi, le braccia incrociate
<< Senti, Sakura, non me l’ha detto nessuno, ok? Solo, ti sembra così strano che voglia appoggiarti in questa tua folle, perché concedimelo è decisamente folle, impresa? Compra quella casa, realizza il tuo sogno di completarla! Non te lo impedirò certo io e questo farà sicuramente bene alla tua autostima. Sei un bravo architetto amica mia, e se per arrivare a comprenderlo devi rinchiuderti in una casa fatiscente e imbottita di fantasmi inquietanti fa pure, verrò a trovarti e costringerò quel baka di Naruto a fare altrettanto >>
Sentì pungermi gli occhi e uno strano calore invadermi. Affetto, forse era solo quello, mista a una più credibile riconoscenza. Provai a gettarle le braccia al collo, tirando su col naso, ma uno strombazzare insistente unito a una frenata improvvisa e allo sguardo assassino della mia amica mi fece desistere dal farlo.
Ma la gratitudine non mi impedì di saltare sul mio posto e afferrare come una pazza il volante, urlando atterrita
<< TU NON SAI GUIDARE… VUOI FORSE AMMAZZARCI TEMARI?!!!!! >>



Nagahama, 15 Luglio, Mattina, Lago Biwa


La consistenza della carta fra le dita riuscì a darmi quella calma che da sola non trovavo. Il progetto era accuratamente arrotolato e infiocchettato come il migliore dei regali, stretto fra le mie braccia tremanti di emozione e non so cos’altro, mentre seguivo i passi irregolari della donna davanti a me, quella che avrebbe dovuto essere il mio capo, che faceva avanti e in dietro sull’erba bagnata di rugiada, affondando i vertiginosi tacchi a spillo nella terra soffice del dopo pioggia. Bellissima nonostante i suoi cinquant’anni suonati, capelli biondi legati in due giovanili code basse, occhi grandi, austeri, di un nocciola intenso, si fermò soltanto quando vide la mia faccia farsi, probabilmente, di un verdastro inquietante.
<< Allora hai proprio deciso >>
Inghiottì il conato di vomito che era risalito prepotentemente nella gola, maledicendo Naruto e il suo maledetto ramen di prima mattina. Annuì sforzandomi di guardarla negli occhi.
<< Si, certo, signorina Tsunade >>
La donna sospirò, per poi sorridermi. Tsunade Gondaime nonostante l’aspetto severo era una gran brava donna, e io l’ammiravo moltissimo. Col passare del tempo era diventata ciò di più simile a una madre che avessi mai avuto. Annuì anche lei, più di una volta, voltandosi a guardare la struttura. Galleggiava pigramente sul lago calmo in cui si riflettevano le montagne e gli alberi sempiterni, il pontile di legno che ondeggiava a qualche soffio di vento un po’ troppo insistente senza però cedere, la facciata bianca di un legno pregiato, inquietante e affascinante in quel suo aspetto trascurato. Potevo vedere benissimo il riflesso della chioma rosata dell’albero che spuntava dal tetto, riflettersi mitemente nelle acque tutt’attorno, rendendo più bella e misteriosa la visione della casa in se.
<< Uhm, bene. Come da contratto la casa è tua Sakura. Buon lavoro… e… spero che riuscirai nel tuo progetto, ragazza mia >>
La guardai tornare a passi sostenuti alla sua Alfa verde in cui l’aspettava seduta nel posto del passeggero la sua fida assistente Shizune. La vidi guardarmi preoccupata e azzardai un segno di saluto con la mano che venne prontamente ricambiato. Brava donna anche lei, era semplicemente preoccupata da quella che tutti avevano chiamato una pura follia. Rinchiudermi per un anno in quella casa, lontano da tutto e da tutti, solo per dar vita al mio progetto di completarla. Un sogno che avevo fin da bambina, quando l’avevo vista per la prima volta venendo sulle rive del lago con Naruto e Temari, per una scampagnata. Dire che me ne ero perdutamente innamorata era riduttivo. Semplicemente la sentivo una parte di me, il sogno di una vita, e ora era mia. Mi feci forza, e presi a camminare sul pontile, stringendo nella mano libera le chiavi con il portachiavi a forma di fiore di ciliegio regalo dei miei due migliori amici per quest’impresa.
Cosa sarà mai infondo? E’ solo una casa, la tua casa.
A questo pensiero mi tranquillizzai, infilando le chiavi nella toppa e rigirandole con cautela, quasi temessi che la porta non si aprisse. Ma quella si schiuse sotto il mio sguardo attento, facendomi capire che si, quella casa era davvero finalmente mia.



Nagahama, 3 Novembre, Pomeriggio, Casa Haruno/Lago Biwa


Non so quando sentì di preciso la musica per la prima volta.
So solo che dopo quella volta non smise più, accompagnando i miei sogni inquieti e le mie giornate infruttuose seduta alla scrivania o sotto il grande albero di ciliegio che spuntava quasi per magia dal centro della casa, nel salotto, a cercare di lavorare alla mia impresa.
Non era paurosa, non nel senso convenzionale del termine. Era inquietante, questo si, ma sembrava più che altro un dolce lamento di cui non capivo la provenienza. Alle volte rimanevo ore ad ascoltarla, cercando di capire da dove potesse venire, arrovellandomi il cervello mentre giravo nelle stanze vuote della casa, sobbalzando quando una finestra dimenticata aperta si chiudeva di botto o le fronde del ciliegio si smuovevano alla leggera brezza serale.
Sapevo solo che quando tornavo alla scrivania dopo le mie inutili ricerche, la musica non cessava, continuava a scorrere fluidamente fra le pareti, attraversandole impregnandole della propria straziante melodia, eppure io non riuscivo a muovermi. Rimanevo immobile a guardare davanti a me, la schiena rigida contro lo schienale duro della sedia girevole, gli occhi sbarrati da un emozione che non riuscivo ad identificare.
Non era paura. So riconoscerla quando la sento, quando la vedo. No… era un sentimento strano, fra la dolcezza e la malinconia. Era questo che mi terrorizzava veramente.
<< … tu hai molta immaginazione Sakura >>
Feci una smorfia guardando la ragazza seduta all’altro capo del tavolino di legno rotondo che rigirava tra le mani una tazza della mia “famosa” cioccolata, con un sorriso a metà sul viso scuro. Era sempre strano vederla in abiti civili, soprattutto se, come ora, stava in una vecchia tuta viola con i capelli di solito impeccabili legati in una coda alla bene e meglio. Non ci vedevamo da quasi cinque mesi, e quella era la prima volta che si era azzardata a farmi una visita dopo che il mese prima avevo cacciato di casa Naruto dicendo che non volevo, né dovevo, essere disturbata nel mio lavoro per nessun motivo al mondo nell’arco di quell’anno. Per fortuna, o no, chi sa, lei aveva una concezione decisamente strana del no, quindi si era arrischiata a venire appropriandosi subito del tavolino della cucina come se conoscesse quella casa da sempre.
Potevo anche perdonarle questo, perché eravamo amiche e infondo avevo davvero bisogno di una compagnia, diciamo, umana, più di qualunque cosa o avrei di sicuro rischiato la follia, ma questo suo scetticismo mi feriva.
Le avevo raccontato della musica che sentivo da quando ero arrivata, quella melodia che non sembrava provenire da nessun punto preciso della casa, e di quella sensazione di non esser sola che mi accompagnava di tanto in tanto la sera o delle finestre che si chiudevano da sole malgrado non ci fosse vento, ed ecco qua la sua pronta risposta che sembrava confezionata ad arte:
“Tu hai molta immaginazione”
Sembrava davvero una mammina che non crede alle storie di mostri dei suoi figli come giustificazione ai loro disastri, e questo mi irritava profondamente.
<< Perché una volta tanto non mi stai ad ascoltare? Non me lo sono immaginata, è vero. E poi non sei stata tu a dire che questa casa era “stregata”?! >>
Lei sbuffò, prendendo una sorsata di quel liquido troppo denso e dolciastro che diceva dover mandare giù a forza.
In quel momento le avrei volentieri strappato la tazza di mano e gli e l’avrei versata sulla sua bella testolina dura di comprendonio.
<< Alt, alt, alt. Quello è stato Naruto >>
Fu il mio turno di sbuffare sta volta.
Certo, Naruto. Quando doveva dare risposta a quello che combinava lei chi sa come la colpa era sempre di Naruto. Bella giustificazione.
Assottigliai gli occhi stringendo con forza la mia tazza verde tra le dita, e pensai che l’avrei potuta frantumare in un attimo con la semplice forza della mia rabbia e delusione.
Guardai distrattamente la cucina linda senza vederla. Già… il baka biondo. Quasi mi ero dimenticata di lui.
In un istante mi stupì di come questo non fosse al fianco della Sabaku a darle manforte.
<< A proposito di Uzumaki… come mai non è con te? Credevo che sarebbe piombato qui in un attimo con la scusa della tua visita >>
<< Mhm… >>
La vidi ad un tratto farsi evasiva, guardandosi attorno come se non fosse lì da due ore e non conoscesse praticamente ogni mattonella che ricopriva il lato buono della casa. Accavallò prima la destra, poi la sinistra delle lunghe gambe fasciate nel lino morbido e caldo della tuta attillata, cosa che stranamente mi ricordò che di li a poco sarebbe stato Natale, posando la tazza davanti a lei e sistemandola con cura maniacale nel suo sottobicchiere per il legno del tavolo.
<< Non me lo vuoi dire >>
Ammisi, imbronciata. La conoscevo troppo bene e da troppo tempo per non riconoscere ogni suo più piccolo gesto. Lei alzò lo sguardo simile al mio abbozzando un sorriso tirato che si limitò a scoprirle leggermente i denti superiori dell’angolo della bocca, senza estendersi agli occhi scuri. Sembrava turbata da qualcosa, o forse…
Si.
Sembrava proprio una che dovesse mantenere un gran segreto e ciò le costasse molta fatica.
Considerando che Temari per colpa del suo lavoro era diventata la riservatezza fatta persona la cosa mi stupì e incuriosì al tempo stesso.
<< No, cosa pensi sciocca… E’ solo… è impegnato in una, diciamo, in una ricerca, ecco. Tra parentesi, grazie per la cioccolata era buonissima, ma ora devo proprio scappare e lasciarti al tuo infausto ma gratificante lavoro >>
Naruto impegnato in una ricerca? Credo che l’espressione di scetticismo sul mio volto la dicesse lunga mentre la salutavo sulla porta, vedendola correre di filato al suo SUV, come contenta di essersi liberata di me e le mie inopportune domande.
Già nascondeva palesemente qualcosa. Ma cosa?



Nagahama, 3 Novembre, Sera, Casa Haruno/Lago Biwa


Quella sera mi divertì a spulciare in una scatola che avevo trovato in una delle stanze complete, accanto a quella matrimoniale in cui mi ero trasferita perché meno cupa dell’altra che sembrava avere qualcosa di indefinito, ma soffocante, nel suo interno. Mi sedetti sotto l’albero che perdeva qualche fiore di cui io stessa portavo il nome, che era diventato il mio rifugio nella stranezza di quella casa. Misi lo scatolone davanti a me, aprendone il coperchio con la trepidazione di un bambino che apre il suo regalo di Natale.
La prima cosa che vidi fu una cornice, di quelle semplici senza fronzoli con un emblema inciso nel legno a forma di ventaglio rosso e bianco. Ma la cosa che mi colpì fu il ragazzo ritratto nella fotografia.
Non poteva avere più di venticinque anni ma sembrava avere in se tutta la saggezza di qualcuno al limite della sua vita. Stava appoggiato a quello che riconobbi come il pontile della casa, l’aria rilassata. Alto e dinoccolato, con qualcosa di vagamente femmineo nei tratti spigolosi ma dolci del viso pallido, guardava qualcosa aldilà dell’obbiettivo, forse proprio nel lago, con gli occhi sottili di un nero senza tempo, profondo e imperscrutabile, con una punta di tristezza quasi invisibile accentuata nelle profonde occhiaie che scendevano lungo i lati del naso, le labbra pallide piegate nell’ombra di un sorriso e accarezzate da una ciocca corvina, liscia, che sfuggiva al codino che scendeva lungo le spalle ampie da atleta.
Mi ritrovai ad ammirare quello che doveva essere stato il precedente proprietario dell’abitazione e che catturava il mio sguardo come una calamita. Mi sforzai di staccare gli occhi dalla foto estraendo quelli che sembravano vecchi giornali e dispiegandoli, curiosa.
Il titolo recitava:
“IL MISTERO DI BIWA:
La morte aleggia sulla casa del lago”

Guardai la foto dello stesso ragazzo negli abiti da architetto in un cantiere, e sentì un groppo alla gola. Il giornale era datato 1992.
Diciassette anni.
Erano passati esattamente diciassette anni dalla morte accidentale e apparentemente senza spiegazione del giovane e brillante architetto Uchiha Itachi. Ed esattamente lo stesso tempo era passato prima che la casa “del mistero” trovasse una nuova proprietaria in me.
Sentì le lacrime salire per quel ragazzo che non avevo mai visto né conosciuto e che era stato tolto alla vita prima che potesse completare il suo progetto. Ad un tratto la verità delle cose mi apparve chiara, talmente chiara che quasi mi misi a ridere per non esserci arrivata prima.
Nello stesso istante la musica che aveva assillato i miei giorni in quella villa ricominciò e io mi alzai meccanicamente, lasciando tutto a terra e seguendola come rapita.
Quando mi affacciai fuori dalla finestra che dava sul bacino lo vidi, ma non me ne spaventai. Fu quasi normale trovarlo lì, così giusto che sorrisi quando il fantasma, o qualunque cosa d’altro fosse, alzò lo sguardo dalla tastiera del pianoforte di mogano che galleggiava senza affondare al centro del lago.
Le figure dell’uomo e dell’oggetto erano sfocate, come di una foto mossa, e troppo evanescenti perché appartenessero a qualcosa di questo mondo. Lui mi guardò per un breve istante, con i suoi occhi d’onice, senza proferir parole e, se pur le sue dita non veleggiavano più sui tasti, la musica non cessò di sgorgare dallo strumento, anche se ebbi il sospetto che la melodia fosse parte stessa di quella magnifica e malinconica visione, che venisse direttamente da lui.
<< Sei sempre stato tu? >>
Chiesi timidamente, incurante dei diversi metri che ci separavano e che avrebbero disperso la mia voce tremante in quel principio di gelida sera invernale. Ma quello sembrò sentirmi perché fece un breve cenno d’assenso con il capo, continuando a guardarmi senza insistenza.
Sorrisi più sicura allora, indicando la casa con un gesto ampio della mano.
<< Continuerò io il tuo progetto >>
Lui rimase immobile e poi, lentamente, un identico sorriso copia del mio, affiorò tra le sue labbra sottili, estendendosi ai suoi occhi che brillarono per un istante.
Nella luce aranciata del tramonto sul lago, con la neve candida che scendeva dal cielo posandosi sull’acque e poi sciogliendosi a fare da cornice, vidi quella figura che non si rifletteva su quello stesso specchio naturale, sparire lentamente tra il turbine bianco, come se non fosse mai stata lì, portando con se la sua musica, e promisi a Itachi che avrei portato avanti il nostro sogno.
A qualunque costo.



Nagahama, 25 Luglio (Un anno dopo), Mattina, Lago Biwa


<< Ohi non credevo che c’è l’avresti fatta! >>
Mi voltai, osservando divertita la figura allegra di Naruto , solare come l’estate che si rispecchiava nel paesaggio, avanzare verso di me, accompagnata a quella più seria di un ragazzo che non conoscevo e che camminava alle sue spalle, circospetto, come un ombra.
<< Tsk, uomo di poca fede! In realtà non è ancora finita del tutto, ma manca poco >>
Ammisi, voltandomi verso la casa imprigionata da impalcature di legno su cui lavoravano diversi operai attenti a non intaccare l’albero che aveva destato in loro tanto scalpore quando erano arrivati, stringendo nelle mani il progetto frutto di un interminabile anno di lavoro e reclusione.
Il biondo mi si affiancò, timidamente, per poi stringermi le spalle in un abbraccio con un bel sorriso sul volto ancor più abbronzato di ciò che ricordavo.
<< Sei stata incredibile Sakura-chan >>
<< Temari? >>
Chiesi, se pur intuissi la risposta. Quello mi guardò con aria di scuse, passandomi una mano fra i capelli e scombinandoli come faceva quando eravamo bambini.
<< Lo sai, in missione top secret e cavolate varie. Ma è orgogliosa di te, come tutti >>
Annuì perché era tutto quello che volevo sapere.
<< Uhm, uhm >>
Ci voltammo verso il ragazzo che ci eravamo dimenticati e che ci guardava con aria scazzata, le mani nelle tasche dei jeans, il viso dai lineamenti dolci pallido, indomiti capelli nero corvini e impossibili occhi d’ametista che mi catturarono mozzandomi il respiro.
Seppi prima che Naruto me lo presentasse chi lui fosse. Seppi anche che quella figura bellissima e tremendamente insofferente fosse stata la causa dell’allontanamento del mio migliore amico, la famosa “ricerca” che lo aveva impegnato così tanto e mi ripromisi di prenderlo a pugni e poi ringraziarlo, dopo.
Non chiedetemi perché l’avessi capito, dopo un anno di stranezze potevo certamente chiamarlo sesto senso.
<< Oh scusa teme è vero. Sakura lui è un “amico”, Sasuke… >>
<< … Uchiha >>
Completai togliendogli le parole di bocca.
Sorrisi guardando l’espressione del moro farsi confusa mentre mi avvicinavo e gli gettavo le braccia al collo, stringendolo a me e abbracciandolo, guardando verso il lago dietro le sue spalle, il viso nell’incavo della sua spalla a contatto con la pelle morbida del collo e il suo odore buono di dopobarba.
Fui sicura di aver risentito quella musica che mi aveva abbandonato da tanti mesi oramai, cioè da quando avevo finito il progetto, e potei giurare di aver intravisto una figura scura salutarmi e poi darmi le spalle, sparendo nelle acque calde del bacino, e una voce portata dal vento insieme ad alcuni petali dei fiori dell’albero della casa sussurrare
“Grazie… Sakura “

Forse fu davvero il vento, o forse no, chi lo sa. Ma chiusi gli occhi, sussurrando a un Sasuke imbarazzato e confuso che anni dopo sarebbe diventato mio marito ma a cui non avrei mai raccontato la vera storia perché non sarebbe stato in grado di capirla proprio come non la capì Temari prima di lui, poche vere parole.
<< Ben tornato. Ben tornato a casa >>


Fine
  
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