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Autore: Carlos Olivera    07/11/2009    1 recensioni
Cosa può spingere un uomo a rinnegare tutto ciò che ha sempre creduto, abbandonare i precetti che hanno governato la sua esistenza e rendersi partecipe di crimini innominabili?
Dolore, rabbia, frustrazione, odio, invidia. Tutto ciò può condurre all'abisso del male, e una volta che vi si è entrati la caduta è inesorabile.
Anno 1124
Due giovani assassini vengono incaricati dal loro maestro ormai morente di compiere un'ultima missione per le affollate strade di Baghdad, un paradiso di cultura e di conoscenza su cui alberga però un'ombra minacciosa. Nessuno sarà risparmiato, e l'unica cosa che attende loro, come molti altri, è il dolore, il dolore in tutte le sue più crudeli e terribili forme.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando Kahled e Mira avevano riferito ad Altair e Samir le ultime parole pronunciate dal traditore Risham, una cupa atmosfera di angoscia e preoccupazione aveva preso ad aleggiare sulla stanza.

            Ci si interrogava silenziosamente, con gli sguardi, e nessuno sapeva cosa pensare, ma se davvero le azioni di Risham erano state condizionate unicamente dai poteri malefici del frutto di Allah la sua uccisione avrebbe avuto pesanti conseguenze su tutti coloro che avevano avuto un ruolo nella vicenda.

            La prima regola del Credo parlava chiaro, Trattenere la lama dalla carne degli innocenti, e tradire uno dei precetti che regolavano la vita dei membri dell’ordine poteva costare molto caro, sia in termini pratici, con una gradazione più o meno pesante, che spirituali, perché si era costretti a vivere con la consapevolezza di aver tolto la vita ad un innocente.

            «Forse stava solo cercando di giustificarsi.» disse ad un certo punto Samir, quasi a voler mitigare i sensi di colpa che dominavano gli sguardi atterriti di Mira e Kahled «Dopotutto, aveva commesso il crimine più grave di cui si possa macchiare un assassino.»

            «No Rafiq, non è così.» rispose Kahled «Lo abbiamo guardato negli occhi, mentre pronunciava queste parole. Non stava mentendo.»

            «È ciò che avete veduto?» domandò Altair

            «Senza ombra di dubbio.» disse Mira «Stava dicendo la verità.»

            «Se è davvero come dite» disse Samir «I poteri del Frutto di Allah sono davvero qualcosa di spaventoso.»

            «Dominare la volontà delle persone e obbligarle a servirti.» disse Altair come tra sé «Non oso pensare a cosa potrebbe fare un simile strumento se finisse nelle mani sbagliate.»

            «Si trova già nelle mani sbagliate.» intervenne Kahled «E noi dobbiamo assolutamente strapparglielo.»

            «Risham diceva che agisce facendo leva sulle paure e sui ricordi di chi lo osserva.»

            «È comprensibile. Le paure sono l’unica cosa in grado di dominare anche il più retto degli uomini.»

            «Ma Rafiq.» disse Mira «Gli Assassini non dovrebbero aver imparato a dominare le paure?»

            «Ragazza mia, ci sono cose alle quali neppure gli Assassini più esperti sono immuni. Possiamo aver imparato a dominare paure proprie del nostro modo d’agire, ad esempio quella della morte, ma ce ne sono altre, molto più profonde e radicate, che sono parte di noi, e di quelle è impossibile liberarsi. Per quanto riguarda i ricordi poi, sono ciò che ci lega al nostro passato. Entrambe queste cose sono parte della nostra essenza, determinano chi siamo e il nostro modo di rapportarci con l’esistenza, pertanto, se qualcuno a parte noi ne detiene il controllo questo qualcuno è come se pensasse al nostro posto.»

            «Mi vengono i brividi solo a pensarci.» disse Kahled

            «Fate molta attenzione ad avvicinarvi a quell’oggetto. Ciò che è stato fatto a Risham potrebbe essere fatto anche a voi.»

            «Dovremo essere più accorti del solito, fratello.» disse Altair

            «Ne sono consapevole.»

            «Ora però pensiamo a preparare bene la missione. Altair, che cosa hai scoperto dalle tue indagini?»

            «Le guardie di Jahal sono estremamente fedeli al loro signore. Si è assicurato la loro fedeltà con ingenti donazioni, usando i soldi prelevati indebitamente dalle casse della città.

            Il cambio di turno avviene alle tre del mattino, e per un breve periodo di tempo si crea una falla che permetterebbe di introdursi nel palazzo senza essere visti. Il muro a ovest è facilmente scalabile e c’è una finestra che può essere facilmente aperta, perciò entrare da sarebbe abbastanza facile.»

            «Quanto tempo avremo per riuscire ad entrare senza far scattare l’allarme?» domandò Kahled

            «Due minuti al massimo. Una volta dentro, percorreremo tutto il corridoio fino ad una terrazza che dà proprio sul cortile interno. Una volta lì lo dovremo percorrere in tutta la sua lunghezza, e dalla parte opposta, circondato da un muretto non troppo alto, troveremo il museo.»

            «Sembra tutto troppo facile.» commentò ironicamente Mira «Sento che c’è un ma in arrivo.»

            «Il ma è che il cortile è pesantemente e pericolosamente esposto. Alte mura lo circondano a est e a ovest, e sono sorvegliate da arcieri. Anche correndo il più velocemente possibile dubito che arriveremo laggiù prima che il cambio della guardia sia ultimato.»

            «In altre parole» disse Kahled «Sarebbe come disegnarsi un bersaglio in mezzo alla fronte.»

            «L’oscurità indubbiamente potrebbe esserci d’aiuto, ma il rischio di essere individuati non è indifferente.»

            «Non abbiate di che temere» intervenne Samir «Credo di avere ciò che fa per voi».

            Il Rafiq tirò una statuetta appoggiata alla sua scrivania, e immediatamente una delle librerie girò su stessa assieme ad una porzione del pavimento, rivelando uno scomparto segreto contenente un vero e proprio arsenale: pugnali, balestre, archi, spade, bracciali e, più importante di tutto, una coppia di tuniche completamente nere un po’ diverse da quelle canoniche, simili più che altro a dei soprabiti.

            Samir ne prese una, mostrandola ai suoi tre sbigottiti subalterni.

            «Un nuovo modello. L’ho inventato io. Leggero e resistente, e permette di muoversi con estrema discrezione nell’oscurità, anche negli ambienti più ristretti. Inoltre…».

            Rimesso l’abito sul suo attaccapanni, il Rafiq raccolse uno strano oggetto a forma di L con due lunghe canne da cui spuntavano le punte di altrettanti paletti di metallo, e al punto d’incrocio tra le canne e l’impugnatura, sulla parte inferiore vi era un grilletto simile a quello delle balestre, su quella superiore invece una sorta di cilindri che avevano l’aria di poter essere mossi avanti e indietro.

            Vedendo le espressioni dubbiose dei tre ragazzi Samir sorrise di soddisfazione, e puntata la sua strana arma verso il cappotto servendosi di una sola mano spinse il grilletto: si udì come uno schioppo, un rumore secco e sordo, i cilindri mobili si spostarono violentemente in avanti e i due paletti saltarono via dal loro alloggio, schizzando a folle velocità contro la veste.

            «Stra… straordinario.» disse Kahled

            «E non è ancora finita».

            Con aria molto soddisfatta Samir esibì la parte interna del soprabito, dimostrando che i paletti, anche se lanciati da vicino, lo avevano oltrepassato solo in minima parte, e allora lo stupore dei tre Assassini divenne incontenibile.

            «Ma come… come è possibile!?» disse Altair

            «Una piccola accortezza contro i casi di emergenza. Tra i due strati della stoffa è stata inserita una maglia metallica ad anelli, in grado di fermare efficacemente l’azione di quasi ogni arma ad oggi conosciuta. Solo i colpi lanciati da vicino possono essere pericolosi, oltre naturalmente a quelli portati alla testa.»

            «Di sicuro ci sarà molto utile.»

            «E quell’arma che hai usato?» domandò Kahled

            «Un’altra mia invenzione. Sfrutta un sistema ad aria compressa. Ho preso ispirazione dai progetti di Ctesibio, uno scienziato alessandrino, e da quelli di Archimede. Quando si preme il grilletto la valvola di sfogo viene attivata, i cilindri mobili si spostano violentemente e la pressione dell’aria fa partire i paletti. Per garantire una riserva minima di colpi ho collegato le valvole a due diversi sistemi a scatto: una lieve pressione sul grilletto fa partire solo il paletto di destra, premendo a fondo invece partono entrambi.

            È flessibile come un arco e precisa come una balestra, ma a differenza di quest’ultima richiede solo pochi secondi per poter essere ricaricata.»

            «Che distanza possono raggiungere?»

            «Se è la precisione che cerchi, più o meno i settanta metri, anche cento con il vento a favore. Ne ho creata anche una versione più piccola e discreta da montare su un bracciale, ma è monocolpo, e non andiamo oltre i venti metri.»

            «Davvero sorprendente.» commentò Altair «Perché non hai mai mostrato tutte queste cose al Maestro? Potrebbero divenire parte dell’arsenale degli Assassini.»

            «Scherzi!? Questi non sono giocattoli. Ctesibio e Archimede li hanno progettati, ma non hanno mai osato costruirli per timore della loro pericolosità. Anche io a suo tempo la pensavo come te, ma vedendo di che cosa sono capaci ho capito che non è il genere di arma da mettere in mano al primo idiota che indossa una veste bianca.»

            «Potresti prestarcela?» domandò Kahled «Gli abiti scuri ci saranno molto utili, ma se dovessimo essere scoperti servirà molto più del necessario per uscire vivi da lì».

            Samir si mostrò molto dubbioso al riguardo, e lì per lì fu sul punto di negare il permesso, poi però, spronato anche dallo sguardo da cucciolo supplichevole di Mira, si lasciò convincere.

            «E va’ bene. Ma sarà Altair a portarla. Senza offesa Kahled, ma mi fido molto di più di lui che di te.»

            «D’accordo. Dopotutto, il Rafiq sei tu.»

            «Tu Mira prenderai la versione da bracciale, nel caso dovessi trovarti in difficoltà. Ad ogni modo, anche se non metto in dubbio la vostra abilità, vi invito a fare la massima cautela.

            Il successo di questa operazione sarà dettato dalla vostra abilità di operare come una squadra. Ognuno di voi dovrà svolgere il proprio ruolo, e una eventuale attenzione rischierebbe di compromettere ogni cosa in un letale effetto a catena.

            Avrete a disposizione un solo tentativo per portare a termine l’incarico, quindi mi sembra evidente che non c’è spazio per eventuali errori, ci siamo capiti?»

            «Sì, Rafiq.» risposero in coro i tre

            «Molto bene. Preparatevi. Entrerete in azione stanotte».

            Conclusa quell’ultima riunione tattica Mira si preparò a fare ritorno al palazzo; da qualche tempo era entrata a far parte della cerchia delle favorite del califfo, ottenendo tra le altre cose un proprio alloggio personale, il che le permetteva di muoversi in una certa libertà, ma sapeva bene che tutte le sere ad una data ora Jahal faceva visita a lei e a tutte le sue parigrado, e non farsi trovare sarebbe potuto costarle molto caro, per non parlare del rischio per la copertura.

            Uscita in cortile fece per andarsene, ma prima che potesse farlo Kahled la raggiunse.

            «Mira aspetta!»

            «Che c’è? Te l’ho detto che devo rientrare. Se arriva alle mie stanze e non mi trova per me saranno guai seri.»

            «Lo so. È solo che, con tutto quello che è successo, non ho avuto il tempo… ecco… di complimentarmi con te.»

            «Complimentarti?! Per cosa?»

            «Beh, per la missione. Ieri sera abbiamo fatto un buon lavoro di squadra, non sei d’accordo?»

            «Se quello che ci ha detto Risham era vero» rispose lei con uno sguardo leggermente astioso «Non c’è nulla di quella missione per il quale dover essere felici.»

            «Già, hai ragione.» disse lui visibilmente imbarazzato «Scusami».

            Mira, vedendolo così mortificato, parve addolcirsi.

            «Però» disse con il suo solito tono pungente «Devo ammettere che ti sei rivelato migliore di quanto mi aspettavo. Pensavo di doverti fare da balia, invece hai saputo cavartela da solo.

            E poi quel tuo piano è stato ingegnoso, bisogna riconoscerlo, anche se prima o poi te la farò pagare per avermi costretta a strisciare nel fango. Hai idea di quanto ci ho messo per togliermelo dai capelli?»

            «S… sì. Ti chiedo… ti chiedo scusa.»

            «E dacci un taglio con quel tono. Mi pari un servo sorpreso a scappare».

            Kahled era chiaramente e terribilmente nervoso, e se da una parte sembrava cercare un modo per proseguire la conversazione dall’altro sembrava essere sul punto di scappare.

            «Ti ricordi… ti ricordi della prima volta che abbiamo lavorato insieme? Erano i tempi dell’addestramento. Un Assassino d’alto rango ci aveva ordinato di pedinare la sua vittima per conoscerne gli spostamenti.»

            «E tu per poco non ti sei fatto scoprire, e tutto per aver voluto stendere un bottegaio ubriaco che accusava un bambino di avergli rubato una mela.»

            «Già. Hai ragione.»

            «Ma d’altra parte» disse Mira facendosi di nuovo più dolce e gentile «Immagino sia questo che ti rende un Assassino così speciale».

            Kahled quasi svenne nel sentirsi rivolgere un tale complimento, e di nuovo dopo tanto tempo sentì riaffiorare quello strano batticuore che più di una volta lo aveva colto quando loro due erano rimasti soli.

            «Beh, ora devo proprio andare.

            Vedete di non combinare guai voi due, perché non mi sarà possibile tirarvene fuori».

            Mira fece per andarsene, ma di nuovo Kahled la fermò

            «Cerca di fare attenzione».

            Lei parve molto sorpresa, e per un attimo fece per sollevarsi il bavero, così da poter nascondere il proprio rossore.

            «Da quando in qua ti preoccupi per me? Ti sta forse venendo la febbre?»

            «Non è uno scherzo!» replicò quasi urlando Kahled, più veemente e preoccupato che mai «Sarai tu a dover uccidere Jahal. Non dimenticare quello che ha fatto a Risham. Cerca di essere molto prudente».

            La ragazza tornò sui suoi passi, e i due, trovatisi viso a viso, si guardarono a lungo, poi lei, sorridendo, gli passò un indice sulla guancia.

            «Anche tu.» disse, poi, con solo un paio di balzi, raggiunse il tetto, da cui fece un cenno di buon augurio al suo amico, e vedendola scomparire Kahled, che pure si sentiva rassicurato dalla consapevolezza che si trattava di una formidabile guerriera, fu colto da un sinistro ed inquietante brivido alla schiena.

            Non sapeva perché, ma aveva la sensazione che ci fosse qualcosa di profondamente strano nella situazione che stavano vivendo; non sapeva cosa, ma una voce misteriosa sembrava volerlo metterlo in guardia: nulla andava mai come preventivato, e sentiva dentro di sé che sa qualcosa fosse andato storto Mira avrebbe potuto trovarsi in grave pericolo. Pregò il cielo di sbagliarsi.

 

E venne nuovamente la notte, ma stavolta Baghdad non era più la città tranquilla e sopita nel sonno di ventiquattro ore prima.

            L’assassinio dell’informatore Risham aveva messo in allarme il califfo, e le strade erano ora percorse ininterrottamente da pattuglie di dieci o più guardie armate di tutto punto, e i tetti erano sorvegliati da arcieri.

            Altair e Kahled questo inconveniente lo avevano ampiamente previsto, e nel corso di tutta quella giornata non avevano fatto altro che saltare da un tetto all’altro alla ricerca della via che permettesse allo stesso tempo di muoversi rapidamente e di evitare quanto più possibile gli scontri.

            Ben protetti dalle loro nuovi uniformi nere, che come predetto da Samir permettevano loro di risultare pressoché invisibili nell’oscurità della notte, raggiunsero in un tempo ben minore di quello che avevano preventivato l’ultima linea di edifici che davano sulla parte occidentale del palazzo, una costruzione alta e possente non protetta da alcun tipo di muraglia nella parte frontale e per buona parte di quelle laterali, ma con un alto muro di cinta a circondare interamente il cortile posteriore.

            Kahled aveva suggerito di approfittare del cambio della guardia per percorrere le mura ed arrivare così al museo senza dover affrontare il pericoloso tragitto attraverso il giardino, oppure per calarsi all’interno del giardino stesso senza dover entrare nel palazzo, ma Altair, che pure aveva tenuto a mente tali eventualità, interrogando la guardia ubriaca aveva appreso che i soldati di ronda sul muro di cinta seguivano un orario diverso da quello del resto della guarnigione, e che il loro turno durava per tutta la notte, quindi sperare di passare da lì senza essere visti era pura utopia.

            Appena furono di nuovo in strada i due fratelli corsero a nascondersi dentro ad una rientranza che Altair aveva notato nel corso del suo sopralluogo, sfuggendo alla vista della pattuglia che percorreva senza sosta il grande viale che girava tutto intorno al palazzo, quindi si misero in attesa.

            «Quando sentiremo il segnale, dovremo scattare come fulmini. Fai attenzione ad alcuni appigli, perché potrebbero cedere, e se ripassa la pattuglia ricordati di rimanere immobile.

            Mi hai capito?».

            Suo fratello però non poteva sentirlo: i suoi pensieri in quel momento erano altrove, su Mira, e lui sentiva di essere indicibilmente preoccupato per lei. Quella sensazione che gli aveva attraversato le ossa subito dopo che si erano separati lo aveva tormentato per tutto il giorno, e sapendola lì dentro da sola, senza nessuno a guardarle le spalle, sentiva un vento gelido soffiargli sul cuore.

            «Kahled, mi stai ascoltando?»

            «Cosa!? Sì, scusami. Ero soprapensiero».

            Altair capì subito il motivo di un tale comportamento, e cercò di porvi rimedio.

            «Non aver paura. La conosci Mira, è una ragazza con la testa sulle spalle. Vedrai che se la caverà egregiamente, come ha sempre fatto. Ma noi dobbiamo fare la nostra parte se vogliamo che tutto vada bene, e per riuscirci dobbiamo essere lucidi.»

            «Sì, hai ragione. Non accadrà più.»

            «Rivolgi a lei i tuoi pensieri, se questo ti aiuta a trovare la forza, ma fai in modo che sia tu ad avere il controllo su di loro, e non viceversa.»

            «Ho capito. Farò come dici».

            In quella tre brevi colpi di gong in rapida successione annunciarono il cambio della guardia, e accertatisi che la pattuglia fosse ancora lontana i due fratelli cominciarono a scalare le mura del palazzo il più velocemente possibile.

            A metà strada dovettero fermarsi, per evitare che le guardie sotto di loro potessero scoprirli, e di nuovo si videro costretti ad esitare non appena ebbero aperto la finestra perché Altair, servendosi di uno specchietto montato su di un’asticella, si avvide dell’arrivo di un soldato, e subito fece cenno al fratello, che lo seguiva a pochi passi, di immobilizzarsi nuovamente.

            Per fortuna non accadde nulla, e appena ebbero nuovamente la strada sgombra i due finalmente entrarono, ritrovandosi in un grande e sfarzoso corridoio pieno di vivai e ogni altra sorta di oggetto d’arredo.

            «Non credevo che sarebbe stato così facile.» commentò Kahled quando fu di nuovo coi piedi per terra

            «Sono d’accordo, entrare non è stato un problema, speriamo solo che i problemi non arrivino quando dovremo uscire. Da questa parte».

            Nello stesso momento, in un’altra ala del palazzo, tre guardie sorvegliavano diligentemente il grande portone oltre il quale stavano le stanze private del califfo, quando una giovane ancella sopraggiunse da un arco laterale recando in mano un vassoio con sopra una coppa, una brocca probabilmente d’acqua e un contenitore di erbe. Dapprima i soldati non si scomposero, poi però, quando poterono vedere bene in volto la ragazza, si fecero un po’ più accorti.

            «Che cosa ci fai qui?»

            «Sono venuta a portare la medicina al padrone.»

            «Dov’è l’altra serva?»

            «Ha preso una brutta malattia. C’era pericolo che potesse far ammalare il nobile Jahal, così è stato ordinato a me di prendere il suo posto».

            Il capo delle guardie, ciò nonostante, non sembrava eccessivamente convinto, e seguitava a guardare la ragazza con sguardo sospettoso.

            «Mostrami l’autorizzazione».

            Lei allora, senza alcun problema, prese da dentro il corpetto un pezzo di carta firmato dal capitano delle guardie di palazzo in cui veniva detto che effettivamente l’ancella incaricata solitamente di svolgere quell’incarico era impossibilitata a muoversi dal letto, e che pertanto la presente Mira era autorizzata a prenderne il posto fino a quando la sua compagna non si fosse ristabilita.

            Il soldato lesse attentamente il comunicato, e finalmente si convinse.

            Mira tirò segretamente un sospiro di sollievo, riuscendo a nascondere le sue vere emozioni con la propria freddezza di Assassina: la falsificazione di documenti non era mai stata la sua specialità, ma stavolta sembrava aver funzionato.

            «D’accordo entra, ma non metterci troppo. Il padrone ha avuto una giornata molto impegnativa, e ha bisogno di molto riposo per rimettersi in forze.»

            «Prometto che impiegherò il minimo indispensabile».

            Una delle due guardie aprì il chiavistello, le porte si aprirono leggermente e Mira poté entrare, poi, accertatasi che fossero state completamente richiuse, si guardò intorno per sondare l’ambiente: gli appartamenti erano davvero enormi, un insieme intricato di varie stanze collegate tra di loro da grandi archi e piene all’inverosimile di ogni possibile arredo in grado di ostentare sfacciatamente potere e ricchezza, dai tappeti dell’Anatolia alle statue classiche, dai vasi in vetro e in terracotta dell’India alle pergamene cinesi, dagli arredamenti barbari dei popoli della steppa ai mascheroni etnici dell’Africa Nera, tutte cose che avevano anche la funzione di testimoniare la grande esperienza del nobile Jahal in termini di viaggi e spedizioni nei più remoti angoli della Terra compiuti come emissario del Sultano.

            Dalla parte opposta all’ingresso, dopo in vasto soggiorno, c’era la camera da letto, e malgrado lì dentro regnasse un’oscurità quasi totale, solo in parte mitigata dal fuoco di alcune torce, Mira vi arrivò velocemente e in silenzio: aveva visitato quei posti mille volte, esercitandosi quando poteva al momento in cui avrebbe dovuto fare ciò che stava facendo in quel momento, e nulla di ciò che c’era lì dentro, neanche il più piccolo dettaglio, le era ignoto, anche perché aveva setacciato ogni possibile nascondiglio migliaia e migliaia di volte alla ricerca, purtroppo vana, della Parola di Allah.

            Posato il vassoio su di un tavolino, Mira recuperò un pugnale lungo e sottilissimo che aveva nascosto tra i suoi lunghi capelli, quindi si avvicinò molto lentamente al grande letto a baldacchino: Jahal dormiva come un bambino, completamente avvolto nelle sue morbide coperte in piuma d’oca per proteggersi dall’impietoso freddo delle notti desertiche, e non aveva la minima idea di quello che stava per accadergli.

            Raggiunto il letto, Mira si guardò un attimo intorno, giusto per effettuare un ultimo controllo, e forse rammentandosi delle prime volte in cui aveva fatto cose del genere, quando aveva paura che i battiti furiosi del suo cuore potessero farla scoprire, recitò mentalmente le preghiere di rito rivolte all’anima che stava per liberare dai suoi vincoli terreni, poi, fulminea, colpì.

            Un solo colpo, dritto alla gola, per una morte istantanea e priva di sofferenze, come si confaceva al codice degli Assassini.

            Tuttavia, subito, qualcosa la colpì, o meglio, la terrorizzò: non una goccia di sangue sgorgò dalla ferita che aveva appena inflitto, e il corpo di Jahal non fu minimamente attraversato dai violenti spasimi che seguono alla morte improvvisa.

            Un pensiero orribile le attraversò la mente quando, ritratto il pugnale, trovò la lama ancora lucida e scintillante, e tolte violentemente le coperte i suoi timori si fecero tremendamente reali: aveva appena tolto la vita ad un innocuo fantoccio di stracci.

            Il cuore di colpo fece sentire il suo battito, e prima di potersi guardare nuovamente attorno per capire quanto tempo avesse per fuggire una mano sbucò da sotto il letto, afferrandole la caviglia e tirando con violenza.

            La ragazza, colta completamente di sorpresa, cadde, e nel giro di un istante quattro guardie sbucate dai nascondigli più impensabili le furono addosso, immobilizzandola; due di esse, afferratele le braccia, la costrinsero in ginocchio rivolta verso la finestra, una terza le afferrò i capelli e la quarta le puntò la sciabola alla gola.

            «Non deve essere molto piacevole» disse di colpo una voce famigliare, profonda e apparentemente gentile, ma velata da una punta di freddo e malvagio sarcasmo «Sapere di essere stati raggirati».

            Dalla terrazza, vivo e vegeto come non mai, uscì Jahal Alì Falahda, califfo di Baghdad, uomo di fiducia del sultano Ahmed Sanjar.

            Abbastanza alto e piuttosto avanti con l’età, era completamente pelato, e il più delle volte, nelle occasioni pubbliche, era solito nascondere questa spiacevole menomazione con vistosi copricapo. Gli occhi, neri, rispecchiavano uno spirito arguto, abituato a muoversi tra intrighi e complotti, e addestrato a sfruttare ogni più piccola sottigliezza a proprio vantaggio. La bocca, piegata in quel suo famoso e sarcastico sorrisetto, era contornata da una barbetta scura terminante in un leggero pizzetto.

            Ma più di tutto, fu ciò che il califfo teneva in mano ad attirare negativamente l’attenzione di Mira, perché qualcosa dentro di lei le diceva che era ciò che Kahled e Altair erano andati a cercare al museo.

            Aveva la forma di un cubo, grande una decina di centimetri per ogni lato, fatto di un materiale molto strano, come una pietra blu estremamente grezza e ruvida, ed era ricoperto su tutta la sua superficie di strane incisioni che Mira non riconosceva come appartenenti a nessuna lingua o codice che le fosse mai capitato di conoscere.

            «Vero, Assassina?».

            Lei si agitò, nel vano tentativo di liberarsi, ma fu tenuta inchiodata in ginocchio dai suoi aguzzini.

            «Che c’è, sei sorpresa? Dì la verità, non ti saresti mai aspettata niente del genere.

            Purtroppo per te, sapevo chi eri prima ancora che tu entrassi in questo palazzo. Ho aspettato molto a lungo che tu e gli altri cani di Masyaf faceste la vostra mossa, e alla fine, proprio come immaginavo, siete caduti nella mia trappola».

            Notando lo sguardo di Mira soffermarsi continuamente sul cubo che aveva in mano, Jahal sorrise ancor più vistosamente.

            «Fammi indovinare. Era questo che stavate cercando.

            A quanto pare ho sottovalutato quella vecchia volte di Hasan-i Sabbah. E dire che lo credevo morto da tempo, ma a quanto pare il Profeta non si è ancora deciso a prendere la sua vita. Probabilmente quel vecchio pazzo non è gradito neppure al cielo.»

            «Non offendere il Maestro, blasfemo!»

            «Hai uno spirito battagliero, Mira. L’ho capito appena ti ho vista. Dalle nostre parti le tigri d’oriente sono una merce rara. E dire che saresti potuta arrivare lontano, se solo avessi mostrato un briciolo di buon senso.

            Saresti potuta diventare una delle mie donne predilette, avresti avuto potere e ricchezze.»

            «Essere la tua schiava per tutta la vita e il tuo giocattolo da rigirare nel letto? Piuttosto la morte!»

            «Ah, che testardi che siete voi assassini. Ma non fa niente. Presto non avrà più alcuna importanza».

            In quella uno dei tre soldati che sorvegliavano gli appartamenti del califfo si presentò in camera da letto.

            «Mio signore. Gli Assassini sono arrivati, e non sospettano niente. In questo momento sono nel cortile»

            «Molto bene. Procedete.»

            «Come desiderate».

            Mira sentì un brivido freddo, il terrore si impadronì di lei, e per un attimo le venne da gridare il nome di Kahled, senza sapere perché.

            «Ti consiglio di rivolgere preghiere per i tuoi amici, perché tra poco saranno morti».

 

Come detto dal soldato, Altair e Kahled, ignari di tutto, si erano da poco incamminati lungo il giardino, correndo il più velocemente possibile per poter arrivare al museo prima che avesse termine il cambio della guardia, ma quando erano praticamente al centro della vasta zona verde una mano invisibile accese una torcia appoggiata al muro, e grazie ad un ingegnoso sistema di vaschette piene di olio che correvano lungo tutto il muro e sui bordi dei viali sassosi nel giro di un secondo l’intero cortile venne illuminato a giorno da interi fiumi di fuoco.

            I due fratelli, colti del tutto alla sprovvista, si immobilizzarono.

            «Ma cosa…» disse Altair, e un istante dopo i soldati sulle mura, che sembravano dapprincipio non essersi minimamente accorti della presenza di intrusi, si girarono verso di loro con le armi già in pugno, e subito una pioggia di frecce si abbatté sui due.

            Altair e Kahled riuscirono a mettersi in salvo nascondendosi rispettivamente dietro una colonna e all’interno di un gazebo di pietra, ma per la posizione sopraelevata in cui si trovavano i loro aggressori nessun posto si sarebbe potuto considerare sicuro.

            «Maledizione, era tutta una trappola!» disse Kahled.

            Seguirono numerose altre raffiche di frecce, poi le sentinelle, sguainate le spade, si lanciarono urlando giù dalle mura, e contemporaneamente un altro nutrito gruppo di guardie usciva nel cortile dall’interno del palazzo già pronto alla lotta.

            Rapidamente i due fratelli si portarono schiena contro schiena, e prese il via un furioso combattimento che aveva come fine ultimo per loro la mera sopravvivenza; dovevano essere trenta o più i soldati lanciati contro di loro, ma ciò nonostante gli Assassini riuscirono a resistere, avvalendosi tanto della superiore esperienza quanto del perfetto gioco di squadra, che già altre volte in passato erano stati costretti ad utilizzare e che avevano con il tempo affinato.

            «Così non va’, dobbiamo trovare il modo di defilarci!» disse Altair.

            Voltatosi, si accorse che il fratello era rimasto isolato, e che una guardia si preparava a colpirlo alle spalle; senza esitazioni, prese dalla cintura la nuova arma ricevuta da Samir, e premuto il grilletto centrò il potenziale omicida in mezzo alla fronte e direttamente in bocca, facendogli letteralmente esplodere la faccia.

            La vista di quell’oggetto terrificante spaventò i superstiti, che ebbero un momento di esitazione.

            «È il momento Kahled! Andiamocene!»

            «Aspetta! Non possiamo abbandonare Mira!».

            Altair, ricaricata l’arma con i due paletti di riserva, sparò ancora una volta, riuscendo ad aprire finalmente un varco verso la salvezza, ma Kahled non sembrava intenzionato ad abbandonare il campo.

            «Altair!»

            «Mira sa quello che fa! Dobbiamo andarcene subito, o sarà stato tutto inutile!».

            Kahled non volle neanche pensare all’eventualità che Mira potesse essere realmente morta, ma alla fine, volendo anzi convincersi che fosse già riuscita a scappare, si risolse a seguire il fratello, e insieme i due, arrampicatisi sulle mura, saltarono immediatamente di sotto, attutendosi la caduta con le fronde di alcune palme, per poi scomparire rapidamente fra i vicoli di Baghdad.

            La notizia della loro fuga arrivò rapidamente alle orecchie di Jahal, che ancora attendeva nelle sue stanze assieme alla prigioniera.

            «Mi dispiace, mio signore. Sono riusciti a scappare».

            Mira tirò un nuovo sospiro di sollievo, Jahal invece non si scompose più di tanto.

            «Non fa niente. Li andremo a prendere noi.» poi guardò Mira «E sarai tu a portarci da loro».

            Il cubo che il califfo teneva in mano cominciò a quel punto ad emanare una strana ed inquietante luce azzurra, e dalla sua superficie cominciarono a sollevarsi, come in una scatola cinese, tanti piccoli cubetti di uguale dimensione, che rimanevano attaccati al corpo centrale per mezzo di uno solo del loro sei lati.

            Mira capì subito che cosa aveva in mente di fare quell’uomo, e per nulla al mondo glielo avrebbe permesso; lei era un Assassina, aveva faticato per diventarlo, e non avrebbe mai e poi mai tradito la confraternita, quella stessa confraternita che disobbedendo alle sue stesse regole l’aveva accolta offrendole una nuova esistenza.

            Sarebbe morta, sarebbe sicuramente morta, ma non avrebbe percorso da sola la via che conduceva all’altra vita.

            Guardò a terra: il coltello con cui aveva cercato di uccidere Jahal era ancora lì, mezzo nascosto sotto un comodino. Usando tutte le forze a sua disposizione riuscì finalmente a liberarsi, anche se sapeva che sarebbe stato solo per pochi secondi, e afferrata l’arma la lanciò gridando verso il suo nemico.

            Il coltello viaggiò veloce come il vento, conficcandosi proprio nel cuore di Jahal, che ebbe una violenta contrazione all’indietro e si piegò in posizione fetale, ma che poi, tra lo stupore e lo sgomento più totali di Mira, tornò a rivolgere verso di lei il proprio sguardo sprezzante e sicuro di sé.

            La ragazza venne nuovamente immobilizzata, e Jahal le si avvicinò.

            «Sorpresa!?» disse sorridendo.

            Mira non voleva credere ai propri occhi, ma ciò che rimaneva del suo raziocinio le disse che tutto ciò stava accadendo veramente quando vide Jahal togliersi di sua mano il coltello dal cuore e buttarlo a terra intriso del suo sangue per poi scoprirsi il petto: la ferita, sicuramente mortale, scomparve nel giro di pochi secondi, come neanche il più miracoloso dei ritrovati medici avrebbe saputo fare, senza oltretutto lasciare la benché minima traccia.

            «Ora lo capisci? Capisci il grande potere che alberga all’interno di questo oggetto?

            Chiunque lo possieda è dotato di un potere senza eguali. Non deve temere dolore né malattie, né ferite né morte. Può controllare il cielo e la terra, le menti e i cuori.

            È un potere… un potere divino.»

            «È un potere diabolico!»

            «Scommetto che anche quell’ottuso del tuo maestro pensava la stessa cosa. Sarà per questo che vi ha ordinato di strapparmelo. Ma a differenza di quanto ho fatto io, ha sottovalutato il suo immenso potere.

            Non so da dove venga, o chi lo abbia realizzato. Non so neppure se appartiene a questo mondo. Lo trovai nel corso di uno dei miei viaggi, nascosto nel fitto delle foreste dell’India, all’interno di un tempio risalente alle origini della vita, e capii subito di cosa poteva essere capace.

            Chi lo stringe nelle proprie mani può comandare tutto il creato. Può essere… un dio.»

            «La divinità non è un concetto che appartiene alla nostra esistenza.»

            «Questo è un concetto superato. Ciò che hai visto dovrebbe avertene dato la prova.

            Ma ora il tempo delle parole è finito. Ho ancora molte cose da fare prima di poter sedere sul trono degli dèi, e per compiere la prima della lista mi serve il tuo aiuto.»

            «Scordati che ti aiuterò. Io non sono come quel novizio. La mia volontà è più forte della sua, e soprattutto io non ho paura.»

            «Questo lo vedremo!».

            Il cubo divenne ancor più luminoso, e istantaneamente le due guardie che tenevano Mira per le braccia si coprirono gli occhi. Lei, vedendoselo avvicinare al volto, tentò di distogliere lo sguardo, ma la terza guardia la costrinse a tenere il volto sollevato tirandole i capelli, e contemporaneamente anche lui chiuse gli occhi.

            «Guardalo!».

            La luce divenne fortissima, e Mira se ne sentì istantaneamente avvolgere: era una luce calda, addirittura accogliente, ma la malvagità che albergava al suo interno era impossibile da definire. In un attimo rivide la sua vita, tutto ciò che era accaduto, e tutti quei ricordi che a fatica era riuscita a rimuovere le si palesarono di colpo davanti agli occhi.

            Rivedeva stessa da bambina, in quel terribile giorno, quando il suo villaggio era stato dato alle fiamme; vedeva i suoi genitori e i suoi fratelli trafitti da mille frecce o sventrati dalle spade, vedeva sé stessa rinchiusa in una gabbia, ricordando fin troppo bene il terrore che provava ogni giorno al calare delle tenebre, quando i possibili compratori se ne andavano, lasciando spazio ai suoi aguzzini, per i quali si apriva una notte di festa. E poi le percosse, gli insulti, le umiliazioni, e tutte quelle cose che lei, addestrata come una giovane guerriera, aveva trovato così umiliante da aver cercato più volte una morte liberatoria, un privilegio che le era sempre stato negato.

            Catene invisibili parvero erigersi attorno a lei, serrandola in un abbraccio mortale, sentì la propria volontà e la propria coscienza venire meno, asservita totalmente a quella luce, e a colui che la comandava, e a quel punto tutto divenne nero.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi finalmente di ritorno!^_^

Roba da matti! Due mesi per riuscire ad aggiornare!

Del resto, ve l’avevo detto: l’università in questo periodo non mi ha dato tregua, tutti i giorni uscivo alle sette per tornare dodici ore dopo, e come ciliegina sulla torta ho avuto da preparare due esami niente male, ma ora quel periodo maledetto è finalmente finito, e per me si aprono le porte di due mesi tutto sommato accettabili (il tutto condito dall’attesa per Assassin’s Creed II e Bloodlines).

Da questo momento in poi prometto di fare più presto del solito, anche perché la mia aspettativa sarebbe di concludere prima del famigerato 19 novembre, dopo del quale sono abbastanza certo di veder sparire tutti gli appassionati di questa sessione, troppo impegnati a contemplare altro (scherzo^_^).

Ringrazio come sempre Saphira ed Elika, alle quali chiedo anche scusa per questa mia lunga e incresciosa assenza.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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