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Quando Kahled e Mira avevano riferito ad Altair e Samir le
ultime parole pronunciate dal traditore Risham, una
cupa atmosfera di angoscia e preoccupazione aveva preso ad aleggiare sulla
stanza.
Ci si interrogava silenziosamente, con gli sguardi, e nessuno
sapeva cosa pensare, ma se davvero le azioni di Risham
erano state condizionate unicamente dai poteri malefici del frutto di Allah la
sua uccisione avrebbe avuto pesanti conseguenze su tutti coloro che avevano
avuto un ruolo nella vicenda.
La prima
regola del Credo parlava chiaro, Trattenere
la lama dalla carne degli innocenti, e tradire uno dei precetti che
regolavano la vita dei membri dell’ordine poteva
costare molto caro, sia in termini pratici, con una gradazione più o meno
pesante, che spirituali, perché si era costretti a vivere con la consapevolezza
di aver tolto la vita ad un innocente.
«Forse
stava solo cercando di giustificarsi.» disse ad un
certo punto Samir, quasi a voler mitigare i sensi di colpa che dominavano gli
sguardi atterriti di Mira e Kahled «Dopotutto, aveva commesso il crimine più
grave di cui si possa macchiare un assassino.»
«No
Rafiq, non è così.» rispose Kahled «Lo abbiamo
guardato negli occhi, mentre pronunciava queste parole. Non stava mentendo.»
«È ciò
che avete veduto?» domandò Altair
«Senza ombra di dubbio.» disse Mira «Stava dicendo la
verità.»
«Se è
davvero come dite» disse Samir «I poteri del Frutto di
Allah sono davvero qualcosa di spaventoso.»
«Dominare
la volontà delle persone e obbligarle a servirti.» disse Altair come tra sé
«Non oso pensare a cosa potrebbe fare un simile strumento se finisse nelle mani
sbagliate.»
«Si trova
già nelle mani sbagliate.» intervenne Kahled «E noi dobbiamo assolutamente
strapparglielo.»
«Risham diceva che agisce facendo leva sulle paure e sui
ricordi di chi lo osserva.»
«È comprensibile. Le paure sono l’unica cosa in grado di
dominare anche il più retto degli uomini.»
«Ma
Rafiq.» disse Mira «Gli Assassini non dovrebbero aver imparato a dominare le
paure?»
«Ragazza mia, ci sono cose alle quali neppure gli Assassini
più esperti sono immuni. Possiamo aver imparato a dominare paure proprie del
nostro modo d’agire, ad esempio quella della morte, ma ce ne sono altre, molto
più profonde e radicate, che sono parte di noi, e di quelle è impossibile
liberarsi. Per quanto riguarda i ricordi poi, sono ciò che ci lega al nostro
passato. Entrambe queste cose sono parte della nostra essenza, determinano chi
siamo e il nostro modo di rapportarci con l’esistenza, pertanto, se qualcuno a
parte noi ne detiene il controllo questo qualcuno è
come se pensasse al nostro posto.»
«Mi
vengono i brividi solo a pensarci.» disse Kahled
«Fate molta attenzione ad avvicinarvi a quell’oggetto. Ciò
che è stato fatto a Risham potrebbe essere fatto
anche a voi.»
«Dovremo
essere più accorti del solito, fratello.» disse Altair
«Ne sono
consapevole.»
«Ora però pensiamo a preparare bene la missione. Altair, che
cosa hai scoperto dalle tue indagini?»
«Le
guardie di Jahal sono estremamente fedeli al loro
signore. Si è assicurato la loro fedeltà con ingenti
donazioni, usando i soldi prelevati indebitamente dalle casse della città.
Il cambio
di turno avviene alle tre del mattino, e per un breve periodo
di tempo si crea una falla che permetterebbe di introdursi nel palazzo
senza essere visti. Il muro a ovest è facilmente scalabile e c’è una finestra
che può essere facilmente aperta, perciò entrare da lì
sarebbe abbastanza facile.»
«Quanto
tempo avremo per riuscire ad entrare senza far
scattare l’allarme?» domandò Kahled
«Due minuti al massimo. Una volta dentro, percorreremo tutto
il corridoio fino ad una terrazza che dà proprio sul
cortile interno. Una volta lì lo dovremo percorrere in tutta la sua lunghezza,
e dalla parte opposta, circondato da un muretto non troppo alto, troveremo il
museo.»
«Sembra
tutto troppo facile.» commentò ironicamente Mira «Sento che c’è un ma in
arrivo.»
«Il ma è che il cortile è pesantemente e pericolosamente esposto.
Alte mura lo circondano a est e a ovest, e sono sorvegliate da arcieri. Anche
correndo il più velocemente possibile dubito che
arriveremo laggiù prima che il cambio della guardia sia ultimato.»
«In altre
parole» disse Kahled «Sarebbe come disegnarsi un bersaglio in mezzo alla
fronte.»
«L’oscurità
indubbiamente potrebbe esserci d’aiuto, ma il rischio di essere individuati non
è indifferente.»
«Non
abbiate di che temere» intervenne Samir «Credo di avere ciò che fa per voi».
Il Rafiq
tirò una statuetta appoggiata alla sua scrivania, e immediatamente una delle
librerie girò su sé stessa assieme ad una porzione del
pavimento, rivelando uno scomparto segreto contenente un vero e proprio
arsenale: pugnali, balestre, archi, spade, bracciali e, più importante di
tutto, una coppia di tuniche completamente nere un po’ diverse da quelle
canoniche, simili più che altro a dei soprabiti.
Samir ne
prese una, mostrandola ai suoi tre sbigottiti subalterni.
«Un nuovo modello. L’ho inventato io. Leggero e resistente,
e permette di muoversi con estrema discrezione nell’oscurità, anche negli
ambienti più ristretti. Inoltre…».
Rimesso
l’abito sul suo attaccapanni, il Rafiq raccolse uno strano oggetto a forma di L
con due lunghe canne da cui spuntavano le punte di altrettanti paletti di
metallo, e al punto d’incrocio tra le canne e l’impugnatura, sulla parte
inferiore vi era un grilletto simile a quello delle balestre, su quella
superiore invece una sorta di cilindri che avevano l’aria di poter essere mossi
avanti e indietro.
Vedendo
le espressioni dubbiose dei tre ragazzi Samir sorrise di soddisfazione, e
puntata la sua strana arma verso il cappotto servendosi di una sola mano spinse
il grilletto: si udì come uno schioppo, un rumore secco e sordo, i cilindri
mobili si spostarono violentemente in avanti e i due paletti saltarono via dal
loro alloggio, schizzando a folle velocità contro la veste.
«Stra… straordinario.» disse Kahled
«E non è
ancora finita».
Con aria
molto soddisfatta Samir esibì la parte interna del soprabito, dimostrando che i
paletti, anche se lanciati da vicino, lo avevano oltrepassato solo in minima
parte, e allora lo stupore dei tre Assassini divenne incontenibile.
«Ma come…
come è possibile!?» disse Altair
«Una piccola accortezza contro i casi di emergenza. Tra i
due strati della stoffa è stata inserita una maglia metallica ad anelli, in
grado di fermare efficacemente l’azione di quasi ogni arma ad
oggi conosciuta. Solo i colpi lanciati da vicino possono essere pericolosi,
oltre naturalmente a quelli portati alla testa.»
«Di
sicuro ci sarà molto utile.»
«E
quell’arma che hai usato?» domandò Kahled
«Un’altra mia invenzione. Sfrutta un sistema ad aria
compressa. Ho preso ispirazione dai progetti di Ctesibio,
uno scienziato alessandrino, e da quelli di Archimede. Quando si preme il grilletto la valvola di sfogo viene attivata, i cilindri
mobili si spostano violentemente e la pressione dell’aria fa partire i paletti.
Per garantire una riserva minima di colpi ho collegato le valvole a due diversi
sistemi a scatto: una lieve pressione sul grilletto fa partire solo il paletto
di destra, premendo a fondo invece partono entrambi.
È
flessibile come un arco e precisa come una balestra, ma a differenza di
quest’ultima richiede solo pochi secondi per poter
essere ricaricata.»
«Che
distanza possono raggiungere?»
«Se è la
precisione che cerchi, più o meno i settanta metri,
anche cento con il vento a favore. Ne ho creata anche una versione più piccola
e discreta da montare su un bracciale, ma è monocolpo,
e non andiamo oltre i venti metri.»
«Davvero
sorprendente.» commentò Altair «Perché non hai mai
mostrato tutte queste cose al Maestro? Potrebbero divenire parte dell’arsenale
degli Assassini.»
«Scherzi!? Questi non sono giocattoli. Ctesibio
e Archimede li hanno progettati, ma non hanno mai osato costruirli per timore
della loro pericolosità. Anche io a suo tempo la
pensavo come te, ma vedendo di che cosa sono capaci ho capito che non è il
genere di arma da mettere in mano al primo idiota che indossa una veste
bianca.»
«Potresti
prestarcela?» domandò Kahled «Gli abiti scuri ci saranno molto utili, ma se
dovessimo essere scoperti servirà molto più del
necessario per uscire vivi da lì».
Samir si
mostrò molto dubbioso al riguardo, e lì per lì fu sul punto di negare il
permesso, poi però, spronato anche dallo sguardo da cucciolo supplichevole di
Mira, si lasciò convincere.
«E va’ bene. Ma sarà Altair a
portarla. Senza offesa Kahled, ma mi fido molto di più di lui che di te.»
«D’accordo. Dopotutto, il Rafiq sei tu.»
«Tu Mira prenderai la versione da bracciale, nel caso
dovessi trovarti in difficoltà. Ad ogni modo, anche se non metto in dubbio la
vostra abilità, vi invito a fare la massima cautela.
Il
successo di questa operazione sarà dettato dalla
vostra abilità di operare come una squadra. Ognuno di voi dovrà svolgere il
proprio ruolo, e una eventuale attenzione rischierebbe
di compromettere ogni cosa in un letale effetto a catena.
Avrete a
disposizione un solo tentativo per portare a termine l’incarico,
quindi mi sembra evidente che non c’è spazio per eventuali errori, ci siamo
capiti?»
«Sì,
Rafiq.» risposero in coro i tre
«Molto bene. Preparatevi. Entrerete in azione stanotte».
Conclusa quell’ultima riunione tattica Mira si preparò a
fare ritorno al palazzo; da qualche tempo era entrata a far parte della cerchia
delle favorite del califfo, ottenendo tra le altre cose un proprio alloggio
personale, il che le permetteva di muoversi in una certa libertà, ma sapeva
bene che tutte le sere ad una data ora Jahal faceva visita a lei e a tutte le
sue parigrado, e non farsi trovare sarebbe potuto costarle molto caro, per non
parlare del rischio per la copertura.
Uscita in
cortile fece per andarsene, ma prima che potesse farlo Kahled la raggiunse.
«Mira
aspetta!»
«Che c’è? Te l’ho detto che devo rientrare. Se arriva alle
mie stanze e non mi trova per me saranno guai seri.»
«Lo so. È solo che, con tutto quello che è successo, non ho
avuto il tempo… ecco… di complimentarmi con te.»
«Complimentarti?! Per cosa?»
«Beh, per la missione. Ieri sera abbiamo fatto un buon
lavoro di squadra, non sei d’accordo?»
«Se
quello che ci ha detto Risham era vero» rispose lei
con uno sguardo leggermente astioso «Non c’è nulla di quella missione per il
quale dover essere felici.»
«Già, hai
ragione.» disse lui visibilmente imbarazzato
«Scusami».
Mira,
vedendolo così mortificato, parve addolcirsi.
«Però» disse con il suo solito tono pungente «Devo ammettere
che ti sei rivelato migliore di quanto mi aspettavo. Pensavo di doverti fare da
balia, invece hai saputo cavartela da solo.
E poi
quel tuo piano è stato ingegnoso, bisogna riconoscerlo, anche se prima o poi te la farò pagare per avermi costretta a
strisciare nel fango. Hai idea di quanto ci ho messo per togliermelo dai
capelli?»
«S… sì. Ti chiedo… ti chiedo
scusa.»
«E dacci un taglio con quel tono. Mi pari un servo sorpreso
a scappare».
Kahled
era chiaramente e terribilmente nervoso, e se da una parte sembrava cercare un
modo per proseguire la conversazione dall’altro sembrava essere sul punto di
scappare.
«Ti ricordi… ti ricordi della prima volta che abbiamo
lavorato insieme? Erano i tempi dell’addestramento. Un Assassino d’alto rango
ci aveva ordinato di pedinare la sua vittima per conoscerne gli spostamenti.»
«E tu per
poco non ti sei fatto scoprire, e tutto per aver voluto stendere un bottegaio
ubriaco che accusava un bambino di avergli rubato una mela.»
«Già. Hai ragione.»
«Ma
d’altra parte» disse Mira facendosi di nuovo più dolce e gentile «Immagino sia
questo che ti rende un Assassino così speciale».
Kahled
quasi svenne nel sentirsi rivolgere un tale complimento, e di nuovo dopo tanto
tempo sentì riaffiorare quello strano batticuore che più di una volta lo aveva
colto quando loro due erano rimasti soli.
«Beh, ora devo proprio andare.
Vedete di
non combinare guai voi due, perché non mi sarà
possibile tirarvene fuori».
Mira fece
per andarsene, ma di nuovo Kahled la fermò
«Cerca di
fare attenzione».
Lei parve
molto sorpresa, e per un attimo fece per sollevarsi il bavero, così da poter
nascondere il proprio rossore.
«Da quando in qua ti preoccupi per me? Ti sta forse venendo
la febbre?»
«Non è
uno scherzo!» replicò quasi urlando Kahled, più veemente e preoccupato che mai «Sarai tu a dover uccidere Jahal. Non dimenticare quello che
ha fatto a Risham. Cerca di essere molto prudente».
La
ragazza tornò sui suoi passi, e i due, trovatisi viso a viso,
si guardarono a lungo, poi lei, sorridendo, gli passò un indice sulla guancia.
«Anche
tu.» disse, poi, con solo un paio di balzi, raggiunse il tetto, da cui fece un
cenno di buon augurio al suo amico, e vedendola scomparire Kahled, che pure si
sentiva rassicurato dalla consapevolezza che si trattava di una formidabile
guerriera, fu colto da un sinistro ed inquietante
brivido alla schiena.
Non
sapeva perché, ma aveva la sensazione che ci fosse qualcosa di profondamente
strano nella situazione che stavano vivendo; non sapeva cosa, ma una voce
misteriosa sembrava volerlo metterlo in guardia: nulla andava mai come
preventivato, e sentiva dentro di sé che sa qualcosa fosse andato storto Mira
avrebbe potuto trovarsi in grave pericolo. Pregò il cielo di sbagliarsi.
E venne nuovamente la notte, ma stavolta Baghdad non era
più la città tranquilla e sopita nel sonno di ventiquattro ore prima.
L’assassinio
dell’informatore Risham aveva messo in allarme il
califfo, e le strade erano ora percorse ininterrottamente da pattuglie di dieci
o più guardie armate di tutto punto, e i tetti erano sorvegliati da arcieri.
Altair e
Kahled questo inconveniente lo avevano ampiamente
previsto, e nel corso di tutta quella giornata non avevano fatto altro che
saltare da un tetto all’altro alla ricerca della via che permettesse allo
stesso tempo di muoversi rapidamente e di evitare quanto più possibile gli
scontri.
Ben
protetti dalle loro nuovi uniformi nere, che come
predetto da Samir permettevano loro di risultare pressoché invisibili nell’oscurità
della notte, raggiunsero in un tempo ben minore di quello che avevano
preventivato l’ultima linea di edifici che davano sulla parte occidentale del
palazzo, una costruzione alta e possente non protetta da alcun tipo di muraglia
nella parte frontale e per buona parte di quelle laterali, ma con un alto muro
di cinta a circondare interamente il cortile posteriore.
Kahled
aveva suggerito di approfittare del cambio della guardia per percorrere le mura
ed arrivare così al museo senza dover affrontare il
pericoloso tragitto attraverso il giardino, oppure per calarsi all’interno del
giardino stesso senza dover entrare nel palazzo, ma Altair, che pure aveva
tenuto a mente tali eventualità, interrogando la guardia ubriaca aveva appreso
che i soldati di ronda sul muro di cinta seguivano un orario diverso da quello
del resto della guarnigione, e che il loro turno durava per tutta la notte,
quindi sperare di passare da lì senza essere visti era pura utopia.
Appena
furono di nuovo in strada i due fratelli corsero a
nascondersi dentro ad una rientranza che Altair aveva notato nel corso del suo
sopralluogo, sfuggendo alla vista della pattuglia che percorreva senza sosta il
grande viale che girava tutto intorno al palazzo, quindi si misero in attesa.
«Quando sentiremo il segnale, dovremo scattare come fulmini.
Fai attenzione ad alcuni appigli, perché potrebbero cedere, e se ripassa la
pattuglia ricordati di rimanere immobile.
Mi hai
capito?».
Suo
fratello però non poteva sentirlo: i suoi pensieri in quel momento erano
altrove, su Mira, e lui sentiva di essere indicibilmente preoccupato per lei.
Quella sensazione che gli aveva attraversato le ossa subito dopo che si erano separati lo aveva tormentato per tutto il giorno, e
sapendola lì dentro da sola, senza nessuno a guardarle le spalle, sentiva un
vento gelido soffiargli sul cuore.
«Kahled,
mi stai ascoltando?»
«Cosa!? Sì, scusami. Ero soprapensiero».
Altair
capì subito il motivo di un tale comportamento, e cercò di porvi rimedio.
«Non aver paura. La conosci Mira, è una ragazza con la testa
sulle spalle. Vedrai che se la caverà egregiamente, come ha sempre fatto. Ma
noi dobbiamo fare la nostra parte se vogliamo che tutto vada bene, e per
riuscirci dobbiamo essere lucidi.»
«Sì, hai ragione. Non accadrà più.»
«Rivolgi
a lei i tuoi pensieri, se questo ti aiuta a trovare la forza, ma fai in modo
che sia tu ad avere il controllo su di loro, e non viceversa.»
«Ho capito. Farò come dici».
In quella tre brevi colpi di gong in rapida successione
annunciarono il cambio della guardia, e accertatisi che la pattuglia fosse
ancora lontana i due fratelli cominciarono a scalare le mura del palazzo il più
velocemente possibile.
A metà
strada dovettero fermarsi, per evitare che le guardie sotto di loro potessero
scoprirli, e di nuovo si videro costretti ad esitare
non appena ebbero aperto la finestra perché Altair, servendosi di uno
specchietto montato su di un’asticella, si avvide dell’arrivo di un soldato, e
subito fece cenno al fratello, che lo seguiva a pochi passi, di immobilizzarsi
nuovamente.
Per
fortuna non accadde nulla, e appena ebbero nuovamente la strada sgombra i due finalmente entrarono, ritrovandosi in un
grande e sfarzoso corridoio pieno di vivai e ogni altra sorta di oggetto
d’arredo.
«Non
credevo che sarebbe stato così facile.» commentò Kahled quando fu di nuovo coi piedi per terra
«Sono d’accordo, entrare non è stato un problema, speriamo
solo che i problemi non arrivino quando dovremo uscire. Da questa parte».
Nello
stesso momento, in un’altra ala del palazzo, tre guardie sorvegliavano
diligentemente il grande portone oltre il quale stavano le stanze private del
califfo, quando una giovane ancella sopraggiunse da un arco laterale recando in
mano un vassoio con sopra una coppa, una brocca probabilmente d’acqua e un
contenitore di erbe. Dapprima i soldati non si scomposero, poi però, quando
poterono vedere bene in volto la ragazza, si fecero un
po’ più accorti.
«Che cosa
ci fai qui?»
«Sono
venuta a portare la medicina al padrone.»
«Dov’è
l’altra serva?»
«Ha preso una brutta malattia. C’era pericolo che potesse far
ammalare il nobile Jahal, così è stato ordinato a me di prendere
il suo posto».
Il capo
delle guardie, ciò nonostante, non sembrava eccessivamente convinto, e
seguitava a guardare la ragazza con sguardo sospettoso.
«Mostrami
l’autorizzazione».
Lei
allora, senza alcun problema, prese da dentro il corpetto un
pezzo di carta firmato dal capitano delle guardie di palazzo in cui veniva
detto che effettivamente l’ancella incaricata solitamente di svolgere
quell’incarico era impossibilitata a muoversi dal letto, e che pertanto la
presente Mira era autorizzata a prenderne il posto fino a quando la sua
compagna non si fosse ristabilita.
Il
soldato lesse attentamente il comunicato, e finalmente si convinse.
Mira tirò
segretamente un sospiro di sollievo, riuscendo a
nascondere le sue vere emozioni con la propria freddezza di Assassina: la
falsificazione di documenti non era mai stata la sua specialità, ma stavolta
sembrava aver funzionato.
«D’accordo entra, ma non metterci troppo. Il padrone ha
avuto una giornata molto impegnativa, e ha bisogno di molto riposo per
rimettersi in forze.»
«Prometto
che impiegherò il minimo indispensabile».
Una delle
due guardie aprì il chiavistello, le porte si aprirono
leggermente e Mira poté entrare, poi, accertatasi che fossero state
completamente richiuse, si guardò intorno per sondare l’ambiente: gli
appartamenti erano davvero enormi, un insieme intricato di varie stanze
collegate tra di loro da grandi archi e piene all’inverosimile di ogni
possibile arredo in grado di ostentare sfacciatamente potere e ricchezza, dai
tappeti dell’Anatolia alle statue classiche, dai vasi in vetro e in terracotta
dell’India alle pergamene cinesi, dagli arredamenti barbari dei popoli della
steppa ai mascheroni etnici dell’Africa Nera, tutte cose che avevano anche la
funzione di testimoniare la grande esperienza del nobile Jahal in termini di
viaggi e spedizioni nei più remoti angoli della Terra compiuti come emissario
del Sultano.
Dalla
parte opposta all’ingresso, dopo in vasto soggiorno, c’era la camera da letto, e malgrado lì dentro regnasse un’oscurità
quasi totale, solo in parte mitigata dal fuoco di alcune torce, Mira vi arrivò
velocemente e in silenzio: aveva visitato quei posti mille volte, esercitandosi
quando poteva al momento in cui avrebbe dovuto fare ciò che stava facendo in
quel momento, e nulla di ciò che c’era lì dentro, neanche il più piccolo
dettaglio, le era ignoto, anche perché aveva setacciato ogni possibile nascondiglio
migliaia e migliaia di volte alla ricerca, purtroppo vana, della Parola di
Allah.
Posato il
vassoio su di un tavolino, Mira recuperò un pugnale lungo e sottilissimo che
aveva nascosto tra i suoi lunghi capelli, quindi si avvicinò molto lentamente
al grande letto a baldacchino: Jahal dormiva come un bambino, completamente
avvolto nelle sue morbide coperte in piuma d’oca per proteggersi dall’impietoso
freddo delle notti desertiche, e non aveva la minima idea di quello che stava
per accadergli.
Raggiunto
il letto, Mira si guardò un attimo intorno, giusto per effettuare
un ultimo controllo, e forse rammentandosi delle prime volte in cui aveva fatto
cose del genere, quando aveva paura che i battiti furiosi del suo cuore
potessero farla scoprire, recitò mentalmente le preghiere di rito rivolte
all’anima che stava per liberare dai suoi vincoli terreni, poi, fulminea,
colpì.
Un solo
colpo, dritto alla gola, per una morte istantanea e priva di sofferenze, come
si confaceva al codice degli Assassini.
Tuttavia,
subito, qualcosa la colpì, o meglio, la terrorizzò: non una goccia di sangue
sgorgò dalla ferita che aveva appena inflitto, e il corpo di Jahal non fu
minimamente attraversato dai violenti spasimi che seguono alla morte
improvvisa.
Un
pensiero orribile le attraversò la mente quando, ritratto il pugnale, trovò la
lama ancora lucida e scintillante, e tolte violentemente le coperte
i suoi timori si fecero tremendamente reali: aveva appena tolto la vita
ad un innocuo fantoccio di stracci.
Il cuore
di colpo fece sentire il suo battito, e prima di potersi guardare nuovamente
attorno per capire quanto tempo avesse per fuggire una mano sbucò da sotto il
letto, afferrandole la caviglia e tirando con violenza.
La
ragazza, colta completamente di sorpresa, cadde, e nel giro di un istante
quattro guardie sbucate dai nascondigli più impensabili le furono addosso,
immobilizzandola; due di esse, afferratele le braccia, la costrinsero in
ginocchio rivolta verso la finestra, una terza le afferrò i capelli e la quarta
le puntò la sciabola alla gola.
«Non deve
essere molto piacevole» disse di colpo una voce famigliare, profonda e
apparentemente gentile, ma velata da una punta di
freddo e malvagio sarcasmo «Sapere di essere stati raggirati».
Dalla
terrazza, vivo e vegeto come non mai, uscì Jahal Alì
Falahda, califfo di Baghdad, uomo di fiducia del sultano Ahmed Sanjar.
Abbastanza
alto e piuttosto avanti con l’età, era completamente pelato, e il più delle
volte, nelle occasioni pubbliche, era solito nascondere questa spiacevole
menomazione con vistosi copricapo. Gli occhi, neri,
rispecchiavano uno spirito arguto, abituato a muoversi tra intrighi e
complotti, e addestrato a sfruttare ogni più piccola sottigliezza a proprio
vantaggio. La bocca, piegata in quel suo famoso e sarcastico sorrisetto, era
contornata da una barbetta scura terminante in un leggero pizzetto.
Ma più di
tutto, fu ciò che il califfo teneva in mano ad attirare negativamente
l’attenzione di Mira, perché qualcosa dentro di lei le diceva che era ciò che
Kahled e Altair erano andati a cercare al museo.
Aveva la
forma di un cubo, grande una decina di centimetri per ogni lato, fatto di un
materiale molto strano, come una pietra blu estremamente
grezza e ruvida, ed era ricoperto su tutta la sua superficie di strane incisioni
che Mira non riconosceva come appartenenti a nessuna lingua o codice che le
fosse mai capitato di conoscere.
«Vero,
Assassina?».
Lei si
agitò, nel vano tentativo di liberarsi, ma fu tenuta inchiodata in ginocchio
dai suoi aguzzini.
«Che c’è,
sei sorpresa? Dì la verità, non ti saresti
mai aspettata niente del genere.
Purtroppo
per te, sapevo chi eri prima ancora che tu entrassi in questo palazzo. Ho
aspettato molto a lungo che tu e gli altri cani di Masyaf
faceste la vostra mossa, e alla fine, proprio come immaginavo, siete caduti
nella mia trappola».
Notando
lo sguardo di Mira soffermarsi continuamente sul cubo che aveva in mano, Jahal
sorrise ancor più vistosamente.
«Fammi indovinare. Era questo che stavate cercando.
A quanto
pare ho sottovalutato quella vecchia volte di Hasan-i Sabbah. E dire che lo
credevo morto da tempo, ma a quanto pare il Profeta
non si è ancora deciso a prendere la sua vita. Probabilmente quel vecchio pazzo
non è gradito neppure al cielo.»
«Non
offendere il Maestro, blasfemo!»
«Hai uno spirito battagliero, Mira. L’ho capito appena ti ho
vista. Dalle nostre parti le tigri d’oriente sono una
merce rara. E dire che saresti potuta arrivare lontano, se solo avessi mostrato
un briciolo di buon senso.
Saresti
potuta diventare una delle mie donne predilette, avresti
avuto potere e ricchezze.»
«Essere la tua schiava per tutta la vita e il tuo giocattolo
da rigirare nel letto? Piuttosto la morte!»
«Ah, che testardi che siete voi assassini. Ma non fa niente. Presto non avrà più alcuna importanza».
In quella
uno dei tre soldati che sorvegliavano gli appartamenti del califfo si presentò
in camera da letto.
«Mio signore. Gli Assassini sono arrivati, e non sospettano
niente. In questo momento sono nel cortile»
«Molto bene. Procedete.»
«Come
desiderate».
Mira
sentì un brivido freddo, il terrore si impadronì di
lei, e per un attimo le venne da gridare il nome di Kahled, senza sapere
perché.
«Ti
consiglio di rivolgere preghiere per i tuoi amici, perché tra poco saranno
morti».
Come detto dal soldato, Altair e Kahled, ignari di tutto,
si erano da poco incamminati lungo il giardino, correndo il più velocemente
possibile per poter arrivare al museo prima che avesse
termine il cambio della guardia, ma quando erano praticamente al centro della
vasta zona verde una mano invisibile accese una torcia appoggiata al muro, e
grazie ad un ingegnoso sistema di vaschette piene di olio che correvano lungo
tutto il muro e sui bordi dei viali sassosi nel giro di un secondo l’intero
cortile venne illuminato a giorno da interi fiumi di fuoco.
I due
fratelli, colti del tutto alla sprovvista, si immobilizzarono.
«Ma
cosa…» disse Altair, e un istante dopo i soldati sulle mura, che sembravano
dapprincipio non essersi minimamente accorti della presenza di
intrusi, si girarono verso di loro con le armi già in pugno, e subito
una pioggia di frecce si abbatté sui due.
Altair e
Kahled riuscirono a mettersi in salvo nascondendosi rispettivamente dietro una
colonna e all’interno di un gazebo di pietra, ma per la posizione sopraelevata
in cui si trovavano i loro aggressori nessun posto si
sarebbe potuto considerare sicuro.
«Maledizione,
era tutta una trappola!» disse Kahled.
Seguirono
numerose altre raffiche di frecce, poi le sentinelle, sguainate le spade, si
lanciarono urlando giù dalle mura, e contemporaneamente un altro nutrito gruppo
di guardie usciva nel cortile dall’interno del palazzo già pronto alla lotta.
Rapidamente
i due fratelli si portarono schiena contro schiena, e prese il via un furioso
combattimento che aveva come fine ultimo per loro la mera sopravvivenza; dovevano essere trenta o più i soldati lanciati contro di
loro, ma ciò nonostante gli Assassini riuscirono a resistere, avvalendosi tanto
della superiore esperienza quanto del perfetto gioco di squadra, che già altre
volte in passato erano stati costretti ad utilizzare e che avevano con il tempo
affinato.
«Così non
va’, dobbiamo trovare il modo di defilarci!» disse
Altair.
Voltatosi,
si accorse che il fratello era rimasto isolato, e che una guardia si preparava
a colpirlo alle spalle; senza esitazioni, prese dalla cintura la nuova arma
ricevuta da Samir, e premuto il grilletto centrò il potenziale omicida in mezzo
alla fronte e direttamente in bocca, facendogli letteralmente esplodere la faccia.
La vista
di quell’oggetto terrificante spaventò i superstiti, che ebbero un momento di
esitazione.
«È il momento Kahled! Andiamocene!»
«Aspetta! Non possiamo abbandonare Mira!».
Altair,
ricaricata l’arma con i due paletti di riserva, sparò ancora una volta,
riuscendo ad aprire finalmente un varco verso la salvezza, ma
Kahled non sembrava intenzionato ad abbandonare il campo.
«Altair!»
«Mira sa quello che fa! Dobbiamo andarcene subito, o sarà
stato tutto inutile!».
Kahled
non volle neanche pensare all’eventualità che Mira potesse essere realmente
morta, ma alla fine, volendo anzi convincersi che fosse già riuscita a
scappare, si risolse a seguire il fratello, e insieme i due, arrampicatisi
sulle mura, saltarono immediatamente di sotto, attutendosi la caduta con le
fronde di alcune palme, per poi scomparire rapidamente fra i vicoli di Baghdad.
La
notizia della loro fuga arrivò rapidamente alle orecchie di Jahal, che ancora
attendeva nelle sue stanze assieme alla prigioniera.
«Mi dispiace, mio signore. Sono riusciti a scappare».
Mira tirò
un nuovo sospiro di sollievo, Jahal invece non si
scompose più di tanto.
«Non fa niente. Li andremo a prendere noi.» poi guardò Mira
«E sarai tu a portarci da loro».
Il cubo
che il califfo teneva in mano cominciò a quel punto ad
emanare una strana ed inquietante luce azzurra, e dalla sua superficie
cominciarono a sollevarsi, come in una scatola cinese, tanti piccoli cubetti di
uguale dimensione, che rimanevano attaccati al corpo centrale per mezzo di uno
solo del loro sei lati.
Mira capì
subito che cosa aveva in mente di fare quell’uomo, e per nulla al mondo glielo
avrebbe permesso; lei era un Assassina, aveva faticato per diventarlo, e non
avrebbe mai e poi mai tradito la confraternita, quella stessa confraternita che disobbedendo alle sue stesse regole
l’aveva accolta offrendole una nuova esistenza.
Sarebbe
morta, sarebbe sicuramente morta, ma non avrebbe
percorso da sola la via che conduceva all’altra vita.
Guardò a
terra: il coltello con cui aveva cercato di uccidere Jahal era ancora lì, mezzo
nascosto sotto un comodino. Usando tutte le forze a sua disposizione riuscì
finalmente a liberarsi, anche se sapeva che sarebbe stato solo per pochi
secondi, e afferrata l’arma la lanciò gridando verso
il suo nemico.
Il
coltello viaggiò veloce come il vento, conficcandosi proprio nel cuore di
Jahal, che ebbe una violenta contrazione all’indietro e si piegò in posizione
fetale, ma che poi, tra lo stupore e lo sgomento più totali
di Mira, tornò a rivolgere verso di lei il proprio sguardo sprezzante e sicuro
di sé.
La
ragazza venne nuovamente immobilizzata, e Jahal le si
avvicinò.
«Sorpresa!?» disse sorridendo.
Mira non
voleva credere ai propri occhi, ma ciò che rimaneva del suo raziocinio le disse
che tutto ciò stava accadendo veramente quando vide Jahal togliersi di sua mano
il coltello dal cuore e buttarlo a terra intriso del suo sangue per poi
scoprirsi il petto: la ferita, sicuramente mortale, scomparve nel giro di pochi
secondi, come neanche il più miracoloso dei ritrovati medici avrebbe saputo
fare, senza oltretutto lasciare la benché minima traccia.
«Ora lo capisci? Capisci il grande potere che alberga
all’interno di questo oggetto?
Chiunque
lo possieda è dotato di un potere senza eguali. Non deve temere dolore né
malattie, né ferite né morte. Può controllare il cielo e la terra, le menti e i
cuori.
È un
potere… un potere divino.»
«È un
potere diabolico!»
«Scommetto che anche quell’ottuso del tuo maestro pensava la
stessa cosa. Sarà per questo che vi ha ordinato di
strapparmelo. Ma a differenza di quanto ho fatto io,
ha sottovalutato il suo immenso potere.
Non so da
dove venga, o chi lo abbia realizzato. Non so neppure se appartiene a questo
mondo. Lo trovai nel corso di uno dei miei viaggi, nascosto nel fitto delle
foreste dell’India, all’interno di un tempio risalente alle origini della vita,
e capii subito di cosa poteva essere capace.
Chi lo
stringe nelle proprie mani può comandare tutto il creato. Può essere… un dio.»
«La
divinità non è un concetto che appartiene alla nostra esistenza.»
«Questo è un concetto superato. Ciò che hai visto dovrebbe
avertene dato la prova.
Ma ora il tempo delle parole è finito. Ho ancora molte cose
da fare prima di poter sedere sul trono degli dèi, e per compiere la prima della
lista mi serve il tuo aiuto.»
«Scordati che ti aiuterò. Io non sono come quel novizio. La
mia volontà è più forte della sua, e soprattutto io non ho paura.»
«Questo
lo vedremo!».
Il cubo
divenne ancor più luminoso, e istantaneamente le due guardie che tenevano Mira
per le braccia si coprirono gli occhi. Lei, vedendoselo avvicinare al volto,
tentò di distogliere lo sguardo, ma la terza guardia la costrinse a tenere il
volto sollevato tirandole i capelli, e contemporaneamente anche lui chiuse gli
occhi.
«Guardalo!».
La luce
divenne fortissima, e Mira se ne sentì istantaneamente avvolgere: era una luce
calda, addirittura accogliente, ma la malvagità che albergava al suo interno
era impossibile da definire. In un attimo rivide la sua vita, tutto ciò che era
accaduto, e tutti quei ricordi che a fatica era
riuscita a rimuovere le si palesarono di colpo davanti agli occhi.
Rivedeva sé stessa da bambina, in quel terribile giorno, quando il
suo villaggio era stato dato alle fiamme; vedeva i suoi genitori e i suoi
fratelli trafitti da mille frecce o sventrati dalle spade, vedeva sé stessa
rinchiusa in una gabbia, ricordando fin troppo bene il terrore che provava ogni
giorno al calare delle tenebre, quando i possibili compratori se ne andavano,
lasciando spazio ai suoi aguzzini, per i quali si apriva una notte di festa. E
poi le percosse, gli insulti, le umiliazioni, e tutte quelle cose che lei,
addestrata come una giovane guerriera, aveva trovato
così umiliante da aver cercato più volte una morte liberatoria, un privilegio
che le era sempre stato negato.
Catene
invisibili parvero erigersi attorno a lei, serrandola in un abbraccio mortale,
sentì la propria volontà e la propria coscienza venire
meno, asservita totalmente a quella luce, e a colui che la comandava, e a quel
punto tutto divenne nero.
Nota dell’Autore
Eccomi finalmente di
ritorno!^_^
Roba da matti! Due
mesi per riuscire ad aggiornare!
Del resto, ve l’avevo
detto: l’università in questo periodo non mi ha dato tregua, tutti i giorni
uscivo alle sette per tornare dodici ore dopo, e come ciliegina sulla torta ho
avuto da preparare due esami niente male, ma ora quel periodo maledetto è
finalmente finito, e per me si aprono le porte di due mesi tutto
sommato accettabili (il tutto condito dall’attesa per Assassin’s Creed II e Bloodlines).
Da questo momento in
poi prometto di fare più presto del solito, anche perché la mia aspettativa sarebbe di concludere prima del famigerato 19
novembre, dopo del quale sono abbastanza certo di veder sparire tutti gli
appassionati di questa sessione, troppo impegnati a contemplare altro
(scherzo^_^).
Ringrazio come sempre
Saphira ed Elika, alle
quali chiedo anche scusa per questa mia lunga e incresciosa assenza.
A presto!^_^
Carlos Olivera