Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: MystOfTheStars    07/11/2009    3 recensioni
Fiction ispirata alla storia di "Prophet of the Last Eclipse" di Luca Turilli.
Kurogane è il giovane principe del regno di Suwa, dove la vita scorre pacifica, adombrata solo da una funesta profezia: un giorno, da oltre le stelle, arriverà qualcuno che porterà morte e distruzione.
Tuttavia, la leggenda nulla dice su chi esso sia, e sul legame che potrebbe instaurarsi tra lui e il principe, destinato a fronteggiare la minaccia.
Genere: Romantico, Science-fiction, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ashura Oh , Altro Personaggio, Fay D. Flourite, Kurogane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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@ Gloglo_96 : sì, il grosso problema di Fay è che non ha autodeterminazione. Cioè, lui prova ad autodeterminarsi, ma Kurogane lo stronca. Ma va bene così... visto che poi Fay ci guadagna soltanto - ciò detto, il metodo di Kuropin è discutibilissimo ù_ù, ma d'altronde lui è così.

@ Mistral: figurati! :)  La canzone "Black Realms Majesty" è di Fay, semplicemente. Del resto, Fay non è un depresso con tendenze suicide, ha sempre le sue ragioni per voler morire e sono sempre peggiori di quello che Kurogane si aspetta. Io sono dell'idea che nella storia originale, se Kurogane avesse saputo cosa Fay nascondeva, forse ci avrebbe pensato due volte, prima di salvarlo. Ma poi l'avrebbe salvato lo stesso, cocciuto com'è. XD

@ Pentacosiomedimni: "Eheh, ragazzi... Tra Achille e Patroclo... c'era più di un'amicizia" (cit. dalla mia prof. del ginnasio)... ehm. Sì comunque quoto, ci sono tanteeee cose che anch'io avrei voluto vedere accadere nel manga e invece tu guarda devo spendere le notti a scrivere e leggere fan fiction per vederle succedere XD vabbeh vabbeh!



Eccoci all'ultimo capitolo, scritto in parte mentre mi rotolavo, tentando - senza successo - di prendere sonno sul materasso di mattoni del B&B di Lucca...
In realtà, anche se questo è l'ultimo capitolo, siccome questa storia è come i rotoloni regina,  non finisce mai e avrà anche un epilogo.
Suddetto epilogo sarà pubblicato a breve - davvero XD - con alcune note finali sulle canzoni etc. Quindi attendete con fiducia (?).



N.B.: leggere le lyrics della canzone di questo capitolo comporta SPOILERS sul suo contenuto. Beware. ù_ù




X.


PROPHET OF THE LAST ECPLISE



Ascoltatela qui!


Requiem aeternam dona eis Domine:
et lux perpetua luceat eis

Silent see of dark and terror
spare the planet from this terror
white cold moon and Zaephyr's surface
Salva me, Salva me, Salva me...
I will swear I will call my hate
and eternal rage

She's ready to turn off her life's flame
to free all his people from hell
but no... he doesn't want to accept thos solution
prefering to think of how he can escape
Hundreds of them are now coming
"friend" is now an ancient word
there's no place left to hide in this white icy dungeon
no way to survive of the close shadows' fall
shadows' fall...

And so she made her choice
seeing Arkan fooling himself with lost hopes
She left her lover's arms
and crying she started to run away...
to them!

She looked at him praying... "forgive me!"
but he could nost answer at all
she was going to be killed by the mass of those riled
now screaming and trying to stop all their pain
'cause she would have been surely tortured by all of those religion's fools
he was then obliged to shoot at his princess
to avoid the brutality of his now... dead old friends

She was now lying there,dying in a lake of ice and blood
While he, embracing her, was killing them with his red eyes

WHEN HER BLOOD RAN THROUGH THE DARK ICE
THE SURFACE BEGAN TO TREMBLE
QUAKES AND THUNDERS CLASHING EVERYWHERE
THIS IS ZAEPHYR'S TRAGIC DOOMSDAY
WHAT WAS UNREVEALED SO EVEN
TO THE PROPHET OF THE LAST ECLIPSE...
LAST ECLIPSE

No trace of life around
What happened to his ancient town?
He hopes it's not a dream
But it's the sun now lighting him..?





Era difficile distinguere il succedersi dei giorni, a palazzo.
Nei corridoi illuminati dalle fiaccole, si poteva indovinare il passare del tempo dal loro consumarsi.
La regina di Suwa, nel buio che la circondava strisciando fuori dalle ombre negli angoli delle sue stanze fino ad insinuarsi nella sua mente, poteva con difficoltà distinguere la realtà dai sogni.
“La luce tornerà.” disse ad un tratto, le palpebre socchiuse a permettere che i suoi occhi osservassero ciò che solo a lei era consentito di vedere.
Il re la guardò, senza sapere se essere contento o spaventato per quelle sue parole.
“Se ne vuole andare… e finirà per col farlo. – tornò ad aprire gli occhi, sollevandoli sul marito – Te lo avevo detto, che sarebbe passato molto tempo prima del momento in cui avremmo potuto rivedere nostro figlio.”
Un dito sottile, gentilmente posato sulle labbra del re, bloccò sul nascere qualsiasi replica.
“Ma tornerà indietro. La luce tornerà.”
Il re di Suwa chinò il capo, prendendo la mano della regina tra le sue e posandovi un bacio.



Il cielo oltre il passo era nero, ma anche nell’oscurità di quella notte innaturale si potevano scorgere gli sbuffi di neve che, come vapore, si sollevavano dalle cime dei monti per via del forte vento che soffiava.
Dietro di loro, sempre più chiari e distinti, giungevano i rumori dell’inseguimento: i soldati di Kurogane li avevano quasi raggiunti.
Il principe, tuttavia, non si guardava alle spalle; davanti a loro si ergeva il passo, e oltre il passo si trovava la Cometa. Era lì che dovevano arrivare, prima di poter tornare a voltarsi.
Spronò il cavallo finché il percorso non si fece chiaramente troppo impervio per l’animale.
Sotto gli strati di ghiaccio e neve, c’era la frana provocata dall’impatto della Cometa nella valle. Fay ricordava quando l’aveva percorsa in discesa, stringendosi a Kurogane per non perdere l’equilibrio, incerto sulla gambe. Nonostante ora la sua mente fosse satura di ricordi ed immagini del suo passato, e quella frana fosse sepolta sotto tanto gelo, tutto era perfettamente fulgido nella sua mente come se fosse appena accaduto.
Non aveva un pianeta dove tornare: se anche avessero raggiunto la Cometa, dove sarebbe potuto andare? Celes con ogni probabilità era ormai morto, congelato in quello spazio buio e silenzioso.
Avrebbe fatto meglio ad inciampare, quel giorno di tante settimane prima, e non arrivare mai al palazzo di Suwa.
“Tieni.” fece Kurogane, mettendogli in mano le briglie del destriero ed allontanandosi in fretta dal cavallo alla ricerca di un punto in cui neve e ghiaccio non rendessero impossibile la salita.
Fay voltò gli occhi stanchi sulla valle dietro di lui. Poteva vedere i soldati; erano davvero vicini, ormai.
Guardò Kurogane, nervosamente impegnato in quella ricerca senza speranza: non c’era un posto dove nascondersi, nessuna via di fuga in quel labirinto scuro e ghiacciato.
Così, Fay scelse.
A fatica – era esausto, provato dal freddo e dalle emozioni – risalì sul cavallo e lo spronò, lanciandolo al galoppo nella direzione dei soldati.
Non appena sentì il trambusto, Kurogane si voltò, e i loro sguardi si incontrarono.

Mi dispiace davvero, Kurorin… mormorò Fay a fior di labbra.

Kurogane gridò, facendo due passi verso il cavallo e quasi incespicando nella neve, prima di rendersi conto che non sarebbe mai e poi mai riuscito a fermare Fay.
Con orrore crescente, guardò Fay cavalcare verso i suoi uomini.
Quelli, a vederselo venire incontro, avevano lanciato un grido di battaglia ed estratto le spade. Si sarebbero avventati su di lui senza pietà alcuna, impazziti per la paura e il buio e il freddo e la stanchezza.
Poteva già vedere le lame di Suwa calare inesorabilmente sullo straniero per massacrarlo – non avrebbero avuto la pietà di concedergli una morte rapida, lo sapeva per certo.
E Fay, solo, stava cavalcando incontro alla sua morte.
Si ritrovò a stringere in mano la pistola.

C’è energia per un colpo soltanto. Non puoi combattere i demoni con questa.

Non poteva nemmeno combattere i suoi uomini. Maledizione, a che punto erano arrivati, che immaginava di sparare ad uno dei suoi soldati? Ma anche così, non avrebbero desistito… erano troppi perché potesse opporsi, in quel frangente.

…ma puoi usarla su di me, e porre fine a tutto questo una volta per tutte.

Morto io, tutto tornerà come prima.

Avrebbe voluto avere il tempo di imprecare, di urlare a quel cielo nero tutta la sua disperazione.
Ma Fay era sempre più lontano da lui, e sempre più vicino ai soldati.
Sollevò l’arma quasi senza pensarci. Prese la mira automaticamente, come se fosse di nuovo nel bosco vicino alla sua città, ad esercitarsi sui tronchi d’albero.
Premere il grilletto venne di conseguenza, e vedere Fay piegarsi in due sulla sella non fu che l’esito naturale delle sue azioni. Bersaglio centrato.
Quando si permise di comprendere appieno quello che aveva fatto, stava già correndo verso il punto in cui Fay era caduto.

Gantai e gli altri soldati fermarono i cavalli a qualche metro di distanza.
Kurogane era inginocchiato nella neve, e stringeva Fay fra le braccia.
Fino a qualche istante prima, lo aveva sentito muoversi. Gli aveva preso una mano, e le sue dita sottili, per un attimo, avevano ricambiato la stretta.
Ora era immobile, la testa riversa all’indietro.
Sulla neve sotto di loro andava spandendosi una macchia scura, e Kurogane lo sosteneva come ad evitare che affogasse in quel lago di ghiaccio e sangue.
Sangue caldo, che aveva intriso gli abiti di Kurogane; ma, pian piano, il vento gelido si era portato via quel tepore, lasciando il principe a rabbrividire per il freddo.
Gantai e i soldati smontarono lentamente da cavallo, senza però rinfoderare le lame, quasi aspettandosi che lo straniero si risvegliasse, e che richiamasse a sé i mostri.
O forse, si chiedevano se il principe stesso non fosse diventato un demone a sua volta.
Kurogane alzò gli occhi, e le sue pupille scarlatte dardeggiarono su di loro, ferine; emanavano un bagliore sinistro alla luce delle stelle.
“Ce n’è per chiunque osi avvicinarsi più di così.” ringhiò minaccioso, sollevando la pistola che aveva in mano.
Non era vero, ma i suoi soldati non potevano saperlo. Rimasero immobili; alcuni fecero qualche passo indietro, spaventati.
Gli occhi del principe erano asciutti, incandescenti di rabbia.
Il sangue smise di allagare la neve, mentre il cuore di Fay cessava lentamente di battere.
Mentre smetteva di respirare, i tratti delicati del suo viso si rilassarono, levigandogli la fronte e facendo sparire l’espressione di dolore causatagli dall’agonia.

Kurogane pensò che l’aveva stretto tra le braccia in questo modo anche la prima volta che lo aveva incontrato; la vita di Fay era sempre dipesa da lui, fin dal primo giorno. Era stato lo straniero a metterla fra le sue mani, e lui ne aveva accettato la responsabilità.
Forse, a Fay non sarebbe nemmeno dispiaciuto morire a questo modo.
…maledizione!

Un brivido lo scosse, ma non era il freddo.
Non era nemmeno dolore.
Era rabbia, potente rabbia per tutte le cose che erano successe e che lui non aveva potuto impedire. Era una rabbia irrazionale ed istintiva.
Fay era morto, e lui – che più di chiunque altro, perfino più di Fay stesso, avrebbe voluto vederlo vivere – era il suo uccisore.
Alzò gli occhi sui soldati silenziosi, fermi di fronte a lui, fece per alzarsi e per… oh, non sapeva nemmeno lui che cosa aveva intenzione di fare.
Né lo seppe mai.
Improvvisamente, le montagne attorno a loro tremarono, un tremito simile a quello della notte in cui si era schiantata la Cometa, leggermente più lieve, ma continuo.
Mentre sollevavano gli occhi verso il passo, sentirono il boato; migliaia di tuoni scoppiati all’unisono, il cui rombo aumentava inesorabile, mentre la valanga si staccava dalla cima. Sembrava che la montagna stessa crollasse, rovinando verso di loro.
“Principe!”
Gantai aveva afferrato un braccio di Kurogane, tentando di smuoverlo.
“Dobbiamo andarcene!” fece per toccare Fay, ma Kurogane si liberò bruscamente dalla sua presa.
“Maestà, salite!” implorò Gantai, porgendogli le briglie del suo cavallo.
I loro sguardi si incrociarono per un breve istante. In quel momento, nonostante ciò che era successo, gli anni di addestramento e missioni compiute insieme, l’affiatamento che li aveva uniti in tutto quel tempo tornarono a prevalere.
L’attimo dopo, Kurogane era in sella, il corpo di Fay stretto al petto, e aiutava il suo tenente a salire dietro di lui.
Spronarono il cavallo verso la collina dove si erano accampati la notte dell’impatto della Cometa: li aveva salvati dalla frana, avrebbe potuto essere un rifugio anche dalla valanga.
Ma la massa di neve si avvicinava a velocità spaventosa, fischiando e tuonando come un’enorme drago bianco. Erano quasi riusciti ad arrivare alla collina, quando la valanga li raggiunse.
Li prese di striscio – ai lati, al sua potenza era meno dirompente – e mentre la neve lo circondava soffocandolo e trascinandolo con sé nella sua corsa, Kurogane tentò con tutte le sue forze di liberarsi da quella massa gelida.
Tutto divenne prima bianco e poi buio.
C’erano due cose di cui era consapevole: il corpo di Fay, che si stringeva ancora al petto, e la via di fuga che tentava di aprirsi nella neve.
Alla fine, emerse nell’aria gelida, respirandola a pieni polmoni; tentò di aprire gli occhi ma dovette richiuderli subito, improvvisamente accecati dalla luce che illuminava il paesaggio immoto e privo di vita attorno a lui.
Dove’era? Dov’erano i suoi uomini? Dov’era Gantai?
Non capiva se fosse o meno un sogno… ma era il sole che lo stava illuminando?
Alzò gli occhi, doloranti per il gelo e la luce improvvisa, e la prima cosa che pensò fu che le stelle del cielo si fossero avvicinate per osservare quella strana tragedia più da vicino.
Qualcosa di enorme e luminoso incombeva sopra di lui, i contorni lucidi che rilucevano degli stessi bagliori che emanava, la superficie ricoperta e quasi ornata di punti luminosi freddi e scrutatori.
Tutt’ad un tratto, dal buio di quella massa misteriosa, si accese una luce più forte.
Kurogane sentì un rumore metallico e, istintivamente, strinse più forte ancora il corpo di Fay, gelido e ricoperto di neve.
Un’improvvisa esplosione di luce lo accecò, e non ebbe più coscienza di tutto quello che lo circondava; il terreno sotto di lui perse consistenza, l’aria da gelida divenne incandescente, il vento ululò più forte che mai.

Quando i suoi occhi tornarono a vedere, non era più immerso nella neve. Le sue ginocchia poggiavano su qualcosa di liscio e duro.
Sbatté le palpebre, guardandosi attorno, mentre le sue mani scorrevano sul corpo di Fay per accertarsi che fosse ancora lì.
L’ambiente era illuminato da una luce soffusa e tenue; da quel che poteva capire, si trovava in una sorta di corridoio biancastro – Kurogane era certo di non aver mai visto un simile materiale prima d’ora.
Dal nulla, qualcosa si materializzò di fronte a lui e d’istinto il principe mise mano alla spada che portava ancora al fianco (aveva perso la pistola nella neve). Ma la sua mano si fermò sull’elsa.
Davanti a lui fluttuava una fanciulla, le forme aggraziate e minute avvolte in un abito candido.
Kurogane la osservò a lungo, prima di parlare. I piedi della ragazza non toccavano il pavimento, né il suo corpo proiettava alcuna ombra.
“Sei uno spirito?”
La fanciulla non gli rispose, ma si limitò a scrutarlo con espressione vuota. Dopo qualche istante, si fece da parte e iniziò a fluttuare lungo il corridoio, continuando a guardarlo.
Kurogane si alzò, e mosse due passi nella sua direzione, interpretando il gesto dell’altra come un invito a seguirlo. La ragazza si mosse più velocemente, e il principe le andò dietro.

Fay era ormai un pesante fardello immobile tra le sue braccia.
Man mano che camminava, Kurogane lasciava impronte di neve umida dietro di sé. I suoi vestiti zuppi ne erano pieni, così come quelli di Fay, ma al biondo la neve ed il freddo non avrebbero più dato fastidio.

Dopo il corridoio, attraversarono altri ambienti cui Kurogane non tentò nemmeno di dare un nome o di qualificare in qualche modo.
Alla fine, giunsero a quella che sembrava una grande sala dalle pareti ricoperte di pannelli metallici su cui brillavano piccole luci intermittenti.
La ragazza si fermò nel centro, la sua figura immobile e silenziosa.
Ad un tratto, uno dei pannelli si aprì e ne uscì quella che a Kurogane sembrò una spessa cassa di metallo. Senza che nessuno toccasse nulla, il suo coperchio si sollevò.
Si aprì silenziosamente, rivelando un interno color crema, una sorta di giaciglio.
Il principe lo guardò con un interesse distante, assente.
Si chiese se forse non fosse finito all’interno della Cometa.

Se io muoio… la stessa Cometa… lascerà questo pianeta.

Chissà, forse la Cometa si era fermata a raccogliere Fay per portarlo con sé nel suo viaggio tra le altre stelle.
Guardando quella strana cassa in metallo, Kurogane si chiese se non fosse una bara; lunga e stretta, sembrava fatta apposta per adagiarvi un cadavere.
Chinatosi a terra, aprì la fibbia del mantello di Fay, fradicio di neve. Le sue mani indugiarono mentre gli slacciavano la tunica, muovendosi sopra l’enorme macchia rosso scuro che gli tingeva il petto. Sotto, portava una camicia di lana; il foro del colpo era ben visibile, sotto al cuore, il tessuto bruciato e i lembi modellati dal sangue raggrumato.
Le sue dita corsero alla ferita, carezzando per un istante quel torace gelido ed immobile.
Finito di spogliarlo, lo adagiò nella bara. Gli scostò le ciocche di capelli bagnati dal viso, come se li sistemava sempre Fay, pettinandogli con cura un ciuffo dietro l’orecchio.
Mentre le sue dita indugiavano ancora su quella fronte terrea, sentì uno strano rumore, e il coperchio si mosse improvvisamente per chiudersi.
Kurogane ritirò le mani, allarmato e rassegnato allo stesso tempo.
Era il suo addio, allora?
Qualcosa si illuminò, sulle pareti della stanza. Vide linee di luce di svariati colori, sentì strani rumori metallici. E la “bara”, improvvisamente, prese a vibrare; non tremava visibilmente, ma poteva sentirla fremere.
Vi posò una mano: era calda.
Lo spirito della fanciulla era sempre immobile al centro della stanza, lo sguardo vacuo posato sul principe, che tuttavia sembrava essersi dimenticato di lei.
Dopo qualche istante, Kurogane fece un passo indietro e crollò a terra, la testa fra le mani. Non capiva cosa significavano quei rumori, non sapeva dov’era, non aveva la minima idea di quello che gli sarebbe accaduto. Ma soprattutto, niente di tutto ciò gli importava davvero, in quel momento.
Nella sua mente, si accavallavano le immagini di quelle ultime settimane; dei giorni trascorsi da quando aveva incontrato Fay.
La sua diffidenza, mai vinta fino in fondo ma certo sconfitta temporaneamente da quegli occhi e da quel suo corpo sottile tra le braccia.
Il sospetto di Gantai, i suoi dubbi inespressi. La rabbia dei suoi uomini. La sua, verso di loro, verso il cielo, verso Fay. Verso se stesso, che non era riuscito a proteggerlo se non avverando quel suo patetico desiderio.

Hai vinto tu. Adesso vieni a dirmi se ho fatto bene.

Una strana luce gli raggiunse le palpebre attraverso le dita che gli coprivano il viso.
Alzò gli occhi: la “bara” ronzava quietamente, ora.
Lento, il coperchio tornò a sollevarsi.
Kurogane si alzò, sporgendosi al di là del bordo, colto da un’improvvisa agitazione.
Il viso di Fay era cinereo ed imperlato di sudore. Sotto al cuore, la ferita era scomparsa, rimpiazzata da una cicatrice di pelle rosea, che si tendeva leggermente al regolare alzarsi ed abbassarsi del petto.
Prima di rendersi conto di cosa stava facendo, Kurogane si chinò su di lui, afferrandolo per scuoterlo violentemente.
“Svegliati, maledizione!” ruggì.
Non gli passò per la testa che poteva fargli male, o forse non gli importava. Voleva solo che quella speranza convulsa e appena nata non venisse delusa.
Dopo un attimo, Fay aprì gli occhi, mettendo lentamente a fuoco il viso disperato ed adirato a pochi centimetri dal suo.
Un pallido sorriso gli si dipinse sulle labbra, mentre l’altro gli urlava in faccia: “Un’altra alzata di testa così, e ti ammazzo definitivamente!”
Esausto, il biondo reclinò la testa all’indietro, richiudendo gli occhi. La sua mano andò a sfiorare il dorso di quella di Kurogane che gli stringeva la spalla, in una piccola carezza rassicurante.
Il principe, tremante, lo osservò riaddormentarsi, mentre le sue guance riprendevano un leggero colore rosato. Guardò le sue labbra socchiudersi leggermente nel respiro del sonno, e non vide più altro, perché le lacrime improvvisamente gli offuscarono la vista.


  
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