Film > Alexander
Segui la storia  |       
Autore: Barsine    13/06/2005    1 recensioni
Si meravigliò ad accorgersi che il suo tocco un tempo tanto bramato gli provocava un acuto fastidio.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Fianchi rotondi

Fianchi rotondi

Capitolo 5

 

 

 

 

   La luce fioca della lucerna scolpiva i lineamenti affilati e gli zigomi prominenti di Aristandro regalandogli un’aria decisamente inquietante e un sapore sibillino alla sua voce che ben s’addicevano ad un indovino.

Alessandro si era prontamente accomodato su un treppiede alquanto fragile e agitava nervosamente la gamba sinistra, accavallata su quella destra, stringendo le braccia conserte al petto e mangiandosi letteralmente il labbro inferiore.

Per un attimo, il cigolio del treppiede, esasperato dall’agitazione del re, fu l’unico sinistro rumore ad infrangere il grave silenzio che ottenebrava la stanza.

- Ricordi l’ultimo banchetto che avevi organizzato?

Alessandro si passò una mano fra i capelli madidi di gelido sudore riavviandoli all’indietro e corrugò la fronte dilatando le pupille come se dovesse sottoporsi ad un enorme sforzo. La gelida maschera di Efestione era rimasta impressa nella sua mente come marchiata a fuoco e non riusciva a pensare ad altro. – Sì… sì, mi pare di ricordarlo. Sono passate quasi due settimane da allora. Perchè?

Aristandro cercò qualcosa sullo scrittoio e quando sembrò averlo trovato lo svelò da una delle sue estrose mantelline, tinta di porpora ricamata d’oro con motivi arabeggianti.

Alessandro sembrò risvegliarsi da un agitato torpore e scosse la testa rilassando i lineamenti in un amaro sorriso. Tra i soldati correva voce che Aristandro cambiasse la palandrana più spesso che la biancheria.

L’indovino portò l’oggetto alla luce della lucerna.

- Una coppa in bronzo.

- Sì.

- Come mai è qui?

- Questo non ha importanza. Ricordi chi bevve nelle coppe in bronzo?

- Sì, certo. I generali e anche… tu.

- Benissimo. Sai dirmi se oltre al vino avevi ordinato qualche altra bevanda dalla Macedonia?

- Avevo ordinato solo il vino, perché lo prediligo a quello persiano.

- Solo il vino, quindi?

- Solo il vino. – inclinò il capo a sinistra e alzò il sopracciglio destro – Dove vuoi arrivare?

- C’è un enigma che mi turba da qualche giorno a questa parte. Annusa questa coppa.

Alessandro vinse il suo scetticismo e accostò il naso alla coppa. – Quindi?

- Non senti niente?

- Niente.

- Dannazione.

- Ma cosa stai cercando di dirmi?

- E’ qualcosa di strano, Alessandro. Non riesco a spiegartelo bene, ma sento che c’è qualcosa di strano.

Alessandro sbadigliò. – Se è qualcosa di strano, come dici, allora io non posso aiutarti, questa è una cosa che fa per te.

- Non mi credi, eh?

- Ti credo, Aristandro, finora non ti sei mai sbagliato, ma se non mi spieghi quello che senti non potrò mai aiutarti.

- E’ un odore… - i suoi tondi occhi glauchi si alzarono al cielo come se volessero cercare qualcosa d’inconsistente e le sue mani si persero a tracciare cerchi immaginari nell’aria – Non so come dire… qualcosa di inebriante. Qualcosa di dolce, di amaro, qualcosa di energico, di soave…

Alessandro socchiuse gli occhi per cercare di interpretare quegli incerti accostamenti di parole. – Non capisco… forse è qualcosa che solo i sensi straordinariamente affinati di un indovino possono percepire.

Aristandro si bloccò e fissò il re con la bocca spalancata.

- Ho detto qualcosa che non va?

- Sensi affinati… - scandì quelle parole e tenne le pupille ridotte a due puntini immobili su Alessandro come se avesse visto il viso di Zeus in persona sostituirsi a quello del sovrano – I sensi affinati di un indovino… i sensi affinati… aspettami qui, Alessandro. Torno subito.

Alessandro, incapace di immaginare cosa stesse per combinare il veggente e nemmeno tanto interessato a provarci, si abbandonò sul letto e fissò il soffitto sopra di sé. Completamente bianco. Nessun affresco, nessuna decorazione. Aristandro aveva scelto una stanza incredibilmente spoglia e umile, perché, diceva, il lusso non accompagnava la meditazione. Mentre sentiva l’indovino armeggiare con ampolle e strani contenitori nella camera adiacente, comunicante con quella da letto tramite una piccola porta senza serratura, i suoi pensieri volarono fino all’immagine di Diogene nudo e assorto nei suoi pensieri, con gli occhi pressati in un’espressione di profonda concentrazione che aveva in sé qualcosa di addirittura malefico, e alla sua casa spoglia e umile, come la stanza di Aristandro. Evidentemente essere speciali implicava essere strani. Sorrise. Chissà se qualcuno trovasse strano anche lui.

Il passo irrequieto dell’indovino che si avvicinava allo scrittoio lo distolse dai suoi pensieri.

- Vieni qui, Alessandro.

Il re si alzò svogliatamente dal giaciglio e raggiunse Aristandro. Quando vide cosa stringeva tra le mani non poté trattenere una smorfia di puro ribrezzo.

- Cosa sono?

Aristandro appoggiò sullo scrittoio un barattolo colmo d’acqua fino a metà, al cui interno si diguazzavano tre o quattro creature dall’aspetto raccapricciante. – Scorpioni. Li catturai mentre marciavamo lungo la strada per Babilonia. – sorrise - Li osservo da giorni ma non ne vogliono sapere di accoppiarsi. Chissà, forse non si piacciono!

- O forse sono dello stesso sesso tutti e tre.

- No! La femmina è leggermente più piccola del maschio ed ha un colore diverso, più chiaro. Vedi? – gli indicò lo scorpione più grande per fargli notare la differenza.

Alessandro si abbassò e avvicinò il viso al barattolo. – Sono orribili. E velenosi.

- Questi sono niente a confronto di quelli del deserto! – ridacchiò Aristandro.

- Perché li hai portati qui?

- Perché i loro sensi sono molto più aguzzati di quelli degli esseri umani, e potrebbero percepire molto di più di quanto io non riesca. Per esempio, un qualche strano sapore. Voglio fare un semplice esperimento.

- Credo di capire a cosa ti riferisci. – le sue parole erano prive di ogni convinzione.

Aristandro senza battere ciglio infilò una mano nel barattolo, prese per la coda lo scorpione maschio e lo appoggiò all’interno della coppa, Alessandro distorse la bocca ma assistette alla scena, assorbito dalla sicurezza con cui Aristandro maneggiava i suoi animali e le sue intenzioni. Lo scorpione esplorò quel nuovo ambiente con smaniosa curiosità, salendo e scendendo dalle pareti insormontabili di quella nuova prigione, tastò il bronzo con le zampette e serrò i cheliceri. La mano di Aristandro lo afferrò di nuovo per la coda e lo ripose nel barattolo.

- Osserviamone la reazione.

Si chinarono per guardare meglio all’interno del barattolo; anche Alessandro si scoprì interessato a notare qualche cambiamento nell’aspetto o nel comportamento dello scorpione.

L’animaletto corse come impazzito contro la prima delle due femmine che intralciò il suo percorso verso il fondo del barattolo e si ancorò ad essa, rilasciando dei piccoli granelli che vennero subito raccolti dall’altra.

Alessandro aggrottò le sopracciglia, tentando di capire cosa stesse succedendo.

– Per tutti gli dei! Hai visto? – Aristandro sgranò gli occhi - Si stanno accoppiando! – afferrò la coppa e la osservò da tutte le angolazioni manipolandola freneticamente - Lo dicevo, io, che questo era amore a prima vista!

Alessandro non riuscì a condividere le esultanze dell’indovino. Non riuscì nemmeno a capacitarsi di quello che aveva appena visto. Riuscì soltanto a tenere gli occhi incollati alla coppa di bronzo gettata all’aria e poi riafferrata dalle mani di Aristandro.

- A proposito, Alessandro.  – il veggente gli si rivolse con uno sguardo indecifrabile, forse storpiato dalla luce difforme della lucerna – Ho come l’impressione che ultimamente tra te ed Efestione non sia tutto come dovrebbe essere.

Alessandro increspò le sopracciglia. – Mi sembra di vivere un incubo, Aristandro… è innamorato di una donna. E sembra essersi completamente dimenticato di quello che provava per me. - gettò gli occhi al pavimento e scosse la testa.

- Non ti sembra che ci siano un po’ troppe cose che facciano pensare a…

- So cosa stai per dire, Aristandro, ti prego, non continuare. – sospirò – …E io che pensavo che certe cose potessero prendere forma solo nella fantasia dei cantori e dei poeti… ma sei sicuro che…?

Aristandro chiuse gli occhi e annuì solennemente. – Mio caro Alessandro, nella mia lunga vita ho assistito a fenomeni incredibili. E non stento a dare credibilità al parere che…

- No, Aristandro. Lo so. Non lo voglio neanche sentire. – si alzò dal cigolante treppiede, che per un attimo sembrò quasi respirare, e si diresse a passi strascicati verso la finestra dietro di sé. La grande luna rossa era parzialmente oscurata da una timida nuvola scura. – Efestione… non posso crederci… ma chi avrebbe mai potuto…? I cuochi non avrebbero avuto interesse… forse quella strega di Narda… - la sua voce crepò e in un attimo Alessandro si abbatté al suolo in un agghiacciante mugolìo, attanagliandosi i capelli, tirandoli nervosamente, stringendoli fino a che le nocche delle dita non divennero bianche, le sue labbra si deformarono in un’espressione di inquietante disperazione; si contorceva sul pavimento, scuoteva la testa e scalciava freneticamente come se volesse scacciare il demonio in persona dalla sua mente, piangeva e delirava incomprensibili imprecazioni, per poi addormentarsi di colpo.

Aristandro aveva assistito alla scena seduto sul treppiede, limitandosi ad aspettare che il sovrano si calmasse, dopodichè lo prese tra le braccia e lo distese sul letto.

Si addormentò accanto a lui, con una mano sul suo petto, come se volesse infondere nel suo animo spossato il calore che rigonfiava le sue vene.

   Quando si svegliò, Alessandro dormiva ancora saporitamente. Sul suo volto era dipinto un sorriso beato: evidentemente stava godendosi un sonno tranquillo e ristoratore. Decise di non disturbarlo, quella quiete avrebbe rigenerato i suoi sensi e i riflessi del suo intelletto permettendogli di ragionare con maggiore lucidità.

Si alzò dal letto e contemplò a lungo la coppa di bronzo. Chi mai avrebbe potuto trarre favore nell’allontanare Efestione da Alessandro? La donna che aveva visto assieme al generale sul ballatoio? O qualcun altro? Quella situazione sapeva davvero di assurdo, e sicuramente l’artefice doveva essere una persona profondamente disturbata dal rapporto che univa i due giovani amanti, ma l’abilità con cui la droga era stata preparata e somministrata lasciava trapelare una certa esperienza con infusi e boccette.

Agguantò la coppa e la strinse forte nella sua mano.

 

 

   Aprì gli occhi e la prima cosa che sentì fu un lurido guanciale impregnato di lacrime aspre.

Quella notte non aveva trovato il coraggio di rimanere accanto al re, e aveva preferito rifugiarsi nella sua camera, caldissima e così umida, soffocante, come una punizione che aveva sentito di volersi infliggere. Lì, lontano da tutti, coperto dall’oscurità e ovattato dalle spesse mura scrostate, aveva consumato il più drammatico dei suoi pianti, le lacrime erano scorse impetuose sulle sue guance fino a scavarle come i fiumi scavano il loro tortuoso percorso tra le pareti delle montagne.

Quando si alzò a sedere sul letto la testa gli girò turbinosamente.

Nonostante tutto, si alzò e si vestì di tutto punto, doveva andare a svegliare Alessandro.

Camminò barcollando lungo il corridoio e raggiunse la stanza del re.

Trasalì.

La porta era aperta e il letto disfatto.

In un certo senso si sentì sollevato, non avrebbe dovuto affrontare lo sguardo mesto del suo re, ma decise comunque di aspettarlo, ovunque si fosse recato, e nel frattempo si distese sul grande letto a baldacchino al centro della stanza.

Le coperte e il guanciale sapevano ancora di lui, e mentre si allungava e rotolava tra le lenzuola per avvolgersi del suo profumo, avvertì in lontananza un rumore di passi svelti e leggeri. Incuriosito, si alzò e sbirciò fuori dalla porta. Due gambe snelle si avviavano a passo veloce lungo il corridoio.

L’amante di Efestione. Di quell’Efestione che non ne voleva sapere di restituire il cuore che aveva rubato.

- Narda!

La donna si fermò e si voltò nella direzione da cui aveva sentito provenire la voce. – Bagoas.

 

 

   - Stai meglio, ora? – gli aveva fatto trovare sul comodino un vassoio di biscotti dall’impasto semplice e friabile e una caraffa d’acqua. Non voleva che s’appesantisse, perché appena avrebbero ripreso a parlare dell’argomento lasciato drasticamente in sospeso la sera prima lo stomaco avrebbe potuto giocargli brutti scherzi.

- Sì, Aristandro. Grazie. – si alzò e sciolse le membra intirizzite dal sonno con qualche flessione degli arti.

- Ti va di parlare?

Alessandro si voltò verso di lui con piglio accigliato. – Certo che mi va.

L’indovino si grattò la fronte rugosa. – Credo che converrai con me che siamo di fronte ad una situazione alquanto irrazionale. Conosco veleni potenti e medicine altrettanto potenti, ma con filtri d’amore non mi era mai capitato di avere a che fare. - abbozzò ad un sorrisetto malizioso, ma i lineamenti duramente corrugati di Alessandro lo turbarono non poco. – Di conseguenza, non ho la minima idea di come esso sia preparato. Di ulteriore conseguenza, non ho la minima idea di come esso possa essere annullato.

Gli occhi di Alessandro vibrarono, e fece appello a tutte le sue forze per non crollare come aveva fatto la notte appena trascorsa. – E ora come facciamo? Efestione è vittima di un incantesimo che potrebbe essere irreversibile.

- Beh, una soluzione ci sarebbe.

- Cioè?

- Beh, come hai potuto notare dal comportamento dello scorpione, si tratta di un incantesimo che dovrebbe far innamorare chiunque lo beva del primo individuo che vede. Come sai, nel cuore di una persona c’è posto per un solo, vero amore. Di conseguenza, basterà scoprire l’artefice, metterlo alle strette con qualche minaccia, far bere nuovamente la pozione ad Efestione, e…

Alessandro alzò energicamente la mano destra.

- Non ci pensare. Il suo amore dev’essere sincero, non frutto di un artificio. Tutto deve tornare come prima.

Aristandro scosse il capo tristemente e Alessandro lo chinò ancora più tristemente.

- Pensavo che le leggi dell’amore potessero essere governate solo da Eros. – affermò l’indovino – E invece, a quanto pare, esiste, tra gli uomini, l’empio che si permette di sfidare la verità divina, spinto da chissà quale dissennato coraggio. – osservò la coppa di bronzo appoggiata allo scrittoio. – Questa, oserei dire, è degna opera di una strega.

- Già. Di una strega.

L’indovinò guardò intensamente il sovrano. – Conosci qualche strega, Alessandro?

 

 

   Alessandro non occupava più i suoi pensieri.

Doveva capirlo, in qualche modo.

Quanto gli era costato pronunciare quel vattene davanti ai suoi occhi umidi e a quel povero corpo snervato, risucchiato di ogni energia; non avrebbe mai voluto fare del male al suo amico di infanzia, alla persona che più aveva amato al mondo; si era già rivelato abbastanza vile nei suoi confronti, e ora si sentiva in colpa per averlo ferito in quel modo, quella notte. La sua faccia era la maschera della disperazione, i suoi occhi tremavano dal desiderio di un amore perduto, così vicino a lui eppure così lontano, irraggiungibile, dolorosamente sottrattogli.

Dei, era incredibile quanto fosse ancora in grado di penetrare nelle profondità della sua anima, di capire il significato dell’increspatura delle sue labbra o delle sue sopracciglia, del socchiudersi o dello sgranarsi dei suoi occhi.

Ma non avrebbe potuto prenderlo in giro ancora una volta. Non se lo sarebbe mai perdonato.

Doveva essere, ahilui, sincero fino alla crudeltà, un po’ per Alessandro, un po’ per il suo orgoglio già ferocemente ferito.

Due mani leggere s’impadronirono delle sue spalle e cominciarono a muoversi sapienti in un massaggio risvegliando la sua carne nervosa. 

Non c’era bisogno di voltarsi per immaginare un corpo da pantera e due labbra carnose socchiuse nel lieve respiro che si abbatteva alla base delle sue scapole.

- Narda…

- Amore… - le sue labbra s’appoggiarono sulla sua schiena e cominciarono a scorrere lasciando tracce di saliva sul loro lento ed esasperante percorso – Voglio fare un viaggio con te.

Efestione si voltò.

- Ti andrebbe? Solo io e te… - i suoi artigli affilati si ingarbugliarono tra i capelli di Efestione. – Lascia questa terra piena di insidie e questa corte di soldati stremati dalla fatica…

Efestione gettò la testa all’indietro. Le dita di Narda s’insinuarono sulla sua nuca come se volessero manomettere i suoi pensieri.

- Corri verso l’ignoto solo per realizzare un sogno in cui ormai crede solo il tuo re. Invece noi vedremo il mondo senza inutili ansie, senza la paura di non poter vedere la luce del giorno dopo; soli, io e te… ci sentiremo dei. Dèi padroni del mondo, Efestione…

 

 

 

 

 

Grazie a Lisachan, Flora e Dappyna per i commenti lasciati.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Alexander / Vai alla pagina dell'autore: Barsine