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Autore: Karyon    09/11/2009    3 recensioni
Harry terminò di leggere con una strana sensazione.
Quello era suo padre: la paura, il dolore, la voglia di combattere, l’insofferenza, la reclusione forzata… per la prima volta era testimone diretto dell’affetto e dell’amore fraterno che il suo padrino e suo padre provavano.
Non era mito, non era leggenda; era lì, nero su bianco.

Prima classificata al Contest "Lettere dalla guerra" del Collection of starlight.
Genere: Malinconico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, James Potter, Sirius Black
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nickname sul forum: Karyon.
Nickname su Efp: Karyon.
Titolo della fan fiction: Until the end.
Titolo del contest: “Lettere dalla guerra” indetto da Shari-chan.
Pairing: /
Personaggi: Harry Potter, James Potter, Sirius Black.
Generi: One shot.
Warnings: Drammatico – introspettivo – what if…? E momento mancante (In quanto  non conosciamo di un possibile scambio di lettere tra i due Malandrini, né la possibilità che James si sia arrabbiato con Sirius per il piano).
Credits: /
Note personali: Le lettere sono state scritte – come si nota chiaramente dalla data – nel periodo in cui James e la famiglia erano già a Godric’s Hallow, poco prima di essere nascosti dall’ Incanto Fidelius di Silente. Le date sono puramente inventate e basate ovviamente sul 31 Ottobre 1981. Ammetto che il modo in cui Harry trova le lettere non è granché originale, né tanto meno lo sono le lettere stesse, ma a quanto pare lo studio risucchia la poca materia grigia che ho.
Ah, Orfeo è il nome inventato del gatto dei Potter. Le ultime lettere sono basate sua una via visione personale della reazione di James, così come i suoi dubbi su Peter

Buona lettura!

 

Ti odio, dannazione! Resta lì, ti prego, fino alla fine della guerra.

Fino alla fine.

R.

 

Until the end

 

Quando riuscì ad aprire la pesante porta di legno scuro, entrò in quella stanza polverosa con un certo timore – quasi reverenziale.
«Harry! Harry, dove sei?»
La voce di Hermione attraversò le pareti vuote, raggiungendolo da chissà quale buco dimesso delle migliaia che componevano il grande maniero Black, in Grimmauld Place.
«Sono qui sopra…» rispose lui, piano, come per paura che qualcosa potesse svegliarsi.
Un santuario. Un santuario al ricordo – glorioso, disperato – di un passato sepolto.
Le pareti, che a quanto pareva avevano subito la furiosa incursione dell’elfo di casa, giacevano orgogliose di tutto quel rosso e di quell’oro che nemmeno la più forte magia era riuscita a scalfire; le lenzuola scure, i poster, i manifesti babbani, le foto… tutto sembrava in attesa.
L’immobilità trasudava da ogni più piccola fessura, strisciava tra le memorie abbandonate nella polvere, trascinandolo in un tempo che tanto aveva voluto vivere ma che mai avrebbe immaginato lambire così, in una stanza oppressa dall’abbandono.
Il tempo dei Malandrini che lo fissavano allegri dalla parete sulla sinistra, con le sciarpe Gryffindor al collo e la baldanzosa serenità addosso; il tempo in cui gli occhi di sua madre erano ancora aperti sul mondo sicuro e sereno di Hogwarts.
Le assi del pavimento scricchiolarono, quando mosse un passo verso l’interno e lui poté quasi sentirle: voci, sussurri nel silenzio, vento. Gli parve quasi di sentirlo, Sirius, con la sua risata latrante, con i suoi modi burberi, mentre si muoveva per quella stanza – a sedici anni - toccando gli oggetti che lui toccava, accarezzandoli, scuotendoli, colpendoli.
Quella forza che lo trascinava alla ricerca di qualcosa, qualunque cosa, lo portò verso uno scaffale basso, in legno scuro. C’era una scatola consunta, probabilmente già al tempo del giovane Sirius, tanto che lo schizzo – “Lettere” – si leggeva appena.
Lettere.
Erano tante, troppe, ma mai di Hogwarts: nessuno che gli scrivesse, fuori da lì. Appartenevano a un altro tempo, successivo e violento, nel quale la scuola era già un ricordo troppo felice, troppo irreale.
Harry si sedette lì, tra la polvere, cercando. Non sapeva cosa, né se lo avrebbe trovato, né se ne avrebbe avuto il tempo o la voglia; doveva, semplicemente, e cominciò.
Le dita scivolarono tra profumi, frammenti di carta, inviti, odori, parole e disegni, litigi, scontri, noia, allegria, delusione, amicizia, amore. Lesse e vide del suo padrino, si bevve ogni immagine della sua vita passata, quando era ancora il vero Sirius, quello strafottente e sfacciato. Raccolse ogni briciola della sua anima, su quel pavimento, e raccolse frammenti di quelle che lo avevano sfiorato.
Poi, le trovò: le lettere di Remus, persino di Peter, di sua madre e di suo padre.
Quelle le lesse con attenzione, soffermando lo sguardo su quei graffi d’inchiostro, cercando caratteri uguali, un segno o un gesto. Rise con sua madre dei discorsi sul gatto che non sapeva di avere, pianse con loro quando morì, si emozionò per la propria stessa nascita e s’intenerì dei dubbi di suo padre. Ma quando la guerra li raggiunse, la vide: le paure, i dubbi, gli ideali, le sensazioni, le disgrazie, le vittorie.
Ogni foglio urlava parole di un’angoscia differente e uguale a tante altre, compresa quella che loro – a tanti anni di distanza – sentivano addosso. La testa gli si riempì di tutto il mondo, ma non riusciva a smettere; leggeva e leggeva perché voleva vedere quello che era accaduto, viverlo sulla pelle e nell’anima.
Si fermò ore dopo, all’ultima lettera. L’ultima, sul fondo della scatola.
Sorpreso, posò gli occhi lucidi – stanchi – sulla parte superiore del foglio bianco dove, con una grafia sghemba, era posta la data.
Non era terminata, la guerra, Voldemort non aveva ancora distrutto le prime e ultime particelle della sua felicità, Lily non aveva ancora sacrificato la propria esistenza, suo padre non era ancora morto invano, eppure… quella era la sua ultima lettera:

 5 Ottobre 1981

 Credo che tutta la stupidità di cui io sia capace in questo momento sia rovesciata in quelle poche parole deliranti che ti ho spedito ieri.

Cancella tutto, non ero in me e credo l’avrai capito.

Questa notte non ho chiuso occhio, neanche per un istante, nel tentativo di pensare a cosa diavolo scriverti per rimediare a quello che ti ho detto, ma è stata una notte infruttuosa: ora come ora, non so un Merlino di niente.

Non riesco a pensare, dannazione, o a scrivere due parole in croce di senso compiuto, persino mangiare mi riesce difficile.

Non riesco a fare niente.

Per la quarta volta di seguito, Lily mi ha chiesto cosa ho, la mia risposta è stata la stessa di sempre: “niente”.

Io credo, invece, di stare impazzendo.

Due notti fa, dopo la notizia dei Grisson, sai la morte del loro primo figlio…, mi sono svegliato in preda al panico. Fortunatamente sia la Rossa che Harry hanno continuato a dormire, ma io sentivo ogni centimetro di pelle bruciare e bruciare, addirittura sono andato a sbattere contro quello stupidissimo tavolino di Peter.

Merlino, Felpato, dovevi vedermi.

Non credo durerò a lungo, qui, tra queste quattro mura desolate, nonostante Silente dica che sia per la nostra salvezza. Ho capito tutto, la storia della Profezia, il pericolo che corre Harry, le sorti del mondo… eppure sacrificherei tutto per… l’aria. Sono uno stronzo? Sono ancora il ragazzino superficiale di Hogwarts?

Merlino, non lo so, non lo so ma non posso impedirmelo, di sognare.

Voglio la libertà, un manico di scopa e quel dannato vento sulla faccia; persino quella tua moto folle mi andrebbe bene… non m’interessa di Voldemort, non m’interessa del mondo, rivoglio la vita, Felpato.

E tu puoi capirmi, lo so. Sarai sempre l’unico che capirà, sempre.

Ieri Silente è venuto a prendersi il Mantello e non so perché. Lily era lì, al mio fianco, ma non la sentivo; non la sentivo, mi capisci? Fiutavo il suo sollievo all’idea che sarei stato ben chiuso in casa e l’ho odiata, solo per un attimo, per quello. Prima abbiamo dovuto segregarci come appestati, poi il divieto di vederci, ora questo… e la prossima settimana Silente ritornerà con quella cosa dell’Incanto Fidelius… e poi?

Morirò prima che arrivi Voldemort, di questo passo, però dentro. E ho paura.

Preferirei mille volte stare tra i Mannari con Remus o nell’Ordine con te, lo sai. Vorrei lottare, sentire il brivido sotto la pelle, nelle ossa; preferirei combattere quei vigliacchi, scovare quel folle, sostenere il mondo, piuttosto che nascondermi.

Ieri ti ho urlato tutte quelle cose… mi dispiace Felpato. Tu sei mille volte più vivo e in salvo di quanto lo siamo noi qui e di questo sarò sempre fermamente convinto; però, allo stesso tempo, e non fraintendere le mie parole, voglio che tu rimanga lì, fermo. Immobile, mi capisci?

So che verresti qua, a battaglia ultimata, so che lo faresti per me, credimi, ma non voglio.

Non provare nemmeno a portarmi il Mantello, né a portarmi qualsiasi cosa possa risollevarmi il morale. Queste ultime righe ti sembreranno contraddittorie ma voglio che tu le legga con molta attenzione, Felpato. Saresti capace di attraversare la guerra in sella a quella rumorosa moto babbana se solo potesse farmi stare meglio, ne sono sicuro, ma non pensarci, mai, nemmeno per un istante. Dio, se dovessi morire… nulla di tutto quello che stiamo passando avrebbe senso, perché io non cercherei di sopravviverti, amico mio.

Resta lì e combatti, perché quando tutto sarà finito, avremo la vita finalmente.

In questi giorni Harry ha cominciato a balbettare della roba; non sono proprio parole, sai, più che altro parla in una lingua tutta sua. Dovresti vederlo: per la maggior parte del tempo, si ficca in mano la scopa giocattolo che gli hai regalato, gonfia le guance e via, parte. E ha anche cominciato a gattonare in giro per casa, quindi credo che Orfeo non sarà mai più tranquillo da oggi in poi. Ogni volta che lo guardo, mi sento un perfetto idiota. Sai, a pensare tutte quelle cose… che vorrei essere in guerra, che vorrei essere uno dei tanti dell’Ordine, che quella dannata profezia non avesse scelto noi… perché noi, poi? Ci ho pensato, ma non riesco a capire. Cioè, Lily ed io non abbiamo nulla di speciale da interessare Voldemort e non posso credere che davvero Harry sia una minaccia per lui… è così irreale.

Ma alla fine credo sia tutta una faccenda di destino, no? E’ così e basta, non possiamo fare altro che aspettare, per ora. Voi lottate, vi prego, fatelo e tornate.

Domani Peter verrà trovarci e gli darò lo specchio. Sì, quello che hai tentato di non portarti dietro per paura di romperlo. So che tornerai per riusarlo, solo… prendilo lo stesso, ok? Lo riporterai indietro con la tua pulciosa persona, d’accordo?

Ora vado, ho idea che Harry abbia deciso di nuovo di proclamare lo sciopero delle pappine, oggi.

Scrivimi presto.

In ogni caso, Silente mi ha promesso che sarai libero per Giovedì; vedi di farti trovare.

Lily e Harry ti salutano.

 

Ciao,

R.

 

Harry terminò di leggere con una strana sensazione. Quello era suo padre: la paura, il dolore, la voglia di combattere, l’insofferenza, la reclusione forzata… per la prima volta era testimone diretto dell’affetto e dell’amore fraterno che il suo padrino e suo padre provavano. Non era mito, non era leggenda; era lì, nero su bianco.
Ventisei giorni prima del tradimento, dell’attacco, della morte e della condanna a portare su di sé un destino infinitamente più grande di ciò che avrebbe voluto; solo quattro settimane al momento che avrebbe cambiato l’esistenza di un mondo ignaro.
Era ironico starsene sdraiati su quel pavimento abbandonato a sorbirsi un passato, quel passato, che aveva cercato di rimuovere, di conoscere, di succhiare – pezzo per pezzo – dalle persone che aveva conosciuto e incontrato.
Improvvisamente, come se una nuova forza avesse risalito il corpo per colmarlo dall’interno, tornò a tuffarsi tra le lettere, le parole, le foto e i ricordi, cercando. Non poteva essere l’ultimo ricordo di suo padre, non poteva aver vissuto gli ultimi istanti della sua vita nella totale inattività, non lui il malandrino per eccellenza. Il bambino sopravvissuto scavò con furia, quasi, tra i polverosi recessi della camera di Sirius, cercando qualcosa che non poteva vedere, ma sapeva che c’era. Riscoprì le lettere di sua madre, di Remus, di Peter perfino, i racconti sul gatto, sulla casa, su Godric’s Hallow, su Silente. E le date, le date… primo Ottobre, Settembre, Agosto… indietro, troppo indietro.
Decise di cambiare posto: cercò sulla scrivania, nei cassetti, negli armadi. Hermione e Ron passarono più volte a lanciargli sguardi preoccupati ma non se ne curò, perché lui sapeva. E come aveva sempre saputo il proprio destino, segnato in quella cicatrice, pur senza conoscerlo, così sapeva che c’era… altro. Un addio, l’ultimo.
Fu verso sera, a cena, che un fulmine gli attraversò la mente, scaricandogli nel corpo un’anomala sicurezza. Totalmente preso dalla propria idea, salì rapidamente le scale fino all’ultimo piano, spalancò la porta e si lanciò verso il letto. Il posto più sicuro perché banale, il posto in cui lui aveva celato per anni il suo essere mago e che – ora ne era sicuro – il giovane Sirius aveva utilizzato per nascondere il suo essere diverso. Con il battito del cuore che lo assordava, Harry scoprì che l’asse del letto era facilmente rimovibile e che, nello spazietto ricavato tra l’asse e la parete retrostante, c’era un mondo. Quello dei Malandrini.
A quanto pareva Sirius a Hogwarts non lasciava nulla ma portava i Malandrini con sé, quando era costretto a tornare a casa. Harry si fece assalire un attimo dalla bravura del suo padrino, dal momento che nemmeno la morte aveva permesso a quei tesori di essere svelati, poi cominciò ad aprirsi un varco silenzioso.
Sul fondo, in fila come colorati soldatini, c’erano delle confezioni da regalo; nei motivi impressi sulla carta si leggeva il tempo che scivolava velocemente e si arricchiva di nuovi incontri: James, Remus, Peter, poi Lily e ancora dopo i membri dell’Ordine. Trovò dolci e caramelle avvolti in buste vivaci e abbandonate, trovò delle foto. Una, velata da un leggero strato di polvere, sembrava lontana da tutto il resto – sbiadita – diversa. La prese delicatamente, soffiando in superficie, la guardò: non se ne capiva molto ad una prima occhiata, solo rosso e nero e occhi verdi e sguardo cupo. Sirius e sua madre sembravano prendere in giro il fotografo e non aveva dubbi su chi si trattasse, mentre tutt’intorno si sviluppava un salotto caotico e colorato. Harry batté le palpebre e lasciò che gli occhi si soffermassero sui dettagli, catturando ogni misero aspetto di una vita che ora poteva appartenergli come non era mai stato. L’iscrizione a grafia minuta e sottile indicava “Godric’s Hallow” e la data lo riportava ad Ottobre, una settimana prima dell’attacco di Voldemort. La casa - attraverso lo spiraglio di quella finestra improvvisata – gli sembrava assurdamente felice e così sua madre, che lo fissava con una luce dentro da non crederci. Al contrario, lo sguardo del suo padrino affiorava dalla superficie con fastidio, inquieto e insofferente come e più della sua consueta natura.
Come sarebbe stato lo sguardo di suo padre se – per assurdo – avesse potuto aprire una nuova fessura su di lui?
Tuttavia pensò di poterlo indovinare quando, tra i cadaveri di vecchie scatole da scarpe, trovò un ultimo pezzo di carta. Finalmente un’altra lettera, caratteri frettolosi e scuri su frammenti di carta strappata; sempre suo padre, sempre quella data – 24 Ottobre.

24 Ottobre

Felpato,

dove diavolo sei finito?

Kingsley mi ha avvertito di mantenere una certa prudenza nelle lettere, soprattutto se scrivevo ad uno di voi, ma sinceramente me ne frego. Mi devi delle spiegazioni e speravo almeno  avresti capito che avrei preferito averle di persona; un misero biglietto spedito di nascosto via Metropolvere non basta.

Silente ha scritto per informarci che oggi è il fatidico giorno, quello che aspettiamo da mesi. Già, siamo pronti al Fidelius, Lily e Remus faranno da testimoni, il Preside da ufficiante e Peter… Peter da Custode Segreto.  Lo vedi il problema adesso?

No, perché io faccio fatica a comprendere per quale motivo mio fratello, il padrino di mio figlio, abbia rinunciato ad un incarico che lo faceva tanto felice. Sono stato qui a rigirarmi quella lettera tra le mani come un idiota, a fare congetture, e sia io che Lily siamo giunti alla conclusione che non possono averti ucciso, visto che nessuno ci ha dato tue notizie; quindi se non sei morto, qualcosa deve averti trattenuto e spero per te che sia una cosa grave.  Ricordo perfettamente che Silente sembrava meno entusiasta di noi all’idea che Peter facesse una cosa del genere, la cosa non può essere partita da lui, quindi spiegami: qualche Mangiamorte ti ha per caso fatto evanescere il cervello? Andiamo, Felpato, Peter!

Io voglio bene a quel ragazzo ma converrai con me che non è esattamente affidabile quando si parla di forza! E non sa duellare, non sa fare Incantesimi e, per l’amor del cielo, è terrorizzato da Voldemort più di tutti noi messi insieme! Perché Merlino hai pensato che fosse adatto a combatterlo così da vicino?

Lily ed io abbiamo rifiutato Silente - Silente – come Custode perché tu sei forte abbastanza e, sopra ogni cosa, non hai paura né dei Mangiamorte né di… soffrire, per quanto possa sembrare  brutto dirlo.

E mi hai mandato un biglietto per spiegarmelo. Un miserabile pezzo di carta dove però non c’è traccia del tuo brillante piano!

Silente verrà tra poche ore e so per certo che non hai tempo per leggere queste parole, figurati per rispondere (so che sei in missione, me lo ha detto Arthur). Perciò quando ci sentiremo noi saremo già nascosti e le nostre vite già dipenderanno da Peter – che è forte ma non abbastanza.

Non abbastanza, Felpato.

Però ha accettato e questo mi fa capire; spero solo che si affidi a Remus e a Silente e che abbia più fiducia in se stesso, per farcela.

Tu cerca di venire a discolparti e vedi di essere convincente, perché se io sono furioso, Lily è pronta a rasarti a zero per punizione. Torna a casa e fammi capire che hai ancora bisogno di noi – di me – come io ne ho, ancora.

 

Ciao,

R.

 

Harry abbassò di scatto la mano, cercando di allontanare velocemente lo sguardo: non credeva che lettere così antiche potessero tagliare ancora così profondamente, non credeva potessero fare così male. Sapeva già e da tempo che era stato Sirius a cambiare i piani, ma non aveva mai realmente capito cosa significasse: tradire così profondamente la fiducia di qualcuno per poterlo salvare un solo giorno ancora, anche rischiando di essere odiato. Tutto una settimana prima della loro morte, quando Peter si era dimostrato talmente debole da spezzare gli ultimi sprazzi di una speranza mal posta. Faceva male - troppo - ma non per Voldemort, perché un Male Assoluto distrugge rapidamente, in modo totale. La leggerezza di un dubbio troppo soffocante da pronunciare a voce alta, striscia sottilmente nelle piaghe della mente, infettando i pensieri fino a quando ogni cosa finisce. E il peso di un rancore profondo da estirpare e pauroso da rievocare, si perpetrava nel tempo e bruciava con un fiamma sempre alta. Sirius e Remus avevano dovuto aspettare e aspettare – tredici anni – affinché la fiamma languisse, consumandosi la vita ferocemente, senza viverla.
E suo padre.
Suo padre aveva provato lo stesso, o forse no.
Forse, forse se Sirius avesse trovato il tempo di raggiungerli, di spiegare, di giustificarsi, di guardarlo negli occhi e di promettere – un’ultima volta – che li avrebbe protetti e che avrebbe usato la sua fedeltà, la stessa che aveva provato ad infondere inutilmente a Peter… forse suo padre non era morto con il rancore nel cuore e lo spettro di quel tradimento, negli occhi.
Forse i pensieri di Remus, riesumati quella notte nella Stamberga Strillante, erano solo dubbi frammentati in lui – e solo in lui.
Certo, doveva esserci ancora altro, un’ultima lettera, che ricomponesse un quadro perfetto. Doveva esserci.
Piegò lentamente il piccolo foglio e se lo infilò in tasca, pronto a ricominciare la ricerca, questa volta con una calma che non credeva di poter possedere, dopo quella lettura. Era sicuro che Sirius fosse accorso per parlargli, non poteva non averlo fatto, non il Sirius che conosceva. Amava i suoi genitori e sopra ogni cosa amava suo padre e non avrebbe sopportato di essere ricordato come un traditore. Sì, qualche giorno prima della loro morte, Sirius doveva per forza averli visti, un’ultima volta, prima di morire.
Con cura meticolosa, Harry spostò le carte da regalo, i biglietti, i brandelli di regali sparsi sulle assi polverose, persino frammenti di ampolle per Pozioni, ma non trovò altro che nuovi frammenti. Di una foto – un paio di gambe e un manico di scopa a mezzo metro da terra – e la parte superiore di un biglietto. Questa volta, l’unica, era una scrittura sregolata e pesante a parlare:

26 Ottobre

Ramoso,

mi dispiace.

Non ho potuto spiegarti niente con quel dannato biglietto perché Silente me lo ha fatto giurare e sai benissimo che, per quanto io sia allergico alle regole, non ho potuto rifiutarmi di seguire almeno questa, per una volta. Sappi solo che l’ho fatto per voi e per te. Sono mesi e mesi che non penso ad altro che fare ogni cosa per voi, non respiro nemmeno se tu non stai bene, lo sai.

Non posso venire. Non oggi né domani.

Silente è stato categorico, niente visite finché la acque non si calmano e finché il Fidelius non diventerà cosa già vecchia. Ma la prossima settimana sarò lì, te lo giuro.

La prossima settimana sarò lì, di persona, a farvi capire quanto vi amo. Ora non posso fare nulla, neanche per me stesso.

Ramoso io

 

Harry si lasciò a andare sul pavimento, incurante dello scricchiolio delle assi sotto di sé. Era finita. Quella era l’ultima memoria di qualcosa che – ancora una volta - gli era sfuggito dalle mani come aria. La lettera era incompleta, lacerata da un taglio violento nato chissà dove. Come un libro in cui manca la fine, che non era però la loro morte: quella era un’altra storia, la storia per tutti, quella per il Mondo a cui serve una leggenda da nutrire, giorno dopo giorno. Quella che invece si era consumata lentamente attraverso piume e calamai, sulle superfici ruvide di lettere nascoste, era ancora lì a bruciare nel buio e nella polvere, infinita e incompleta.
Sirius che non era tornato indietro a salvare il ricordo inviolabile di un’amicizia che non poteva essere tradita, Peter che non era stato forte abbastanza, James che era morto – invano – due volte, per un rancore fasullo che feriva più di Voldemort.

Il Bambino Sopravvissuto si alzò lentamente piegando la lettera, rigirandosela tra le mani più volte. In un giorno aveva ritrovato una vita che gli era appartenuta da sempre e che da sempre sfuggiva al suo ricordo, eppure sentiva che non lo colmava, non quanto avrebbe sperato o avrebbe dovuto. Sentiva solo… tristezza per un finale non adeguato a ciò che era stato, ma forse non era ancora troppo tardi.
«Harry?»
Ron si fermò sulla soglia, gettando un’occhiata alla stanza disordinata. «Tutto bene?»
Harry sospirò, infilando il biglietto in tasca «Sì, stavo solo…»
«Non ti preoccupare, ti capisco!» Lo interruppe il rosso. «Basta che non fai impensierire Hermione, per Merlino è da questa mattina che mi tormenta…» borbottò.
Harry sorrise «Mi dispiace, dovevo fare una cosa… ma ora va tutto bene…» mormorò, mentre entrambi si allontanavano dalla stanza.
Si fermarono un attimo nel corridoio, chiudendo la porta dove era posto in bella mostra il nome del suo padrino. 
«Hai trovato quello che cercavi poi?» Chiese Ron, curioso.
L’altro annuì «Sì, credo di sì».
Dopotutto anche Sirius era morto, ricongiungendosi alle uniche persone che aveva davvero amato – per le quali aveva combattuto. Ed era sicuro che, dovunque fosse, avrebbe cercato di farsi perdonare e di aiutarlo a lottare per compiere quel finale sospeso nel tempo e nello spazio, fino alla fine.

 

N/A

Nonostante io sia ancora perplessa – piacevolmente – della follia della giudice, scrivo che questa cosetta è arrivata prima al Contest “Lettere dalla guerra” su Collection of starlight.
Non faccio i complimenti agli altri che tanto non ne hanno bisogno – non da me comunque.
Peerò: bella lotta, siete tutti braverrimi!  <3
Detto ciò.
Amo far scrivere lettere a James. E’ come me, ora che ci penso. Cioè la lettere è I.C. però è come la scriverei io. Sono una James! Iehh!
Vabbene vado a studiare filosofia che è meglio.

 

 

 

   

   
 
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