Nickname
sul forum: Karyon.
Nickname su Efp: Karyon.
Titolo della fan
fiction: Until the end.
Titolo
del contest:
“Lettere dalla guerra” indetto da Shari-chan.
Pairing: /
Personaggi: Harry
Potter, James
Potter, Sirius Black.
Generi: One shot.
Warnings:
Drammatico
– introspettivo – what if…? E momento
mancante (In quanto non
conosciamo di un possibile scambio di
lettere tra i due Malandrini, né la possibilità
che James si sia arrabbiato con
Sirius per il piano).
Credits: /
Note personali: Le
lettere sono
state scritte – come si nota chiaramente dalla data
– nel periodo in cui James
e la famiglia erano già a Godric’s Hallow, poco
prima di essere nascosti dall’ Incanto
Fidelius di Silente. Le date sono puramente inventate e basate
ovviamente sul
31 Ottobre 1981. Ammetto che il modo in cui Harry trova le lettere non
è granché
originale, né tanto meno lo sono le lettere stesse, ma a
quanto pare lo studio
risucchia la poca materia grigia che ho.
Ah, Orfeo è il nome inventato del gatto dei Potter.
Le ultime lettere sono basate sua una via visione personale della
reazione di
James, così come i suoi dubbi su Peter
Buona
lettura!
Ti
odio, dannazione! Resta lì, ti prego, fino alla fine della
guerra.
Fino alla fine.
R.
Until
the end
Quando
riuscì ad aprire la pesante porta di legno scuro,
entrò in quella stanza
polverosa con un certo timore – quasi reverenziale.
«Harry!
Harry, dove sei?»
La
voce di Hermione attraversò le pareti vuote, raggiungendolo
da chissà quale
buco dimesso delle migliaia che componevano il grande maniero Black, in
Grimmauld Place.
«Sono
qui sopra…» rispose lui, piano, come per paura che
qualcosa potesse svegliarsi.
Un
santuario. Un santuario al ricordo – glorioso, disperato
– di un passato
sepolto.
Le
pareti, che a quanto pareva avevano subito la furiosa incursione
dell’elfo di
casa, giacevano orgogliose di tutto quel rosso e di quell’oro
che nemmeno la
più forte magia era riuscita a scalfire; le lenzuola scure,
i poster, i
manifesti babbani, le foto… tutto sembrava in attesa.
L’immobilità
trasudava da ogni più piccola fessura, strisciava tra le
memorie abbandonate
nella polvere, trascinandolo in un tempo che tanto aveva voluto vivere
ma che mai avrebbe immaginato lambire così, in una stanza
oppressa dall’abbandono.
Il
tempo dei Malandrini che lo fissavano allegri dalla parete sulla
sinistra, con
le sciarpe Gryffindor al collo e la baldanzosa serenità
addosso; il tempo in
cui gli occhi di sua madre erano ancora aperti sul mondo sicuro e
sereno di
Hogwarts.
Le
assi del pavimento scricchiolarono, quando mosse un passo verso
l’interno e lui
poté quasi sentirle: voci, sussurri nel silenzio, vento. Gli
parve quasi di
sentirlo, Sirius, con la sua risata latrante, con i suoi modi burberi,
mentre
si muoveva per quella stanza – a sedici anni - toccando gli
oggetti che lui
toccava, accarezzandoli, scuotendoli, colpendoli.
Quella
forza che lo trascinava alla ricerca di qualcosa, qualunque cosa, lo
portò
verso uno scaffale basso, in legno scuro. C’era una scatola
consunta,
probabilmente già al tempo del giovane Sirius, tanto che lo
schizzo – “Lettere”
– si leggeva appena.
Lettere.
Erano
tante, troppe, ma mai di Hogwarts: nessuno che gli scrivesse, fuori da
lì.
Appartenevano a un altro tempo, successivo e violento, nel quale la
scuola era
già un ricordo troppo felice, troppo irreale.
Harry
si sedette lì, tra la polvere, cercando. Non sapeva cosa,
né se lo avrebbe
trovato, né se ne avrebbe avuto il tempo o la voglia;
doveva, semplicemente, e
cominciò.
Le
dita scivolarono tra profumi, frammenti di carta, inviti, odori, parole
e
disegni, litigi, scontri, noia, allegria, delusione, amicizia, amore.
Lesse e
vide del suo padrino, si bevve ogni immagine della sua vita passata,
quando era
ancora il vero Sirius, quello strafottente e sfacciato. Raccolse ogni
briciola
della sua anima, su quel pavimento, e raccolse frammenti di quelle che
lo
avevano sfiorato.
Poi,
le trovò: le lettere di Remus, persino di Peter, di sua
madre e di suo padre.
Quelle
le lesse con attenzione, soffermando lo sguardo su quei graffi
d’inchiostro,
cercando caratteri uguali, un segno o un gesto. Rise con sua madre dei
discorsi
sul gatto che non sapeva di avere, pianse con loro quando
morì, si emozionò per
la propria stessa nascita e s’intenerì dei dubbi
di suo padre. Ma quando la
guerra li raggiunse, la vide: le paure, i dubbi, gli ideali, le
sensazioni, le
disgrazie, le vittorie.
Ogni
foglio urlava parole di un’angoscia differente e uguale a
tante altre, compresa
quella che loro – a tanti anni di distanza –
sentivano addosso. La testa gli si
riempì di tutto il mondo, ma non riusciva a smettere;
leggeva e leggeva perché
voleva vedere quello che era accaduto, viverlo sulla pelle e
nell’anima.
Si
fermò ore dopo, all’ultima lettera.
L’ultima, sul fondo della scatola.
Sorpreso,
posò gli occhi lucidi – stanchi – sulla
parte superiore del foglio bianco dove,
con una grafia sghemba, era posta la data.
Non
era terminata, la guerra, Voldemort non aveva ancora distrutto le prime
e
ultime particelle della sua felicità, Lily non aveva ancora
sacrificato la propria
esistenza, suo padre non era ancora morto invano, eppure…
quella era la sua
ultima lettera:
Cancella
tutto, non ero in me e credo l’avrai capito.
Questa
notte non ho chiuso occhio, neanche per un istante, nel tentativo di
pensare a
cosa diavolo scriverti per rimediare a quello che ti ho detto, ma
è stata una
notte infruttuosa: ora come ora, non so un Merlino di niente.
Non
riesco a pensare, dannazione, o a scrivere due parole in croce di senso
compiuto, persino mangiare mi riesce difficile.
Non
riesco a fare niente.
Per
la quarta volta di seguito, Lily mi ha chiesto cosa ho, la mia risposta
è stata
la stessa di sempre: “niente”.
Io
credo, invece, di stare impazzendo.
Due
notti fa, dopo la notizia dei Grisson, sai la morte del loro primo
figlio…, mi
sono svegliato in preda al panico. Fortunatamente sia la Rossa che
Harry hanno
continuato a dormire, ma io sentivo ogni centimetro di pelle bruciare e
bruciare, addirittura sono andato a sbattere contro quello stupidissimo
tavolino di Peter.
Merlino,
Felpato, dovevi vedermi.
Non
credo durerò a lungo, qui, tra queste quattro mura desolate,
nonostante Silente
dica che sia per la nostra salvezza. Ho capito tutto, la storia della
Profezia,
il pericolo che corre Harry, le sorti del mondo… eppure
sacrificherei tutto
per… l’aria. Sono uno stronzo? Sono ancora il
ragazzino superficiale di
Hogwarts?
Merlino,
non lo so, non lo so ma non posso impedirmelo, di sognare.
Voglio
la libertà, un manico di scopa e quel dannato vento sulla
faccia; persino
quella tua moto folle mi andrebbe bene… non
m’interessa di Voldemort, non m’interessa
del mondo, rivoglio la vita, Felpato.
E
tu puoi capirmi, lo so. Sarai sempre l’unico che
capirà, sempre.
Ieri
Silente è venuto a prendersi il Mantello e non so
perché. Lily era lì, al mio
fianco, ma non la sentivo; non la sentivo, mi capisci? Fiutavo il suo
sollievo
all’idea che sarei stato ben chiuso in casa e l’ho
odiata, solo per un attimo,
per quello. Prima abbiamo dovuto segregarci come appestati, poi il
divieto di
vederci, ora questo… e la prossima settimana Silente
ritornerà con quella cosa
dell’Incanto Fidelius… e poi?
Morirò
prima che arrivi Voldemort, di questo passo, però dentro. E
ho paura.
Preferirei
mille volte stare tra i Mannari con Remus o nell’Ordine con
te, lo sai. Vorrei
lottare, sentire il brivido sotto la pelle, nelle ossa; preferirei
combattere
quei vigliacchi, scovare quel folle, sostenere il mondo, piuttosto che
nascondermi.
Ieri
ti ho urlato tutte quelle cose… mi dispiace Felpato. Tu sei
mille volte più
vivo e in salvo di quanto lo siamo noi qui e di questo sarò
sempre fermamente
convinto; però, allo stesso tempo, e non fraintendere le mie
parole, voglio che
tu rimanga lì, fermo. Immobile, mi capisci?
So
che verresti qua, a battaglia ultimata, so che lo faresti per me,
credimi, ma
non voglio.
Non
provare nemmeno a portarmi il Mantello, né a portarmi
qualsiasi cosa possa
risollevarmi il morale. Queste ultime righe ti sembreranno
contraddittorie ma
voglio che tu le legga con molta attenzione, Felpato. Saresti capace di
attraversare la guerra in sella a quella rumorosa moto babbana se solo
potesse
farmi stare meglio, ne sono sicuro, ma non pensarci, mai, nemmeno per
un
istante. Dio, se dovessi morire… nulla di tutto quello che
stiamo passando
avrebbe senso, perché io non cercherei di sopravviverti,
amico mio.
Resta
lì e combatti, perché quando tutto
sarà finito, avremo la vita finalmente.
In
questi giorni Harry ha cominciato a balbettare della roba; non sono
proprio
parole, sai, più che altro parla in una lingua tutta sua.
Dovresti vederlo: per
la maggior parte del tempo, si ficca in mano la scopa giocattolo che
gli hai
regalato, gonfia le guance e via, parte. E ha anche cominciato a
gattonare in
giro per casa, quindi credo che Orfeo non sarà mai
più tranquillo da oggi in
poi. Ogni volta che lo guardo, mi sento un perfetto idiota. Sai, a
pensare
tutte quelle cose… che vorrei essere in guerra, che vorrei
essere uno dei tanti
dell’Ordine, che quella dannata profezia non avesse scelto
noi… perché noi,
poi? Ci ho pensato, ma non riesco a capire. Cioè, Lily ed io
non abbiamo nulla
di speciale da interessare Voldemort e non posso credere che davvero
Harry sia
una minaccia per lui… è così irreale.
Ma
alla fine credo sia tutta una faccenda di destino, no? E’
così e basta, non
possiamo fare altro che aspettare, per ora. Voi lottate, vi prego,
fatelo e
tornate.
Domani
Peter verrà trovarci e gli darò lo specchio.
Sì, quello che hai tentato di non
portarti dietro per paura di romperlo. So che tornerai per riusarlo,
solo…
prendilo lo stesso, ok? Lo riporterai indietro con la tua pulciosa
persona,
d’accordo?
Ora
vado, ho idea che Harry abbia deciso di nuovo di proclamare lo sciopero
delle
pappine, oggi.
Scrivimi
presto.
In
ogni caso, Silente mi ha promesso che sarai libero per
Giovedì; vedi di farti
trovare.
Lily
e Harry ti salutano.
Ciao,
R.
Harry
terminò di leggere con una strana sensazione. Quello era suo
padre: la paura,
il dolore, la voglia di combattere, l’insofferenza, la
reclusione forzata… per
la prima volta era testimone diretto dell’affetto e
dell’amore fraterno che il
suo padrino e suo padre provavano. Non era mito, non era leggenda; era
lì, nero
su bianco.
Ventisei
giorni prima del tradimento, dell’attacco, della morte e
della condanna a
portare su di sé un destino infinitamente più
grande di ciò che avrebbe voluto;
solo quattro settimane al momento che avrebbe cambiato
l’esistenza di un mondo
ignaro.
Era
ironico starsene sdraiati su quel pavimento abbandonato a sorbirsi un
passato,
quel passato, che aveva cercato di rimuovere, di conoscere, di
succhiare –
pezzo per pezzo – dalle persone che aveva conosciuto e
incontrato.
Improvvisamente,
come se una nuova forza avesse risalito il corpo per colmarlo
dall’interno,
tornò a tuffarsi tra le lettere, le parole, le foto e i
ricordi, cercando. Non
poteva essere l’ultimo ricordo di suo padre, non poteva aver
vissuto gli ultimi
istanti della sua vita nella totale inattività, non lui il
malandrino per
eccellenza. Il bambino sopravvissuto scavò con furia, quasi,
tra i polverosi
recessi della camera di Sirius, cercando qualcosa che non poteva
vedere, ma
sapeva che c’era. Riscoprì le lettere di sua
madre, di Remus, di Peter perfino,
i racconti sul gatto, sulla casa, su Godric’s Hallow, su
Silente. E le date, le
date… primo Ottobre, Settembre, Agosto… indietro,
troppo indietro.
Decise
di cambiare posto: cercò sulla scrivania, nei cassetti,
negli armadi. Hermione
e Ron passarono più volte a lanciargli sguardi preoccupati
ma non se ne curò,
perché lui sapeva. E come aveva sempre saputo il proprio
destino, segnato in
quella cicatrice, pur senza conoscerlo, così sapeva che
c’era… altro. Un addio,
l’ultimo.
Fu
verso sera, a cena, che un fulmine gli attraversò la mente,
scaricandogli nel
corpo un’anomala sicurezza. Totalmente preso dalla propria
idea, salì
rapidamente le scale fino all’ultimo piano,
spalancò la porta e si lanciò verso
il letto. Il posto più sicuro perché banale, il
posto in cui lui aveva celato
per anni il suo essere mago e che – ora ne era sicuro
– il giovane Sirius aveva
utilizzato per nascondere il suo essere diverso. Con il battito del
cuore che
lo assordava, Harry scoprì che l’asse del letto
era facilmente rimovibile e
che, nello spazietto ricavato tra l’asse e la parete
retrostante, c’era un
mondo. Quello dei Malandrini.
A
quanto pareva Sirius a Hogwarts non lasciava nulla ma portava i
Malandrini con
sé, quando era costretto a tornare a casa. Harry si fece
assalire un attimo
dalla bravura del suo padrino, dal momento che nemmeno la morte aveva
permesso
a quei tesori di essere svelati, poi cominciò ad aprirsi un
varco silenzioso.
Sul
fondo, in fila come colorati soldatini, c’erano delle
confezioni da regalo; nei
motivi impressi sulla carta si leggeva il tempo che scivolava
velocemente e si
arricchiva di nuovi incontri: James, Remus, Peter, poi Lily e ancora
dopo i
membri dell’Ordine. Trovò dolci e caramelle
avvolti in buste vivaci e
abbandonate, trovò delle foto. Una, velata da un leggero
strato di polvere,
sembrava lontana da tutto il resto – sbiadita –
diversa. La prese
delicatamente, soffiando in superficie, la guardò: non se ne
capiva molto ad
una prima occhiata, solo rosso e nero e occhi verdi e sguardo cupo.
Sirius e
sua madre sembravano prendere in giro il fotografo e non aveva dubbi su
chi si
trattasse, mentre tutt’intorno si sviluppava un salotto
caotico e colorato.
Harry batté le palpebre e lasciò che gli occhi si
soffermassero sui dettagli,
catturando ogni misero aspetto di una vita che ora poteva appartenergli
come
non era mai stato. L’iscrizione a grafia minuta e sottile
indicava “Godric’s
Hallow” e la data lo riportava ad Ottobre, una settimana
prima dell’attacco di
Voldemort. La casa - attraverso lo spiraglio di quella finestra
improvvisata –
gli sembrava assurdamente felice e così sua madre, che lo
fissava con una luce
dentro da non crederci. Al contrario, lo sguardo del suo padrino
affiorava
dalla superficie con fastidio, inquieto e insofferente come e
più della sua
consueta natura.
Come
sarebbe stato lo sguardo di suo padre se – per assurdo
– avesse potuto aprire
una nuova fessura su di lui?
Tuttavia
pensò di poterlo indovinare quando, tra i cadaveri di
vecchie scatole da
scarpe, trovò un ultimo pezzo di carta. Finalmente
un’altra lettera, caratteri
frettolosi e scuri su frammenti di carta strappata; sempre suo padre,
sempre
quella data – 24 Ottobre.
Felpato,
dove
diavolo sei finito?
Kingsley
mi ha avvertito di mantenere una certa prudenza nelle lettere,
soprattutto se
scrivevo ad uno di voi, ma sinceramente me ne frego. Mi devi delle
spiegazioni
e speravo almeno avresti
capito che
avrei preferito averle di persona; un misero biglietto spedito di
nascosto via
Metropolvere non basta.
Silente
ha scritto per informarci che oggi è il fatidico giorno,
quello che aspettiamo
da mesi. Già, siamo pronti al Fidelius, Lily e Remus faranno
da testimoni, il
Preside da ufficiante e Peter… Peter da Custode Segreto. Lo vedi il problema
adesso?
No,
perché io faccio fatica a comprendere per quale motivo mio
fratello, il padrino
di mio figlio, abbia rinunciato ad un incarico che lo faceva tanto
felice. Sono
stato qui a rigirarmi quella lettera tra le mani come un idiota, a fare
congetture, e sia io che Lily siamo giunti alla conclusione che non
possono
averti ucciso, visto che nessuno ci ha dato tue notizie; quindi se non
sei
morto, qualcosa deve averti trattenuto e spero per te che sia una cosa
grave. Ricordo
perfettamente che Silente
sembrava meno entusiasta di noi all’idea che Peter facesse
una cosa del genere,
la cosa non può essere partita da lui, quindi spiegami:
qualche Mangiamorte ti
ha per caso fatto evanescere il cervello? Andiamo, Felpato, Peter!
Io
voglio bene a quel ragazzo ma converrai con me che non è
esattamente affidabile
quando si parla di forza! E non sa duellare, non sa fare Incantesimi e,
per
l’amor del cielo, è terrorizzato da Voldemort
più di tutti noi messi insieme!
Perché Merlino hai pensato che fosse adatto a combatterlo
così da vicino?
Lily
ed io abbiamo rifiutato Silente - Silente – come Custode
perché tu sei forte
abbastanza e, sopra ogni cosa, non hai paura né dei
Mangiamorte né di…
soffrire, per quanto possa sembrare brutto
dirlo.
E
mi hai mandato un biglietto per spiegarmelo. Un miserabile pezzo di
carta dove
però non c’è traccia del tuo brillante
piano!
Silente
verrà tra poche ore e so per certo che non hai tempo per
leggere queste parole,
figurati per rispondere (so che sei in missione, me lo ha detto
Arthur). Perciò
quando ci sentiremo noi saremo già nascosti e le nostre vite
già dipenderanno
da Peter – che è forte ma non abbastanza.
Non
abbastanza, Felpato.
Però
ha accettato e questo mi fa capire; spero solo che si affidi a Remus e
a
Silente e che abbia più fiducia in se stesso, per farcela.
Tu
cerca di venire a discolparti e vedi di essere convincente,
perché se io sono
furioso, Lily è pronta a rasarti a zero per punizione. Torna
a casa e fammi
capire che hai ancora bisogno di noi – di me – come
io ne ho, ancora.
Ciao,
R.
Harry
abbassò di scatto la mano, cercando di allontanare
velocemente lo sguardo: non
credeva che lettere così antiche potessero tagliare ancora
così profondamente,
non credeva potessero fare così male. Sapeva già
e da tempo che era stato
Sirius a cambiare i piani, ma non aveva mai realmente capito cosa
significasse:
tradire così profondamente la fiducia di qualcuno per
poterlo salvare un solo
giorno ancora, anche rischiando di essere odiato. Tutto una settimana
prima
della loro morte, quando Peter si era dimostrato talmente debole da
spezzare
gli ultimi sprazzi di una speranza mal posta. Faceva male - troppo - ma
non per
Voldemort, perché un Male Assoluto distrugge rapidamente, in
modo totale. La
leggerezza di un dubbio troppo soffocante da pronunciare a voce alta,
striscia
sottilmente nelle piaghe della mente, infettando i pensieri fino a
quando ogni
cosa finisce. E il peso di un rancore profondo da estirpare e pauroso
da
rievocare, si perpetrava nel tempo e bruciava con un fiamma sempre
alta. Sirius
e Remus avevano dovuto aspettare e aspettare – tredici anni
– affinché la
fiamma languisse, consumandosi la vita ferocemente, senza viverla.
E
suo padre.
Suo
padre aveva provato lo stesso, o forse no.
Forse,
forse se Sirius avesse trovato il tempo di raggiungerli, di spiegare,
di
giustificarsi, di guardarlo negli occhi e di promettere –
un’ultima volta – che
li avrebbe protetti e che avrebbe usato la sua fedeltà, la
stessa che aveva
provato ad infondere inutilmente a Peter… forse suo padre
non era morto con il
rancore nel cuore e lo spettro di quel tradimento, negli occhi.
Forse
i pensieri di Remus, riesumati quella notte nella Stamberga Strillante,
erano
solo dubbi frammentati in lui – e solo in lui.
Certo,
doveva esserci ancora altro, un’ultima lettera, che
ricomponesse un quadro
perfetto. Doveva esserci.
Piegò
lentamente il piccolo foglio e se lo infilò in tasca, pronto
a ricominciare la
ricerca, questa volta con una calma che non credeva di poter possedere,
dopo
quella lettura. Era sicuro che Sirius fosse accorso per parlargli, non
poteva
non averlo fatto, non il Sirius che conosceva. Amava i suoi genitori e
sopra
ogni cosa amava suo padre e non avrebbe sopportato di essere ricordato
come un
traditore. Sì, qualche giorno prima della loro morte, Sirius
doveva per forza
averli visti, un’ultima volta, prima di morire.
Con
cura meticolosa, Harry spostò le carte da regalo, i
biglietti, i brandelli di
regali sparsi sulle assi polverose, persino frammenti di ampolle per
Pozioni,
ma non trovò altro che nuovi frammenti. Di una foto
– un paio di gambe e un
manico di scopa a mezzo metro da terra – e la parte superiore
di un biglietto.
Questa volta, l’unica, era una scrittura sregolata e pesante
a parlare:
26
Ottobre
Ramoso,
mi
dispiace.
Non
ho potuto spiegarti niente con quel dannato biglietto perché
Silente me lo ha
fatto giurare e sai benissimo che, per quanto io sia allergico alle
regole, non
ho potuto rifiutarmi di seguire almeno questa, per una volta. Sappi
solo che l’ho
fatto per voi e per te. Sono mesi e mesi che non penso ad altro che
fare ogni
cosa per voi, non respiro nemmeno se tu non stai bene, lo sai.
Non
posso venire. Non oggi né domani.
Silente
è stato categorico, niente visite finché la acque
non si calmano e finché il
Fidelius non diventerà cosa già vecchia. Ma la
prossima settimana sarò lì, te
lo giuro.
La
prossima settimana sarò lì, di persona, a farvi
capire quanto vi amo. Ora non
posso fare nulla, neanche per me stesso.
Ramoso
io
Harry
si lasciò a andare sul pavimento, incurante dello
scricchiolio delle assi sotto
di sé. Era finita. Quella era l’ultima memoria di
qualcosa che – ancora una
volta - gli era sfuggito dalle mani come aria. La lettera era
incompleta,
lacerata da un taglio violento nato chissà dove. Come un
libro in cui manca la
fine, che non era però la loro morte: quella era
un’altra storia, la storia per
tutti, quella per il Mondo a cui serve una leggenda da nutrire, giorno
dopo
giorno. Quella che invece si era consumata lentamente attraverso piume
e
calamai, sulle superfici ruvide di lettere nascoste, era ancora
lì a bruciare
nel buio e nella polvere, infinita e incompleta.
Sirius
che non era tornato indietro a salvare il ricordo inviolabile di
un’amicizia
che non poteva essere tradita, Peter che non era stato forte
abbastanza, James
che era morto – invano – due volte, per un rancore
fasullo che feriva più di
Voldemort.
Il
Bambino Sopravvissuto si alzò lentamente piegando la
lettera, rigirandosela tra
le mani più volte. In un giorno aveva ritrovato una vita che
gli era
appartenuta da sempre e che da sempre sfuggiva al suo ricordo, eppure
sentiva
che non lo colmava, non quanto avrebbe sperato o avrebbe dovuto.
Sentiva solo…
tristezza per un finale non adeguato a ciò che era stato, ma
forse non era
ancora troppo tardi.
«Harry?»
Ron
si fermò sulla soglia, gettando un’occhiata alla
stanza disordinata. «Tutto
bene?»
Harry
sospirò, infilando il biglietto in tasca
«Sì, stavo solo…»
«Non
ti preoccupare, ti capisco!» Lo interruppe il rosso.
«Basta che non fai impensierire
Hermione, per Merlino è da questa mattina che mi
tormenta…» borbottò.
Harry
sorrise «Mi dispiace, dovevo fare una cosa… ma ora
va tutto bene…» mormorò,
mentre entrambi si allontanavano dalla stanza.
Si
fermarono un attimo nel corridoio, chiudendo la porta dove era posto in
bella
mostra il nome del suo padrino.
«Hai
trovato quello che cercavi poi?» Chiese Ron, curioso.
L’altro
annuì «Sì, credo di
sì».
Dopotutto
anche Sirius era morto, ricongiungendosi alle uniche persone che aveva
davvero
amato – per le quali aveva combattuto. Ed era sicuro che,
dovunque fosse,
avrebbe cercato di farsi perdonare e di aiutarlo a lottare per compiere
quel finale
sospeso nel tempo e nello spazio, fino alla fine.
N/A
Non
faccio i complimenti agli altri che tanto non ne hanno bisogno
– non da me
comunque.
Peerò:
bella lotta, siete tutti braverrimi! <3
Detto
ciò.
Amo
far scrivere lettere a James. E’ come me, ora che ci penso.
Cioè la lettere è
I.C. però è come la scriverei io. Sono una
James! Iehh!
Vabbene
vado a studiare filosofia che è meglio.