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Autore: Lady Of Sorrows    09/11/2009    2 recensioni
Riesce a trovare l’ironia della situazione, il giovane medico legale. Non c’è bisogno di nessuna autopsia, questo corpo lo conosco a memoria.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CandidaMente.

Com'è felice il destino dell'incolpevole vestale!
Dimentica del mondo, dal mondo dimenticata.
Infinita letizia della mente candida!
Accettata ogni preghiera e rinunciato a ogni desiderio.

Alexander Pope - Eloisa to Abelard







“Sara, aiutami! Aiutami! Sto cadendo, cado, CADO!”
E Sara certamente cerca di aiutarla, vero? O avrebbe potuto fare di più, di più? Poteva fare di più, e ora lei sarebbe ancora qui! Solo un piccolo sforzo in più, e non sarebbe morta, ora non sarebbe un ammasso di carne inanimata e prossima alla putrefazione!
E’ colpa tua, è colpa tua! Un milione di voci le gridano contro, Sara è spaventata e disperata. Non crede alle sue orecchie, eppure sa benissimo che avrebbe potuto fare qualcosa.
Le innumerevoli grida e le suppliche di Viola si sovrappongono una dopo l’altra, esplodendo nel cervello della giovane donna.
“SARA! AIUTAMI! AIUTO! NON LASCIARMI CADERE!”
Voci, grida, urli, buio, vetri rotti, Viola, VIOLA!



Sara si sveglia di soprassalto, nel suo letto vuoto e freddo. Per un momento prova quello stato d’animo che si avverte appena si aprono gli occhi, quando la mente è candida come un lenzuolo.
Ma immediatamente lo sfondo bianco si riempie delle immagini del sogno, e vede sangue, tanto sangue.
E Sara piange.


“Gigli, sono a conoscenza del legame che la legava alla signorina Viola Visconti, ma non c’è alternativa.”
“Capisco.”
Sara ha lo sguardo basso, le occhiaie coperte alla meno peggio con il trucco, il solito rossetto rosso sangue sulle labbra, che quel giorno sembra però spento e senza colore.
Ascolta immobile l’uomo davanti a lei, un rettangolo solido e freddo nel suo completo grigio ferro. Un blocco d’acciaio nel suo ufficio asettico ed illuminato dal neon bianco sul soffitto.
E’ sicura che il Grande Capo volesse imprimere nelle sue parole un qualche tono simile al dispiacere fallendo miseramente. La perfetta razionalità e freddezza di quell’uomo la stupisce e la intristisce enormemente allo stesso tempo, e si chiede come abbia fatto a sposarsi e ad avere il cuore necessario a costruirsi una famiglia.
“Domani allora, alle 10. Mi raccomando, sia puntuale.”
Una pausa.
“Certo.”
Un’altra pausa, in cui un alone di imbarazzato rispetto aleggia tra le due persone.
Il Grande Capo se ne va, lasciandola da sola nella stanza grigia.
Sara si guarda intorno, facendo sbattere lo sguardo sulle pareti gelide.
Poi esce.


“Sara, guarda!”
Viola è davanti a lei, luminosa nel suo prendisole di cotone bianco, leggero come è leggero il suo sorriso. Gioca a fare l’equilibrista sul bordo del molo, sulle assi scheggiate e sbiancate dalla salsedine. In punta di piedi, salta da un’asse all’altra, emettendo gridolini divertiti ad ogni balzo. Sara la guarda, con un sorriso uguale al suo, simile ad una madre che controlla i suoi bambini, le braccia incrociate al petto.
In un istante, Viola scompare, cade in acqua, silenziosa. Sara sgrana gli occhi, e corre verso il mare, al rallentatore, la protagonista di un film mandato avanti in slow-motion.
“SARA!”
L’urlo le arriva alle orecchie rapido come un fulmine, ma lentissimo.
Raggiunge l’acqua, ma Viola non c’è.



Sara sa che non si addormenterà più. Mancano sette ore all’autopsia, ma la violenza con la quale l’eco del sogno brucia ancora le sue palpebre ogni volta che cerca di chiuderle la convince a rinunciare a riaddormentarsi. Si avvolge in un plaid surrealmente freddo, e si dirige verso la cucina, a piedi scalzi.
Il parquet in alcuni punti è così rovinato da assomigliare ad assi di legno grezzo, sotto la pianta dei piedi.


Le infermiere le porgono il camice, bianco e sterile. Sara lo indossa, e la sua mente è uguale alla stoffa, immacolata. Infila i guanti sterilizzati, e si avvicina al centro della stanza.
Si ferma per qualche secondo, gli occhi fissi sull’accecante bianchezza del lenzuolo che copre il corpo che dovrà analizzare, tagliare ed esplorare nei più minimi particolari. Riesce a trovare l’ironia della situazione, il giovane medico legale. Non c’è bisogno di nessuna autopsia, questo corpo lo conosco a memoria.
Alza lentamente il lenzuolo, con una riverenza quasi religiosa. Il volto tranquillo di Viola compare, e se Sara non sapesse che si era buttata dal quarto piano cinque giorni prima, direbbe che stia semplicemente dormendo.
L’incarnato latteo assomiglia a porcellana, incorniciata da un’aureola di capelli biondi che avrebbero fatto rodere il fegato alle migliori principesse delle favole.
Sara la guarda, e immagina che Viola sia solo addormentata, e che quel lenzuolo sia uno di quelli profumati del loro letto.
“Cominciamo.”


Ormai il verde dei guanti non si vede più, coperto dal rosso del sangue della ragazza. Con mani esperte, Sara fruga in silenzio dentro Viola, e si ritrova così a scoprirla completamente, una volta per tutto. Sfiora i polmoni senza fiato, e si sofferma con il bisturi sul cuore, immobile.
Per un istante, è tentata a strappare via quel cuore dalla cavità insanguinata davanti a lei, scappare via e conservarlo per sempre in una scatola.
Appoggia appena il palmo sul muscolo senza vita, quasi tenendolo in mano. Sara aggrotta le sopracciglia, assumendo un’espressione concentrata per celare la voglia di far scorrere liberamente le lacrime che le bruciano fastidiosamente gli occhi scuri.
“Gli organi interni non presentano alcun danno. Preleviamo un campione di sangue e poi chiudiamo.”
Ago, filo, e Viola è di nuovo nascosta.


“Sa-raaa!”
Si gira, cerca con lo sguardo il viso tanto familiare quanto la voce che la sta chiamando e che proviene da ogni punto del nulla.
“Sara, dai, vieni!”
Cammina svelta, alla ricerca di Viola. In tutto quel bianco non sa dove andare.
Si gira ancora, ed eccola lì, davanti a lei, i loro visi a pochi centimetri di distanza.
“Oh, eccoti, finalmente!”
Sara sorride, non prova tristezza o inquietudine.
“Volevo darti una cosa, ma non ti trovavo!”
Viola abbassa gli occhi sulle proprie mani, e Sara ne segue lo sguardo. Un cuore, pulsante e vivo, tra le dita sottili della ragazza, passa nelle mani di Sara.



Sara si sveglia, ritrovandosi su un divanetto in uno dei tanti corridoi dell’ospedale.
L’orologio digitale sulla parete segna le tre di mattina. Quanto ha dormito?
Si mette seduta, inspirando profondamente. La mente candida si ricopre di colori stridenti e disordinati.
Poggia lo sguardo sulle proprie mani, ancora ricoperte dai guanti insanguinati.
Si ristende, e lascia scorrere lacrime viola.



  
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