Lei
continuava a
fissare la porta, tanto che non poteva vederla in viso.
Da una
parte, voleva pensare di essersi sbagliato. Voleva pensare che si
fosse ustionata con la piastra, o che il gatto l'avesse graffiata, o
qualche altra sciocchezza simile. Non era poi così
improbabile.
Quante possibilità c'erano che quel cerotto stesse
nascondendo ciò
che lui pensava?
Ma, sforzandosi di rimanere lucido, si rese conto
che non poteva essere nient'altro.
Un cerotto sulle vene del polso
non dava adito a molte interpretazioni.
-Bianca, voltati e
guardami – le ordinò, ma la sua voce non era poi
così ferma, e
lei rimase dov'era, rigida, con il braccio immobile nella mano di
Emanuele. - Bianca – la chiamò ancora –
guardami.
Stavolta
doveva essere stato più convincente, perché lei
si girò. Guardava
in basso, con aria vagamente colpevole.
-Cos'hai fatto...? - le
chiese di nuovo, anche se non era necessario.
-Credo lei sappia
cos'ho fatto – sospirò lei, quasi la stesse
seccando.
-Perché?
Sapeva di aver posto una domanda difficile,
e non s'irritò quando ricevette una risposta poco esauriente.
-Ah,
non mi ricordo. Mi sentivo triste, credo.
-Ti sentivi triste?
Tutte le volte che ti senti triste, tu...
-Ma no, no –
scosse la testa – mi sentivo particolarmente
triste.
-Capita
a tutti – Emanuele cercò di contenere il tremore
delle mani e
della voce – di sentirsi particolarmente
tristi, almeno una
volta l'anno. Ma non tentiamo tutti il suicidio.
-Ah-ha! Vorrebbe
dire che le mie motivazioni erano labili? Eh? Eh?
Nel parlare gli
venne sempre più vicino, spingendo la testa sulla sua
spalla. Lo
diceva ridendo.
-No – fece Emanuele, serio, spostandola –
voglio dire che erano fin troppo profonde. La gente non arriva a
questo solo perché è triste, lo fa
perché è disperata, di
solito.
-Non ero disperata – precisò Bianca –
ero... beh, sì,
anche disperata, mi sa, sennò non l'avrei fatto. Credo di
aver
pensato che non ce la facevo più. Ma non era solo questo,
perché
capita spesso di pensare di non farcela ma nel profondo sai
già che,
invece, in qualche modo ce la farai, giusto?
-Beh... sì,
giusto.
-Ecco. Solo che ho pensato una cosa, senta la mia teoria.
Ho pensato che, anche se per quella volta mi fosse passata, era
comunque inutile continuare, perché il mondo faceva schifo
in ogni
caso, avrebbe continuato a fare schifo anche se avessi continuato a
vivere. Così pensavo. Quanto pessimismo!
-Se non ho capito
male... l'hai fatto per sfiducia...?
-Bravissimo! - le si
illuminarono gli occhi – Ha detto proprio la parola giusta.
Sfiducia. Pensavo che anche se avessi superato quel periodo, poi
comunque sarebbe successo qualcos'altro. Se non ricordo male, pensavo
che le persone non mi piacessero, che nessuna fosse animata da amore
e buoni sentimenti, perché in fondo siamo tutti
egoisticamente e
schifosamente umani. E perciò ho ragionato: chi vuole vivere
in un
mondo in cui non c'è niente di vero, in tutto quello che ci
hanno
raccontato...?
Emanuele realizzò che doveva pensarlo
veramente.
In tanti sostenevano che il mondo facesse schifo e che
le persone fossero cattive, ma, se il livello di disgusto e sfiducia
avevano raggiunto quel livello, significava che Bianca lo sentiva
davvero. Nel profondo, da dove era molto difficile risalire.
Le
profondità sono luoghi attraenti, ma estremamente
pericolosi.
-Insomma, ho fatto due più due –
continuò Bianca –
potevo anche superare quella giornata, ma sarei andata ancora
incontro a un'infinità di giornate uguali a quella. Il mondo
e le
persone sono fatte così, lo sa anche lei. E allora ho
pensato: dato
che non mi piacciono, perché continuare ad affrontarle ogni
giorno,
se tanto so che non cambieranno mai?
-Vuoi dire che non era una
crisi, ma... una scelta?
-Precisamente – confermò
Bianca, sedendosi sulla scrivania e dondolando le gambe – una
scelta, proprio così. Le crisi sono quelle cose che superi,
e poi
tutto torna più o meno a posto; tu cambi, oppure
è quello che ti
circonda a cambiare, ma in qualche modo recuperi l'ottimismo. Il mio
era un caso diverso. Non era quella tristezza da ululati nel cuscino,
capelli strappati, una corsa verso la terrazza dell'ultimo piano...
è
solo che ho fatto due conti e ho capito che il mondo non era il posto
per me. Tutto qua.
-E tu eri ubriaca...? - fece
Emanuele.
-Ubriaca? No, no, non avevo bevuto. È stato un
ragionamento lucido.
-No, non intendo allora. Intendo
adesso. Poco fa sostenevi di aver bevuto troppo, ma
questi non
sono i discorsi che fa un'ubriaca. Tu sei perfettamente sobria,
altrimenti non potresti spiegare con tanta chiarezza i motivi per cui
hai cercato di toglierti la vita.
-Forse sono tanto chiara proprio
perché sono ubriaca. Mi sento sempre meglio, sa, quando bevo
un
goccetto – sorrise e gli porse la bottiglietta. Emanuele
declinò
scuotendo il capo.
-Intendi rifarlo? - le domandò.
-Cosa, bere
vodka? Beh, non vorrei deluderla, ma ho proprio paura che...
-No,
Bianca, non la vodka. Intendi provare ancora a...
Indicò il suo
polso con un cenno del capo.
-Macché, prof! - ridacchiò –
Mannò. Chissà cos'avevo per la testa. Poi si
è sistemato tutto, si
sistema sempre tutto, posso resistere. Ora mi sento molto in forma.
Mi sento piena di vita, posso affrontare tutti.
-Già, parliamone–
osservò Emanuele – piena di vita.
Sì, decisamente direi
che ne hai da vendere, di vitalità. Un po' troppa, non
trovi?, per
poterti definire serena.
-Come, scusi?
-La vodka, e quelle
pastiglie. Non penserai che abbia creduto alla storia della pillola
anticoncezionale, vero?
-E perché non dovrebbe?
-Perché, e
voglio parlarti chiaro, sembri perennemente fatta di ecstasy. Voglio
sottolineare che non è un'idea solo mia. La condividiamo in
tanti.
-Ah, questa mania di pararsi il culo con lo scudo
dell'opinione comune... non può dirmi che questa
è la sua idea,
punto e basta? Se lei ne è convinto mi è
sufficiente come
credenziale, mi creda.
Possibile che dovesse sempre farsi
sconfiggere verbalmente da una sedicenne tossicodipendente?
-Che
lo pensi io o che lo pensi un intero istituto, voglio comunque un
chiarimento da parte tua. Dimmi la verità. Prendi ecstasy, o
cocaina, o amfetamine di qualsiasi genere?
-Gliel'ho già detto
molte volte, prof. No. Non sono una drogata.
-E che mi dici
dell'alcool?
-Quello lo uso per darmi una calmata, non certo per
agitarmi ulteriormente.
-E cos'è che ti agita, allora, se non è
la vodka e neanche la droga?
-Santo Dio, LA PIANTI – gridò
Bianca, e nei suoi occhi furiosi rivide un istante di qualche tempo
prima; in automobile, quando lui aveva insinuato per la prima volta
che lei potesse essere tossicodipendente.
-Va bene, d'accordo.
Basta domande.
-BASTA CON LE DOMANDE! - strillò lei,
improvvisamente fuori di sé – BASTA! Lei deve
lasciarmi in pace!
Ha capito? MI LASCI STARE! La mia vita non la riguarda! Si preoccupi
della sua vita e di Camilla e del suo stupido cane e di qualsiasi
altra cosa sia più importante di me!
-Bianca, stai calma, per
favore – provò a prenderla per le spalle, ma lei
si scrollò con
rabbia.
-NON MI TOCCHI! - urlò, pulendosi le spalle con tanta
foga che sembrava si stesse schiaffeggiando – MI LASCI STARE!
SE
NON GLIENE FREGA NIENTE DI ME, SE NE VADA! NON VOGLIO AVERLA ATTORNO,
NON LA VOGLIO VEDERE!
-Per favore, siediti. Non urlare. Ti
sento.
-NO! - urlò lei, con forza.
Ansimò per un po',
guardandolo con rabbia, poi, all'improvviso, sembrò
ridestarsi.
Spalancò gli occhi, abbassò la testa, si
posò una mano sulla
fronte e si abbandonò sulla sedia.
Emanuele la guardò, in
attesa.
-Non posso andare avanti così – mormorò
lei, fissando
il pavimento ad occhi sbarrati. Afferrò disperatamente la
bottiglietta, la stappò e, prima che Emanuele potesse fare
qualsiasi
cosa, diede qualche lunga sorsata. - Mi scusi. Devo andare.
-A
fare cosa...?
-Devo andare. Davvero. Mi lasci andare – supplicò,
stringendo la bottiglietta come se fosse un'ancora di
salvezza.
-Bianca, cosa stai facendo a te stessa? - le chiese
disperato, mentre si allontanava.
-Mi lasci stare – lo implorò
lei, prossima alle lacrime – io stavo bene
prima di
parlarle. Dio – si diresse
frettolosamente verso la porta;
ma la voce rotta e le mani tremanti sembravano chiedere esattamente
il contrario delle sue parole.
Emanuele provò a rincorrerla, ma
le ginocchia per un istante gli cedettero. Si sentiva sfinito.
In
fondo, nonostante fosse lei a chiedergli di lasciarla andare, in
realtà era lui quello che voleva allontanarsi. Il
più distante
possibile, dove lei non avesse più il potere di toccargli il
cuore.
Quel
giorno andò a
casa prima. Si giustificò con un malessere improvviso e se
ne tornò
a casa; aveva voglia di vedere Camilla, le telenovele stupide del
dopopranzo, i suoi genitori, Gengis, le action figures, di leggere un
nuovo numero di Rat Man anche se ormai gli faceva
schifo.
Aveva voglia della sua vita.
Aveva un bisogno disperato
della sua vita, aveva bisogno di parlare con qualcuno che volesse
viverla, e che non gli ripetesse in continuazione che il mondo era un
cumulo schifoso di vipere in agguato, perché stava iniziando
a
crederci.
Voleva qualcuno che gli dicesse 'andrà tutto bene'.
Una
parte di lui voleva che qualcuno lo dicesse anche a Bianca, ma non
aveva voglia di pensare a lei. Non era riuscito a convincerla di
niente. Era lei che convinceva lui delle sue idee,
lei che
continuava a ripetergli, finché non gliel'aveva inculcato,
che era
impossibile continuare a vivere.
In fondo era riuscita nel suo
intento.
L'aveva fatto scendere dal cavallo bianco.
-Ema? -
fece Camilla, sorpresa; probabilmente aveva visto il suo cappotto
gettato disordinatamente sul divano. - Sei qui? - fece, entrando in
cucina.
Era lì, certo. Aveva frugato tra gli intrugli di Camilla
finché non aveva trovato una tisana rilassante, ma non
doveva aver
funzionato, perché continuava a stringere i denti e non era
capace
di rilasciarli.
-Cosa
fai qui? Non
sei a scuola, a quest'ora?
-Teoricamente sì – rispose,
sorseggiando la terza tisana.
-Cos'è successo? Stai
male?
-Abbastanza. Sì, sto parecchio male.
-C'entra
Bianca...?
-Certo, c'entra Bianca. E chi sennò? Io non andrò
avanti ancora a lungo se quella ragazzina continua a... Cristo. Non
ce la faccio più.
-Calmati – fece Camilla, sicura, facendoglisi
vicino – non pensarci. Ok? Svuota la testa.
-È quello che
cerco di fare da un'ora – si lamentò –
niente, non ce la faccio.
Devo starle lontano. Altrimenti perdo la testa. Io non ce la faccio
più, Camilla, davvero, non ce la faccio più.
-Ok, ho capito.
Invece ce la farai. Bianca la pianterà di riversare su di te
i suoi
problemi e tu ce la farai.
-Ma chi la aiuterà, se non io?! -
esclamò, disperato – Chi si occuperà di
quella
ragazza?
-Ema...
-Bianca ha tentato il suicidio. Ha cercato di
tagliarsi le vene. Lo capisci, io cercavo di aiutarla, e invece lei
durante le vacanze si è tagliata le vene. Come cazzo bisogna
stare
per cercare di morire a Natale?
Camilla
impallidì;
abbassò gli occhi. Emanuele si sentì sprofondare,
perché stavolta
non sapeva nemmeno lei cosa dire, cosa fare per sistemare tutto.
-Ha
sedici anni – proseguì, stravolto –
anch'io a sedici anni
pensavo 'la faccio finita', ma poi non lo facevo davvero. A sedici
anni ha vissuto così poco, ma già ha voglia di
morire. Com'è
possibile? Cosa le hanno fatto, per farle decidere che aveva visto
tutto, e che non le piaceva per niente...?
Si nascose il viso tra
le mani. Si sentiva senza speranze anche lui.
Bianca era
contagiosa. Quand'era allegra, gli veniva da sorridere, quand'era
triste, gli veniva da piangere. E ora che scopriva che aveva voluto
morire, non riusciva a guardare al futuro nemmeno lui.
-Dove
abita? - chiese improvvisamente Camilla.
-Eh? Perché...?
-Dimmi
dove abita – fece lei, marziale. Quel tono lo
stupì.
-Altichiero
– mormorò, incerto. Lei annuì. -
Perché?
-Dammi l'indirizzo
preciso, se ce l'hai. Vado a parlarci.
-A parlarci?
Emanuele si
drizzò all'improvviso, sbalordito. Camilla annuì
di nuovo, e si
riallacciò le scarpe.
-Sì, ci voglio parlare. Mi dispiace per
questa ragazzina. Ma, vuoi la verità? Il fatto è
che non ce la
faccio più a vederti così. Se te la prendi per
qualche colpo basso
dei colleghi, beh, ci sta, è normale. Se i ragazzini ti
rendono la
vita impossibile e non ti lasciano far lezione, è normale
anche
quello; io ho i contribuenti e tu gli studenti, e so che entrambi
sanno essere insopportabili. Ma non è giusto... - gli occhi
di
Camilla si inumidirono – non è giusto che lei
rovini la cosa più
bella che ho. Io voglio vederti sorridente, non distrutto a causa
sua. Ha dei problemi? Ne parleremo, l'aiuteremo, farò
qualcosa. Ma
io voglio indietro quello che ho costruito con te. Non posso
permetterle di rubarmelo.
Si asciugò una lacrima, e a quel punto
Emanuele si alzò e si precipitò di fronte a lei.
L'abbracciò e le
baciò la fronte.
-Amore mio, perdonami – bisbigliò –
è
anche colpa mia. Non è giusto che sia tu a farne le spese.
Ti
prometto che sarò più forte, che non mi
farò influenzare da
lei.
-E se invece lo farai? - singhiozzò lei – Io
voglio... io
voglio almeno andare da lei e dirle la mia. Voglio dirle che non deve
avere l'esclusiva sui tuoi cambiamenti d'umore, che... non deve
essere più importante di me.
-Ma non è...
-Ma lei – lo
interruppe Camilla, tirando su col naso – lei riesce a
toccarti
dove io non posso. Lei è capace di farti disperare, ma io
non sono
capace di farti sorridere. E... e io voglio... voglio che la
smetta!
Camilla scoppiò in un pianto a dirotto, che Emanuele
cercò di calmare stringendola al petto e accarezzandole i
capelli.
Respirò profondamente.
No, pensò. Non gliel'avrebbe permesso.
Lui e Camilla erano felici, erano sempre stati felici. E avrebbero
continuato a esserlo.
E se salire sul cavallo bianco fosse servito
semplicemente a difendere quel poco che avevano, una casa e dei libri
e un cane mezzo stupido, avrebbe impugnato la spada e combattuto
anche contro una ragazzina.
Non le avrebbe permesso di
distruggerli.
Fu
Bianca stessa ad
aprirgli la porta, quando suonò al campanello di casa sua.
-Ma
buongiorno, prof! - esclamò felice quando lo vide
– Entri, la
prego. Che bella sorpresa!
L'accoglienza calorosa quasi gli fece
dimenticare il motivo per cui era lì. Ma poi
ripensò alle lacrime
di Camilla, e alle sue, di lacrime, quando lei l'aveva portato dove
lui non voleva arrivare, e si impose di tenere bene a mente che
quella ragazzina non era innocente per nulla. Era, a ben vedere, la
causa di tutti i suoi recenti malesseri.
-Sei sola? - si limitò a
chiederle. Lei gli indirizzò un finto sguardo torvo e
arricciò le
labbra a cuore.
-Prof, insomma. Ho anche altro da fare nella vita
che fornicare.
-Del tipo? - non riuscì a trattenersi dal
chiederle.
-Ah, sto scrivendo un libro di poesie. Stavolta a
computer, così poi riesco a rileggerle anch'io. Una
è quella che le
avevo dato, anche se non riesco a ricordare cos'avessi scritto. E poi
sto pulendo camera mia, ho disposto tutti i libri sugli scaffali in
classificazione Dewey. Ho fatto anche le etichette
come in
biblioteca. Poi mi sono fatta le unghie per bene, così non
me le
mangio più; sa, me le rosico in continuazione, è
più forte di me.
Mi mordo anche sempre le labbra, vede? - le indicò,
sporgendole –
Sono screpolate e un po' rotte. Dovrei mettermi il burrocacao, ma
è
così fastidioso, poi quando uno ti bacia ed è
pieno di robaccia
cremosa è fastidioso da morire, lo so perché una
volta uno mi ha
baciata dopo essersi messo il Labello, quello per uomini, ovviamente,
perché per voi uomini è una vergogna se vi...
-Ehi, stoppa un
attimo – intervenne, con calma. Aveva deciso di prendere in
mano la
situazione, una volta per tutte, senza disperarsi con Camilla o
infuriarsi con Bianca. – Senti. Credo che tu ti sia un po'
persa
nel discorso.
-Credo anch'io – Bianca sorrise, ed era un sorriso
bellissimo; sapeva fare dei sorrisi buffi, di cuore, che le
illuminavano il viso. Era impossibile resistere al suo sorriso. Ma
non lo rivolgeva mai ai compagni di classe; soltanto a lui, e solo
qualche rara volta.
-Ti ho disturbato, venendo qui? - le chiese,
mentre lei gli sfilava il cappotto.
-Si figuri – replicò
allegramente, galoppando fino all'attaccapanni – non sapevo
cosa
fare. Più tardi vado in palestra e poi mi vedo con una tipa,
ma ho
giusto quest'oretta che proprio non sapevo come riempire, ed
è una
strana coincidenza che lei capiti qui proprio adesso; vogliamo
utilizzarla come Dio comanda, quest'oretta libera prima che vada in
palestra?
Lo disse sorridendo; Emanuele non ci fece caso.
-Volevo
parlarti – esordì – se la cosa non ti
manda in bestia.
Bianca
salì sulla cyclette e iniziò a pedalare con foga.
Sollevò le
sopracciglia, per invitarlo a parlare; iniziò a mordersi
l'interno
della bocca.
-Non puoi stare ferma un secondo e venire qui?
-Le
spiace? Mi sento veramente piena di energie –
replicò gioiosamente
– lo vede? Mi sono ripresa. E scriverò questo
libro, è un
giuramento con me stessa. M'impegnerò in tutto. E quest'anno
uscirò
con la media del dieci, vedrà se non ce la faccio. E poi
andrò in
Erasmus all'estero. E lì conoscerò una sbrega di
gente
interessante, intellettuale, un po' indie e un po' fattona, che cita
Kierkegaard e Schopenhauer e ha un Mac Book nonostante il look
finto-povero, e tornerò qui e gliela farò vedere
a tutti, e quando
il libro sarà pubblicato sarò famosa ed elegante
e vestita tutta
firmata perché dopo il diploma a pieni voti
troverò un lavoro
straordinario.
Più parlava, e più velocizzava le
pedalate. Sembrava davvero instancabile. Ancora, il sospetto che da
qualche parte ci fossero delle pastiglie o della polvere Bianca
sfiorò il pensiero di Emanuele.
-Non sembri la stessa persona che
neanche un mese fa ha tentato...
-Ancora con questa storia,
bastaaa – sorrise Bianca – è venuto qua
per chiedermi altri
dettagli? Vuole vedere la cicatrice?
-Ti supplico di no, sono
emofobico. Svengo, se vedo sangue. Non scherzo.
-Anche Benetazzo e
i suoi amici metallari dicono sempre di essere emofobici.* Tra tutti,
poi, non me lo facevo impressionabile, Benetazzo. Sa che uno dei suoi
cantanti preferiti ha ammazzato a coltellate un tizio di un altro
gruppo? E i membri del gruppo di questo poveretto hanno fotografato
il cadavere e l'hanno schiaffato in copertina del nuovo album? Sa che
gira anche voce che denti e pezzi di cervello di quel povero
Cristo...
-Bianca, torniamo a bomba per favore?
-Ah, sì,
volentieri, prof. Anche a me ha dato un pochino allo stomaco questa
storia. E non volevo neanche menzionarle Ozzy Osbourne, che ha
mangiato...
-Bianca.
-Scusi. Comunque, mi hanno dato i
punti in ospedale, di sangue non ce n'è neanche una goccia.
Vuole
vedere?
-Sembra che ci tenga più tu di me, al fatto che io veda
questa cicatrice.
-Sì, ci tengo, anche se non so perché.
Guardi.
Bianca balzò giù dalla cyclette e in due falcate
fu da
lui. Gli si parò davanti ed entrambi concentrarono la loro
attenzione sul grosso cerotto, che lei alzava delicatamente stando
attenda a non staccare del tutto lo scotch.
-In realtà potrei
anche toglierlo – lo informò – ma la
cicatrice fa un po'
impressione, e ho paura che si riapra.
-Bianca, ti prego, se
continui con questi discorsi finisco per terra. Non sto
scherzando.
Ma rischiò di finire per terra anche quando la vide.
I punti erano stati tolti, ma erano parecchi. La ferita era larga un
centimetro e lunga circa cinque. Pensando alla lama che andava
così
in profondità, Emanuele ebbe un capogiro e
afferrò la spalla di
Bianca.
-Prof! - esclamò lei, sorpresa – Mi finisce a
terra
veramente? Su, si sieda sul divano, che le porto un bicchiere
d'acqua. Ma guarda te, grande e grosso com'è... - sorrise
ancora,
poi sparì in cucina.
Tornò con il bicchiere pieno, ed Emanuele
lo bevve avidamente. Rimase seduto.
-Fammi un favore, coprila –
mormorò – è un po' troppo per me.
-Sa che ho sempre un
formicolio alla mano? Pensi che potevo paralizzarmela.
-Non sapevi
di incorrere in questo rischio?
-Beh, non pensavo che avrei dovuto
farci fronte, non so se mi spiego – rise, ma, vedendo che
Emanuele
non rideva, sospirò. - Su, su, un po' allegria. Sono ancora
qui a
rompere le palle, no? E allora è tutto a posto –
sorrise, e gli
sembrò davvero rassicurante. In fondo, sembrava piuttosto
vivace,
anche se spesso lo era fin troppo. Tutto sommato era positivo.
-Ti
vedrò ancora in... certi stati?
-No, no, prof. Farò quanto in
mio potere affinché non accada. Le prometto che non la
farò
preoccupare.
-Dov'è la mia garanzia?
-Mmmh... beh. Le spiego;
durante le vacanze, mi sembrava tipo tutto vuoto, nel senso che mi
chiedevo come avrei fatto ad arrivare all'ora successiva,
perché mi
sentivo come se non ci fosse niente che valesse la pena di essere
vissuto. Sa, la delusione amorosa. Ma adesso mi sento molto meglio!
Ho tantissime cose da fare e libri da pubblicare, e medie da tenere
alte, e gente da conoscere, e corsi a cui iscrivermi – avevo
in
mente degustazione, grafologia e yoga – e adesso il tempo mi
sembra
perfino poco per tutte le cose che voglio fare, se
ne rende
conto? Infatti ho comprato una bella agendina Moleskine per tenere
gli appuntamenti, non per annotarmi pensieri profondi ispirati dal
mondo circostante come fanno certi atteggiati pseudo poeti,
perché
io le poesie le scrivo sul computer, tanto poi le stampano sul
computer, e insomma vede? Ho così tante cose da fare che non
riesco
neanche ad elencargliele! Sono soddisfatta, e imparerò a
fare un
casino di cose, ed è sempre giusto imparare cose nuove, vero?
-E
non potevi fare tutte queste cose un mese fa, quando volevi farla
finita?
-Non m'interessavano – spiegò Bianca, quasi
dispiaciuta
di non poterlo accontentare – mi sembrava che tutto fosse
inutile e
stupido. Pensavo tipo: ma che me ne faccio del corso di yoga, se
tanto sto una merda e il mondo è una merda e non
cambierà per me?
Ma poi sa, dicono che dal fondo si può solo risalire, e sono
risalita, perché se guardi nell'abisso l'abisso
guarderà te, ma se
guardi un bel culo allora sarà un bel culo a guardare te, e
da lì
in poi inizia ad essere divertente! - Sorrise allegramente –
Capisce? Vede che me li godo, i sedici anni? Lei non può
più
guardarli, i bei culi, sennò la Camilla la manda a
spigolare.
Emanuele si rasserenò. Bianca sembrava ragionare. Quel
che diceva, per lo più, aveva un senso.
-D'accordo – fece
Emanuele – va bene. Mi ritengo soddisfatto.
-Eh; ma poi, alla
fine, perché era venuto?
-Perché mi stavi facendo un po' uscire
dal seminario – ammise – mi preoccupo, e poi ci sto
male. E se io
sto male, anche Camilla sta male. E così volevo sincerarmi
che non
sarebbero più successe cose spiacevoli... anche e
soprattutto nel
tuo interesse.
-Mh – Bianca sorrise – be', allora credo che
lei possa tranquillizzarsi, e tranquillizzare anche
Camilla.
-D'accordo – anche Emanuele sorrise – allora grazie
della chiacchierata.
-Oh, grazie a lei, almeno ho passato il tempo
in modo utile. Posso offrirle qualcos'altro prima che vada?
-No,
no, ti ringrazio, sicuramente Camilla ha preparato il the.
Sarà per
un'altra volta.
-Sarebbe magnifico – replicò gioiosamente
Bianca, andando a prendergli il cappotto. - Allora ci conto, eh? -
fece speranzosa, porgendoglielo – Un giorno la prendiamo una
cioccolata assieme, con la panna, in un bar carino del centro?
-Ti
renderebbe felice?
-Sì, molto. Sarebbe inusuale, per me, di
solito lo scenario delle mie malefatte è un campo, o un
argine, o
una zona industriale, o un sedile scomodo. Mentre il bar carino
è
molto più chic e romantico. E poi non potrei farle le mie
malefatte,
in un bar, così evito che lei si arrabbi con me.
-Bar carino sia
– decretò Emanuele, afferrando la maniglia
– beh, allora stammi
bene, Bianca. Se hai qualche problema, ricordati che c'è
l'aula
ricevimento, col sottoscritto dentro, pronto ad aiutarti.
-Ma
certo, prof! - gli regalò un altro dei suoi bellissimi
sorrisi, e
agitò la mano nel chiudere la porta. Anche Emanuele la
salutò con
un sorriso e un cenno della mano.
Arrivò a casa sorridente e
sereno, e Camilla tornò sorridente e serena com'era sempre
stata, e
quel pomeriggio lo dedicarono al the bollente, al Twister e a una
lunghissima sessione di coccole.
Come se fossero stati sedicenni
per un pomeriggio, la parte dolce e innocente dei sedici anni che
loro ricordavano di aver vissuto.
Per i tre giorni successivi,
Bianca continuò a comportarsi come al solito; con la
differenza che,
verso la quarta o quinta ora, per tre volte consecutive
portò dei
permessi di uscita. Probabilmente, pensò Emanuele, doveva
vedersi
con qualcuno, oppure era semplicemente stanca di stare a lezione. Per
fortuna, il giovedì e il sabato avevano educazione fisica,
materia
in cui Bianca eccelleva e che le diede occasione di sfogarsi un po'.
Furono giornate abbastanza tranquille. A ricreazione Bianca se ne
stava avvinghiata a qualcuno, durante le lezioni trafficava con
l'iPhone, scriveva furiosamente poesie, disegnava bellissime donne in
bianco e nero. Durante quelle ore si dedicò alla cura delle
unghie
rovinate, e ogni giorno le colorò in modo diverso (nere
coronate di
rosa, rosse con una stellina bianca, mezze viola e mezze blu). Lesse
una gran quantità di libri e si esercitò con
costanza nelle
posizioni yoga appena imparate. Emanuele si felicitò tra
sé e sé
che non si fosse data alla degustazione in ambito scolastico.
Passò
un weekend
sereno. Sabato sera, con Camilla e gli amici, andò a cena
fuori e
poi in discoteca, del tutto libero dai pensieri negativi.
Dormì
sereno, sentendosi fiducioso verso il mondo. Il fine settimana era
stato divertente, Camilla sorrideva, Bianca era tornata normale e
tutto andava finalmente nel verso giusto.
Domenica sera si
addormentò con l'abbandono di chi non aveva nulla di male da
aspettarsi dal futuro.
Il lunedì aveva la terza A, ed entrò
in classe tranquillo e sicuro, a grandi passi vittoriosi. Tra
l'altro, quel giorno Cappelletto sarebbe ritornato a scuola dopo la
sospensione, e, anche se la sua bocciatura era sicura, lui aveva
deciso di voler rimanere in quella scuola; il motivo, non si sapeva
bene.
Ma Emanuele ne ebbe un assaggio quando lo vide tirare la
manica di Bianca, che guardava inespressiva fuori dalla
finestra.
-Ohi. Mi dai retta sì o no? Ti vuoi girare? Ohi!
Ma
Bianca non si girava.
Emanuele sudò freddo. Aveva già visto una
scena simile.
-Guarda che ho spaccato il naso a una, per te. Sei
proprio stronza. Potresti almeno parlarmi.
-Non ho niente da dirti
– la sentì mormorare, sprecando appena un filo di
voce.
-Beh,
magari io ce l'ho, qualcosa da dirti, no? Mi ascolti?
-Lasciami
stare... - sbuffò, liberando la manica dalla presa del suo
compagno.
Il quale, attonito, si rivolse verso Emanuele, che li guardava
entrambi con la mascella a caduta libera.
-Ma vede com'è? Vede?
Poi sbaglio a pensare che dovevo spaccarglielo a lei, il naso, invece
che alla Miotto?
-Per favore, non voglio più sentir parlare di
nasi spaccati – Emanuele agitò le mani davanti a
sé, come a voler
scongiurare il pericolo – fatemi un favore. Oggi voglio fare
lezione in santa pace.
-Manterrò io l'ordine, prof! - promise
Benetazzo – In the name of true norwegian metal of
doom of steel
of the defender of the Lord!
-Cos'è che ha detto
PeneCazzo...?
-Boh, è convinto di essere un templare.
-Infernal
Hail! I AM THE CHOSEN ONE! - quando
Benetazzo, detto
PeneCazzo, alzò un pugno verso il cielo e si
batté drammaticamente
l'altro pugno sul petto, Emanuele ebbe la sensazione di non essere
esattamente in buone mani.
Ma in quel momento era più interessato
al silenzio di Bianca che alle manie di grandezza di Benetazzo. Non
sapeva come interpretarla. Cappelletto s'immusonì e decise
di non
parlarle; Emanuele scelse la tattica del far finta di niente.
Per
tutta l'ora, Bianca fu tranquilla. Non pianse, questa volta, non
diede segno di avere problemi che la tormentassero; semplicemente
stette in silenzio, ascoltò con aria seria e prese molti
appunti.
Emanuele le lanciò un'occhiata prima di uscire, ma lei stava
mettendo i libri in zaino e non se ne accorse. Decise di non farci
caso.
Martedì passò allo stesso modo; Bianca prese
appunti, non
badò a Cappelletto – Emanuele sospettava che non
l'avrebbe fatto
in ogni caso, di qualsiasi umore fosse – e sostanzialmente
non
disturbò la lezione.
Mercoledì non andò in aula ricevimento.
Nessuno si lamentò di lei in aula insegnanti.
Giovedì e venerdì
gli sembrò un po' più cupa; non prese appunti,
non parlò, si
limitò a guardare fuori dalla finestra e a scrivere frasi
apparentemente sconnesse tra loro sugli orli delle pagine.
Notò che,
durante le lunghe ore che passava a guardare il cortile della casa
accanto, non faceva assolutamente nulla.
Non aveva detto di avere
milioni di cose da fare?
Era preoccupato, ma non voleva
preoccupare Camilla, per cui si tenne i suoi pensieri per sé
e si
convinse che tutto era normale.
Ma il sabato gli dimostrò che non
era tutto normale. A educazione fisica, Bianca si rifiutò di
cambiarsi. Stando a quanto gli riportarono, era rimasta all'angolo
della palestra con la sua minigonna e i suoi stivali, fissando un
punto nel vuoto in mezzo al campo di pallavolo. Cappelletto, che
l'aveva fermato nel corridoio espressamente per riferirgli
l'accaduto, aveva tentato di convincerla a infilarsi la tuta,
ché
altrimenti si sarebbe presa una nota; ma lei sembrava non averlo
nemmeno registrato.
-Fa la cagona – si lamentò Cappelletto –
eppure tutti sanno che la dà a chiunque. Cos'ha quindi da
tirarsela...?
-Non credo che se la stia tirando – spiegò
Emanuele – forse è solo triste.
-Triste – ripeté sbuffando
il ragazzo – per cosa, poi? E comunque potrebbe anche
dirmelo. A
me, di lei, me ne frega qualcosa. Perché non mi parla?
Non poteva
dirgli la verità, ovvero in quale infima considerazione
Bianca lo
tenesse. Tentò la via diplomatica.
-Beh, avrà le sue cose a cui
pensare – affermò – non puoi non esserti
accorto che ha dei
problemi personali.
Cappelletto lo guardò, nervoso.
-Prof –
borbottò – non sono stupido. Ho visto che ha le
fasce sul polso.
Non l'ho neanche detto a nessuno.
-Ti piace proprio, Bianca,
eh?
Gli sorrise, tutto sommato intenerito. Cappelletto non godeva
della sua ammirazione, ma era sicuramente più simpatico in
versione
'innamorato'.
-Bah – fece il ragazzo, con una smorfia – beh,
comunque, le stavo dicendo. Non ha voluto mettersi 'sta tuta. Il prof
l'ha convinta con le buone, e così se l'è messa,
ma, oh, prof,
sembrava che dormisse in piedi. Continuava a guardare per terra. E
lei è brava, eh, a pallavolo? È sempre stata la
migliore. Eppure
mancava tutte le palle. È finita che il prof le ha detto di
uscire
dal campo. E così lei è uscita dal campo, ma
stava piangendo, solo
che stava in silenzio, me ne sono accorto giusto perché la
stavo
guardando. - Cappelletto arrossì; poi continuò. -
Cioè, la
guardavo... la stavano guardando tutti. Non solo io. E solo
perché
si era messa in mostra come al solito.
-Va bene, Cappelletto, l'ho
capito che ti piace, non infognarti con le tue stesse mani.
-Pensi
quello che vuole – sbottò l'altro, sempre
più rosso – comunque,
torniamo alle cose serie. È rimasta per metà
lezione in
spogliatoio, da sola, e quando l'ora è finita lei ci
è uscita con
gli occhi rossi. E gonfi. Il prof ha provato a parlarci, ma lei
è
andata via di fretta, non so cosa gli abbia detto, parlava talmente
piano che non ho capito un cazzo. E poi fino ad adesso ha continuato
a stare in silenzio e ogni tanto mi voltavo e vedevo che
singhiozzava, che si asciugava le lacrime.
D'accordo, questo era
troppo. Non aveva voglia di lasciar passare una settimana, o di
passare un weekend tormentato dai pensieri.
-Grazie, Cappelletto.
Senti, fammi un favore: quando Bianca piange, tu vieni da me e me lo
dici. Ok?
-Sì, prof, io glielo dico. Ma se mi ascoltasse, quella
testa da... vabè; se mi ascoltasse, dico, proverei ad
aiutarla
anch'io.
Come lo capiva. Ma, dato che era lui l'adulto, lui quello
che aveva il compito di rassicurare un sedicenne confuso, non glielo
disse.
-Non preoccuparti – gli disse invece – non
è compito
tuo. Il fatto che tu non riesca a salvare una persona, che tra
l'altro non vuole essere salvata, non significa che tu non ci tenga
più di chiunque altro.
-Eeh, adesso! Più di chiunque altro.
Piano. Mi interessa che stia bene, ma da qua a tenerci più
di
chiunque altro...
Ma era fiero di averglielo detto. Fiero di
aver detto a un altro le parole che avrebbe voluto che qualcuno
dicesse a lui.
-Bianca – la fermò, all'uscita, toccandole
una spalla. Lei si girò; aveva la stessa espressione
amareggiata che
le aveva visto un mese prima. - Bianca...?
-Sì, prof?
-Te lo
ricordi che volevi andare in un bar carino a bere la cioccolata con
panna?
-... sì.
-Ecco. Ti va di andarci?
-Non so. È ora di
pranzo.
-D'accordo, allora andiamo a pranzo. Dove preferisci
mangiare?
-Non ho tutta 'sta fame.
L'aveva già sentita, quella
frase. Con la stessa voce atona.
-Quindi una cioccolata va bene? -
ritentò.
-Sì – fece Bianca – d'accordo. Ma
perché?
-Voglio
parlarti.
-Oh. Ok.
Perché non aveva detto qualcosa come
'aaancoooraaaa?', o non aveva chiesto il motivo di un bisogno tanto
urgente di parlare?
-Stai bene, Bianca? - esordì, senza giri di
parole, mentre s'incamminavano.
-Scusi?
-Stai bene? Non mi
sembri in forma come mi avevi detto.
-Già. Ho ricevuto un'altra
delusione amorosa, credo.
-In che senso?
-Ho ricevuto un brutto
colpo. Ci sono rimasta molto male.
-A causa di chi?
-Quando
parlo d'amore, vuol dire che parlo di lei.
Nonostante tutto,
quella frase, contro la sua volontà, gli fece battere il
cuore.
Doveva ammetterlo: poche persone erano riuscite a
dimostrare tanta devozione nei suoi confronti.
-Cos'ho fatto,
questa volta, per deludere le tue aspettative?
-Pensi che non
avevo nemmeno aspettative da deludere. Ma mi ha ferita lo
stesso.
-Come?
-Mah, non so, tipo, io tento di suicidarmi, tra
l'altro per lei, e lei viene a casa mia; ma non per sentire come sto
o perché l'ho fatto, bensì per assicurarsi che io
non faccia più
tiri del genere, sennò lei si agita, povero bimbo, e se si
agita lei
si agita anche Camilla, povera piccina. Mi raccomando, veda di
mantenersi sempre perfettamente al centro del suo piccolo insulso
mondo, che importa se ho tentato di ammazzarmi, l'importante
è che
lei e la sua deliziosa fidanzatina stiate tranquilli,
no?
Nel
parlare si era agitata. Ora era arrabbiata.
-M... mi dispiace –
balbettò Emanuele – io... non volevo darti questa
impressione.
Io...
-Ancora con le sue impressioni, eh? E ancora con l'abuso del
pronome IO, IO, IO e ancora IO. Ma qua stiamo parlando di Bianca,
permette? C'è uno spazietto nella sua proposizione per il
nome
proprio di persona Bianca?
-Ce n'è sempre stato fin troppo
– sbottò Emanuele, seccato – mi sono
sempre preoccupato per te.
A volte non dormivo la notte, pensando a come stavi.
-Ma poi mi è
caduta sull'uccello, signora Longari.* Non ha pensato a me proprio
nel momento in cui avrebbe dovuto farlo. Di più: in quel
momento, ha
pensato a se stesso. Di più:
è venuto da me a dirmi di non
tentare il suicidio perché altrimenti avrei rovinato la
giornata
alla sua fidanzatina! Un vero esempio di sensibilità e savoir
faire, mh? Lei sì che si preoccupa per me. Uh.
Perfino
Cappelletto ha dimostrato un interesse più sincero verso la
mia
persona.
Sapeva che in quel momento avrebbe dovuto negare, dirle
che non era vero niente, dimostrarle in qualche modo che si stava
sbagliando. Sarebbe bastata anche una frase di circostanza, o un
'no', o un abbraccio; ma pur sapendolo rimase immobile e zitto.
La
realtà era che Bianca aveva centrato il bersaglio, che
Emanuele non
ce la faceva più a preoccuparsi di lei rovinando la propria
vita e
quella di Camilla, che non aveva più voglia di rincorrerla
nella sua
folle corsa verso una destinazione ignota quanto minacciosa.
Voleva
solo tenere al sicuro la sua famiglia e non saperne più
niente dei
suoi problemi.
-Avevo ragione, vero? - lo sfidò Bianca, con un
sorriso di scherno, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime
–
Tuttavia non posso darle torto, è giusto che lei pensi prima
di
tutto a se stesso. Ma vede, speravo comunque che lei me lo chiedesse.
Perché, Bianca, perché volevi morire?
Smaniavo dalla voglia
di dirglielo. Volevo dirle che tutti mi facevano schifo, ma lei no. E
che a un certo punto avevo capito che dovevo rinunciare a lei,
perché
lei non mi voleva, al che mi sono detta, ma cosa vivo a fare?
Perché
l'unica cosa per cui vivevo non si rendeva nemmeno conto di avermi
aggrappata alla caviglia, a penzoloni sul precipizio. È
stato
facile, vero? – assottigliò gli occhi carichi di
lacrime,
fissandolo intensamente – È stato facile scrollare
la gamba e
liberarsi di quel peso, no? Perché tanto lei non ha visto,
non si è
mai accorto di quello che c'era sotto di me. Diciamo le cose come
stanno: lei non vuole guardarlo, o sbaglio? Lei
soffre di
vertigini, lei ha paura delle altezze, lei è spaventato dai
baratri.
Bene, lasci che le dica una cosa: anch'io, porca
puttana,
avevo paura. Anch'io ero spaventata, e non sapevo
cosa mi
sarebbe successo, ed è per questo che non facevo che
chiederle
aiuto. E lei cos'ha fatto? È venuto a raccomandarmi di fare
la
brava, ché sennò Camilla non trovava il
fidanzatino gioioso e
sorridente pronto a portare giù la spazzatura al posto suo.
Beh,
grazie mille, complimenti. Mi scusi se protraggo a lungo il discorso,
ma, dato che sono ancora qui, ne approfitto per dirle ciò
che
speravo di seppellire assieme a me.
Emanuele ebbe un brivido.
Sentì l'aria di gennaio farsi ancora più gelida.
Perché era
stato davvero soltanto un caso se adesso Bianca non era sepolta tre
metri sotto terra, assieme alle parole che non gli aveva mai
detto.
Morire con quei pensieri, pensò Emanuele. A sedici anni.
Doveva sforzarsi moltissimo per provare a sentire,
con
l'anima, cosa potesse significare.
-Io - incominciò lentamente –
io non penso sia giusto rivolgere tutte le accuse su di me. Credo che
il problema sia un altro. Non sono stato io a
spingerti fino a
lì.
-No – replicò immediatamente Bianca, convinta
– non ho
mai detto questo. Mille altre cose mi spingevano da quella parte, ma
io guardavo verso di lei. E pensavo che se c'era lei allora volevo
rimanere dov'ero. Ho provato a parlarle. Ci ho provato, ad uscirne.
Sapevo che era assurdo aggrapparmi a un uomo che non mi amava, ma ci
ho provato lo stesso.
-Tu non mi hai mai amato – si esasperò
Emanuele – l'hai detto tu stessa: ti sei aggrappata
a me. Ti
sembravo a posto e hai deciso che io sarei stata la tua boa in mezzo
all'alto mare. Ma questo non è amore! È un grido
d'aiuto per essere
salvati. Ero il tuo pretesto per convincerti che volevi continuare a
vivere, e te la sei presa con me quando hai realizzato che oltre a un
pretesto non avevi nient'altro!
-Beh, la ringrazio! - gridò
Bianca in lacrime – Grazie mille! Quindi mi conferma che non
ho mai
avuto niente! Mai, non ho avuto niente! Che tutto quello su cui
facevo affidamento era il nulla più
assoluto!
-Hai sempre
saputo che non provavo nulla per te!
-Ma grazie, me lo ripeta! Già
che c'è, perché non prende anche un coltello e me
le taglia lei
stesso, le vene?
Fortunatamente si trovavano in una via poco
frequentata, ma non gli sembravano comunque discorsi da affrontare in
pieno centro città, tantomeno in un bar affollato.
-Prendiamo il
tredici – decretò Emanuele – parliamone
a casa tua. È più
vicina al centro della mia.
-E che c'è ancora da dirsi? Non le
pare abbastanza? - singhiozzò rabbiosa, asciugandosi le
lacrime.
-No, non è ancora abbastanza. Avanti.
Il tragitto
in autobus e a piedi passò nel silenzio più
assoluto, ed Emanuele
sperò che una mezz'ora di calma potesse smorzare la furia di
Bianca.
Ma quando arrivarono al suo appartamento lei girò le
chiavi nella toppa con una certa violenza, e fu così che
capì che
non le era passata. Forse era appena iniziata.
-Si sieda – gli
mormorò, ma teneva ancora il muso. Si sedette comunque. -
Vuole un
caffè?
-No.
-Mh. Io lo faccio per me.
-Lascia stare il
caffè, Bianca.
-Ho voglia di...
-Per favore; lascia stare
quel caffè e vieni qui.
Bianca obbedì e si abbandonò
stancamente su una poltrona. L'espressione del suo volto non era
delle più concilianti, ma Emanuele stavolta non intendeva
fermarsi.
-Dobbiamo parlare di questa storia – esordì.
Bianca
lo fissò con disprezzo.
-Perché, deve darmi qualche altra bella
notizia? - sibilò.
-No. Voglio convincerti una volta per tutte
che quello che cerchi in me non è un uomo.
-Oh, la prego –
sospirò – la prego, non Freud.
-Non volevo insinuare niente
di simile. Volevo soltanto dire che non hai mai ricevuto una
delusione d'amore, perché non sei mai stata innamorata di me.
-E
va bene, diamo per buona la sua versione. Cercavo soltanto aiuto.
Giusto? Però lei mi ha voltato le spalle. The End.
Ora tutta
la storia le sembra più nobile?
-Non è andata così.
-Oh,
sì invece che è andata così. Tentativo
di suicidio? Preoccupato
per Camilla? Chi se ne frega di Bianca, anyone?
-E tutte le
volte che ti ho ascoltata nella mia ora di ricevimento? Quando ti ho
seguito in quel maledetto motel? Quando ti ho portata a casa mia, o
sono venuto a casa tua a trovarti...?
Bianca esitò per un
attimo.
-Ma nel momento in cui avevo più bisogno di lei, lei non
c'è stato – gli ricordò.
-Se l'avessi saputo, ci sarei stato.
Tu avevi bisogno che io lasciassi Camilla e scappassi in Nuova
Zelanda con te per iniziare una nuova vita. Non l'ho fatto. Questa
è
stata tutta la mia colpa.
-Lei non mi ha neanche chiesto
perché.
-Me l'avevi detto, invece. Ne avevi le palle piene
di tutto. Questo era il motivo. Se invece c'è dell'altro, io
come
posso saperlo, se tu non me ne parli?
-E che cosa potevo dirle,
che avevo bisogno di lei per non aver più voglia di morire?
- iniziò
a piangere – Lei non avrebbe mai scelto me. Mai. Me l'ha
detto!
-Anche sapendolo, cosa potevo farci? Lasciare Bianca,
innamorarmi di te? Non lo posso fare!
-Ma allora vede – scoppiò
in singhiozzi – che è il suo amore quello che io
le sto chiedendo?
Lo vede che non dico bugie? Lo vede, adesso?!
Piangeva tanto
disperatamente che Emanuele andò ad abbracciarla. Le
accarezzò la
schiena più volte, ma quella continuava a sussultare sempre
più
forte. Presto si rese conto che Bianca stava avendo una crisi di
pianto; quando lei si artigliò il petto e gettò
la testa contro lo
schienale del divano, scossa dalle convulsioni, in preda ad urla
strazianti e ai tremori, iniziò a pensare che stesse avendo
un
attacco di panico.
Bianca
continuava a
gemere, così forte e disperatamente che Emanuele si chiese
da dove
potesse provenire un simile accumulo di tristezza. Per una ventina di
minuti, continuò a gridare, mentre le lacrime si affollavano
sui
suoi occhi e scendevano senza sosta. Divenne rossa, iniziò a
sudare,
spalancò gli occhi, terrorizzata.
-Su, basta piangere, basta –
la implorava Emanuele, ma lei non smetteva; sembrava non fosse
nemmeno in grado di smettere di urlare per rispondergli. Non aveva
mai visto qualcuno stravolgersi a quel modo. Era decisamente un
attacco di panico.
-Non piangere più, ci sono io. Va tutto bene –
le mormorò – è tutto a posto. Adesso ti
passa. Cerca di smettere
di piangere. Pensa a qualcosa di bello...
Ma quando le disse di
pensare a qualcosa di bello, riprese a piangere con una forza
incredibile per qualcuno che si era sgolato fino a pochi attimi
prima. Aveva gli occhi tanto gonfi che non riusciva a tenerli aperti;
il suo viso era rosso e sfigurato. Ansimava, nel tentativo di
respirare; sembrava le costasse uno sforzo immenso. Chiuse gli occhi
e si aggrappò a lui, probabilmente le girava la testa. Poi
si
artigliò le tempie e le premette forte, corrugando le
sopracciglia.
Dopo mezz'ora, non piangeva più, ma era sconvolta.
Non aveva quasi più voce per parlare.
-Mi dispiace – riuscì a
sussurrare – mi capita spesso. Di solito, quando inizia a
succedere, sto a casa da scuola.
-E stai così tutto il tempo...?
- esclamò Emanuele, sbalordito. Lei scosse la testa.
-No, solo
all'inizio. Poi mi sento così stanca che non ho nemmeno
voglia di
piangere. Le lacrime vengono, ma io chiudo gli occhi e cerco di
dormire...
-Era un attacco di panico...?
Lei annuì, con l'aria
di chi ci era già passato infinite volte.
-Il fatto è che ti
sembra di stare morendo. Che non smetterai mai di piangere a quel
modo. Non ce la fai a frenarti, senti solo una cosa orribile dentro
al petto che ti riempie di tristezza, e urli perché... urli
perché
sei triste. Pensi: dopo di questo, c'è solo la morte.
Morirò qui e
adesso, perché non ce la faccio. - Sospirò. - Ma
non muori mai.
Rimani lì, pensando che sta per accadere qualcosa di
terribile,
qualcosa che non puoi affrontare. Poi smetti. Finisce sempre.
-E
poi...?
-E poi non hai più la forza di stare in piedi, ti domandi
cosa ci stai a fare, in piedi, cosa devi fare di così
importante.
Perché tutto è inutile e senza significato. Ti
senti male perché
c'è un'ora intera davanti a te da affrontare. E poi giorni,
e
settimane, e tu odi essere viva, ma ci sei costretta. Di solito cerco
di dormire... per fortuna ho sempre sonno in questi periodi.
-È
per questo che a volte stai assente un mese...?
Lei annuì,
intrecciando le mani in grembo.
-Sì, è per questo. Non sono in
grado di capire cosa la gente mi dice, perché qualcosa mi fa
sprofondare dentro. Mi sento a terra, non mi
interessa più
nulla. Ho solo voglia di buttarmi sul pavimento e dormire. E sento
qualcosa nel petto che mi fa male e ogni volta penso che stavolta sto
abbandonando tutti, ma, anche quelle volte, non succede mai.
-E
passi così... tutto il mese...?
-Non me ne rendo molto conto. Non
riesco mai ad avere reazioni. Guardo le cose e penso. Ma quel che
penso mi fa male, quindi a volte penso la stessa frase tutto il
giorno. Mi concentro su quella. Chiudo gli occhi, mi infilo a letto,
chiudo le porte... tutto scompare. Il mondo, e i miei pensieri. So
che sembra noioso, ma così il tempo va avanti e non mi fa
male.
Emanuele si tolse gli occhiali e si massaggiò lentamente le
palpebre.
-Cos'è che ti porta a questo punto? - mormorò,
senza
smettere di premersi le dita sugli occhi.
-Una serie di cose...
tutto. Forse, niente di particolare. Non lo so. La mia famiglia non
mi ama. I miei coetanei di certo non mi amano. E lei, anche se lo
vorrei, allo stesso modo non mi ama. A volte mi sento molto sola. Mi
ricordo che lo sono, anche se bevo o vado con dei
tipi o
faccio delle cose.
-E il resto del tempo...?
-Il resto del
tempo, non so perché, mi basta. Forse me lo faccio bastare.
Forse
voglio pensare che basti, ma in realtà non è
così, e ciclicamente
me ne accorgo.
-Hai detto la parola giusta – notò Emanuele
–
ciclicamente. È proprio così.
Un attimo stai fin troppo
bene, quello dopo stai fin troppo male. Quello dopo sei di nuovo alle
stelle, e quello dopo ancora hai voglia di morire.
Bianca tacque,
guardando in basso.
-E così viene da pensare – continuò
–
che il tuo atteggiamento forzatamente allegro sia solo una maschera,
e che tu, in certi periodi, arrivi a drogarti per tirarti su di
morale. Ottenendo di sembrare semplicemente schizzata.
Tacque
ancora, voltandosi da un'altra parte.
-Cos'erano quelle pastiglie,
Bianca...?
Lei ebbe un piccolo tremito, ma non rispose.
-Perché
non vuoi essere aiutata?
-Lei non può aiutarti – disse una
vocina tremula.
-Non è detto. Perché non hai fiducia in
me?
-Perché lo so che lei non può.
-Chi te lo assicura?
-Lei
non può prendere per il bavero tutti quelli che mi fanno
stare male
e gridargli di piantarla, costringerli a volermi bene.
-Ma ti
posso aiutare a voler bene a te stessa.
-Sì – rise amaramente
lei, improvvisamente più vitale – certo, le solite
stronzate. Devi
fare qualcosa per te stessa. Devi raggiungere
qualche
soddisfazione personale. Devi imparare a Volerti
Bene. Devi
fare affidamento su di te e vivere indipendente dagli altri. Dica un
po', lei, che fa presto a parlare. Se Camilla l'abbandonasse, i suoi
genitori non la sopportassero, al lavoro tutti la evitassero e lei in
parte si odiasse profondamente perché pensa, e tutti cercano
in ogni
modo di convincerla di questo, di avere la colpa di una tale mole di
odio; se questi fossero i presupposti, lei si vorrebbe bene?
E
se così non fosse, com'è altamente probabile,
pensa che un'altra
persona potrebbe aiutarla a farlo in qualche modo? Lei pensa davvero
che si possa amare se stessi, quando il resto del mondo ci
odia?
-Sembrava non te ne importasse nulla.
-Beh, a volte non
me ne importa niente. O forse penso ad altro e quindi non ci faccio
caso. A volte riesco ad allontanare i pensieri, credo, non so come
succeda, ma per un po' lo dimentico. È solo che poi...
cambia. Mi
torna tutto in mente.
-E non puoi continuare a fare le cose che ti
distraggono?
-Sì, io posso continuare a farle, ma i pensieri
avanzano e io non riesco a fermarli. È come se avessi un
esercito di
voci che mi ripete che questo mondo non mi vuole, e che nemmeno io, a
ben pensarci, voglio questo mondo. Continuano a dirmelo. E io ho solo
una risposta.
-Se io ti avessi ricambiata, sarebbe cambiato
qualcosa...?
-Sì – rispose subito lei –
sì. Qualcosa di
positivo ci sarebbe stato. E qualcuno mi avrebbe amata.
-Sicura
che nessuno ti voglia bene?
-Cappelletto non conta.
-Io ti
voglio bene.
-Sì, ma da lei non mi basta.
-E i tuoi genitori?
Sei sicura che ti odino davvero?
Bianca, al solo sentirli
nominare, sembrò innervosirsi.
-Mia madre è fuori. È esaurita.
Prende il Valium, perché è fuori di testa. Spesso
dà di matto, mi
fissa con gli occhi spiritati, inizia a mordermi, prendermi a pugni,
urla che mi vuole ammazzare; che per colpa mia si è
ammalata, che
non sono altro che un problema. Niente di quello che faccio
è senza
conseguenze. Trova sempre un motivo per urlarmi dietro.
-E tuo
padre...?
-Mio padre, cosa?
-Com'è?
-Mio padre è normale,
di solito. È scherzoso, vivace, con le altre persone
è allegro e
cordiale. Ma picchia me e mia madre. - Bianca abbassò due
occhi
desolati, e le parole iniziarono ad uscire a fatica. - A volte sembra
che perda la ragione, e... che ci sia un mostro dentro di lui. Una
cosa incontrollabile che... lo spinge a colpirci finché non
ha più
fiato. Ha sempre un'espressione terribile.
Bianca aveva
un'espressione sempre più ferita. Le prese la mano.
-Ti ha mai
chiesto scusa...? - le chiese dolcemente.
-Mai – rispose piano
lei – Mai. Rimane rabbioso e pronto a scattare. Poi, magari,
il
giorno dopo è di nuovo tranquillo e in vena di scherzi, e...
si
arrabbia se io invece non gli voglio nemmeno rivolgere la parola.
-Tu
sei nel giusto.
-Ma mi fanno sentire come se fossi sbagliata. Mi
dicono e fanno di tutto, e poi, quando è passata a loro,
pretendono
che sia passata anche a me. Perché loro sono nel
giusto, sono
gli unici ad avere diritto di essere arrabbiati. Io devo solo
aspettare inginocchiata sui ceci il loro sacrosanto perdono.
Nei
suoi occhi spuntarono due grosse lacrime. Ma nel suo tono c'era
rancore.
-E invece – riprese, tirando su col naso – invece
io
non li perdono. Non li perdonerò mai. Non li
perdonerò mai per
quello che ha fatto mio padre, non perdonerò mai i silenzi
di mia
madre. Non li perdonerò mai per avermi
convinta per tutta la
vita di essere nient'altro che merda – Bianca si stava
agitando;
stringeva i pugni, tremava, ed Emanuele la cinse con un braccio e la
strinse forte – non li perdonerò per non avermi
mai fatto sentire
cos'era l'affetto che tutti i miei compagni di
classe danno
per scontati, non li perdonerò per avermi privato di
quell'appoggio
fondamentale che avrebbero dovuto essere; per avermi lasciata senza
basi, da sola contro tutto. Mai – alzò
la voce, che
tremava, ma iniziava a librarsi forte; Emanuele decise di lasciarla
sfogare una volta per tutte – mai dimenticherò il niente
che hanno fatto per me. Non intendo dimenticare tutte le volte che
mia madre mi ha detto che sono venuta al mondo solo per rovinarle la
vita. E soprattutto – Bianca ansimava; sembrava quasi fuori
di sé
dalla rabbia – non permetterò mai più a
quel figlio di puttana di
infilarmi una mano nelle mutande o di stendermi su un letto. Mai,
non lo farà mai più, non lo farà più!
- gridò, e infine
scoppiò a piangere incontrollatamente, ed Emanuele
impallidì, sentì
un'ondata di nausea scuoterlo da capo a piedi, ma limitò il
tremore
della mani e la strinse al suo petto più forte che poteva,
perché
si sentisse al sicuro, perché sembrava stesse per esplodere
e lui
doveva mantenerla tutta intera, in un posto dove potesse aggrapparsi
a qualcosa, fosse anche solo alla sua camicia.
-È stato tuo
padre...? - mormorò, accarezzandole i capelli - È
stato lui a fare
quello che hai detto?
-Sì – biascicò Bianca tra i singhiozzi,
artigliando i lembi della sua camicia. La strinse ancora più
forte.
-L'hai denunciato? - chiese dolcemente. Bianca continuava a
piangere, faticava a parlare.
-Io...
non posso,
per-perché... non mi crede nessuno, lui è amato
da tutti, perché
con... gli altri è-è gentile, e... non mi
credono, e mi odieranno,
e non mi resterà nessuno e a quel punto cosa farò
– riprese a
gemere come poco prima, e ad Emanuele non restò che
continuare ad
ascoltare quelle grida struggenti e stringersi al petto quella
testolina rossa che non gli era mai sembrata così piccola.
La
lasciò sfogare per un po' prima di parlarle. Sembrava che
avesse
molti anni di tristezza da buttare fuori.
-Quando l'ha fatto la
prima volta? - le chiese, sempre con molta dolcezza. Farle pressioni
sulla denuncia o incalzare con le domande sarebbe stato
controproducente. Infatti lei rispose.
-Avevo dodici anni –
bisbigliò – mi ha infilato la mano dentro i
pantaloni, e poi
dentro le mutande.
-E tu cos'hai fatto?
-Mi sono allontanata,
ma stava ridendo. Ho pensato che non facesse sul serio. E
così non
ho detto nulla.
-E tua madre, lo sa?
-Lei era lì, seduta di
fianco a lui sul divano.
Bianca continuava a deglutire, e il suo
sguardo schizzava da tutte le parti. Sembrava che avesse un peso nel
petto che le impediva di prendere ossigeno.
-Ha continuato a
farlo?
Lei annuì.
-Non spesso – mormorò – solo... a
volte. Non mi ha mai violentata. Ha solo fatto... delle cose. Che
potevano avere quel significato, come potevano non averlo. -
Assottigliò gli occhi. - È
stato furbo. Così non avrebbe mai potuto essere accusato di
niente.
-Cos'altro ti ha fatto?
-Mi toccava il seno, il sedere.
Ma lo faceva sempre ridendo. Se mi arrabbiavo, mi diceva che ero la
solita esagerata, che da quando ero cresciuta ero diventata
insopportabile e musona. Lui ama scherzare, lo fa sempre. Per questo,
io non posso dire che...
Scosse la testa; si coprì il viso con
gli occhi.
-Io non riesco a raccontarglielo, prof. Non ce la
faccio. Mi sembrano cose talmente sporche. Non voglio nemmeno tornare
a pensarci, perché rivedo la sua faccia
che ride, e rivedo
quei gesti, e... non voglio avere questi ricordi. Io voglio i ricordi
di un papà che mi prende per mano e mi porta a fare un giro
in
bicicletta... non un papà che non vedo mai, e quando lo vedo
mi
tratta come... - un piccolo singhiozzo uscì dalla sua
corazza di
mani – e non so nemmeno se è vero o se mi sto
inventando tutto
io.
-Riesci a dirmi qualcos'altro? Qualcos'altro, solo per capire
fino a che punto si è spinto.
-Mi vergogno da morire – mormorò,
emergendo dallo scudo che si era creata attorno al viso –
davvero,
mi sento sprofondare. E ho paura che lei non mi prenda sul serio e
rida di me. E mi vergogno, soprattutto, di avere un padre che fa cose
del genere.
-Non è tua responsabilità quello che fa
quell'individuo.
-Lo so, ma... alla fine sono io che mi vergogno.
Sono io che ho paura a parlare.
Abbassò uno sguardo sconfitto.
Emanuele si sentì montare dentro una tale furia che avrebbe
voluto
andare lì, da quell'uomo, al lavoro, sollevarlo per il
bavero e
scaraventarlo fuori dalla finestra, sperando che si sfracellasse la
testa dal settimo piano di qualche palazzo, e che morendo soffrisse il
più
possibile.
-Questo è il modo di fare subdolo di chi molesta le
bambine – affermò Emanuele – ti fa
pensare che sia normale, che
sia tutto uno scherzo. E intanto fa i suoi comodi. Se qualcuno ti
raccontasse che suo padre gli fa cose simili, penseresti che sta
scherzando...?
-Quando non ci sei dentro... e soprattutto quando
non si tratta della tua famiglia... è facile puntare il
dito. È un
molestatore, che vergogna, figlio di puttana. Ma quando si tratta di
tuo padre non è così immediato. Ti piacerebbe
continuare a credere
di avere un padre come tutti gli altri, e così... ridi anche
tu con
lui e ti domandi se anche i padri delle tue amiche facciano
così. -
Si intristì. - Solo che non ho amiche a cui chiederlo. Non
c'è
nessuno che mi rivolga la parola, ormai.
-Ci sono io – affermò
Emanuele – ci sono io. Se lo rifarà, devi dirmelo.
Capito? Devi
dirlo a me. Devi dirmi quello che è successo, Bianca,
perché
potrebbe essere importante.
-Una volta... - il visino pallido di
Bianca si oscurò, rovistando tra i ricordi – mi ha
preso i polsi.
Mi ha sbattuta sul letto. Ha iniziato ad aprirmi la cerniera dei
jeans... - Bianca cercò di prendere un respiro profondo, ma
stava
ansimando. Ad un tratto chiuse gli occhi. - Per favore, non mi chieda
altro.
-Prosegui.
-Prof, per favore...
-Prosegui. Quando mi
avrai detto tutto, sarà finita. Non ti chiederò
più niente.
-E
non è successo niente, è arrivata mia madre e mi
ha lasciata. Aveva
un'espressione orribile. Era rosso, agitato, aveva quello strano
ghigno. Perché mi ha aperto la cerniera dei pantaloni...? Se
non
voleva fare niente, che scherzo era mai quello...?
Stava
decisamente agitandosi. La sua voce oscillava tra acuti e improvvise
mancanze. Il suo sguardo ansioso era fisso nel vuoto.
-E una volta
mi ha afferrato il viso tra le mani, eravamo soli. Ha iniziato a
leccarmi la faccia. Sembrava un animale. Prof, la prego, basta. Non
ce la faccio più.
-C'è dell'altro?
-Sì, ma... - aveva
un'espressione sofferente che strappava il cuore, ma Emanuele la
esortò a continuare con un cenno del capo. - Mi tocca sempre
qua e
là, apparentemente per sbaglio, o solo per giocare. Forse
non ha
capito che non ho più otto anni e che certe parti del mio
corpo non
sono più accessibili, sono intime, ne sono gelosa. Forse
è soltanto
questo. Ma non può essere così cieco. Certi gesti
volgari con il
suo pene non possono essere un gioco per bambini. Perché mi
guardava
mentre lo faceva? Cos'era quell'espressione? Perché guardava
me,
attento a non farsi vedere, se tutto era soltanto un gioco? Che gioco
è, questo? Perché non riesce a essere come gli
altri papà...?
Le
lacrime tornarono a rotolare giù per le guance di Bianca, ma
stavolta non sembrava infuriata. Soltanto piena di tristezza
perché
avrebbe voluto due genitori come tutti gli altri, che l'amassero e la
proteggessero, ma in realtà era da loro che doveva
proteggersi, e
non era mai riuscita a farsi amare da nessuno.
Ora capiva. Capiva
perché avesse voluto morire.
Non c'era ragione al mondo per cui
avrebbe dovuto voler vivere.
*La battutona fotonica si riferisce agli emo, perché Benetazzo è metallaro °_°. Ci tengo a precisare che non è farina del mio sacco. **Mi vergogno di averla scritta, ma purtroppo ho creato un personaggio pirla che invece la dice senza vergogna. Mike Bongiorno docet.
(Nda: Questo è un capitolo che ho
faticato molto a scrivere, non vi dico poi l'ultima parte.
Semplicemente l'ho odiata.
Se l'ho portata avanti fino alla fine è stato solo
perché credo fermamente nella denuncia sociale, anche se, e
me ne rendo conto, l'ho tagliata più corta possibile. Magari
un giorno la migliorerò, ma dubito fortemente che
riprenderò in mano quel pezzo, per cui, spero che vi sia
piaciuta come mi è riuscita - narrativamente parlando,
ovviamente.
Mi affretto a cambiare argomento e a rispondere alle vostre recensioni
^^ (grazie :*).
Baby Birba:
sono completamente d'accordo: innamorarsi di persone problematiche
è quanto mai deleterio -_- innamorarsi di Bianca, poi,
è pura follia. C'è anche da dire che Cappelletto
è quello che è XD perciò
più che d'amore parlerei di 'cotta', anche se è
piuttosto affezionato. Quanto al seguito, magari ne riparleremo nel
prossimo capitolo ^^ per ora mi limito a concludere la storia :) grazie
di avermelo chiesto però, mi fa piacere ^_^.
Piaciuque:
spero di non essermi spiegata male nello scorso capitolo :O ma, come
credo avrai capito, Bianca aveva tentato il suicidio. Infatti il
cerotto è sui polsi ;) una drogata avrebbe segni sugli
incavi delle braccia. Grazie dei complimenti X* e degli auguri XD!!
Yuki: Grazie
dei complimenti ^_^ ripetili pure quanto vuoi, non mi offendo mica *_*.
Comunque se hai un'idea esprimila, sono curiosa *_* c'è il
mio ragazzo che sta facendo tremila ipotesi una più assurda
dell'altra e ti giuro per me è il massimo sapere cosa ne
pensate XD dai pure voce ai tuoi sospetti *O*!
Kristh: wow,
grazie ^_^ mi spiace aver deluso le tue aspettative EmanuelexBianca....
XD neanche in questo capitolo credo avrai trovato ciò che
cercavi, ma spero continuerai a seguire questa storia lo stesso ^_^.
Dance of Death:
le tue recensioni sono fantastiche, davvero XD. Mi illuminano la
giornata XD. Grazie davvero, sul serio :* e, qualunque cosa tu voglia
dire sulla storia, dilla senza timori XD più scrivete e
più io sono contenta, giuro XD. Felice che tu abbia
riconosciuto la citazione ;D ho visto che hai anche letto la mia fic su
Cassie, grazie del commento anche lì :* sono
un'appassionatissima di quel telefilm e in particolare di Cassandra...
nel caso non si vedesse *_*;. Comunque mi rende felice sapere che gli
sbalzi di Bianca e la forza con cui trascina chi le è vicina
siano stati resi, ma non farti troppo trascinare da lei u_u non
è davvero un grande esempio a cui ispirarsi
°_°'. XD
Briareos:
sono curiosa di sapere in cosa questa storia è 'ingenua'
('fino alla morte' addirittura o_o') perché a me
è sempre sembrata piuttosto cruda, specie in quest'ultimo
capitolo... buh :/ se ne hai voglia fammi sapere. XD
Bueno, e con questo vi lascio è.é ci si vede al
prossimo capitolo, che è anche l'ultimo :O. Grazie ancora a
chi ha commentato *_*, favvato, seguito, letto. Ma di più a
quelli che hanno commentato u_u.
A presto!)