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Autore: The Corpse Bride    09/11/2009    8 recensioni
-Bianca, per favore, smettila con questa storia. Non cederò mai. Devo ripetertelo? Sono il tuo professore; non sarò mai il tuo amante.
La ragazzina sbuffò. Sedici anni, capelli rosso fuoco freschi di cotonatura, un trucco nero pesantissimo sfumato dal giorno prima.
Aveva una scollatura così profonda, e una minigonna così corta, e degli stivali così alti, che non si poteva fare a meno di guardarla, a prescindere dagli istinti sessuali che poteva o non poteva provocare.
'Provocare': ecco cosa faceva.
Non chiedeva solo sesso. Chiedeva anche l'altrui disapprovazione. E chiedeva che le parlassero alle spalle, sicuramente. In fin dei conti, per come la vedeva Emanuele, quello che chiedeva era semplicemente attenzione.
-Professore, lei non può sapere per certo che non cederà mai. Chi lo sa cosa potrebbe passarle per la testa domani, o il mese prossimo, o l'anno prossimo?
-Lo so io, cosa mi passerà per la testa: la mia fidanzata, il mio lavoro, i compiti da correggere, le cene fuori coi miei amici. Il mio cane, al massimo. Ma non il sesso con te. Non mi induci in tentazione, Bianca, mettitelo in testa.
-Ma davvero? - lei sorrise malignamente, alzò un sopracciglio, accavallò le gambe e si stese bene sullo schienale; si comportava come una spogliarellista trentenne. - Allora perché ha usato il termine 'cedere'? È alle tentazioni che si 'cede', o sbaglio? Altrimenti avrebbe detto 'non mi piacerai mai'. È già più vicino al concetto del quale lei cercava di convincermi.-Bianca...
-O di convincere se stesso.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Lei continuava a fissare la porta, tanto che non poteva vederla in viso.
Da una parte, voleva pensare di essersi sbagliato. Voleva pensare che si fosse ustionata con la piastra, o che il gatto l'avesse graffiata, o qualche altra sciocchezza simile. Non era poi così improbabile. Quante possibilità c'erano che quel cerotto stesse nascondendo ciò che lui pensava?
Ma, sforzandosi di rimanere lucido, si rese conto che non poteva essere nient'altro.
Un cerotto sulle vene del polso non dava adito a molte interpretazioni.
-Bianca, voltati e guardami – le ordinò, ma la sua voce non era poi così ferma, e lei rimase dov'era, rigida, con il braccio immobile nella mano di Emanuele. - Bianca – la chiamò ancora – guardami.
Stavolta doveva essere stato più convincente, perché lei si girò. Guardava in basso, con aria vagamente colpevole.
-Cos'hai fatto...? - le chiese di nuovo, anche se non era necessario.
-Credo lei sappia cos'ho fatto – sospirò lei, quasi la stesse seccando.
-Perché?
Sapeva di aver posto una domanda difficile, e non s'irritò quando ricevette una risposta poco esauriente.
-Ah, non mi ricordo. Mi sentivo triste, credo.
-Ti sentivi triste? Tutte le volte che ti senti triste, tu...
-Ma no, no – scosse la testa – mi sentivo particolarmente triste.
-Capita a tutti – Emanuele cercò di contenere il tremore delle mani e della voce – di sentirsi particolarmente tristi, almeno una volta l'anno. Ma non tentiamo tutti il suicidio.
-Ah-ha! Vorrebbe dire che le mie motivazioni erano labili? Eh? Eh?
Nel parlare gli venne sempre più vicino, spingendo la testa sulla sua spalla. Lo diceva ridendo.
-No – fece Emanuele, serio, spostandola – voglio dire che erano fin troppo profonde. La gente non arriva a questo solo perché è triste, lo fa perché è disperata, di solito.
-Non ero disperata – precisò Bianca – ero... beh, sì, anche disperata, mi sa, sennò non l'avrei fatto. Credo di aver pensato che non ce la facevo più. Ma non era solo questo, perché capita spesso di pensare di non farcela ma nel profondo sai già che, invece, in qualche modo ce la farai, giusto?
-Beh... sì, giusto.
-Ecco. Solo che ho pensato una cosa, senta la mia teoria. Ho pensato che, anche se per quella volta mi fosse passata, era comunque inutile continuare, perché il mondo faceva schifo in ogni caso, avrebbe continuato a fare schifo anche se avessi continuato a vivere. Così pensavo. Quanto pessimismo!
-Se non ho capito male... l'hai fatto per sfiducia...?
-Bravissimo! - le si illuminarono gli occhi – Ha detto proprio la parola giusta. Sfiducia. Pensavo che anche se avessi superato quel periodo, poi comunque sarebbe successo qualcos'altro. Se non ricordo male, pensavo che le persone non mi piacessero, che nessuna fosse animata da amore e buoni sentimenti, perché in fondo siamo tutti egoisticamente e schifosamente umani. E perciò ho ragionato: chi vuole vivere in un mondo in cui non c'è niente di vero, in tutto quello che ci hanno raccontato...?
Emanuele realizzò che doveva pensarlo veramente.
In tanti sostenevano che il mondo facesse schifo e che le persone fossero cattive, ma, se il livello di disgusto e sfiducia avevano raggiunto quel livello, significava che Bianca lo sentiva davvero. Nel profondo, da dove era molto difficile risalire.
Le profondità sono luoghi attraenti, ma estremamente pericolosi.
-Insomma, ho fatto due più due – continuò Bianca – potevo anche superare quella giornata, ma sarei andata ancora incontro a un'infinità di giornate uguali a quella. Il mondo e le persone sono fatte così, lo sa anche lei. E allora ho pensato: dato che non mi piacciono, perché continuare ad affrontarle ogni giorno, se tanto so che non cambieranno mai?
-Vuoi dire che non era una crisi, ma... una scelta?
-Precisamente – confermò Bianca, sedendosi sulla scrivania e dondolando le gambe – una scelta, proprio così. Le crisi sono quelle cose che superi, e poi tutto torna più o meno a posto; tu cambi, oppure è quello che ti circonda a cambiare, ma in qualche modo recuperi l'ottimismo. Il mio era un caso diverso. Non era quella tristezza da ululati nel cuscino, capelli strappati, una corsa verso la terrazza dell'ultimo piano... è solo che ho fatto due conti e ho capito che il mondo non era il posto per me. Tutto qua.
-E tu eri ubriaca...? - fece Emanuele.
-Ubriaca? No, no, non avevo bevuto. È stato un ragionamento lucido.
-No, non intendo allora. Intendo adesso. Poco fa sostenevi di aver bevuto troppo, ma questi non sono i discorsi che fa un'ubriaca. Tu sei perfettamente sobria, altrimenti non potresti spiegare con tanta chiarezza i motivi per cui hai cercato di toglierti la vita.
-Forse sono tanto chiara proprio perché sono ubriaca. Mi sento sempre meglio, sa, quando bevo un goccetto – sorrise e gli porse la bottiglietta. Emanuele declinò scuotendo il capo.
-Intendi rifarlo? - le domandò.
-Cosa, bere vodka? Beh, non vorrei deluderla, ma ho proprio paura che...
-No, Bianca, non la vodka. Intendi provare ancora a...
Indicò il suo polso con un cenno del capo.
-Macché, prof! - ridacchiò – Mannò. Chissà cos'avevo per la testa. Poi si è sistemato tutto, si sistema sempre tutto, posso resistere. Ora mi sento molto in forma. Mi sento piena di vita, posso affrontare tutti.
-Già, parliamone– osservò Emanuele – piena di vita. Sì, decisamente direi che ne hai da vendere, di vitalità. Un po' troppa, non trovi?, per poterti definire serena.
-Come, scusi?
-La vodka, e quelle pastiglie. Non penserai che abbia creduto alla storia della pillola anticoncezionale, vero?
-E perché non dovrebbe?
-Perché, e voglio parlarti chiaro, sembri perennemente fatta di ecstasy. Voglio sottolineare che non è un'idea solo mia. La condividiamo in tanti.
-Ah, questa mania di pararsi il culo con lo scudo dell'opinione comune... non può dirmi che questa è la sua idea, punto e basta? Se lei ne è convinto mi è sufficiente come credenziale, mi creda.
Possibile che dovesse sempre farsi sconfiggere verbalmente da una sedicenne tossicodipendente?
-Che lo pensi io o che lo pensi un intero istituto, voglio comunque un chiarimento da parte tua. Dimmi la verità. Prendi ecstasy, o cocaina, o amfetamine di qualsiasi genere?
-Gliel'ho già detto molte volte, prof. No. Non sono una drogata.
-E che mi dici dell'alcool?
-Quello lo uso per darmi una calmata, non certo per agitarmi ulteriormente.
-E cos'è che ti agita, allora, se non è la vodka e neanche la droga?
-Santo Dio, LA PIANTI – gridò Bianca, e nei suoi occhi furiosi rivide un istante di qualche tempo prima; in automobile, quando lui aveva insinuato per la prima volta che lei potesse essere tossicodipendente.
-Va bene, d'accordo. Basta domande.
-BASTA CON LE DOMANDE! - strillò lei, improvvisamente fuori di sé – BASTA! Lei deve lasciarmi in pace! Ha capito? MI LASCI STARE! La mia vita non la riguarda! Si preoccupi della sua vita e di Camilla e del suo stupido cane e di qualsiasi altra cosa sia più importante di me!
-Bianca, stai calma, per favore – provò a prenderla per le spalle, ma lei si scrollò con rabbia.
-NON MI TOCCHI! - urlò, pulendosi le spalle con tanta foga che sembrava si stesse schiaffeggiando – MI LASCI STARE! SE NON GLIENE FREGA NIENTE DI ME, SE NE VADA! NON VOGLIO AVERLA ATTORNO, NON LA VOGLIO VEDERE!
-Per favore, siediti. Non urlare. Ti sento.
-NO! - urlò lei, con forza.
Ansimò per un po', guardandolo con rabbia, poi, all'improvviso, sembrò ridestarsi. Spalancò gli occhi, abbassò la testa, si posò una mano sulla fronte e si abbandonò sulla sedia.
Emanuele la guardò, in attesa.
-Non posso andare avanti così – mormorò lei, fissando il pavimento ad occhi sbarrati. Afferrò disperatamente la bottiglietta, la stappò e, prima che Emanuele potesse fare qualsiasi cosa, diede qualche lunga sorsata. - Mi scusi. Devo andare.
-A fare cosa...?
-Devo andare. Davvero. Mi lasci andare – supplicò, stringendo la bottiglietta come se fosse un'ancora di salvezza.
-Bianca, cosa stai facendo a te stessa? - le chiese disperato, mentre si allontanava.
-Mi lasci stare – lo implorò lei, prossima alle lacrime – io stavo bene prima di parlarle. Dio – si diresse frettolosamente verso la porta; ma la voce rotta e le mani tremanti sembravano chiedere esattamente il contrario delle sue parole.
Emanuele provò a rincorrerla, ma le ginocchia per un istante gli cedettero. Si sentiva sfinito.
In fondo, nonostante fosse lei a chiedergli di lasciarla andare, in realtà era lui quello che voleva allontanarsi. Il più distante possibile, dove lei non avesse più il potere di toccargli il cuore.


Quel giorno andò a casa prima. Si giustificò con un malessere improvviso e se ne tornò a casa; aveva voglia di vedere Camilla, le telenovele stupide del dopopranzo, i suoi genitori, Gengis, le action figures, di leggere un nuovo numero di Rat Man anche se ormai gli faceva schifo.
Aveva voglia della sua vita.
Aveva un bisogno disperato della sua vita, aveva bisogno di parlare con qualcuno che volesse viverla, e che non gli ripetesse in continuazione che il mondo era un cumulo schifoso di vipere in agguato, perché stava iniziando a crederci.
Voleva qualcuno che gli dicesse 'andrà tutto bene'.
Una parte di lui voleva che qualcuno lo dicesse anche a Bianca, ma non aveva voglia di pensare a lei. Non era riuscito a convincerla di niente. Era lei che convinceva lui delle sue idee, lei che continuava a ripetergli, finché non gliel'aveva inculcato, che era impossibile continuare a vivere.

In fondo era riuscita nel suo intento.
L'aveva fatto scendere dal cavallo bianco.

-Ema? - fece Camilla, sorpresa; probabilmente aveva visto il suo cappotto gettato disordinatamente sul divano. - Sei qui? - fece, entrando in cucina.
Era lì, certo. Aveva frugato tra gli intrugli di Camilla finché non aveva trovato una tisana rilassante, ma non doveva aver funzionato, perché continuava a stringere i denti e non era capace di rilasciarli.

-Cosa fai qui? Non sei a scuola, a quest'ora?
-Teoricamente sì – rispose, sorseggiando la terza tisana.
-Cos'è successo? Stai male?
-Abbastanza. Sì, sto parecchio male.
-C'entra Bianca...?
-Certo, c'entra Bianca. E chi sennò? Io non andrò avanti ancora a lungo se quella ragazzina continua a... Cristo. Non ce la faccio più.
-Calmati – fece Camilla, sicura, facendoglisi vicino – non pensarci. Ok? Svuota la testa.
-È quello che cerco di fare da un'ora – si lamentò – niente, non ce la faccio. Devo starle lontano. Altrimenti perdo la testa. Io non ce la faccio più, Camilla, davvero, non ce la faccio più.
-Ok, ho capito. Invece ce la farai. Bianca la pianterà di riversare su di te i suoi problemi e tu ce la farai.
-Ma chi la aiuterà, se non io?! - esclamò, disperato – Chi si occuperà di quella ragazza?
-Ema...
-Bianca ha tentato il suicidio. Ha cercato di tagliarsi le vene. Lo capisci, io cercavo di aiutarla, e invece lei durante le vacanze si è tagliata le vene. Come cazzo bisogna stare per cercare di morire a Natale?

Camilla impallidì; abbassò gli occhi. Emanuele si sentì sprofondare, perché stavolta non sapeva nemmeno lei cosa dire, cosa fare per sistemare tutto.
-Ha sedici anni – proseguì, stravolto – anch'io a sedici anni pensavo 'la faccio finita', ma poi non lo facevo davvero. A sedici anni ha vissuto così poco, ma già ha voglia di morire. Com'è possibile? Cosa le hanno fatto, per farle decidere che aveva visto tutto, e che non le piaceva per niente...?
Si nascose il viso tra le mani. Si sentiva senza speranze anche lui.
Bianca era contagiosa. Quand'era allegra, gli veniva da sorridere, quand'era triste, gli veniva da piangere. E ora che scopriva che aveva voluto morire, non riusciva a guardare al futuro nemmeno lui.
-Dove abita? - chiese improvvisamente Camilla.
-Eh? Perché...?
-Dimmi dove abita – fece lei, marziale. Quel tono lo stupì.
-Altichiero – mormorò, incerto. Lei annuì. - Perché?
-Dammi l'indirizzo preciso, se ce l'hai. Vado a parlarci.
-A parlarci?
Emanuele si drizzò all'improvviso, sbalordito. Camilla annuì di nuovo, e si riallacciò le scarpe.
-Sì, ci voglio parlare. Mi dispiace per questa ragazzina. Ma, vuoi la verità? Il fatto è che non ce la faccio più a vederti così. Se te la prendi per qualche colpo basso dei colleghi, beh, ci sta, è normale. Se i ragazzini ti rendono la vita impossibile e non ti lasciano far lezione, è normale anche quello; io ho i contribuenti e tu gli studenti, e so che entrambi sanno essere insopportabili. Ma non è giusto... - gli occhi di Camilla si inumidirono – non è giusto che lei rovini la cosa più bella che ho. Io voglio vederti sorridente, non distrutto a causa sua. Ha dei problemi? Ne parleremo, l'aiuteremo, farò qualcosa. Ma io voglio indietro quello che ho costruito con te. Non posso permetterle di rubarmelo.
Si asciugò una lacrima, e a quel punto Emanuele si alzò e si precipitò di fronte a lei. L'abbracciò e le baciò la fronte.
-Amore mio, perdonami – bisbigliò – è anche colpa mia. Non è giusto che sia tu a farne le spese. Ti prometto che sarò più forte, che non mi farò influenzare da lei.
-E se invece lo farai? - singhiozzò lei – Io voglio... io voglio almeno andare da lei e dirle la mia. Voglio dirle che non deve avere l'esclusiva sui tuoi cambiamenti d'umore, che... non deve essere più importante di me.
-Ma non è...
-Ma lei – lo interruppe Camilla, tirando su col naso – lei riesce a toccarti dove io non posso. Lei è capace di farti disperare, ma io non sono capace di farti sorridere. E... e io voglio... voglio che la smetta!
Camilla scoppiò in un pianto a dirotto, che Emanuele cercò di calmare stringendola al petto e accarezzandole i capelli. Respirò profondamente.
No, pensò. Non gliel'avrebbe permesso. Lui e Camilla erano felici, erano sempre stati felici. E avrebbero continuato a esserlo.
E se salire sul cavallo bianco fosse servito semplicemente a difendere quel poco che avevano, una casa e dei libri e un cane mezzo stupido, avrebbe impugnato la spada e combattuto anche contro una ragazzina.
Non le avrebbe permesso di distruggerli.


Fu Bianca stessa ad aprirgli la porta, quando suonò al campanello di casa sua.
-Ma buongiorno, prof! - esclamò felice quando lo vide – Entri, la prego. Che bella sorpresa!
L'accoglienza calorosa quasi gli fece dimenticare il motivo per cui era lì. Ma poi ripensò alle lacrime di Camilla, e alle sue, di lacrime, quando lei l'aveva portato dove lui non voleva arrivare, e si impose di tenere bene a mente che quella ragazzina non era innocente per nulla. Era, a ben vedere, la causa di tutti i suoi recenti malesseri.
-Sei sola? - si limitò a chiederle. Lei gli indirizzò un finto sguardo torvo e arricciò le labbra a cuore.
-Prof, insomma. Ho anche altro da fare nella vita che fornicare.
-Del tipo? - non riuscì a trattenersi dal chiederle.
-Ah, sto scrivendo un libro di poesie. Stavolta a computer, così poi riesco a rileggerle anch'io. Una è quella che le avevo dato, anche se non riesco a ricordare cos'avessi scritto. E poi sto pulendo camera mia, ho disposto tutti i libri sugli scaffali in classificazione Dewey. Ho fatto anche le etichette come in biblioteca. Poi mi sono fatta le unghie per bene, così non me le mangio più; sa, me le rosico in continuazione, è più forte di me. Mi mordo anche sempre le labbra, vede? - le indicò, sporgendole – Sono screpolate e un po' rotte. Dovrei mettermi il burrocacao, ma è così fastidioso, poi quando uno ti bacia ed è pieno di robaccia cremosa è fastidioso da morire, lo so perché una volta uno mi ha baciata dopo essersi messo il Labello, quello per uomini, ovviamente, perché per voi uomini è una vergogna se vi...
-Ehi, stoppa un attimo – intervenne, con calma. Aveva deciso di prendere in mano la situazione, una volta per tutte, senza disperarsi con Camilla o infuriarsi con Bianca. – Senti. Credo che tu ti sia un po' persa nel discorso.
-Credo anch'io – Bianca sorrise, ed era un sorriso bellissimo; sapeva fare dei sorrisi buffi, di cuore, che le illuminavano il viso. Era impossibile resistere al suo sorriso. Ma non lo rivolgeva mai ai compagni di classe; soltanto a lui, e solo qualche rara volta.
-Ti ho disturbato, venendo qui? - le chiese, mentre lei gli sfilava il cappotto.
-Si figuri – replicò allegramente, galoppando fino all'attaccapanni – non sapevo cosa fare. Più tardi vado in palestra e poi mi vedo con una tipa, ma ho giusto quest'oretta che proprio non sapevo come riempire, ed è una strana coincidenza che lei capiti qui proprio adesso; vogliamo utilizzarla come Dio comanda, quest'oretta libera prima che vada in palestra?
Lo disse sorridendo; Emanuele non ci fece caso.
-Volevo parlarti – esordì – se la cosa non ti manda in bestia.
Bianca salì sulla cyclette e iniziò a pedalare con foga. Sollevò le sopracciglia, per invitarlo a parlare; iniziò a mordersi l'interno della bocca.
-Non puoi stare ferma un secondo e venire qui?
-Le spiace? Mi sento veramente piena di energie – replicò gioiosamente – lo vede? Mi sono ripresa. E scriverò questo libro, è un giuramento con me stessa. M'impegnerò in tutto. E quest'anno uscirò con la media del dieci, vedrà se non ce la faccio. E poi andrò in Erasmus all'estero. E lì conoscerò una sbrega di gente interessante, intellettuale, un po' indie e un po' fattona, che cita Kierkegaard e Schopenhauer e ha un Mac Book nonostante il look finto-povero, e tornerò qui e gliela farò vedere a tutti, e quando il libro sarà pubblicato sarò famosa ed elegante e vestita tutta firmata perché dopo il diploma a pieni voti troverò un lavoro straordinario.
Più parlava, e più velocizzava le pedalate. Sembrava davvero instancabile. Ancora, il sospetto che da qualche parte ci fossero delle pastiglie o della polvere Bianca sfiorò il pensiero di Emanuele.
-Non sembri la stessa persona che neanche un mese fa ha tentato...
-Ancora con questa storia, bastaaa – sorrise Bianca – è venuto qua per chiedermi altri dettagli? Vuole vedere la cicatrice?
-Ti supplico di no, sono emofobico. Svengo, se vedo sangue. Non scherzo.
-Anche Benetazzo e i suoi amici metallari dicono sempre di essere emofobici.* Tra tutti, poi, non me lo facevo impressionabile, Benetazzo. Sa che uno dei suoi cantanti preferiti ha ammazzato a coltellate un tizio di un altro gruppo? E i membri del gruppo di questo poveretto hanno fotografato il cadavere e l'hanno schiaffato in copertina del nuovo album? Sa che gira anche voce che denti e pezzi di cervello di quel povero Cristo...
-Bianca, torniamo a bomba per favore?
-Ah, sì, volentieri, prof. Anche a me ha dato un pochino allo stomaco questa storia. E non volevo neanche menzionarle Ozzy Osbourne, che ha mangiato...
-Bianca.
-Scusi. Comunque, mi hanno dato i punti in ospedale, di sangue non ce n'è neanche una goccia. Vuole vedere?
-Sembra che ci tenga più tu di me, al fatto che io veda questa cicatrice.
-Sì, ci tengo, anche se non so perché. Guardi.
Bianca balzò giù dalla cyclette e in due falcate fu da lui. Gli si parò davanti ed entrambi concentrarono la loro attenzione sul grosso cerotto, che lei alzava delicatamente stando attenda a non staccare del tutto lo scotch.
-In realtà potrei anche toglierlo – lo informò – ma la cicatrice fa un po' impressione, e ho paura che si riapra.
-Bianca, ti prego, se continui con questi discorsi finisco per terra. Non sto scherzando.
Ma rischiò di finire per terra anche quando la vide. I punti erano stati tolti, ma erano parecchi. La ferita era larga un centimetro e lunga circa cinque. Pensando alla lama che andava così in profondità, Emanuele ebbe un capogiro e afferrò la spalla di Bianca.
-Prof! - esclamò lei, sorpresa – Mi finisce a terra veramente? Su, si sieda sul divano, che le porto un bicchiere d'acqua. Ma guarda te, grande e grosso com'è... - sorrise ancora, poi sparì in cucina.
Tornò con il bicchiere pieno, ed Emanuele lo bevve avidamente. Rimase seduto.
-Fammi un favore, coprila – mormorò – è un po' troppo per me.
-Sa che ho sempre un formicolio alla mano? Pensi che potevo paralizzarmela.
-Non sapevi di incorrere in questo rischio?
-Beh, non pensavo che avrei dovuto farci fronte, non so se mi spiego – rise, ma, vedendo che Emanuele non rideva, sospirò. - Su, su, un po' allegria. Sono ancora qui a rompere le palle, no? E allora è tutto a posto – sorrise, e gli sembrò davvero rassicurante. In fondo, sembrava piuttosto vivace, anche se spesso lo era fin troppo. Tutto sommato era positivo.
-Ti vedrò ancora in... certi stati?
-No, no, prof. Farò quanto in mio potere affinché non accada. Le prometto che non la farò preoccupare.
-Dov'è la mia garanzia?
-Mmmh... beh. Le spiego; durante le vacanze, mi sembrava tipo tutto vuoto, nel senso che mi chiedevo come avrei fatto ad arrivare all'ora successiva, perché mi sentivo come se non ci fosse niente che valesse la pena di essere vissuto. Sa, la delusione amorosa. Ma adesso mi sento molto meglio! Ho tantissime cose da fare e libri da pubblicare, e medie da tenere alte, e gente da conoscere, e corsi a cui iscrivermi – avevo in mente degustazione, grafologia e yoga – e adesso il tempo mi sembra perfino poco per tutte le cose che voglio fare, se ne rende conto? Infatti ho comprato una bella agendina Moleskine per tenere gli appuntamenti, non per annotarmi pensieri profondi ispirati dal mondo circostante come fanno certi atteggiati pseudo poeti, perché io le poesie le scrivo sul computer, tanto poi le stampano sul computer, e insomma vede? Ho così tante cose da fare che non riesco neanche ad elencargliele! Sono soddisfatta, e imparerò a fare un casino di cose, ed è sempre giusto imparare cose nuove, vero?
-E non potevi fare tutte queste cose un mese fa, quando volevi farla finita?
-Non m'interessavano – spiegò Bianca, quasi dispiaciuta di non poterlo accontentare – mi sembrava che tutto fosse inutile e stupido. Pensavo tipo: ma che me ne faccio del corso di yoga, se tanto sto una merda e il mondo è una merda e non cambierà per me? Ma poi sa, dicono che dal fondo si può solo risalire, e sono risalita, perché se guardi nell'abisso l'abisso guarderà te, ma se guardi un bel culo allora sarà un bel culo a guardare te, e da lì in poi inizia ad essere divertente! - Sorrise allegramente – Capisce? Vede che me li godo, i sedici anni? Lei non può più guardarli, i bei culi, sennò la Camilla la manda a spigolare.
Emanuele si rasserenò. Bianca sembrava ragionare. Quel che diceva, per lo più, aveva un senso.
-D'accordo – fece Emanuele – va bene. Mi ritengo soddisfatto.
-Eh; ma poi, alla fine, perché era venuto?
-Perché mi stavi facendo un po' uscire dal seminario – ammise – mi preoccupo, e poi ci sto male. E se io sto male, anche Camilla sta male. E così volevo sincerarmi che non sarebbero più successe cose spiacevoli... anche e soprattutto nel tuo interesse.
-Mh – Bianca sorrise – be', allora credo che lei possa tranquillizzarsi, e tranquillizzare anche Camilla.
-D'accordo – anche Emanuele sorrise – allora grazie della chiacchierata.
-Oh, grazie a lei, almeno ho passato il tempo in modo utile. Posso offrirle qualcos'altro prima che vada?
-No, no, ti ringrazio, sicuramente Camilla ha preparato il the. Sarà per un'altra volta.
-Sarebbe magnifico – replicò gioiosamente Bianca, andando a prendergli il cappotto. - Allora ci conto, eh? - fece speranzosa, porgendoglielo – Un giorno la prendiamo una cioccolata assieme, con la panna, in un bar carino del centro?
-Ti renderebbe felice?
-Sì, molto. Sarebbe inusuale, per me, di solito lo scenario delle mie malefatte è un campo, o un argine, o una zona industriale, o un sedile scomodo. Mentre il bar carino è molto più chic e romantico. E poi non potrei farle le mie malefatte, in un bar, così evito che lei si arrabbi con me.
-Bar carino sia – decretò Emanuele, afferrando la maniglia – beh, allora stammi bene, Bianca. Se hai qualche problema, ricordati che c'è l'aula ricevimento, col sottoscritto dentro, pronto ad aiutarti.
-Ma certo, prof! - gli regalò un altro dei suoi bellissimi sorrisi, e agitò la mano nel chiudere la porta. Anche Emanuele la salutò con un sorriso e un cenno della mano.
Arrivò a casa sorridente e sereno, e Camilla tornò sorridente e serena com'era sempre stata, e quel pomeriggio lo dedicarono al the bollente, al Twister e a una lunghissima sessione di coccole.
Come se fossero stati sedicenni per un pomeriggio, la parte dolce e innocente dei sedici anni che loro ricordavano di aver vissuto.

Per i tre giorni successivi, Bianca continuò a comportarsi come al solito; con la differenza che, verso la quarta o quinta ora, per tre volte consecutive portò dei permessi di uscita. Probabilmente, pensò Emanuele, doveva vedersi con qualcuno, oppure era semplicemente stanca di stare a lezione. Per fortuna, il giovedì e il sabato avevano educazione fisica, materia in cui Bianca eccelleva e che le diede occasione di sfogarsi un po'. Furono giornate abbastanza tranquille. A ricreazione Bianca se ne stava avvinghiata a qualcuno, durante le lezioni trafficava con l'iPhone, scriveva furiosamente poesie, disegnava bellissime donne in bianco e nero. Durante quelle ore si dedicò alla cura delle unghie rovinate, e ogni giorno le colorò in modo diverso (nere coronate di rosa, rosse con una stellina bianca, mezze viola e mezze blu). Lesse una gran quantità di libri e si esercitò con costanza nelle posizioni yoga appena imparate. Emanuele si felicitò tra sé e sé che non si fosse data alla degustazione in ambito scolastico.


Passò un weekend sereno. Sabato sera, con Camilla e gli amici, andò a cena fuori e poi in discoteca, del tutto libero dai pensieri negativi.
Dormì sereno, sentendosi fiducioso verso il mondo. Il fine settimana era stato divertente, Camilla sorrideva, Bianca era tornata normale e tutto andava finalmente nel verso giusto.
Domenica sera si addormentò con l'abbandono di chi non aveva nulla di male da aspettarsi dal futuro.

Il lunedì aveva la terza A, ed entrò in classe tranquillo e sicuro, a grandi passi vittoriosi. Tra l'altro, quel giorno Cappelletto sarebbe ritornato a scuola dopo la sospensione, e, anche se la sua bocciatura era sicura, lui aveva deciso di voler rimanere in quella scuola; il motivo, non si sapeva bene.
Ma Emanuele ne ebbe un assaggio quando lo vide tirare la manica di Bianca, che guardava inespressiva fuori dalla finestra.
-Ohi. Mi dai retta sì o no? Ti vuoi girare? Ohi!
Ma Bianca non si girava.
Emanuele sudò freddo. Aveva già visto una scena simile.
-Guarda che ho spaccato il naso a una, per te. Sei proprio stronza. Potresti almeno parlarmi.
-Non ho niente da dirti – la sentì mormorare, sprecando appena un filo di voce.
-Beh, magari io ce l'ho, qualcosa da dirti, no? Mi ascolti?
-Lasciami stare... - sbuffò, liberando la manica dalla presa del suo compagno. Il quale, attonito, si rivolse verso Emanuele, che li guardava entrambi con la mascella a caduta libera.
-Ma vede com'è? Vede? Poi sbaglio a pensare che dovevo spaccarglielo a lei, il naso, invece che alla Miotto?
-Per favore, non voglio più sentir parlare di nasi spaccati – Emanuele agitò le mani davanti a sé, come a voler scongiurare il pericolo – fatemi un favore. Oggi voglio fare lezione in santa pace.
-Manterrò io l'ordine, prof! - promise Benetazzo – In the name of true norwegian metal of doom of steel of the defender of the Lord!
-Cos'è che ha detto PeneCazzo...?
-Boh, è convinto di essere un templare.
-Infernal Hail! I AM THE CHOSEN ONE! - quando Benetazzo, detto PeneCazzo, alzò un pugno verso il cielo e si batté drammaticamente l'altro pugno sul petto, Emanuele ebbe la sensazione di non essere esattamente in buone mani.
Ma in quel momento era più interessato al silenzio di Bianca che alle manie di grandezza di Benetazzo. Non sapeva come interpretarla. Cappelletto s'immusonì e decise di non parlarle; Emanuele scelse la tattica del far finta di niente.
Per tutta l'ora, Bianca fu tranquilla. Non pianse, questa volta, non diede segno di avere problemi che la tormentassero; semplicemente stette in silenzio, ascoltò con aria seria e prese molti appunti. Emanuele le lanciò un'occhiata prima di uscire, ma lei stava mettendo i libri in zaino e non se ne accorse. Decise di non farci caso.
Martedì passò allo stesso modo; Bianca prese appunti, non badò a Cappelletto – Emanuele sospettava che non l'avrebbe fatto in ogni caso, di qualsiasi umore fosse – e sostanzialmente non disturbò la lezione.
Mercoledì non andò in aula ricevimento. Nessuno si lamentò di lei in aula insegnanti.
Giovedì e venerdì gli sembrò un po' più cupa; non prese appunti, non parlò, si limitò a guardare fuori dalla finestra e a scrivere frasi apparentemente sconnesse tra loro sugli orli delle pagine. Notò che, durante le lunghe ore che passava a guardare il cortile della casa accanto, non faceva assolutamente nulla.
Non aveva detto di avere milioni di cose da fare?
Era preoccupato, ma non voleva preoccupare Camilla, per cui si tenne i suoi pensieri per sé e si convinse che tutto era normale.
Ma il sabato gli dimostrò che non era tutto normale. A educazione fisica, Bianca si rifiutò di cambiarsi. Stando a quanto gli riportarono, era rimasta all'angolo della palestra con la sua minigonna e i suoi stivali, fissando un punto nel vuoto in mezzo al campo di pallavolo. Cappelletto, che l'aveva fermato nel corridoio espressamente per riferirgli l'accaduto, aveva tentato di convincerla a infilarsi la tuta, ché altrimenti si sarebbe presa una nota; ma lei sembrava non averlo nemmeno registrato.
-Fa la cagona – si lamentò Cappelletto – eppure tutti sanno che la dà a chiunque. Cos'ha quindi da tirarsela...?
-Non credo che se la stia tirando – spiegò Emanuele – forse è solo triste.
-Triste – ripeté sbuffando il ragazzo – per cosa, poi? E comunque potrebbe anche dirmelo. A me, di lei, me ne frega qualcosa. Perché non mi parla?
Non poteva dirgli la verità, ovvero in quale infima considerazione Bianca lo tenesse. Tentò la via diplomatica.
-Beh, avrà le sue cose a cui pensare – affermò – non puoi non esserti accorto che ha dei problemi personali.
Cappelletto lo guardò, nervoso.
-Prof – borbottò – non sono stupido. Ho visto che ha le fasce sul polso. Non l'ho neanche detto a nessuno.
-Ti piace proprio, Bianca, eh?
Gli sorrise, tutto sommato intenerito. Cappelletto non godeva della sua ammirazione, ma era sicuramente più simpatico in versione 'innamorato'.
-Bah – fece il ragazzo, con una smorfia – beh, comunque, le stavo dicendo. Non ha voluto mettersi 'sta tuta. Il prof l'ha convinta con le buone, e così se l'è messa, ma, oh, prof, sembrava che dormisse in piedi. Continuava a guardare per terra. E lei è brava, eh, a pallavolo? È sempre stata la migliore. Eppure mancava tutte le palle. È finita che il prof le ha detto di uscire dal campo. E così lei è uscita dal campo, ma stava piangendo, solo che stava in silenzio, me ne sono accorto giusto perché la stavo guardando. - Cappelletto arrossì; poi continuò. - Cioè, la guardavo... la stavano guardando tutti. Non solo io. E solo perché si era messa in mostra come al solito.
-Va bene, Cappelletto, l'ho capito che ti piace, non infognarti con le tue stesse mani.
-Pensi quello che vuole – sbottò l'altro, sempre più rosso – comunque, torniamo alle cose serie. È rimasta per metà lezione in spogliatoio, da sola, e quando l'ora è finita lei ci è uscita con gli occhi rossi. E gonfi. Il prof ha provato a parlarci, ma lei è andata via di fretta, non so cosa gli abbia detto, parlava talmente piano che non ho capito un cazzo. E poi fino ad adesso ha continuato a stare in silenzio e ogni tanto mi voltavo e vedevo che singhiozzava, che si asciugava le lacrime.
D'accordo, questo era troppo. Non aveva voglia di lasciar passare una settimana, o di passare un weekend tormentato dai pensieri.
-Grazie, Cappelletto. Senti, fammi un favore: quando Bianca piange, tu vieni da me e me lo dici. Ok?
-Sì, prof, io glielo dico. Ma se mi ascoltasse, quella testa da... vabè; se mi ascoltasse, dico, proverei ad aiutarla anch'io.
Come lo capiva. Ma, dato che era lui l'adulto, lui quello che aveva il compito di rassicurare un sedicenne confuso, non glielo disse.
-Non preoccuparti – gli disse invece – non è compito tuo. Il fatto che tu non riesca a salvare una persona, che tra l'altro non vuole essere salvata, non significa che tu non ci tenga più di chiunque altro.
-Eeh, adesso! Più di chiunque altro. Piano. Mi interessa che stia bene, ma da qua a tenerci più di chiunque altro...
Ma era fiero di averglielo detto. Fiero di aver detto a un altro le parole che avrebbe voluto che qualcuno dicesse a lui.

-Bianca – la fermò, all'uscita, toccandole una spalla. Lei si girò; aveva la stessa espressione amareggiata che le aveva visto un mese prima. - Bianca...?
-Sì, prof?
-Te lo ricordi che volevi andare in un bar carino a bere la cioccolata con panna?
-... sì.
-Ecco. Ti va di andarci?
-Non so. È ora di pranzo.
-D'accordo, allora andiamo a pranzo. Dove preferisci mangiare?
-Non ho tutta 'sta fame.
L'aveva già sentita, quella frase. Con la stessa voce atona.
-Quindi una cioccolata va bene? - ritentò.
-Sì – fece Bianca – d'accordo. Ma perché?
-Voglio parlarti.
-Oh. Ok.
Perché non aveva detto qualcosa come 'aaancoooraaaa?', o non aveva chiesto il motivo di un bisogno tanto urgente di parlare?
-Stai bene, Bianca? - esordì, senza giri di parole, mentre s'incamminavano.
-Scusi?
-Stai bene? Non mi sembri in forma come mi avevi detto.
-Già. Ho ricevuto un'altra delusione amorosa, credo.
-In che senso?
-Ho ricevuto un brutto colpo. Ci sono rimasta molto male.
-A causa di chi?
-Quando parlo d'amore, vuol dire che parlo di lei.
Nonostante tutto, quella frase, contro la sua volontà, gli fece battere il cuore.
Doveva ammetterlo: poche persone erano riuscite a dimostrare tanta devozione nei suoi confronti.
-Cos'ho fatto, questa volta, per deludere le tue aspettative?
-Pensi che non avevo nemmeno aspettative da deludere. Ma mi ha ferita lo stesso.
-Come?
-Mah, non so, tipo, io tento di suicidarmi, tra l'altro per lei, e lei viene a casa mia; ma non per sentire come sto o perché l'ho fatto, bensì per assicurarsi che io non faccia più tiri del genere, sennò lei si agita, povero bimbo, e se si agita lei si agita anche Camilla, povera piccina. Mi raccomando, veda di mantenersi sempre perfettamente al centro del suo piccolo insulso mondo, che importa se ho tentato di ammazzarmi, l'importante è che lei e la sua deliziosa fidanzatina stiate tranquilli, no?
Nel parlare si era agitata. Ora era arrabbiata.
-M... mi dispiace – balbettò Emanuele – io... non volevo darti questa impressione. Io...
-Ancora con le sue impressioni, eh? E ancora con l'abuso del pronome IO, IO, IO e ancora IO. Ma qua stiamo parlando di Bianca, permette? C'è uno spazietto nella sua proposizione per il nome proprio di persona Bianca?
-Ce n'è sempre stato fin troppo – sbottò Emanuele, seccato – mi sono sempre preoccupato per te. A volte non dormivo la notte, pensando a come stavi.
-Ma poi mi è caduta sull'uccello, signora Longari.* Non ha pensato a me proprio nel momento in cui avrebbe dovuto farlo. Di più: in quel momento, ha pensato a se stesso. Di più: è venuto da me a dirmi di non tentare il suicidio perché altrimenti avrei rovinato la giornata alla sua fidanzatina! Un vero esempio di sensibilità e savoir faire, mh? Lei sì che si preoccupa per me. Uh. Perfino Cappelletto ha dimostrato un interesse più sincero verso la mia persona.
Sapeva che in quel momento avrebbe dovuto negare, dirle che non era vero niente, dimostrarle in qualche modo che si stava sbagliando. Sarebbe bastata anche una frase di circostanza, o un 'no', o un abbraccio; ma pur sapendolo rimase immobile e zitto.
La realtà era che Bianca aveva centrato il bersaglio, che Emanuele non ce la faceva più a preoccuparsi di lei rovinando la propria vita e quella di Camilla, che non aveva più voglia di rincorrerla nella sua folle corsa verso una destinazione ignota quanto minacciosa.
Voleva solo tenere al sicuro la sua famiglia e non saperne più niente dei suoi problemi.
-Avevo ragione, vero? - lo sfidò Bianca, con un sorriso di scherno, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime – Tuttavia non posso darle torto, è giusto che lei pensi prima di tutto a se stesso. Ma vede, speravo comunque che lei me lo chiedesse. Perché, Bianca, perché volevi morire? Smaniavo dalla voglia di dirglielo. Volevo dirle che tutti mi facevano schifo, ma lei no. E che a un certo punto avevo capito che dovevo rinunciare a lei, perché lei non mi voleva, al che mi sono detta, ma cosa vivo a fare? Perché l'unica cosa per cui vivevo non si rendeva nemmeno conto di avermi aggrappata alla caviglia, a penzoloni sul precipizio. È stato facile, vero? – assottigliò gli occhi carichi di lacrime, fissandolo intensamente – È stato facile scrollare la gamba e liberarsi di quel peso, no? Perché tanto lei non ha visto, non si è mai accorto di quello che c'era sotto di me. Diciamo le cose come stanno: lei non vuole guardarlo, o sbaglio? Lei soffre di vertigini, lei ha paura delle altezze, lei è spaventato dai baratri. Bene, lasci che le dica una cosa: anch'io, porca puttana, avevo paura. Anch'io ero spaventata, e non sapevo cosa mi sarebbe successo, ed è per questo che non facevo che chiederle aiuto. E lei cos'ha fatto? È venuto a raccomandarmi di fare la brava, ché sennò Camilla non trovava il fidanzatino gioioso e sorridente pronto a portare giù la spazzatura al posto suo. Beh, grazie mille, complimenti. Mi scusi se protraggo a lungo il discorso, ma, dato che sono ancora qui, ne approfitto per dirle ciò che speravo di seppellire assieme a me.
Emanuele ebbe un brivido. Sentì l'aria di gennaio farsi ancora più gelida.
Perché era stato davvero soltanto un caso se adesso Bianca non era sepolta tre metri sotto terra, assieme alle parole che non gli aveva mai detto.
Morire con quei pensieri, pensò Emanuele. A sedici anni. Doveva sforzarsi moltissimo per provare a sentire, con l'anima, cosa potesse significare.
-Io - incominciò lentamente – io non penso sia giusto rivolgere tutte le accuse su di me. Credo che il problema sia un altro. Non sono stato io a spingerti fino a lì.
-No – replicò immediatamente Bianca, convinta – non ho mai detto questo. Mille altre cose mi spingevano da quella parte, ma io guardavo verso di lei. E pensavo che se c'era lei allora volevo rimanere dov'ero. Ho provato a parlarle. Ci ho provato, ad uscirne. Sapevo che era assurdo aggrapparmi a un uomo che non mi amava, ma ci ho provato lo stesso.
-Tu non mi hai mai amato – si esasperò Emanuele – l'hai detto tu stessa: ti sei aggrappata a me. Ti sembravo a posto e hai deciso che io sarei stata la tua boa in mezzo all'alto mare. Ma questo non è amore! È un grido d'aiuto per essere salvati. Ero il tuo pretesto per convincerti che volevi continuare a vivere, e te la sei presa con me quando hai realizzato che oltre a un pretesto non avevi nient'altro!
-Beh, la ringrazio! - gridò Bianca in lacrime – Grazie mille! Quindi mi conferma che non ho mai avuto niente! Mai, non ho avuto niente! Che tutto quello su cui facevo affidamento era il nulla più assoluto!
-Hai sempre saputo che non provavo nulla per te!
-Ma grazie, me lo ripeta! Già che c'è, perché non prende anche un coltello e me le taglia lei stesso, le vene?
Fortunatamente si trovavano in una via poco frequentata, ma non gli sembravano comunque discorsi da affrontare in pieno centro città, tantomeno in un bar affollato.
-Prendiamo il tredici – decretò Emanuele – parliamone a casa tua. È più vicina al centro della mia.
-E che c'è ancora da dirsi? Non le pare abbastanza? - singhiozzò rabbiosa, asciugandosi le lacrime.
-No, non è ancora abbastanza. Avanti.

Il tragitto in autobus e a piedi passò nel silenzio più assoluto, ed Emanuele sperò che una mezz'ora di calma potesse smorzare la furia di Bianca.
Ma quando arrivarono al suo appartamento lei girò le chiavi nella toppa con una certa violenza, e fu così che capì che non le era passata. Forse era appena iniziata.
-Si sieda – gli mormorò, ma teneva ancora il muso. Si sedette comunque. - Vuole un caffè?
-No.
-Mh. Io lo faccio per me.
-Lascia stare il caffè, Bianca.
-Ho voglia di...
-Per favore; lascia stare quel caffè e vieni qui.
Bianca obbedì e si abbandonò stancamente su una poltrona. L'espressione del suo volto non era delle più concilianti, ma Emanuele stavolta non intendeva fermarsi.
-Dobbiamo parlare di questa storia – esordì. Bianca lo fissò con disprezzo.
-Perché, deve darmi qualche altra bella notizia? - sibilò.
-No. Voglio convincerti una volta per tutte che quello che cerchi in me non è un uomo.
-Oh, la prego – sospirò – la prego, non Freud.
-Non volevo insinuare niente di simile. Volevo soltanto dire che non hai mai ricevuto una delusione d'amore, perché non sei mai stata innamorata di me.
-E va bene, diamo per buona la sua versione. Cercavo soltanto aiuto. Giusto? Però lei mi ha voltato le spalle. The End. Ora tutta la storia le sembra più nobile?
-Non è andata così.
-Oh, sì invece che è andata così. Tentativo di suicidio? Preoccupato per Camilla? Chi se ne frega di Bianca, anyone?
-E tutte le volte che ti ho ascoltata nella mia ora di ricevimento? Quando ti ho seguito in quel maledetto motel? Quando ti ho portata a casa mia, o sono venuto a casa tua a trovarti...?
Bianca esitò per un attimo.
-Ma nel momento in cui avevo più bisogno di lei, lei non c'è stato – gli ricordò.
-Se l'avessi saputo, ci sarei stato. Tu avevi bisogno che io lasciassi Camilla e scappassi in Nuova Zelanda con te per iniziare una nuova vita. Non l'ho fatto. Questa è stata tutta la mia colpa.
-Lei non mi ha neanche chiesto perché.
-Me l'avevi detto, invece. Ne avevi le palle piene di tutto. Questo era il motivo. Se invece c'è dell'altro, io come posso saperlo, se tu non me ne parli?
-E che cosa potevo dirle, che avevo bisogno di lei per non aver più voglia di morire? - iniziò a piangere – Lei non avrebbe mai scelto me. Mai. Me l'ha detto!
-Anche sapendolo, cosa potevo farci? Lasciare Bianca, innamorarmi di te? Non lo posso fare!
-Ma allora vede – scoppiò in singhiozzi – che è il suo amore quello che io le sto chiedendo? Lo vede che non dico bugie? Lo vede, adesso?!
Piangeva tanto disperatamente che Emanuele andò ad abbracciarla. Le accarezzò la schiena più volte, ma quella continuava a sussultare sempre più forte. Presto si rese conto che Bianca stava avendo una crisi di pianto; quando lei si artigliò il petto e gettò la testa contro lo schienale del divano, scossa dalle convulsioni, in preda ad urla strazianti e ai tremori, iniziò a pensare che stesse avendo un attacco di panico.

Bianca continuava a gemere, così forte e disperatamente che Emanuele si chiese da dove potesse provenire un simile accumulo di tristezza. Per una ventina di minuti, continuò a gridare, mentre le lacrime si affollavano sui suoi occhi e scendevano senza sosta. Divenne rossa, iniziò a sudare, spalancò gli occhi, terrorizzata.
-Su, basta piangere, basta – la implorava Emanuele, ma lei non smetteva; sembrava non fosse nemmeno in grado di smettere di urlare per rispondergli. Non aveva mai visto qualcuno stravolgersi a quel modo. Era decisamente un attacco di panico.
-Non piangere più, ci sono io. Va tutto bene – le mormorò – è tutto a posto. Adesso ti passa. Cerca di smettere di piangere. Pensa a qualcosa di bello...
Ma quando le disse di pensare a qualcosa di bello, riprese a piangere con una forza incredibile per qualcuno che si era sgolato fino a pochi attimi prima. Aveva gli occhi tanto gonfi che non riusciva a tenerli aperti; il suo viso era rosso e sfigurato. Ansimava, nel tentativo di respirare; sembrava le costasse uno sforzo immenso. Chiuse gli occhi e si aggrappò a lui, probabilmente le girava la testa. Poi si artigliò le tempie e le premette forte, corrugando le sopracciglia.
Dopo mezz'ora, non piangeva più, ma era sconvolta. Non aveva quasi più voce per parlare.
-Mi dispiace – riuscì a sussurrare – mi capita spesso. Di solito, quando inizia a succedere, sto a casa da scuola.
-E stai così tutto il tempo...? - esclamò Emanuele, sbalordito. Lei scosse la testa.
-No, solo all'inizio. Poi mi sento così stanca che non ho nemmeno voglia di piangere. Le lacrime vengono, ma io chiudo gli occhi e cerco di dormire...
-Era un attacco di panico...?
Lei annuì, con l'aria di chi ci era già passato infinite volte.
-Il fatto è che ti sembra di stare morendo. Che non smetterai mai di piangere a quel modo. Non ce la fai a frenarti, senti solo una cosa orribile dentro al petto che ti riempie di tristezza, e urli perché... urli perché sei triste. Pensi: dopo di questo, c'è solo la morte. Morirò qui e adesso, perché non ce la faccio. - Sospirò. - Ma non muori mai. Rimani lì, pensando che sta per accadere qualcosa di terribile, qualcosa che non puoi affrontare. Poi smetti. Finisce sempre.
-E poi...?
-E poi non hai più la forza di stare in piedi, ti domandi cosa ci stai a fare, in piedi, cosa devi fare di così importante. Perché tutto è inutile e senza significato. Ti senti male perché c'è un'ora intera davanti a te da affrontare. E poi giorni, e settimane, e tu odi essere viva, ma ci sei costretta. Di solito cerco di dormire... per fortuna ho sempre sonno in questi periodi.
-È per questo che a volte stai assente un mese...?
Lei annuì, intrecciando le mani in grembo.
-Sì, è per questo. Non sono in grado di capire cosa la gente mi dice, perché qualcosa mi fa sprofondare dentro. Mi sento a terra, non mi interessa più nulla. Ho solo voglia di buttarmi sul pavimento e dormire. E sento qualcosa nel petto che mi fa male e ogni volta penso che stavolta sto abbandonando tutti, ma, anche quelle volte, non succede mai.
-E passi così... tutto il mese...?
-Non me ne rendo molto conto. Non riesco mai ad avere reazioni. Guardo le cose e penso. Ma quel che penso mi fa male, quindi a volte penso la stessa frase tutto il giorno. Mi concentro su quella. Chiudo gli occhi, mi infilo a letto, chiudo le porte... tutto scompare. Il mondo, e i miei pensieri. So che sembra noioso, ma così il tempo va avanti e non mi fa male.
Emanuele si tolse gli occhiali e si massaggiò lentamente le palpebre.
-Cos'è che ti porta a questo punto? - mormorò, senza smettere di premersi le dita sugli occhi.
-Una serie di cose... tutto. Forse, niente di particolare. Non lo so. La mia famiglia non mi ama. I miei coetanei di certo non mi amano. E lei, anche se lo vorrei, allo stesso modo non mi ama. A volte mi sento molto sola. Mi ricordo che lo sono, anche se bevo o vado con dei tipi o faccio delle cose.
-E il resto del tempo...?
-Il resto del tempo, non so perché, mi basta. Forse me lo faccio bastare. Forse voglio pensare che basti, ma in realtà non è così, e ciclicamente me ne accorgo.
-Hai detto la parola giusta – notò Emanuele – ciclicamente. È proprio così. Un attimo stai fin troppo bene, quello dopo stai fin troppo male. Quello dopo sei di nuovo alle stelle, e quello dopo ancora hai voglia di morire.
Bianca tacque, guardando in basso.
-E così viene da pensare – continuò – che il tuo atteggiamento forzatamente allegro sia solo una maschera, e che tu, in certi periodi, arrivi a drogarti per tirarti su di morale. Ottenendo di sembrare semplicemente schizzata.
Tacque ancora, voltandosi da un'altra parte.
-Cos'erano quelle pastiglie, Bianca...?
Lei ebbe un piccolo tremito, ma non rispose.
-Perché non vuoi essere aiutata?
-Lei non può aiutarti – disse una vocina tremula.
-Non è detto. Perché non hai fiducia in me?
-Perché lo so che lei non può.
-Chi te lo assicura?
-Lei non può prendere per il bavero tutti quelli che mi fanno stare male e gridargli di piantarla, costringerli a volermi bene.
-Ma ti posso aiutare a voler bene a te stessa.
-Sì – rise amaramente lei, improvvisamente più vitale – certo, le solite stronzate. Devi fare qualcosa per te stessa. Devi raggiungere qualche soddisfazione personale. Devi imparare a Volerti Bene. Devi fare affidamento su di te e vivere indipendente dagli altri. Dica un po', lei, che fa presto a parlare. Se Camilla l'abbandonasse, i suoi genitori non la sopportassero, al lavoro tutti la evitassero e lei in parte si odiasse profondamente perché pensa, e tutti cercano in ogni modo di convincerla di questo, di avere la colpa di una tale mole di odio; se questi fossero i presupposti, lei si vorrebbe bene? E se così non fosse, com'è altamente probabile, pensa che un'altra persona potrebbe aiutarla a farlo in qualche modo? Lei pensa davvero che si possa amare se stessi, quando il resto del mondo ci odia?
-Sembrava non te ne importasse nulla.
-Beh, a volte non me ne importa niente. O forse penso ad altro e quindi non ci faccio caso. A volte riesco ad allontanare i pensieri, credo, non so come succeda, ma per un po' lo dimentico. È solo che poi... cambia. Mi torna tutto in mente.
-E non puoi continuare a fare le cose che ti distraggono?
-Sì, io posso continuare a farle, ma i pensieri avanzano e io non riesco a fermarli. È come se avessi un esercito di voci che mi ripete che questo mondo non mi vuole, e che nemmeno io, a ben pensarci, voglio questo mondo. Continuano a dirmelo. E io ho solo una risposta.
-Se io ti avessi ricambiata, sarebbe cambiato qualcosa...?
-Sì – rispose subito lei – sì. Qualcosa di positivo ci sarebbe stato. E qualcuno mi avrebbe amata.
-Sicura che nessuno ti voglia bene?
-Cappelletto non conta.
-Io ti voglio bene.
-Sì, ma da lei non mi basta.
-E i tuoi genitori? Sei sicura che ti odino davvero?
Bianca, al solo sentirli nominare, sembrò innervosirsi.
-Mia madre è fuori. È esaurita. Prende il Valium, perché è fuori di testa. Spesso dà di matto, mi fissa con gli occhi spiritati, inizia a mordermi, prendermi a pugni, urla che mi vuole ammazzare; che per colpa mia si è ammalata, che non sono altro che un problema. Niente di quello che faccio è senza conseguenze. Trova sempre un motivo per urlarmi dietro.
-E tuo padre...?
-Mio padre, cosa?
-Com'è?
-Mio padre è normale, di solito. È scherzoso, vivace, con le altre persone è allegro e cordiale. Ma picchia me e mia madre. - Bianca abbassò due occhi desolati, e le parole iniziarono ad uscire a fatica. - A volte sembra che perda la ragione, e... che ci sia un mostro dentro di lui. Una cosa incontrollabile che... lo spinge a colpirci finché non ha più fiato. Ha sempre un'espressione terribile.
Bianca aveva un'espressione sempre più ferita. Le prese la mano.
-Ti ha mai chiesto scusa...? - le chiese dolcemente.
-Mai – rispose piano lei – Mai. Rimane rabbioso e pronto a scattare. Poi, magari, il giorno dopo è di nuovo tranquillo e in vena di scherzi, e... si arrabbia se io invece non gli voglio nemmeno rivolgere la parola.
-Tu sei nel giusto.
-Ma mi fanno sentire come se fossi sbagliata. Mi dicono e fanno di tutto, e poi, quando è passata a loro, pretendono che sia passata anche a me. Perché loro sono nel giusto, sono gli unici ad avere diritto di essere arrabbiati. Io devo solo aspettare inginocchiata sui ceci il loro sacrosanto perdono.
Nei suoi occhi spuntarono due grosse lacrime. Ma nel suo tono c'era rancore.
-E invece – riprese, tirando su col naso – invece io non li perdono. Non li perdonerò mai. Non li perdonerò mai per quello che ha fatto mio padre, non perdonerò mai i silenzi di mia madre. Non li perdonerò mai per avermi convinta per tutta la vita di essere nient'altro che merda – Bianca si stava agitando; stringeva i pugni, tremava, ed Emanuele la cinse con un braccio e la strinse forte – non li perdonerò per non avermi mai fatto sentire cos'era l'affetto che tutti i miei compagni di classe danno per scontati, non li perdonerò per avermi privato di quell'appoggio fondamentale che avrebbero dovuto essere; per avermi lasciata senza basi, da sola contro tutto. Mai – alzò la voce, che tremava, ma iniziava a librarsi forte; Emanuele decise di lasciarla sfogare una volta per tutte – mai dimenticherò il niente che hanno fatto per me. Non intendo dimenticare tutte le volte che mia madre mi ha detto che sono venuta al mondo solo per rovinarle la vita. E soprattutto – Bianca ansimava; sembrava quasi fuori di sé dalla rabbia – non permetterò mai più a quel figlio di puttana di infilarmi una mano nelle mutande o di stendermi su un letto. Mai, non lo farà mai più, non lo farà più! - gridò, e infine scoppiò a piangere incontrollatamente, ed Emanuele impallidì, sentì un'ondata di nausea scuoterlo da capo a piedi, ma limitò il tremore della mani e la strinse al suo petto più forte che poteva, perché si sentisse al sicuro, perché sembrava stesse per esplodere e lui doveva mantenerla tutta intera, in un posto dove potesse aggrapparsi a qualcosa, fosse anche solo alla sua camicia.
-È stato tuo padre...? - mormorò, accarezzandole i capelli - È stato lui a fare quello che hai detto?
-Sì – biascicò Bianca tra i singhiozzi, artigliando i lembi della sua camicia. La strinse ancora più forte.
-L'hai denunciato? - chiese dolcemente. Bianca continuava a piangere, faticava a parlare.

-Io... non posso, per-perché... non mi crede nessuno, lui è amato da tutti, perché con... gli altri è-è gentile, e... non mi credono, e mi odieranno, e non mi resterà nessuno e a quel punto cosa farò – riprese a gemere come poco prima, e ad Emanuele non restò che continuare ad ascoltare quelle grida struggenti e stringersi al petto quella testolina rossa che non gli era mai sembrata così piccola.
La lasciò sfogare per un po' prima di parlarle. Sembrava che avesse molti anni di tristezza da buttare fuori.
-Quando l'ha fatto la prima volta? - le chiese, sempre con molta dolcezza. Farle pressioni sulla denuncia o incalzare con le domande sarebbe stato controproducente. Infatti lei rispose.
-Avevo dodici anni – bisbigliò – mi ha infilato la mano dentro i pantaloni, e poi dentro le mutande.
-E tu cos'hai fatto?
-Mi sono allontanata, ma stava ridendo. Ho pensato che non facesse sul serio. E così non ho detto nulla.
-E tua madre, lo sa?
-Lei era lì, seduta di fianco a lui sul divano.
Bianca continuava a deglutire, e il suo sguardo schizzava da tutte le parti. Sembrava che avesse un peso nel petto che le impediva di prendere ossigeno.
-Ha continuato a farlo?
Lei annuì.
-Non spesso – mormorò – solo... a volte. Non mi ha mai violentata. Ha solo fatto... delle cose. Che potevano avere quel significato, come potevano non averlo. - Assottigliò gli occhi. - È stato furbo. Così non avrebbe mai potuto essere accusato di niente.
-Cos'altro ti ha fatto?
-Mi toccava il seno, il sedere. Ma lo faceva sempre ridendo. Se mi arrabbiavo, mi diceva che ero la solita esagerata, che da quando ero cresciuta ero diventata insopportabile e musona. Lui ama scherzare, lo fa sempre. Per questo, io non posso dire che...
Scosse la testa; si coprì il viso con gli occhi.
-Io non riesco a raccontarglielo, prof. Non ce la faccio. Mi sembrano cose talmente sporche. Non voglio nemmeno tornare a pensarci, perché rivedo la sua faccia che ride, e rivedo quei gesti, e... non voglio avere questi ricordi. Io voglio i ricordi di un papà che mi prende per mano e mi porta a fare un giro in bicicletta... non un papà che non vedo mai, e quando lo vedo mi tratta come... - un piccolo singhiozzo uscì dalla sua corazza di mani – e non so nemmeno se è vero o se mi sto inventando tutto io.
-Riesci a dirmi qualcos'altro? Qualcos'altro, solo per capire fino a che punto si è spinto.
-Mi vergogno da morire – mormorò, emergendo dallo scudo che si era creata attorno al viso – davvero, mi sento sprofondare. E ho paura che lei non mi prenda sul serio e rida di me. E mi vergogno, soprattutto, di avere un padre che fa cose del genere.
-Non è tua responsabilità quello che fa quell'individuo.
-Lo so, ma... alla fine sono io che mi vergogno. Sono io che ho paura a parlare.
Abbassò uno sguardo sconfitto. Emanuele si sentì montare dentro una tale furia che avrebbe voluto andare lì, da quell'uomo, al lavoro, sollevarlo per il bavero e scaraventarlo fuori dalla finestra, sperando che si sfracellasse la testa dal settimo piano di qualche palazzo, e che morendo soffrisse il più possibile.
-Questo è il modo di fare subdolo di chi molesta le bambine – affermò Emanuele – ti fa pensare che sia normale, che sia tutto uno scherzo. E intanto fa i suoi comodi. Se qualcuno ti raccontasse che suo padre gli fa cose simili, penseresti che sta scherzando...?
-Quando non ci sei dentro... e soprattutto quando non si tratta della tua famiglia... è facile puntare il dito. È un molestatore, che vergogna, figlio di puttana. Ma quando si tratta di tuo padre non è così immediato. Ti piacerebbe continuare a credere di avere un padre come tutti gli altri, e così... ridi anche tu con lui e ti domandi se anche i padri delle tue amiche facciano così. - Si intristì. - Solo che non ho amiche a cui chiederlo. Non c'è nessuno che mi rivolga la parola, ormai.
-Ci sono io – affermò Emanuele – ci sono io. Se lo rifarà, devi dirmelo. Capito? Devi dirlo a me. Devi dirmi quello che è successo, Bianca, perché potrebbe essere importante.
-Una volta... - il visino pallido di Bianca si oscurò, rovistando tra i ricordi – mi ha preso i polsi. Mi ha sbattuta sul letto. Ha iniziato ad aprirmi la cerniera dei jeans... - Bianca cercò di prendere un respiro profondo, ma stava ansimando. Ad un tratto chiuse gli occhi. - Per favore, non mi chieda altro.
-Prosegui.
-Prof, per favore...
-Prosegui. Quando mi avrai detto tutto, sarà finita. Non ti chiederò più niente.
-E non è successo niente, è arrivata mia madre e mi ha lasciata. Aveva un'espressione orribile. Era rosso, agitato, aveva quello strano ghigno. Perché mi ha aperto la cerniera dei pantaloni...? Se non voleva fare niente, che scherzo era mai quello...?
Stava decisamente agitandosi. La sua voce oscillava tra acuti e improvvise mancanze. Il suo sguardo ansioso era fisso nel vuoto.
-E una volta mi ha afferrato il viso tra le mani, eravamo soli. Ha iniziato a leccarmi la faccia. Sembrava un animale. Prof, la prego, basta. Non ce la faccio più.
-C'è dell'altro?
-Sì, ma... - aveva un'espressione sofferente che strappava il cuore, ma Emanuele la esortò a continuare con un cenno del capo. - Mi tocca sempre qua e là, apparentemente per sbaglio, o solo per giocare. Forse non ha capito che non ho più otto anni e che certe parti del mio corpo non sono più accessibili, sono intime, ne sono gelosa. Forse è soltanto questo. Ma non può essere così cieco. Certi gesti volgari con il suo pene non possono essere un gioco per bambini. Perché mi guardava mentre lo faceva? Cos'era quell'espressione? Perché guardava me, attento a non farsi vedere, se tutto era soltanto un gioco? Che gioco è, questo? Perché non riesce a essere come gli altri papà...?
Le lacrime tornarono a rotolare giù per le guance di Bianca, ma stavolta non sembrava infuriata. Soltanto piena di tristezza perché avrebbe voluto due genitori come tutti gli altri, che l'amassero e la proteggessero, ma in realtà era da loro che doveva proteggersi, e non era mai riuscita a farsi amare da nessuno.
Ora capiva. Capiva perché avesse voluto morire.
Non c'era ragione al mondo per cui avrebbe dovuto voler vivere.









*La battutona fotonica si riferisce agli emo, perché Benetazzo è metallaro °_°. Ci tengo a precisare che non è farina del mio sacco. **Mi vergogno di averla scritta, ma purtroppo ho creato un personaggio pirla che invece la dice senza vergogna. Mike Bongiorno docet.




(Nda: Questo è un capitolo che ho faticato molto a scrivere, non vi dico poi l'ultima parte. Semplicemente l'ho odiata. Se l'ho portata avanti fino alla fine è stato solo perché credo fermamente nella denuncia sociale, anche se, e me ne rendo conto, l'ho tagliata più corta possibile. Magari un giorno la migliorerò, ma dubito fortemente che riprenderò in mano quel pezzo, per cui, spero che vi sia piaciuta come mi è riuscita - narrativamente parlando, ovviamente.
Mi affretto a cambiare argomento e a rispondere alle vostre recensioni ^^ (grazie :*).
Baby Birba: sono completamente d'accordo: innamorarsi di persone problematiche è quanto mai deleterio -_- innamorarsi di Bianca, poi, è pura follia. C'è anche da dire che Cappelletto è quello che è XD perciò più che d'amore parlerei di 'cotta', anche se è piuttosto affezionato. Quanto al seguito, magari ne riparleremo nel prossimo capitolo ^^ per ora mi limito a concludere la storia :) grazie di avermelo chiesto però, mi fa piacere ^_^.
Piaciuque: spero di non essermi spiegata male nello scorso capitolo :O ma, come credo avrai capito, Bianca aveva tentato il suicidio. Infatti il cerotto è sui polsi ;) una drogata avrebbe segni sugli incavi delle braccia. Grazie dei complimenti X* e degli auguri XD!!
Yuki: Grazie dei complimenti ^_^ ripetili pure quanto vuoi, non mi offendo mica *_*. Comunque se hai un'idea esprimila, sono curiosa *_* c'è il mio ragazzo che sta facendo tremila ipotesi una più assurda dell'altra e ti giuro per me è il massimo sapere cosa ne pensate XD dai pure voce ai tuoi sospetti *O*!
Kristh: wow, grazie ^_^ mi spiace aver deluso le tue aspettative EmanuelexBianca.... XD neanche in questo capitolo credo avrai trovato ciò che cercavi, ma spero continuerai a seguire questa storia lo stesso ^_^.
Dance of Death: le tue recensioni sono fantastiche, davvero XD. Mi illuminano la giornata XD. Grazie davvero, sul serio :* e, qualunque cosa tu voglia dire sulla storia, dilla senza timori XD più scrivete e più io sono contenta, giuro XD. Felice che tu abbia riconosciuto la citazione ;D ho visto che hai anche letto la mia fic su Cassie, grazie del commento anche lì :* sono un'appassionatissima di quel telefilm e in particolare di Cassandra... nel caso non si vedesse *_*;. Comunque mi rende felice sapere che gli sbalzi di Bianca e la forza con cui trascina chi le è vicina siano stati resi, ma non farti troppo trascinare da lei u_u non è davvero un grande esempio a cui ispirarsi °_°'. XD
Briareos: sono curiosa di sapere in cosa questa storia è 'ingenua' ('fino alla morte' addirittura o_o') perché a me è sempre sembrata piuttosto cruda, specie in quest'ultimo capitolo... buh :/ se ne hai voglia fammi sapere. XD
Bueno, e con questo vi lascio è.é ci si vede al prossimo capitolo, che è anche l'ultimo :O. Grazie ancora a chi ha commentato *_*, favvato, seguito, letto. Ma di più a quelli che hanno commentato u_u.
A presto!)

  
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