Lui
non aveva mai dato tanto peso all'opinione altrui. Lui si era sempre
limitato a raccogliere i suoi bambini e a dargli una vita oltre la
collina.
Viveva nel suo mondo e lo curava, crescendolo nel
migliore dei modi, provando a renderlo quello giusto.
Li trovava
per le strade dell'Inghilterra, tutti quei piccoli sudditi, li
vestiva, li nutriva e gli dava delle braccia e delle gambe. Gli dava
delle mani e talvolta riusciva anche a vederli sorridere.
Sinceramente.
Il
Barone Kelvin soleva assegnare anche un nome ad ognuno di loro, in
base alle loro qualità.
Joker non ne aveva mai avuto uno, prima
di conoscerlo. Dagger nemmeno, però se la cavava coi
pugnali. Beast
era una ragazza indomabile, Doll un bambino vivace ed efebico. E
comunque loro volevano una sorellina.
Dunque, li portava con sé,
salvandoli da un triste destino. Un po' come aveva fatto Noé
con gli
animali.
Il Barone Kelvin aveva costruito un'arca oltre la collina
e lì li aveva rinchiusi, proteggendoli dall'Inghilterra e
dai suoi
mali.
Sapeva bene, però, che alla sua
collezione
mancava ancora il pezzo più bello.
Lui non aveva mai dato tanto
peso all'opinione altri. Lui portava i suoi bambini oltre la collina,
il suo compito cominciava e finiva in quel posto.
C'era un
bambino, comunque, che da lui era ancora troppo lontano.
Era una
persona speciale, ma non come le altre. Aveva capito: era una di
quelle persone speciali che potevano essere toccate solo da persone
altrettanto speciali.
In
quel momento, qualcosa dentro di lui cambiò.
Ciel Phantomhive era stato nascosto dietro la schiena del
Conte
per tutta la sera. Il Barone Kelvin aveva dovuto sporgersi un po' per
guardarlo, ma era comunque riuscito a vederlo. Era cagionevole di
salute ed era guarito da poco da un'altra malattia, però
Ciel
emanava davvero una fioca luce.
Nella
notte buia, era come la silenziosa luna
crescente
che volava nel
cielo.
Lo aveva
trovato immediatamente un bambino bellissimo, degno di tutte le
attenzioni di un padre.
Poi un giorno Joker gli aveva portato una
notizia orribile.
Il Barone Kelvin voleva toccare
Ciel, voleva raggiungere quella luna.
Allora aveva deciso di
cambiare, di diventare abbastanza bello per poter stare accanto a lui
ed esserne fiero. Voleva diventare speciale come le persone attorno
al Conte e a suo figlio, voleva quell'affascinante velo di mistero
anche su di sé.
Avrebbe avuto un aspetto migliore. Non gli
importava che la sua vecchia moglie decidesse poi di
lasciarlo. Non gli importava di abbandonare alle spalle i suoi vecchi
ideali.
Voleva
una pelle bianca e di porcellana, come fosse stata quella di una
bambola, occhi grandi come diamanti, un corpo giovane!
Voleva
tutte quelle cose, solo per toccare le persone speciali.
Poi però
Joker gli aveva detto che erano tutti morti, che erano stati
assassinati.
Il Barone Kelvin aveva perso un po' la luna, un po'
l'orientamento. Era costretto in un letto, non poteva nemmeno capire
come, cosa, dove, perché
proprio loro.
Quando Ciel però era riapparso, miracolosamente
vivo, forse dovette darsi dello stupido.
C'erano delle spine a
proteggere il nuovo, giovane Conte. Pungenti e dolorose sui
polpastrelli.
Sotto
gli splendidi fiori c'erano le spine! Lui non poteva non innamorarsi
di ciò che si nascondeva sotto la rosa!
Anche
lui sarebbe stato avvolto da splendide spine! E sarebbe diventato un
fiore malvagio, sicuramente!
Mano a mano il Barone Kelvin aveva imparato a capire quel
fiore.
Quella rosa era strana, forse troppo bella. La osservava a
lungo, mettendola a fuoco per bene ed escludendo tutto il resto.
Era
come se i suoi occhi diventassero l'obiettivo di una macchina
fotografica, sapevano concentrarsi solo sulla rosa.
Lui stava
fotografando qualcosa di veramente bellissimo.
Gli occhi di Ciel
Phantomhive se ne stavano nascosti tra i capelli, uno invisibile,
l'altro ed emanare una luce dai riflessi tristi. Se ne stavano
nascosti tra gli alberi ed osservavano il paesaggio tutto
intorno.
Gli occhi di Ciel gli piacevano davvero molto, quasi
quasi li avrebbe voluti per sé.
Le labbra, invece, non
disperdevano mai troppi sorrisi. Erano un po' come un prato mosso dal
vento, se fosse stato per lui sarebbe rimasto immobile per
sempre.
Pensandoci bene, gli piaceva tutto di Ciel Phantomhive. E
non vedeva l'ora di averlo solo per sé.
Gli avrebbe regalato
un'altra delle loro notti, lo avrebbe sacrificato di nuovo, magari. A
lui era dispiaciuto davvero molto non poter partecipare ad una festa
del genere.
La macchina fotografica indietreggiava ancora di
qualche metro. L'obiettivo si concentrava sul contenuto e poi metteva
a fuoco anche i contorni. Li definiva per bene, per capirne la
forma.
La bellissima rosa, la luna, il prato erano circondati da
un paesaggio splendido.
Uno ad uno, però, andavano poi ad
accostarsi ai contorni del quadro.
Ciel Phantomhive non era poi
così perfetto, questo il barone lo sapeva. C'erano le spine
a
proteggerlo.
Era come guardare attraverso una finestra, muovere un
passo indietro e vedere poi le mura.
Erano grigie, erano logore,
erano talmente tanto sporche
che nessuno avrebbe mai osato avvicinarsi. Erano piene di crepe, ma
erano state perfettamente riempite e nascoste, forse.
Era normale,
per chi lavorava in casa Phantomhive, saper fare una cosa del
genere.
Ciel Phantomhive, insomma, altro non era che una
bellissima menzogna, probabilmente. Lui era il cane da guardia della
regina.
La macchina fotografica, dunque, aveva allargato
l'obiettivo. Lo spettatore aveva fatto un passo indietro e si era
allontanato dalla finestra.
Il Barone Kelvin, comunque, continuava
ad essere affascinato dal giovane Conte, forse anche più di
prima.
Era come vivere l'ennesima illusione, quella più bella.
Era come riuscire a capire qualcosa in più di quel mistero,
come se
adesso potesse avvicinarsi di qualche passo ad una persona
così
speciale.
Anche quando era tornato dalla morte – e soprattutto
in quel momento – Ciel Phantomhive gli era apparso
così perfetto
da potersi definire irreale.
Torturava
i suoi sogni, le sue fantasie. Ciel Phantomhive aveva un potere
più
grande su di lui rispetto a quello che riusciva ad esercitare su
molte altre persone.
Il
Barone Kelvin era rimasto affascinato da quel paesaggio, ma
più di
ogni cosa lo avevano colpito le mura piene di crepe. Voleva essere
guardato così anche lui un giorno, essere osservato
attraverso una
macchina fotografica, essere visto attraverso una finestra, senza
difetti, solo con quel velo di mistero che continuava a piacergli
troppo. Gli piaceva come nient'altro.
Ora
il Barone Kelvin moriva però, ucciso dalle stesse mani
– piedi
–
di Ciel Phantomhive.
Lui
non aveva supplicato nessun demone affinché lo uccidesse, a
differenza degli altri.
Eppure,
continuava ad adorarlo ancora adesso, ad osservarlo mentre se ne
stava in piedi davanti a lui, con la pistola in mano ed uno sguardo
che rasentava la follia.
Ciononostante,
adesso del paesaggio vedeva le cose migliori. E lui non ci
assomigliava affatto, però aveva potuto scorgerlo per bene.
Adesso
chiudeva gli occhi, i contorni delle mura sparivano, le crepe si
sfocavano, l'erba perdeva di colore.
Joker
non veniva più chiamato da nessuno, Dagger non aveva pugnali
da
lanciare, Beast era stata intrappolata e magari Doll stava piangendo.
Uno
ad uno, il Barone Kelvin li vedeva tutti cadere nella sua mente,
uccisi da Ciel Phantomhive.
La
cosa non sembrava però dispiacergli granché. Lui
si era innamorato
di quella rosa. L'aveva vista, le aveva parlato, l'aveva toccata.
Il
Barone Kelvin era stato punto spesso da quelle spine, solo che questa
volta le ferite erano troppo profonde.
Questa FanFiction è stata scritta per la Criticombola, con Prompt 90, uno scorcio impossibile.
[Link dell'immagine: http://pics.livejournal.com/el_defe/pic/0005pwrc]