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Autore: Ernil    13/11/2009    19 recensioni
« Hai già pensato a dove ti piacerebbe essere sepolto? »
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Silente, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sommario: « Hai già pensato a dove ti piacerebbe essere sepolto? »

Rating: Verde

Disclaimer: se guadagnassi qualcosa, sarei ricca sfondata! *O*

Beta: Geilie ^_____^ Che in qualche modo aveva già capito su chi avrei fatto questa shot. È telepatica!

Note dell’Autrice/1: Questa storia partecipa alla Criticombola indetta da Criticoni, prompt 74 [Titoli]: “Il canto del cigno”.

Note dell’Autrice/2: ok, ragazzi, lo so che sapete che sono una fan delle Snapledore. Ma se questa fosse una slash, giurin giurello che lo metterei negli avvisi (beh, poi io non vi vieto di leggere quello che volete fra le righe...)

Buona lettura.  

 

[Povera e fragile cosa mortale, che Dio avesse misericordia di lui.

 

Il nome della rosa, Umberto Eco]

 

 

« Hai già pensato a dove ti piacerebbe essere sepolto? »

Il tono è casuale, e se a parlare non fosse Severus Snape, Albus crederebbe di non aver sentito il filo di ironia che scivola fra le parole, come sabbia fra le dita, come il sole dietro le punte degli alberi, mentre le acque del lago si muovono pigre a ogni sasso che il vecchio lancia.

« Sette rimbalzi » dice Dumbledore, raddrizzandosi con un sorriso. «6 E con la mano sinistra! Ti sfido a fare di meglio, Severus ».

Gli occhi di Albus si alzano a incontrare quelli di Snape, che non sorride.

« Ti ho fatto una domanda » dice piano. Non è un sibilo, più un soffio, nemmeno irritato: dopo tutti questi anni, non si irrita neanche più.

Ha troppo poco tempo per irritarsi.

Albus sorride e si sistema gli occhiali sul naso adunco. Gli ultimi raggi di sole giocano sulle lenti a mezzaluna.

« Credevo non volessi sentire la risposta » dice, guardandolo quieto. Snape non risponde, non fa nemmeno una smorfia. Sta dritto, con le mani dietro la schiena, mentre il vecchio cerca un altro sasso da far rimbalzare.

« Sì, ci ho pensato » risponde infine Albus. Si solleva e guarda il sole morente. « Mi piacerebbe qui, sai, Severus? Questo posto è illuminato tutto il giorno. È, a tutti gli effetti, un posto al sole ».

Si volta con un sorriso verso Snape. Il viso di Snape è di marmo.

« E’ un bel posto » dice. La sua voce è senza inflessione, senza emozione. Una collezione di suoni indifferenti, uno dietro l’altro, un calendario di giorni senza nemmeno un segno rosso per ricordarsi di un compleanno.

Albus lo guarda. Alla luce dell’ultimo sole, il viso di Snape sembra ancora più pallido. La pelle è tesa sulle guance, e il profilo aguzzo degli zigomi è accentuato da ogni ombra, ogni raggio. Le ciglia sono lunghe e nere, ma perdono importanza di fronte al buio degli occhi.

I lunghi capelli scuri gli scendono sul volto e senza pensarci Albus fa un passo avanti e gli mette una ciocca dietro l’orecchio. La sua mano sfiora appena la guancia di Severus.

Può quasi sentire Snape irrigidirsi.

Fa un passo indietro. Sa bene fino a dove può spingersi. Perfino dopo tutti quegli anni.

« Magari verrai qui a tirare sassi sull’acqua, un giorno » dice, tornando a cercare una pietra rotonda e piatta. « Anche se dubito che riuscirai mai a battere il mio record, ragazzo mio ».

Si volta ancora con un sorriso furbo verso Severus, ma il viso di Snape è inciso nella pietra in ogni ruga prematura, in ogni linea.

« Non lo farò, Albus, lo sai bene ».

C’è un piccolo silenzio.

« Mi piace pensarlo » risponde infine Albus; soppesa un sasso nella mano, stringendosi leggermente la lingua fra i denti. Poi piega il braccio e lancia il ciottolo.

« Uno... due... tre... » conta il vecchio, come un bambino. « Nove! » Si volta verso Severus con un sorriso che gli illumina gli occhi. « Nove! Oh, questo non lo batterai mai, Severus ».

Le labbra di Snape si muovono pochissimo, quando parla.

« Come farà l’Ordine della Fenice senza di te? Come faranno quando tu sarai morto e il Signore Oscuro avrà campo libero, e non avranno più nemmeno un buco nel terreno dove nascondersi? »

La sua voce è un sibilo, adesso. Le braccia sono incrociate dietro la schiena, ma Albus sa che, comunque, le dita non stanno premendo in tensione nella carne. Severus è troppo ben addestrato per farlo.

Ciò che preme è dall’interno.

« Ho lasciato loro tutte le istruzioni necessarie, Severus » risponde Albus, e con un dito si sistema gli occhiali che stavano scivolando lunga la curva spezzata del naso. « E poi, non saranno soli. Lord Voldemort non avrà campo libero. Ci sarà Harry. Ci sarai tu ». Lo guarda e sorride.

Snape non lo fa. Snape sembra un idolo piantato nel terreno e dimenticato molto tempo prima. Il sole è calato quasi del tutto e nelle tenebre che scendono il mantello si confonde, e l’intera figura di Snape sembra risucchiata, accolta, nascosta nelle braccia materne della notte.

« Hai programmato tutto, non è vero? » mormora. C’è una nota di scherno nella sua voce. Una nota d’odio e rabbia e, così sottile che non fa nemmeno rumore quando passa sull’erba, tremore.

Albus alza gli occhi su di lui. Quelli di Snape non scintillano. La ciocca di capelli gli è ricaduta sul viso, e Albus non ce la fa a rimetterla a posto.

« Ho fatto il possibile. Programmato il programmabile ». E’ la verità. Nessuno dei due può negarlo. Albus si sente confortato da quell’idea. Ha dato quello che poteva.

Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa... (1)

Il sorriso si apre sul volto di Snape come una ferita, e le parole che ne escono sono sangue.

« Certo. Hai fatto il possibile ». Si gira e guarda il lago. Le sue spalle sono dritte e

la sua voce è bassa e parla per tutte le cose non dette fra loro. I denti scricchiolano. « Tutto il possibile. Programmato il programmabile. Ben fatto, Albus. Davvero il tuo canto del cigno ».

Non è un complimento, è un accusa. Un’accusa che viene da quel rotolo di dolore profondo che si raggruma attorno al nocciolo dell’anima, come un fondo di caffè,6 come un mozzicone schiacciato sotto il tacco.

Albus non guarda Severus. Guarda il sasso rotondo e perfettamente liscio lì per terra, e sa che sarebbe un tiro davvero meraviglioso, magari perfino dodici rimbalzi.

Dodici rintocchi.

C’è una vecchia poesia di Baudelaire che parla della mezzanotte della vita.

Via, spegniamo il lume per nasconderci nelle tenebre (2).

Se non sapesse che è la cosa giusta da fare, Albus sarebbe perfino tentato di fermare tutto, tutta quella macchina mostruosa, quella giostra diabolica, tutto quel gioco orribile che macchia la scacchiera di sangue.

Solo per vedere il sollievo sul volto di Severus. Solo per vederlo chiudere gli occhi e mormorare una preghiera di ringraziamento a un dio in cui non ha mai creduto.

Non può farlo. Non lo farebbe.

Vorrebbe, ma ormai il gioco è avviato. Si può solo continuare a giocare.

Il cigno canta finché muore – non può interrompersi proprio sull’ultima nota.

Perfino il silenzio di velluto è troppo per le sue spalle, e Albus smette di contemplare Severus, che gli volta la schiena, e si gira verso Hogwarts.

« Torniamo al castello, Severus ».

Si incammina lasciando per terra quel sasso rotondo e perfetto. Ci sarà sicuramente un’altra mano, un palmo liscio e giovane, che lo soppeserà attentamente e poi lo lancerà, e occhi meno stanchi vedranno estasiati come il sasso vola sull’acqua senza sprofondare, lasciando dietro di sé una scia di cerchi, ognuno un piccolo capolavoro, una piccola sinfonia per la vista.

Per qualche attimo cammina da solo, ma poi l’ombra di Severus lo affianca e, senza una parola, senza uno sguardo, gli porge silenziosamente il braccio.

Albus sa che non dovrebbe, ma sorride e si appoggia a lui.

Il suo ragazzo.

Il bastone della sua vecchiaia.

Risalgono in silenzio il sentiero fino al castello, e nel buio ormai calato è Severus che guida Albus su per le scale d’ingresso, lungo i corridoi, nel nero della notte.

Albus è stanco – molto stanco. Troppo stanco per lanciare un altro sasso. Li ha visti affondare tutti, ha visto che ogni increspatura nell’acqua tornava poi ad acquietarsi, nascondersi, morire.

Ma, mentre nel silenzio della scuola sale le scale appoggiato a Severus, sa che il suo vero, nascosto capolavoro sarà lì a continuare la sinfonia quando lui avrà dato l’ultima nota.

Severus – Severus è il suo canto del cigno.

 

[M’illudo, non so: a volte

Oh, raramente! sento

Invisibili mani passare

Sulla fronte

e liberarmi dolcemente

dai tristi pensieri:

allora non sono solo

a sopportare la lunga notte?

 

Mio Signore, David Maria Turoldo]

 

 

(1) Dalla seconda lettera di San Paolo a Timoteo, capitolo 4, versetti 6 – 7.

(2) Baudelaire, da “L’esame di Mezzanotte”

 

 

Note dell’Autrice:

Mi mancano tutti e due, ‘sti stronzi.

Ma comunque, questa storia l’ ho scritta per tutti quelli che, ogni volta che sentono o leggono che è Harry il pupillo di Dumbledore, vorrebbero alzarsi in piedi e gridare dai tetti che se c’è un gran rapporto padre/figlio in Harry Potter, è Albus e Severus, e se c’è un pupillo di Albus, quello è Severus. Me ne frego di quanto sia anti-Canon secondo la signora Rowling.

*i lettori abituali di Ernil muoiono in massa leggendo “me ne frego del Canon”*

Seriamente. Credo che chi, come me, abbia passato ore intere a sviscerarsi il rapporto fra questi due capisca quello che intendo.

Snape the best, fuck the rest.

   
 
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