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Autore: ross_ana    15/11/2009    8 recensioni
Edward è andato via ormai da mesi. Bella soffre incondizionatamente, ma sente un improvviso bisogno di evadere dalla prigione che si è creata intorno: la sua stanza, la sua apatia. Così va a fare una passeggiata... E cammina e pensa. E pensa e cammina.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Isabella Swan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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...otto, nove, dieci, undici e dodici.
Pianerottolo.
Uno, due, tre e quattro.
-Bella?!
-Papà io esco. Ho bisogno d'aria.
-Va bene ma...
Non ascolto il resto della sua frase. Ho messo le cuffie dell'mp3 nelle orecchie. Non sento niente. Non voglio sentire nessun altro tipo di rumore. Solo la musica che sprigiona nella vastità della mia mente la melodia composta da mani esperte, mani antiche, mani perfette.
Sono mesi che non metto il naso fuori dalla porta. O per lo meno, sono mesi che non esco di casa se non per andare a scuola. E adesso sento il bisogno improvviso di farlo. Ho bisogno d'aria. Proprio come ho detto a Charlie.
Non so com'è successo, ma sono fuori dal mio intorpidimento giornaliero.
Sono fuori da quello stato d'apatia che è perenne nelle mie giornate. Quello stato grazie al quale riesco a non sentire la pesantezza del tempo che passa troppo lentamente.
Da quando Edward è andato via... da quando Edward... mi ha lasciato... non sono più io. Non sono più la Bella sorridente che guardava il mondo a testa alta e con gli occhi curiosi di scoprire la vita. La vita vera, quella che ti fa sentire degno di essere te stesso. Quella che ti fa sognare, ridere, volere... vivere.
Pensare a lui è qualcosa di indicibilmente doloroso. E tendenzialmente cerco di escludere il dolore. La sofferenza. L'agonia che la sua assenza mi provoca.
Ma oggi no. Oggi è diverso.
Stamattina mi sono svegliata e per la prima volta dopo tanti mesi mi sono senita lucida.
Mi sono guardata intorno, e ho visto ciò che mi ha sempre circondato, ma che era diventato trasparente ai miei occhi ormai privi di qualsiasi scintilla di vitalità.
Il pavimento di legno.
Scricchiolante in alcuni punti, dove le travi risentono maggiormente del trascorrere degli anni.
Le pareti azzurre.
Penso che se le toccassi sentirei il gelo che attraversa i muri. Non solo per mancanza di sole nella cittadina di Forks, non solo perchè non apro la finestra da non so più quanto tempo ormai... ma perchè non c'è calore che filtri in quelle quattro mura. Io sono gelida. Sono congelata. Congelata in uno stato di intorpidimento perenne. Congelata nel pensiero fisso di non pensare.
Il soffitto a punta.
Quando ero piccola e venivo a passare le estati qui, mi domandavo sempre quanto sarei dovuta crescere per toccare con una mano quell'angolino in alto. Adesso... non ricordo quanti giorni, o mesi, sono passati dall'ultima volta che ho alzato lo sguardo oltre l'altezza della mia testa. Mi manca la voglia di farlo. Mi manca la voglia di girarmi, di guardare, di osservare, di domandare.
Le tendine di pizzo ingiallite alla finestra.
Non guardo mai da quella parte. Quella direzione è proibita. È vietata. Perchè quella è la direzione che vorrebbe seguire il mio cuore. Il mio cervello. Il mio corpo. Il mio tutto. Quella finestra era la mia porta della felicità. Da quel tremendo pomeriggio è la porta verso la fine. La fine della mia vita. La fine del mondo. La fine di tutto.

Sentivo il peso del silenzio assorbire ogni cellula del mio corpo.
E il rumore esterno mi creava fastidio.
Ero ormai assuefatta dal freddo, dal vento, dalla pioggia.

Uscivo di casa senza rendermi veramente conto di quale fossero le reali condizioni atmosferiche. Se ci fosse stato il sole lo avrei notato. Ma le nubi coprivano perennemente il cielo della piovosa Forks. Ormai ci avevo fatto l'abitudine.
Ma oggi no. Oggi il ticchettio continuo della pioggia sul tetto mi faceva star male. Mi faceva stare peggio del solito.
Erano mesi ormai che mi sentivo morta.
Oggi invece... è diverso. Ho sentito il bisogno di respirare. Di ossigenare il mio cervello ormai spento. Ho sentito il bisogno di uscire dalla prigione che mi sono creata.
Esco di casa e sbatto la porta. Ma la canzone spaccatimpani che sto ascoltando mi impedisce di sentire l'impatto della serratura forzata.

Comincio a camminare, lungo il marciapiede, lungo la strada poco affollata che ogni giorno faccio senza accorgermene. Al bordo del mio mezzo.
Adesso invece sono a piedi. E cammino. Cammino in silenzio. Cammino da sola.
I fari delle auto che passano mi illuminano.
Nessuno rallenta. Nessuno si ferma. Ormai tutti quanti hanno imparato ad ignorarmi.
È come se non esistessi. Per nessuno, oltre che per me stessa.
E per mio padre. Charlie è l'unico che ancora si preoccupa per me e che si sforza di parlarmi. Si sforza di farmi tornare ad essere normale.
Ma per fortuna Charlie è rimasto in casa, sta guardando la sua partita adesso, e io non corro il rischio di essere fermata da qualcuno.
Continuo a camminare, e i pensieri seguono il ritmo cadenzato dei miei passi.
Va tutto a rallentatore.
Niente mi avvolge pienamente. Tutto passa fuggevole nella mia mente. Ma nonostante questa sensazione, ogni piccolezza lascia il suo segno, ed incide una ferita all'interno della mia anima già dilaniata, impossibile da rimarginare.
Non ci saranno cicatrici. Perchè le ferite non guariranno. Resteranno sempre aperte, e sempre continueranno a sanguinare copiosamente.
Forse questo è il mio destino.
Solitudine e agonia.


L'insegna di un bar brilla luminosa sulla strada poco trafficata.
All'interno un ragazzo è seduto su uno sgabello di pelle rossa, e mentre sorseggia la sua bibita ride della battuta di qualcuno che non riesco a vedere attraverso i vetri appannati della porta. Probabilmente sarà il barista.
Continuo a camminare imperterrita, dimenticando dopo un secondo i lineamenti di quella prima persona che dopo tanto tempo riesco veramente a vedere. Ma non ha importanza. Lui non è importante. E resta solo un vago ricordo di una figura maschile che ride.
Ride. Ride. Ride. Ride. Ride.
Ridere.
Quanto tempo è passato dall'ultima volta che ho riso?
Tanto. Troppo. Non lo ricordo più. Forse è davvero troppo.
E mi viene voglia di ridere. Di ridere. Di ridere.
Ma non sono capace di farlo. Non più. E allora continuo a camminare, dimenticando anche questo pensiero profondo ma che adesso mi sembra ridicolo.
Ma Forks è sempre stato così?
I cespugli vicino alle strisce pedonali. Gli alberi vicino ai cespugli. I semafori vicino agli alberi.
Davvero? Sempre? Così?
Forse si. Non ci ho mai fatto caso però. È la prima volta che attraverso questa strada camminando. Vale come giustificazione? Ma giustificazione da cosa, poi?
Vado avanti.
Un altro passo. E un altro pensiero.
Vedo una ragazza seduta su una panchina. Non mi sembra di conoscerla. Sta fumando una sigaretta. E improvvisamente sento il bisogno di farlo anch'io. Fumare. Per cambiare. Per fare qualcosa di nuovo. Per assaporare qualcosa di diverso dalle solite lacrime amare che ogni giorno mi rigano il viso.
Ma non ho voglia di parlare. Non ho voglia di fermarmi. Non ho voglia di rispondere a domande che sicuramente mi verrebbero fatte.
E allora vado avanti. Continuo a camminare e già non ricordo più cosa volessi fare un secondo fa.


La canzone è finita. Ne inizia un'altra. Mi annoto mentalmente che alla fine di questa inverto la direzione e torno indietro. Torno a casa. Nella mia stanza. Nella mia prigione.
Il ritmo è più cadenzato. Più dolce.
È una canzone diversa. Una canzone vecchia. Che mi riporta con la memoria in un passato remoto. Mi riporta con la memoria alla mia vita a Phoenix.
La luce, il caldo, il sole... coloravano le mie giornate di una monotonia felice.
Penserete sia un ossimoro, ma non lo è.
La mia vita a Phoenix era diversa dalla mia vita a Forks.
Li nessuno mi conosceva, non avevo amici degni di essere chiamati tali. La mia unica compagnia era mia madre. Ma non ero sola. Ero Bella. Bella Swan. Ero me stessa. Io in quella vita ci sguazzavo, ci stavo bene. Ero felice. O almeno credevo di esserlo.
Poi mi sono ricreduta quando sono venuta qui. Quando ho conosciuto i Cullen.
Esme, Carlisle, Rosalie, Emmett, Jasper, Alice... Edward.
Loro mi hanno mostrato la vera felicità. La vera vita. La vera me stessa.
Avevo trovato in quelle splendide persone, la famiglia unita che non avevo avuto.
Avevo trovato in Esme una donna dolce, con un cuore grande capace di amare sconfinatamente chiunque al mondo.
Avevo trovato Carlisle, un uomo di immensa bontà. Un uomo che per espiare il peccato di essere diverso, dedicava la sua vita al bene del prossimo.
Avevo trovato Rosalie, l'incarnazione della pura bellezza.
Avevo trovato Emmett, il fratello che non avevo. L'orso con cui scherzare, giocare, ridere. Un amico dalla battuta sempre pronta. Qualcuno su cui poter sempre contare.
Avevo trovato Jasper, che con il suo potere da empatico riusciva a tranquillizzarmi con un solo sguardo.
Avevo trovato Alice, grazie alla quale non mi sentivo più figlia unica. Lei era la mia migliore amica, la sorella senza la quale non sarei diventata quella persona che una volta ero fiera di essere. Senza di lei non avrei vissuto tantissime emozioni che mi sarebbero state precluse per sempre. Senza di lei non avrei provato la gioia di avere accanto persone tanto meravigliose.
E poi avevo trovato Edward. L'amore della mia vita. Il fulcro della mia esistenza. Il centro del mio mondo. Il mio angolo di paradiso. Il mio infinito. La mia eternità.
Mi ero abbandonata a lui, alle sue cure, alle sue promesse, alle sue premure.
Mi ero attaccata all'idea di un'esistenza insieme a lui. Un'esistenza fatta di gioie, di dolori, di sorrisi, di lacrime, di ostacoli da superare... insieme. Tutto insieme. Per sempre insieme.
Invece il mio per sempre non esisteva. Non era mai esistito.
E insieme... era stato solo un sogno. Un meraviglioso sogno durato troppo poco.
Mi ero illusa di aver trovato qualcuno che mi amava quanto io amavo lui. Qualcuno che mi rispettava quanto io rispettavo lui. Qualcuno che mi desiderava quanto io desideravo lui. Qualcuno che mi voleva quanto io volevo lui. Qualcuno che tenesse a me quanto io tenessi a lui.
Invece niente. Era stata solo una stupida illusione.
Era stata solo un illusione di una stupida ragazzina che credeva di aver trovato la felicità, e che invece si è ritrovata con in mano solo il nulla. Il nulla più nero. Il nulla più triste. Il nulla più assoluto. Il nulla più definitivo.

Finisce anche questa canzone. E senza guardarmi intorno, inverto la mia direzione di marcia.
Faccio lo stesso tragitto al contrario, ma al contrario non ripercorro i pensieri fatti finora. No. I pensieri continuano a seguire il loro corso, la loro scia, e distratti dall'inizio di una nuova canzone, si perdono in rive immaginarie di altre spiagge solitarie.
Cammino. Cammino ancora. Provo a contare i passi, ma non ce la faccio. È noioso.
Mi rendo conto di salire sul marciapiede però. E allora prima un gradino. Poi un altro. E mi affianco alla ringhiera verde che percorre tutta la strada.
Chissà quante sono le sbarre metalliche?
E chissà quanto tempo ci hanno messo a costruirla?
La mente vaga. Si fa domande idiote. E continua ad andare avanti. Senza soffermarsi troppo su ciò che passa, su ciò che accade, su ciò che avviene.
Perchè non ne ha più la forza.
Fare pensieri e progetti a lungo termine è qualcosa di magico e meraviglioso, possibile solo a chi ha il cuore puro, intatto, capace di sfornare gioia e sentimenti piacevoli da donare agli altri.
Nel mio, ormai, non c'è altro che buio. Buio e fantasmi.
Fantasmi del passato che mi rincorrono continuamente.
Fantasmi del presente che vengono a ricordarmi che la vita è adesso. Che la vita è ogni giorno. E che io me la sto perdendo. Ogni secondo, ogni minuto, ogni ora.
Fantasmi del futuro che avrei voluto che vengono a tormentarmi con immagini di ciò che non sarò e che non avrò mai.
Ecco l'immagine giusta per descrivere il mio cuore: un cimitero. Un cimitero di sogni, di speranze, di desideri.
Tutti i miei sogni, tutte le mie speranze, tutti i miei desideri sono sepolti nel mio cuore.
Sepolti nelle ceneri di un grande amore che aveva riempito la mia vita di bellezza.
Sepolti nelle ceneri di un'amore che mi ha ingannata come la strega cattiva ha sempre fatto con la brava principessa.
Dovevo immaginarlo che era troppo bello per essere vero.
Si, troppo, troppo bello.

Comincio a vedere il tetto di casa.
Casa di Charlie. Casa mia.
La finestra del salotto è illuminata dalla sola luce del televisore.
La cucina è completamente avvolta nel buio.
Cucina. Buio. Cucina. Buio.
Come flash di due colori differenti, queste due parole lampeggiano nella mia mente come lampadine.
Mi viene fame. Si, ho fame.
Ho voglia di cucinare. Per me. Per Charlie.
E allora mi affretto. I miei passi si susseguono più velocemente. Mettere un piede davanti all'altro diventa più facile. Diventa... normale. Inizio quasi a correre, e quando raggiungo la porta d'ingresso ho il fiatone.
Poggio una mano sulla maniglia, l'altra sul mio cuore.
Era tantissimo tempo che non lo sentivo battere così forte.
I muscoli mi fanno male, forse perchè non erano più abituati a così tanto movimento.
Sento il sangue fluire veloce nelle mie vene, e mentre i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine continuano la loro folle gara verso l'ignoto, un pensiero fuggevole mi accarezza.
Forse Edward mi ha mentito.
Forse Edward mi ama ancora.
Forse Edward mi ha lasciata per proteggermi.
Come un lampo, quella carezza si trasforma in uno schiaffo.
Si, è così.
Tutto torna. Tutto torna.
Comincio a sentire un turbinio di emozioni sconnesse. Tutto ha senso. E tutto non ne ha.
Sento l'apatia correre via a gambe levate. Fugge lontano, spaventata dalla mia reazione.
Dalla mia improvvisa consapevolezza.
Sono euforica. Sono viva. Sono... arrabbiata.
-Alice Cullen, lo so che mi stai vedendo. Torna immediatamente qui. Torna immediatamente dalla tua migliore amica. Ho bisogno di te. Ho bisogno di te. Ho bisogno di te. Ho bisogno di te. Ho bisogno di te. Ho bisoooooogno di teeeeeeeeeeeeeeeeee.
-Bella...
-Papà...
-Stai urlando.
Non è una domanda. E' una constatazione. Quindi non c'e bisogno di una risposta.
Rimango in silenzio a fissarlo finchè non trova lui il coraggio di parlare di nuovo.
-C'è qualcuno dentro che vorrebbe parlarti.
Sento i miei occhi dilatarsi per lo stupore. E il cuore comincia a battere ancora più forte.
TUM TUM TUM TUM TUM TUM
Fa rumore. Tanto rumore. Un rumore che ho sempre amato ascoltare. Un rumore più bello di qualsiasi altra melodia.
Penso che non è una coincidenza. Non può essere una coincidenza. E nel giro di pochi secondi me ne convinco. Non è una coincidenza. Oggi mi sono risvegliata dal mio torpore perchè oggi è ricominciata la mia vita.
-Ciao Bella.
-Ciao Alice.
E sorridendo, felice, mi lancio tra le sue braccia granitiche, stringendo il suo corpo con tutta la forza di cui sono capace.

   
 
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