Windsor Castle, Estate
1529 – Liaisons dangereuses.....
“Ottimo Vostra Altezza.”
Nicholas Hilliard sorrise alla sua pupilla e poi le presentò un foglio.
“Sì!! Ci siete
riuscito!!” Esclamò con estrema gioia la principessa leggendo ciò che vi era
scritto sopra e le prime note del pezzo. “Siete un eroe!!”
L’anziano maestro
di musica arrossì leggermente e poi scosse la testa. Da quando aveva cominciato
le lezioni a Isabel, la Principessa si era mostrata interessata e motivata;
sempre puntuale, non rifiutava mai consigli, suggerimenti e correzioni ed era
infaticabile. Inoltre aveva un enorme talento per la musica. In realtà Mastro
Hilliard la apprezzava anche come persona. Era disciplinata, attenta e
volenterosa, doti indispensabili per un alunno; tuttavia sapeva anche prendere
alcune cose con leggerezza e spensieratezza, il che era giusto per la sua età e
per il suo spirito giovane.
“Vi rendete conto
che dovete impararla in poco meno di due settimane, vero?” La provocò lui,
chiamando in causa il suo orgoglio. “Senza contare in che occasione.”
“Non vi farò
sfigurare, Mastro Hilliard, ve lo prometto!” Rispose lei, fissandolo, ed i suoi
occhi fiammeggiarono.
“Bene, Euterpe,
cominciamo dunque!” La incoraggiò . “Dovete imparare una montagna di roba e poi
dobbiamo aggiungere gli altri..”
“Mamà!!”
Caterina abbracciò
Maria, baciandole la tempia e tenendola stretta a sé. Era da sei mesi che non
la vedeva e in quel periodo le era mancata da morire.
“Tesoro. Come
stai?” Chiese la Regina, prendendola per mano e facendo sedere entrambe su un
piccolo divanetto a due posti.
“Bene, mamà, grazie.” Rispose la Principessa.
“E voi? Quella sgualdrina e la sua famiglia vi danno ancora problemi?”
Caterina sospirò, e
valse più di mille risposte.
“So che ha
avvicinato Isabel.” Proseguì Maria. “La piccola ha usato il buon senso oppure
sciocca come è si è fatta abbindolare pensando che sarebbe stato bello avere
una nuova amica?” Caterina la guardò severa.
“Maria!” La
apostrofò. “Perché pensi che tua sorella sia una sciocca?”
“Perché lo è, mamà.” Rispose la principessa, come se
stesse rispondendo alla domanda di un bambino un po’ petulante. “Solo una
sciocca scappa dal luogo della sua istruzione a meno di un anno dal ritorno a
casa.” Sentenziò Maria, con la certezza granitica di chi, pur non conoscendo i
fatti, si sente pronto ad esprimere la propria opinione.
“Maria, le cose a
volte sono diverse da come appaiono, sai? Non giudicare tua sorella e le sue
azioni senza prima conoscere i fatti. Rischi di dire sciocchezze e di perdere
di vista molte cose che invece contano..” Ribatté dolcemente, ma con decisione
Caterina. Maria alzò le spalle.
“Con Isabel non mi
metto questi problemi e questi scrupoli, mamà..”
Disse con un cinismo che la madre faticava a capire ed a vederle addosso.
“Fai male, hija.” Ribatté Caterina, alzandosi dalla
poltrona e chiudendo la questione, anche perché cominciava a sentire un certo
fastidio nel continuare a portarla avanti. “Tu non sai, Maria.”
“Io invece non
vorrei che foste voi quella che non sa, madre..” La servì la figlia, lasciando
intendere qualcosa di nascosto.
“Sì, lo so! Sono in
ritardo, Vostra Grazia!”
Sir Anthony guardò
la sua allieva arrivare trafelata alla lezione e rise di gusto. Si girò verso
la cavalla di lei e le disse qualcosa. L’animale alzò il capo e nitrì
sonoramente.
“Non ditemi che le
state parlando male di me!” Si immusonì Isabel, mettendo su un improvviso e
grazioso broncio.
“La vostra Estrellita vi adora. Non riuscirei a
farle cambiare idea nemmeno se volessi!” Rispose divertito il nobiluomo. La
Principessa lo guardò e subito ritrovò il sorriso.
“Oggi dovete
insegnarmelo, sir Knivert!” Attaccò lei, come per ricordargli una promessa. Lui
la guardò e fece una leggera smorfia. “Avete promesso!! Ora non vi vorrete
rimangiare tutto!!” Rincarò.
“Scendono ora in campo, per il grande Torneo dell’Incoronazione, Sir James Norringhton, signore di Norwich e…” La voce dello ‘speaker’ si interrupe e l’uomo si guardò alla sua destra ed alla sua sinistra alla ricerca disperata di qualcuno che gli dicesse il nome del secondo cavaliere. “Scendono in campo Sir James Norringhton e … ehm.. il cavaliere senza nome..” Si risolse a dire alla fine. Sir Norringhton, un uomo ormai più verso i cinquanta che i quaranta alzò la visiera ed appena vide il proprio avversario rise di gusto, e in modo sguaiato. Il suo avversario, ben più magro di lui e apparentemente senza troppe speranze data l’esperienza del nobiluomo in tornei e giostre, indossava un’armatura lucentissima e cavalcava uno splendido Shire grigio a macchie bianche. La gualdrappa dell’animale era bianca e nera, così come lo stemma che nel tabellone identificava il cavaliere, e aveva sopra un enorme giogo rosso, ripreso anche nel tabellone, pur in forma fortemente stilizzata.
Al vedere stemma e gualdrappa, tutti gli occhi del pubblico, fra cui quelli non poco stupiti di Enrico, si posarono sulla Regina, che guardò stupefatta il cavaliere ed i suoi stemmi.
“Avete un ammiratore, a quanto pare, mia signora..” Le disse Enrico, scherzando ma non troppo. L’idea che Caterina, così devota e pia, all’improvviso potesse avere un devoto cavalier servente da una parte lo faceva sorridere, dall’altra decisamente no. Chi osava guardare la sua Regina? Chi era così impudente da usare in un torneo uno stemma con i colori del Regno di Castiglia ed il simbolo della madre di Caterina? Era evidente infatti che quel richiamo altro non volesse essere che un implicito omaggio alla Regina. E un omaggio così evidente a lei, era una chiarissima sfida a lui. Seduto sul suo scranno, Enrico contrasse nervosamente la mascella, mentre i due cavalieri, ai lati opposti della lizza, finivano di prepararsi. Il Sovrano alzò una mano, poi si alzò in piedi e salutò con troppa enfasi sir Norringhton. Il messaggio era chiarissimo. Il cavaliere senza nome non solo aveva destato l’attenzione dei presenti al torneo estivo e della Regina, ma anche quella del Re, e in quell’ultimo caso non era affatto un buon segno.
La Regina, più confusa che lusingata da quella novità e da quell’ammiratore, non reagì al gesto del Sovrano, salutando a sua volta lo sfidante di sir Norringhton, ma rimase seduta in trepida attesa. Se quest’ultimo avesse battuto il proprio avversario almeno si sarebbe capito chi egli fosse. Mentre era assorta in questi pensieri, la tromba diede il via alla sfida. John, il valletto, abbassò lo stendardo e i due cavalieri partirono l’uno contro l’altro. Primo a partire fu sir James, dopo aver spronato il cavallo ed aver lanciato un grido altissimo, come suo solito. Il suo avversario invece, più composto e silenzioso, soppesò la lancia, come se se la stesse aggiustando e poi partì anche lui.
Arrivati più o meno a metà percorso, il ‘Cavaliere del Giogo’, come già venne ribattezzato sulle tribune, compì un leggero scarto sulla propria destra, mandando miseramente a monte l’attacco avversario, poi, in modo straordinariamente veloce, contando anche sulla sorpresa di lui per il proprio colpo andato a vuoto, con un colpo secco gli diresse contro la propria lancia, colpendolo sullo scudo e facendolo finire senza pietà a terra, dopo avergli fatto perdere l’equilibrio sulla sella.
Il tonfo con cui l’ormai anziano nobiluomo cadde fu secco e deciso, nonostante un volo del tutto normale. Le sue grida di dolore risultarono perciò esagerate, anche tenuto conto della veneranda età, e ben presto risultarono quasi ridicole. Il vincitore, terminato il proprio percorso fino alla fine, si girò verso di lui e, smontato da cavallo, gli si fece incontro per prestargli cavallerescamente soccorso. Questo gesto venne applaudito dalla folla e suscitò l’entusiasmo generale. Sentimento che ben presto si trasformò in ululati di enorme disapprovazione e fischi assordanti quando sir James, evidentemente non molto portato alla sportività, rifilò un energico spintone al vincitore, rifiutando quindi la mano che gli veniva porta.
Senza scomporsi il vincitore girò sui tacchi e si diresse deciso verso la tribuna degli spettatori. Tutti puntarono gli occhi sulla coppia reale. Enrico, dopo la sconfitta del suo ‘favorito’, non appariva più così contento e spavaldo e quando il cavaliere arrivò di fronte a lui e lo salutò in segno di rispetto, il gesto apparve ancor più beffardo e ironico di quanto quest’ultimo non avesse voluto. Il Sovrano non riuscì a fare buon viso a cattivo gioco e rispose con un’espressione torva e per niente serena. Poi il vincitore si spostò leggermente alla propria sinistra per omaggiare la Sovrana, e qui la cosa si fece strana. Il cavaliere si avvicinò alla tribuna, fino allo scranno di Caterina e si chinò di fronte a lei, in modo più plateale di quanto fece con Enrico. La Regina si avvicinò al cavaliere porgendogli la mano perché la baciasse, ma egli non tolse l’elmo, né sollevò la visiera. Prese la mano della Sovrana e vi posò la fronte, quasi le stesse chiedendo la benedizione.
A quel gesto Enrico, che credeva il cavaliere un emissario di Carlo V o uno dei tanti amici e sostenitori della sola Caterina, se ne andò furente. La Regina, che ben conosceva il marito e sapeva che la sua ira poteva essere molto pericolosa, si chinò sul cavaliere.
“Non è stato molto prudente per voi presentarvi. Chiunque voi siate, desistete e pensate a voi. Indignatio principis mors est.” Raccomandò con la sua consueta premura, sentendosi stranamente preoccupata per quello sconosciuto. Il cavaliere non rispose nulla, ma alzò gli occhi ed incontrò per qualche istante quelli blu della sovrana, poi lasciò con delicatezza la mano della Regina e camminando, leggermente chinato, all’indietro in segno di ulteriore rispetto, raggiunse fine del campo e poi andò via, mentre sulle tribune si scatenò un delirio di commenti, gomitate e occhiate interessate a quanto era appena avvenuto. Sentendosi oltremodo sotto esame, Caterina se ne andò abbastanza in fretta, seguita dalle sue dame e da Maria.
Enrico e Caterina
avevano preso posto assieme nella enorme sala del trono. Alla sinistra dell’uno
sedeva Maria, alla destra dell’altra Isabel. Quella sera ci sarebbe stato il
culmine della settimana di festeggiamenti per il ventennale dell’Incoronazione
dei due sovrani. L’evento avrebbe compreso un masque celebrativo dell’amore dei
due sovrani, due poemi in loro onore e varie danze e musiche per allietare la
serata.
Certo, i due
sovrani erano in crisi negli ultimi tempi per via della presenza della famiglia
Bolena a corte. Padre e figlio erano consiglieri del Re, da lui ascoltati e
tenuti in grande considerazione, soprattutto il padre. La figlia minore era al
momento l’amante prediletta di Enrico. Quando il Sovrano la vedeva a corte, in
compagnia o meno della Regina, non mancava di farle una battuta, di cercarla
con lo sguardo o di essere gentile con lei. Caterina come suo solito aveva fatto
buon viso a cattivo gioco e tollerava il meglio possibile, ma questi
festeggiamenti non le davano la stessa gioia che i suoi sudditi pensavano
avrebbe avuto. La Sovrana inoltre, mentre con Maria si era confidata ed aveva
parlato un po’ della situazione, almeno per sommi capi e sempre cercando di non
dipingere la situazione più nera di quanto non fosse in realtà, con Isabel non
aveva fatto mai parola di quanto stava avvenendo, più per proteggerla che per
altro. Ignorava che la figlia minore invece sapeva tutto, e ci era arrivata da
diversi mesi. Vedeva solo il comportamento leale e onesto di lei che,
nonostante i continui e reiterati tentativi di Anna di portarla dalla propria
parte, teneva duro e rispediva puntualmente al mittente ogni regalo, messaggio
o modo per fare di lei un’alleata. Proprio in quel momento Caterina si girò
verso la Principessa che le sedeva accanto, mentre cominciava il poema dedicato
a lei, ‘la Regina, figlia di Spagna, e splendor dell’Inghilterra’. Anche Isabel
si girò a sua volta verso di lei, e le sorrise teneramente. Poi, con un gesto
spontaneo e fuori programma, allungò una mano verso quelle che la madre teneva
intrecciate in grembo, insinuando la propria fra quelle di lei. La Regina
accolse la mano della figlia e la strinse. Alzando lo sguardo, Caterina vide
Anna Bolena stringere gli occhi per guardare meglio cosa facesse Isabel e poi
diventare ancora più rossa sulle guance. Era evidente che il gesto della figlia
non era passato inosservato, e che agli occhi di quella sgualdrina assumesse un
significato ben preciso.
Istintivamente, la
Regina strinse ancora di più la mano di Isabel e ne accarezzò il dorso con il
pollice. Una volta di più, mentre il poema descriveva ‘la dolcezza e la nobiltà
d’animo della Regina, la salda torre nata in Castiglia e fiorita in
Inghilterra’, Caterina si commosse al pensiero che in un modo o nell’altro la
sua creatura più amata non solo le confermava la sua fedeltà ed il suo amore,
ma con i suoi gesti spontanei rafforzava agli occhi della Corte la sua posizione
e la sua importanza.
Dopo il masque
celebrativo, cui parteciparono anche Isabel e Maria, oltre che sir Knivert e
sir Brandon, in silenzio sei ballerini si disposero a coppie nella sala. Appena
Caterina vide i loro abiti di seta colorata, alla spagnola, il suo cuore si
riempì di gioia e di nostalgia. Il silenzio fu interrotto da un suono ritmico di
sonagli. La Regina sentì gli occhi pizzicarle immediatamente: quella era una Folia, una delle musiche della sua
infanzia e della sua primissima giovinezza; subito dopo una viella presentò il
tema musicale ed i primi due ballerini si mossero a tempo, poi entrò un’arpa
che coinvolse una seconda coppia, infine una viola da gamba soprano che
trascinò con sé gli ultimi due danzatori rimasti. La danza, com’era sua
caratteristica, si fece ora lenta e posata, ora più veloce e trascinante e
tutti e tre gli strumenti principali salirono di volta in volta alla ribalta,
presentando le loro variazioni sul tema, a seconda dell’ispirazione e della
creatività degli esecutori. Erano soprattutto viella e viola da gamba a
sfidarsi per una sorta di supremazia musicale, intervallata ogni tanto da un
inserimento arpistico. Una specie di triangolo che per certi versi poteva
essere applicato ai tre personaggi principali della Corte.
La Regina nel
frattempo, con gli occhi chiusi, si gustava la bellezza del brano. Ad un certo
punto sentì una mano posarsi sulla propria. Per un attimo pensò fosse Isabel,
così aprì gli occhi e guardò subito alla propria destra. Lo scranno però
risultò vuoto e lei un istante dopo si rese conto che la mano che aveva sentito
era quella di Enrico, che le sorrideva, felice di vederla così contenta per
quella sorpresa.
Le ultime note
solitarie dell’arpa, con il tempo sempre scandito dai sonagli, volteggiarono
nell’immensa sala e poi alla fine questi ultimi chiusero il pezzo. Gli applausi
della corte e dei due sovrani scrosciarono immediati per i ballerini, che a
differenza degli esecutori non erano nascosti. I danzatori, stanchi per la
performance, si inchinarono ai sovrani e poi si aprirono a tenda sui cinque
esecutori, che uscirono allo scoperto. Grande fu la sorpresa di tutti nel
vedere Isabel reggere la viola da gamba. La piccola della corte sembrava in
quella serata aver trovato un suo modo grazioso e conveniente per emergere e
omaggiare gli augusti genitori.
“Perché non mi hai
detto nulla?”
Isabel ripose la
viola nella custodia e poi si alzò andando di fronte alla madre, ancora felice
ed emozionata per la meravigliosa sorpresa.
“Dovreste guardarvi,
mamà.” Mormorò la Principessa,
sorridente. “Stasera siete un ritratto di pura gioia..”
Caterina corrugò
leggermente le sopracciglia.
“Stasera?” Chiese.
Isabel la fissò e poi le accarezzò il viso, il gesto che era solita fare da
bambina.
“Mamà, io vi vedo..” Rispose soltanto,
facendole capire che sapeva tutto, anche se non le aveva mai detto nulla, né
aveva mai chiesto.
L’abbraccio
stretto che regalò a quella figlia così attenta e discreta, fu l’unica risposta
che Caterina riuscì a dare, prima che la commozione avesse il sopravvento su di
lei.