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Autore: Querthe    16/11/2009    6 recensioni
Cosa vedono gli occhi quando guardano allo specchio? Ciò che si è, o ciò che si vorrebbe essere? E se un’anima è a pezzi, cosa possono vedere gli occhi?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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La sera era arrivata ad Hogwarts dolcemente, portata dal vento autunnale che soffiava da Est, facendo sussurrare le fronde della Foresta Proibita e increspare la superficie del lago dove la piovra sporadicamente mostrava una piccola porzione dei suoi lunghi tentacoli, come a saggiare l'aria.
Nella sala da pranzo il chiacchiericcio degli studenti e in misura minore dei professori era cresciuto per poi scemare come la fame, sconfitta da piatti abbondanti e succulenti, perfettamente preparati dalle abili mani degli elfi domestici che abitavano le cucine e gli altri luoghi della scuola di magia e stregoneria più famosa del mondo magico.
I dormitori erano stati presi d'assalto da una ciondolante armata di sonnolenti studenti pronti a tutto per conquistare le lenzuola e abbattersi sul cuscino del loro letto.
Finita l'ardua quanto silente battaglia, solo alcuni condottieri rimanevano svegli a fare la guardia, persi in una partita a scacchi magici o nelle ultime foto del campionato di Quiddich. Ma anche i migliori dovettero cedere, e tutto nella scuola fu silenzio.
Peeves escluso.
Ma nemmeno lui, nonostante la paura che aveva del Barone Sanguinario, nonostante la sua folle temerarietà di spiritello, osava avvicinarsi a quella stanza. Non quella sera, non una di quelle sere.
Non vi era luna piena, né l'upupa aveva cantato al tramonto o i corvi avevano volato davanti alle finestre in segno di malaugurio, eppure era una di quelle sere per il professor Snape.
Finita la cena si era diretto con passo pesante, lento e misurato lungo il corridoio, osservato in silenzio e apprensione dagli studenti che aveva incontrato. Normalmente la cosa lo avrebbe reso leggermente di buonumore, ma non quella sera.
Aprì la porta e la richiuse alle sue spalle con eccessiva calma, un sintomo che aveva imparato a riconoscere come lo stadio ultimo prima di uno dei suoi accessi di rabbia di cui non conosceva il fattore scatenante, sebbene ne conoscesse la ragione.
Appoggiò il mantello all'attaccapanni, sapendo che la mattina successiva lo avrebbe ritrovato esattamente nella stessa posizione, ma perfettamente pulito e stirato grazie alla solerzia degli elfi di Hogwarts.
Non se ne curò. Ma di quello non se ne era mai curato.
Si sentì sporco, sentì la pelle del suo viso tirare come se fosse stata sudata, come se un calore improvviso lo avesse reso madido e poi asciugato troppo in fretta.
Si diresse al catino sotto lo specchio.
- Aguamenti
Affondò le mani nella massa liquida e fredda, per poi gettarne una parte sul volto. Espirò ad occhi chiusi mentre le gocce ricadevano nel catino.
Si raddrizzò e si guardò allo specchio.
L'uomo riflesso era lui, ma non si riconosceva.
Era una persona tranquilla, pacata, forse fin troppo calma. Lo sguardo era arcigno, indagatore, cercava la perfezione e la disciplina in ogni momento, inseguendola nel preparare con meticolosa perfezione le pozioni, tentando inutilmente di insegnarla a masse di allievi pecoroni e teste di legno, cercando di farli arrivare almeno al margine di ciò che lui era, di ciò che aveva imparato e di ciò che aveva scoperto con anni di intenso studio come studente e dedizione al suo lavoro come insegnante.
Si gettò altra acqua sul viso, e lo specchio gi rimandò un altro volto.
Era il suo, eppure non era lui.
Sorrideva, un sorriso fanciullesco, quasi ebete, si ritrovò a pensare, ma allo stesso tempo capace di contagiare anche gli altri con la sua sincerità di giovane studente speranzoso. Quel ragazzo stava certamente pensando ad una ragazza, magari la stava spiando dietro quel gruppo di cespugli sulla destra, vicino alla Foresta Proibita, o nei pressi del lago, mentre altri studenti lanciavano pezzi di pane ed altri bocconi alla piovra che ringraziava con potenti onde create dai suoi tentacoli. Gli occhi del ragazzo erano fissi su di lei, bramavano quei due smeraldi incastonati sopra denti di perla, bramavano quei due fuochi magici che erano in grado di riscaldare il suo cuore e di accenderlo, di bruciarlo come nemmeno l'Ardemonio poteva fare. La voce di quella ragazza lo faceva volare lontano, lo faceva sognare, lo portava a pensare ad un futuro stupendo e luminoso come il sole di Giugno.
Un futuro che non si sarebbe mai avverato, spezzato, distrutto solo dalla sua adolescenziale stupidità.
- Sai che non è vero... - gli sussurrò all'orecchio il volto di Lily, riflesso accanto al suo nello specchio. - Io amavo James. Ho sempre amato solo lui. Tu per me eri solo un...
La testa dell'uomo si gettò di forza nel catino, affogando l'ultima parola nel turbinio gorgogliante dell'acqua nelle orecchie.
Espirò, emettendo enormi bolle che gli riempirono il cervello con il loro suono basso e bagnato.
Il volto gocciolante si risollevò, gli occhi chiusi.
Li aprì.
Due perle nere lo fissavano dietro la maschera argentea. Riconobbe immediatamente l'orribile volto che gli si parava davanti. Si rese conto che ancora c'era un piccolo impulso simile a quello che lo aveva spinto a cercarlo, desiderarlo, bramarlo ed ottenerlo anni addietro, ben prima che il suo unico amore morisse. Odiò quegli occhi neri e pieni di cattiveria che lo osservavano, costretti a mostrare un'acredine che a volte era così facile simulare, quando il mondo era quello che in cui suo padre sguazzava impunito e violento o che faceva di tutto per rifiutarlo in quanto non babbano.
Eppure lui era certo, sapeva, si era convinto, sperava che quello sguardo duro, tagliente come un rasoio e altrettanto se non più doloroso di una Cruciatus non dimostrava ciò che lui davvero provava, sia mentre era che quando non era un Deatheater.
- Chi prendo in giro? - si chiese, le labbra della maschera immobili, contorte in una smorfia orribile. - Non è certo una lamina d'argento che fa di me un uomo peggiore di ciò che già sono. Ho scelto consciamente di essere uno di coloro che perseguitano i mezzosangue e i babbani, che uccidono per piacere e gioiscono del dolore altrui. E l'ho scelto sia vestito che nudo, dentro e fuori della mia anima.
Tuffò la faccia nuovamente nell'acqua, espirando violentemente.
- Forse potrei affogarmi, ma non credo che le persone che ho fatto soffrire o che ho ucciso possano trarre giovamento di ciò. Ormai loro sono morte. - sorrise, mentre tratteneva il poco fiato rimasto nei polmoni. - Mentre continuare a vivere è forse la mia peggiore condanna. L'alternativa sarebbe solo una via di uscita troppo facile in questo momento.
La testa si risollevò, e l'uomo che lui stesso aveva ucciso mesi prima era accanto a lui, un'ombra chiara riflessa solo dallo specchio distorto della sua mente.
- Come va Severus?
- Vivo, ancora, purtroppo.
- Prendi sempre tutto troppo sul serio. Guarda il lato positivo ogni tanto.
- E nell'essere morto, ucciso dal tuo migliore amico dopo averlo convinto a farlo, che lato positivo ci vedi?
- A volte sei pesante come un professore, Severus. Togli tutto il divertimento.
- Io sono un professore, Albus.
L'uomo si aggiustò gli occhialini a mezzaluna e sorrise.
- Hai ragione, come sempre.
- Come sempre? - sollevò un sopracciglio l'uomo, parlando come aveva fatto fino a quel momento al riflesso nello specchio.
- Beh, per adesso non hai sbagliato mai nulla, dal momento in cui io ti chiesi un certo favore. Fin da quella scelta hai dimostrato tutta la tua saggezza e la tua bontà.
- Potrei ridere, se mi ricordassi come si fa. - lo canzonò l'uomo. - Dovevo mandarti al diavolo, quel giorno.
- Ma non lo hai fatto, e sai anche tu che non lo avresti mai fatto, come non hai detto no quando ti ho chiesto di uccidermi, sebbene non mi sarei mai immaginato una tale teatralità nel luogo e nel modo. Stupenda. Un perfetto modo di morire.
- Sii serio una volta nella tua vita, Albus.
- Non posso. - rise lui. - Sono deceduto, al più posso essere serio nella mia morte.
L'uomo sospirò sconsolato, ma non poté trattenere un piccolo sorriso a causa della pessima freddura. Era ancora il vecchio Silente, l'amico a cui aveva dato la sua vita acconsentendo ad essere una spia Slitherin in un covo di serpenti striscianti (Nota 1)
- Mezzanotte, l'ora dei fantasmi è lontana. Credo che tu sia un po' fuori luogo qui in questo momento.
- Hai ragione, ma non ho saputo resistere alla tentazione. Parlare con te è un po' come assaggiare ad occhi chiusi una gelatina "mille gusti più uno".
- Considerando la tua fortuna con quelle caramelle, non lo prendo certo come un complimento.
Silente rise, scomparendo in un sottile fumo che sapeva di cioccorane.
Severus scosse la testa.
Si guardò allo specchio.
- Chi sei? - si chiese. - Chi sei veramente?
Il silenzio fu una risposta che l'uomo non accettò. Gli occhi dell'unico volto riflesso si ridussero a due fessure.
Il colpo fu preciso, chirurgico come i movimenti che solo un perfetto professore pozionista poteva compiere, mosso dall'energia che solo un adolescente poteva avere, cattivo come solo un Deatheater poteva essere e deciso come la promessa di un amico ad un altro.
Le crepe si aprirono a raggio nello specchio, tutte convergenti in un unico punto, impercettibilmente sporco del sangue della nocca che aveva spezzato la superficie.
- Ora sì che mostri davvero chi sono, la mia vera anima. - mormorarono i vari Severus riflessi.
   
 
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