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Autore: Maggie_Lullaby    16/11/2009    15 recensioni
Lexi è una sedicenne testarda e dalla lingua affilata che vive in un mondo tutto suo pieno di ideali e stili di vita.
Maggie è una ragazza timida a innocente, incapace di dire di no e di vivere tranquillamente la sua vita.
Maryl è una ventenne che aspira a una grande carriera, ma è bloccata da un padre testardo e da due sorelle che hanno bisogno di lei.
La vita di tre sorelle si mescola a quella dei Jonas Brothers
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Brothers&Sisters'
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Ragazzeeeeee,

io sono cattiva, lo so, è inutile che me lo dite, me ne rendo conto da sola! Voi vi chiederete, perchè?, semplice non vi ringrazio una per una da una vita, ma sapete ciò che è peggio? E' che nemmeno oggi posso farlo! Scusate, sul serio, ma la prossima volta giuro che lo faccio, chissene se ho altri impegni!!

Eccomi qui con il trentaseiesimo capitolo... ho scoperto una cosa, beh, insomma, diciamo che alla fine di questa fic non mancano quattro capitoli, ma tre... esultate pure, no problem... quindi dopo questo capitolo ce n'è uno, poi l'ultimo e infine l'epilogooooo!! Nooo!!

Intanto ho il seguito nel mio cervellino bacato e sappiate che sarò molto sadica!!

Va beh, vi lascio al capitolo, ma prima un grazie enorme a tutte quante!! Grazie di tutto!! <3 <3 <3

Uh, avverto le lettrici di Vampires che forse non riuscirò a pubblicare questo mercoledì perchè sono via in gita fino alle 17:30 e non ho ancora finito di scrivere il capitolo... scusate!

Capitolo 36. The Hospital


Joe Jonas aveva sempre odiato gli ospedali. Sempre, fin da bambino, e ancor più da quando Nicholas aveva iniziato a vagarci un po' troppo spesso, per un ragazzo della sua età.

Li trovava orribili, con le pareti bianche, monotone, donne e uomini vestiti del medesimo colore che camminavano fra i corridoi coi pavimenti in linoleum verdognolo, ai piedi delle scarpe ortopediche, che producevano un rumore di gomma ogni volta che la persona che le indossava si muoveva.

Odiava doversi trovare in quelle grosse sale d'aspetto, seduto su una sedia di plastica celeste, circondato da persone in lacrime, o dall'espressione vacua, persa nel vuoto, magari con un tavolino di vetro davanti a sé sul quale erano sparse riviste di gossip e moda che nessuno osava nemmeno guardare.

Vi era stato tante volte nella sua vita; alle volte in circostanze felici, come la nascita di Nick e Frankie, altre più tristi, come quando aveva accompagnato suo fratello ormai sedicenne ad accertarsi che avesse il diabete.

Come quella sera, ad esempio.

Era chino sulle sue ginocchia, la testa fra le mani, gli occhi che guardavano le sue scarpe. Aveva paura; ma non una paura normale, di quelle che ti spaventano e poi ti fanno ridere, no, era una paura vera, che non lo aveva abbandonato nelle ultime due ore.

Due ore.

In quel tempo il suo cuore non aveva smesso per un istante di battere all'impazzata, come se avesse appena fatto la maratona di New York.

Tum, tum, tum, quello era il suo cuore, quell'organo posto nel petto che ora sembrava essere spezzato dal terrore.

Il ricordo, nitido nella sue testa, si fece spazio fra la sua preoccupazione.

- Nick! - urlò Joe al microfono, per poi lasciarlo cadere a terra, con un rumore fastidioso.

Suo fratello aveva già chiuso gli occhi, un'espressione di cupo dolore dipinta sul volto pallido e tirato. Le ginocchia gli cedettero, e inevitabilmente cadde indietro, per sparire giù dal palco.

Era caduto.

Alcune fans gridavano di terrore, altre non si erano nemmeno accorte di quello che era appena successo, altre ancora erano ammutolite, altre piangevano...

Il diciannovenne corse verso il posto dove suo fratello minore era scivolato, mentre sentiva delle urla indistinte dietro di sé, Kevin?, il resto della band di supporto?, forse...

Nick era sdraiato a terra, su un fianco, un braccio abbandonato lungo un fianco e l'altro vicino al viso, aveva ancora gli occhi chiusi.

- Nick! - provò a urlare suo fratello, ma dalla sua bocca uscì un verso strozzato.

Kevin gli era accanto, non se nera neppure accorto, e stava tentando di scendere giù dal palco, per aiutare il fratello in difficoltà, mentre alcune guardie del corpo correvano verso di lui.

C'erano delle fans, vicino a Nick, privo di sensi, e mentre alcune non sembravano volersene curare di vederlo lì a terra e tentavano di saltargli addosso, un gruppo di ragazze volenterose avevano costituito una specie di barriera per impedire alle loro coetanee e non di avvicinarsi a lui.

Kevin era accanto a Nick, gli reggeva la testa, poi alzò lo sguardo su Joe, gli occhi due palle piene di terrore.

- Joe...? - mormorò una voce femminile, destato dai suoi ricordi il diciannovenne alzò la testa verso la voce che l'aveva chiamato: Lexi.

Era stretta in una felpa grigia, pallida, gli occhi lucidi. Era strano vederla in quelle condizioni, lei non piangeva mai. Quasi mai.

Il ragazzo non rispose e si limitò a fissarla, anche lui aveva gli occhi lucidi.

La rossa si asciugò le lacrime che inesorabilmente e involontariamente le scivolavano lungo le guance, il mascara le cerchiava gli occhi di nero.

- Novità? - sussurrò solo il ragazzo, una volta ritrovato il dono della parola. Lexi scosse la testa, dispiaciuta.

Nick era stato soccorso e portato in ospedale il più presto possibile, ma dal momento in cui i dottori l'avevano preso in custodia nessuno fra la famiglia Jonas e due delle sorelle Campbell sapeva nulla sulle condizioni del ragazzo, del motivo per cui era stato male e, cose più importante, come stava in quel momento.

Joe riabbassò il capo, tornando a guardare il pavimento, sentì la sua ragazza che gli si sedeva accanto e gli posava una mano su una spalla. Meglio così, in un momento come quello non sarebbe stato capace di sopportare altri tipi di effusioni.

Maryl e Kevin erano seduti qualche sedia più in là, la ragazza con le mani tremanti e il suo ragazzo con lo sguardo perso nel vuoto, mentre fissava la parete davanti a sé senza vederla davvero.

Paul Senior e Denise, invece, erano seduti su due sedie, Frankie in braccio alla madre con gli occhi grandi da bambino spalancati in un muto segno di paura e terrore.

Denise aveva gli occhi lucidi, la mano destra stretta a quella del marito, dallo sguardo perso, vacuo, di chi non capisce ancora cosa è successo.

Maryl li guardò un istante, poi si alzò dal suo posto e si avvicinò a loro, cauta.

- Denise? - chiese gentilmente.

La donna la guardò per un momento senza vederla, poi i suoi occhi la fissarono.

- Sì? - chiese, con la voce roca di chi ha pianto.

- Vuole darmi Frankie? - domandò la ventenne.

La donna se lo strinse un po' più forte.

- Non vorrei disturbarti – disse.

- Nessun disturbo, solo per farla riposare per un po'... - sussurrò la bionda.

La signora Jonas parve esitare per un istante, poi diede il bambino fra le braccia di Maryl, pronte ad accoglierlo.

Frankie soppresse appena uno sbadiglio, mentre Maryl tornava al suo posto, Kevin che la guardava appena.

- Maryl? - chiese innocentemente Frankie.

- Sì, piccolo, dimmi tutto – disse la ragazza. Nonostante Frankie non fosse più poi così piccolo proprio non riusciva a non vederlo come un cucciolo abbandonato, a cui necessitavano cure.

- Perchè siamo qui? Cos'è successo a Nick? - domandò il ragazzino.

La bionda si irrigidì appena e incrociò lo sguardo con quello del suo ragazzo, rianimatosi quando aveva sentito il nome del fratello minore.

Il ventunenne fece il gesto a Maryl di dargli il fratellino e lei ubbidì senza pensarci.

Il riccio si mise Frankie sulle ginocchia e lo guardò fisso.

- Nicholas sta bene, deve solo fare un piccolo controllo – disse.

- Ma perchè? Per il diabete? - sapeva tutto, lui, anche per la sua giovane età.

Kevin esitò.

- Non lo sappiamo. Però sta bene, non devi preoccuparti, ora devi solo dormire, okay?

Frankie annuì, sbadigliando, poi appoggiò la testa sul petto del fratello, chiudendo gli occhi. Pochi minuti dopo il suo respiro si era fatto più lento. Dormiva.

Anche il ventunenne sbadigliò, passandosi una mano fra i capelli, tenendo con l'altro braccio il fratello vicino a lui.

- Kev, vuoi un caffè? - domandò la ventenne, osservando il suo ragazzo.

Lui le sorrise leggermente e annuì, per poi tornare a guardare Frankie.

Maryl si alzò dalla sua sedia e si avviò verso la macchinetta del caffè in fondo al corridoio.

I suoi tacchi a spillo, in confronto a tutto quel silenzio, risuonavano come bombe in mezzo all'ospedale, dove dottori e dottoresse le rivolgevano occhiate storte.

Lei li ignorò e si avvicinò alla macchinetta del caffè, infilando i soldi necessari per un caffè.

Mentre aspettava che la bevanda fosse pronta si abbandonò con la schiena lungo il muro, mettendosi le mani sulla faccia, sopprimendo un singhiozzo.

Era stanca, da ore non faceva altro che tentare di sopprimere le lacrime, provando a sembrare forte per dare coraggio anche agli altri, ma ora non ce la faceva più.

Sentì il rumore dell'ascensore posto a pochi metri davanti a lei fare un debole squillo e le porte che si aprivano.

- M... Maryl? - domandò una voce allibita.

La ventenne si paralizzò sul posto, le mani ancora sulla faccia, non poteva essere...

Guardò davanti a lei e il viso di Maggie le si parò davanti, roseo, gli occhi che la fissavano straniti e preoccupati.

- Maggie – sussurrò la bionda.

Non era possibile. In quelle due ore nessuno aveva pensato ad avvertire Maggie di quello che era successo, non ci avevano neanche pensato, come nemmeno si erano ricordati che, quella sera, si trovava lì, in quell'ospedale, al piano di sopra. Oh merda.

Il viso della sedicenne era imperscrutabile, la fissava con ansia.

- Maryl che ci fai qui? - chiese, affannata. - Dio, che ci fai in ospedale? Dove sono gli altri? Lexi? Nick? Joe e Kevin? Denise... - si fermò mentre parlava, gli occhi vuoti. - Perchè piangi? Cos'è successo?

La bionda non riuscì ad evitare di singhiozzare, guardando i suoi occhi verdi che la pregavano di dirle qualcosa.

- Maryl?! - disse la mora. Non lo sapeva ancora, ma in fondo al suo cuore sapeva cos'era successo, sapeva chi stava male... solo non voleva crederci.

- Maggie... Maggie mi dispiace – mormorò la sorella maggiore, fra un singhiozzo e l'altro.

- Cosa?! Dimmi cos'è successo!

La bionda la fissò fermando i singhiozzi, prima di riprendere.

- Nick...

Bastò quella parola per fare in modo che il cervello di Maggie Campbell potesse iniziare a pensare alle cose più orribile che potessero essere accadute.

- Cosa? … Nick cosa, Maryl? - domandò, a voce bassa, dopo aver boccheggiato un paio di volte senza essere riuscita ad emettere un suono.

- Si è sentito male, io non...

La mora non volle sentire altro, non le importava se lei non sapeva cos'era successo.

- Da quanto? - chiese, secca, con quel poco coraggio che aveva, mentre sentiva il suo cuore fermarsi e riprendere a battere all'impazzata, il pavimento dondolare sotto di lei.

La ventenne la guardò.

- Due ore... - mormorò.

Maggie la fulminò con un'occhiataccia, mentre un plin!, indicava che il caffè era pronto. La sedicenne fece un respiro profondo, poi esplose.

- CHE COSA?! - strillò, facendo girare verso di lei parecchi dottori dall'aria riprovevole. - LO SAI DA COSI' TANTO TEMPO E NON MI HA DETTO NIENTE?!

La bionda abbassò il capo, mordendosi il labbro inferiore.

- Mi dispiace...

- Cazzo, è il mio ragazzo, Maryl! Il mio ragazzo! E tu... voi me l'avete tenuto nascosto, non mi avete detto che stava male! Sapevate che ero qui sta sera, perchè non siete potuti salire di un piano per dirmelo?!

- Mi dispiace... - ripeté la bionda.

- NO! - gridò Maggie, la carnagione che era diventata cadaverica, poi si diresse a grandi passi verso la sala d'aspetto, dove tutti i presenti la guardarono straniti.

La mora non badò a nessuno degli sconosciuti lì presenti e si avvicinò a Lexi, che la guardava pronta a subire la sua furia.

- Dov'è? - gridò. - Sei mia sorella, Alexandra, la mia migliore amica, avevo il diritto di saperlo! Come... come hai potuto permettere che lo scoprissi così?

La rossa non batté ciglio, sapeva di meritarsela quella sfuriata.

- Non sappiamo nulla – disse solo. - Non ci hanno detto niente da quando siamo arrivati, praticamente.

La gemella mora girò sui tacchi e si avvicinò alla segreteria, dove sedeva una donna dai capelli neri stretti in una crocchia dietro la testa.

- Jennifer, voglio sapere dove si trova Nicholas Jerry Jonas, adesso – calcò bene sull'ultima parola. Lei e Jennifer si conoscevano, quest'ultima non poteva negargli una risposta.

- Maggie, il dottor Bryer si sta occupando di lui – spiegò la segretaria, - non credo che...

- Non me ne fotte un cazzo! Mandami Bryer, ora! - strillò come ultima cosa, cercando di mostrare la propria volontà per una volta nella sua vita, poi tornò verso la famiglia Jonas, lasciandosi cadere su una sedia accanto a Paul Senior.

Denise la fissò, riconoscente.

- Maggie? - la chiamo.

La mora alzò il capo per incrociare i suoi occhi.

- Grazie – disse.


Capisci quant'è il dolore qua dentro

(Dolore dentro; Gel&Metal Carter)


Dolore.

Sentiva, vedeva, percepiva solo dolore, con ogni singola fibra del suo corpo.

Non era aveva mai pensato di poter soffrire così tanto, in una volta sua, eppure era possibile, a quanto pareva.

La testa gli doleva. Era un dolore martellante, continuo, come un ronzio. Sentiva le tempie pulsare e la testa pesante.

No capiva niente, non percepiva altro se non quel dolore acuto che gli spaccava la testa a metà.

Poi, pian piano, iniziò ad udire qualcosa, voci?, probabilmente, ma non sapeva riconoscerle, non credeva di averle mai sentite, e anche se fosse stato, confuso com'era, non l'avrebbe capito.

Iniziò a provare a capire dove si trovasse; era sdraiato, e la sua testa era poggiata su un cuscino troppo alto, per i suoi gusti, il busto leggermente steso in obliquo. Il materasso era duro e freddo, segno che non si doveva trovare lì da molto, o forse sì, solo non riconosceva il luogo dove si trovava, addirittura l'aria non gli era familiare, sapeva di disinfettante. Odiava il disinfettante.

Aveva gli occhi chiusi, notò all'improvviso, perchè teneva gli occhi chiusi? Tentò di aprirli, ma anche solo l'idea lo scoraggiò, il dolore non se nera ancora andato.

E poi poteva riposare ancora un po', no? Era così stanco... da quanto non dormiva decentemente? Almeno un paio di mesi... sì, qualche minuto in più di riposo non avrebbe ammazzato nessuno... o qualche ora.

Si rese improvvisamente conto di avere freddo, la coperta era appoggiata sino ai gomiti, gli sarebbe piaciuto poterla prendere e stringersi un po' di più. Provò a muovere la mani, non doveva fare molto, solo riuscire a muoverle quei pochi centimetri che l'avrebbero accontentato... Una, due, tre volte, non ci riuscì, non mosse un dito neppure di un millimetro.

Ma cosa gli era successo?

La sua mente era confusa dal dolore atroce che gli trafiggeva la testa, non riusciva a concentrarsi per trovare il motivo per cui si trovava... lì. Non era la sua stanza, quello lo sapeva, e neppure quella di Joe, o Kevin, o Frankie, neanche quella dei suoi genitori.

Era sconosciuta, e anche se non la poteva vedere, sapeva che era incolore. Le camere colorate avevano un'aria diversa.

Ancora voci, questa volta più nitide, forse perchè il tono era più alto? Stavano litigando?

- … la famiglia quando vorrò – disse una voce, maschile, probabilmente.

- Aspettano da ore... - protestò qualcun altro.

- E lo faranno ancora – ribatté sempre la voce di prima.

- Dottor Bryer, il ragazzo è un amico di una volontaria...

Volontaria, perchè quella parola gli richiamava alla mente qualcuno?

Ma certo, come aveva potuto dimenticarlo? Maggie... lei, volontaria, bella, buona, dolce...

Per lei avrebbe aperto gli occhi, doveva! Ma ancora non ci riuscì, bloccato dal dolore e dalla debolezza.

Nicholas si rese improvvisamente conto di essere stanco.

E nel momento in cui lo capì fu di nuovo abbracciato dalle tenebre.


Sono qui con te sempre

(Sono qui con te sempre; Paolo Conte)


Maggie guardava il suo ragazzo con le lacrime agli occhi, una mano sulla bocca.

Non avrebbe mai pensato di vederlo in simili condizioni, la sola idea la feriva, e vederlo lì, concreto, pallido, la pelle tirata... le spezzava il cuore.

Con un sospiro rotto dal pianto lo guardò, con gli occhi chiusi, Denise che gli stringeva la mano e Paul Senior che gli accarezzava fraternamente i capelli.

Erano solo loro tre, in quel momento, Joe e Kevin erano già usciti qualche minuto prima, pallidi, per lasciare il posto ai loro genitori e a Maggie.

Lexi e Maryl non erano entrate, e non l'avrebbero fatto, per lo meno per quella sera, erano nel parcheggio dell'ospedale, in quel momento, e aspettavano che i loro ragazzi scendessero per riaccompagnarli a casa insieme a Frankie e Paul Senior.

Denise e Maggie sarebbero rimaste tutta la notte con Nick.

Dopo varie urlate da parte della gemella mora il dottor Bryer, responsabile del cantante sedicenne, aveva spiegato quello che gli era successo.

Era stato molto chiaro, sulle sue condizioni: aveva avuto un calo di zuccheri, probabilmente dovuto alla scarsa attenzione che Nick aveva rivolto al diabete negli ultimi tempi e sul fatto che il suo OmniPod, l'oggetto che da qualche anno Nick usava per controllare i valori della glicemia nel suo sangue, non aveva funzionato a dovere.

Niente di grave, se fosse stato solo per questo, ma c'era dell'altro. Nella caduta Nicholas aveva sbattuto la testa con forza, molta forza, il risultato era un trauma cranico.

I dottori avevano tenuto a precisare che si trattava di un trauma non grave, l'unica cosa da fare era aspettare che Nick si svegliasse, e nel frattempo due persone sarebbero potute restare con lui.

Erano stati i signori Jonas a decidere, insieme a Kevin e Joe, mentre Maggie era andata a litigare con qualche dottore, li era parso la scelta più giusta, e non avevano avuto tentennamenti neanche quando la ragazza era tornata dicendo di far restare qualcun altro.

- E' meglio che vada – disse Paul Senior, a un certo punto, baciando la moglie sulla testa. - Torno domani mattina, se ci sono novità chiamami.

Denise annuì e lo salutò con un sorriso, per poi tornare con lo sguardo sul figlio, la testa fasciata.

Maggie, che fino a quel momento era stata appoggiata allo stipite della porta, entrò e si sedette su una sedia accanto al letto del suo ragazzo, scossa.

Denise la guardò, con aria triste.

- Sta bene – le raccontò, - ha solo bisogno di riposo, si sveglierà quando deciderà lui.

La mora annuì, sopprimendo le lacrime che le colavano sul viso; non doveva piangere, non davanti alla madre del suo ragazzo, cavolo!

- Se penso... se penso – singhiozzò, - dovevo essere con lui, questa sera, ma io ho voluto aiutare il mio amico e... l'ho sentito prima del concerto, dovevo capire che non stava bene...

Denise allungò un po' il braccio per sfiorarle la mano.

- Ehi... shh, shh Maggie, non è colpa tua, nessuno poteva prevedere niente... calmati, su, sai che Nick ti può sentire, adesso? Non vorrai che ti senta piangere, no? Sorridi.

La mora si asciugò il viso con il dorso delle mani.

- Scusa... - mormorò.

- Non è niente, piangere fa bene – disse la donna; ora che ci faceva caso, Maggie notò che anche lei aveva gli occhi lucidi e che delle lacrime le scivolavano sulle guance.

La ragazza fece un respiro profondo, per calmarsi e, tremante, prese la mano del suo ragazzo.

Passarono i minuti, e nessuna delle due donne nella stanza disse nulla. Avevano spento le luci più grosse della camera e acceso solo quella sul comodino, che tracciava strane ombre sulle pareti.

Un'infermiera, ogni tanto, passava a fare un controllo a Nick e a chiedere a Denise e Maggie se necessitavano di qualcosa, per poi uscire.

Denise sospirò e si passò una mano fra i capelli, stiracchiandosi la schiena intorpidita.

- Sai, Maggie, Nick ha avuto tante ragazze, nella sua vita – disse la donna, facendo tornare alla realtà la sedicenne, ormai persa a guardare il suo ragazzo.

- Mmmh, - mugugnò, quella non era una buona notizia.

- Oh, non prenderla come una specie di minaccia, figurati, voglio solo parlarti e, anche se so che questo non è né il momento né il luogo adatto penso che possiamo fare quattro chiacchiere, no?

Dopo aver ricevuto un cenno d'assenso da parte della ragazza proseguì.

- Dicevo, Nick ha avuto molte ragazze, nei suoi sedici anni, non come Joe, questo no, ma un bel numero. Tutte ragazze splendide, Maggie, scelte per il loro carattere e, anche se alcune poi si sono dimostrate delle vere delusioni, altre l'hanno fatto proprio felice.

- Però da... no, stavo per dire da qualche mese, ma il termine più adatto è dire da quando ti ha incontrata lui è diverso. In senso positivo, sia chiaro; non credo di averlo mai visto così felice in tutta la sua vita, neanche quando Miley o Selena erano le sue ragazze era così contento... Paul ed io ci siamo sempre preoccupati che i nostri figli non si montassero la testa, con tutta questa storia della band e della popolarità in crescita, e devo dire che ogni volta che uno di loro usciva con una ragazza del business di celebrità mi sono sempre preoccupata, temendo che diventassero ciò che non vorrei fossero. Poi Nick ha incontrato te. - sorrise dolcemente. - Quando ho saputo di te, e delle tue sorelle, quasi non ci volevo credere, era da quando Kevin è stato lasciato da Danielle che non frequentavano più gente che non fosse una celebrità. Kev ha sofferto tanto, quando Dani l'ha lasciato, ma conoscendoti ho capito che tu non avresti fatto lo stesso a Nick.

Fin dai primi giorni, da quando ho sentito che il tuo nome e quello di Maryl e Lexi che venivano nominati spesso in casa, ho capito che avreste fatto felici i miei ragazzi. Lexi e Joe, beh, loro sono due pesti, ancora bambini, in un certo senso, eppure sono felici e si amano, e non potrei desiderare qualcun'altra per il mio Joey. Kevin e Maryl si sono trovati, non so come, perchè in fondo sono diversi l'uno dall'altra e non posso stare lontani. Poi ci siete tu e Nick – istintivamente gli occhi di entrambe si posarono sul ragazzo fra loro, - e ti posso giurare, Maggie, che non vedrò mai mio figlio felice com'è ora. Voi due siete... siete due pezzi del puzzle e vi siete trovati in questo mondo. Siete stupendi assieme, anzi, perfetti.

Maggie fissò Denise con gli occhi sgranati per qualche istante per la meraviglia e la sorpresa, non si sarebbe mai aspettata un discorso simile.

- Con tutto il rispetto, perchè me l'hai detto? - domandò, timida.

Denise sorrise, piano.

- Perchè ti vedo insicura, cara, quando ti guardo camminare mano nella mano con mio figlio, o anche osservando le foto sui giornali scandalistici di voi due noto che sei sempre... insicura. Guardi Nick come se ti stessi chiedendo perchè lui stia con te, perchè non con qualche famosa stars del mondo dello spettacolo. Lo fissi come se pensassi che potessi perderlo da un momento all'altro. Ma non è così, fidati, voi due siete perfetti, nati per stare assieme, ma, cosa molto importante, tu sei splendida, dentro e fuori, quindi non temere di non essere all'altezza di mio figlio, perchè lo sei.

La sedicenne sorrise timidamente, commossa. Neanche nei suoi sogni aveva mai immaginato Denise Jonas che le faceva un discorso come quello.

- Grazie, davvero – mormorò infine. - Spero di non deluderla. Io voglio tanto, tanto bene a Nick.

- Lo so, tesoro, lo so – annuì la donna, poi tornò a fissare il figlio, sopprimendo qualche sbadiglio.

Il silenziò calo di nuovo nella stanza, rotto solo dal ticchettare di un orologio su una parete.

Pensieri contrastanti vagavano nella testa di Maggie: il discorso di Denise, così pieno di significato e amore; Nick, steso davanti a lei, che non aveva aperto gli occhi e non si era mosso da quando l'aveva visto in quel letto; la litigata con le sue sorelle, ora a casa loro.

Sospirò e si strinse la coperta che aveva chiesto all'infermiera, aveva freddo.

Non voleva cedere al sonno, voleva solo stare con Nick, cosciente per ogni secondo finché non si sarebbe svegliato, non poteva permettersi di chiudere gli occhi e riposare, non quella notte.

Denise teneva la testa appoggiata sullo schienale della poltrona, anche lei che combatteva contro il sonno.

Maggie alzò gli occhi sino l'orologio sulla parete: le tre e mezza.

Teneva la mano di Nick fra le mani e gliela accarezzava dolcemente, guardandolo affettuosamente.

Denise, improvvisamente, si alzò dalla sua poltrona.

- Ho bisogno di un caffè – disse a bassa voce, - ne vuoi uno?

Maggie annuì.

- Doppio – aggiunse con uno sbadiglio.

La donna annuì e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

La mora sospirò e avvicinò la testa all'orecchio di Nick.

- Ehi, Nick, sono io, Maggie – disse con un tono di voce tremolante. - Ci stai facendo venire un infarto a tutti, qui, con questa storia. Sai che se non ti svegli non ti baciò più? E' una promessa – tentò di scherzare, di ridere, ma la sua voce era rotta dal pianto. - Oh, andiamo, noi due dobbiamo ancora farci quel viaggetto a New York, ricordi? Avevi detto che mi avresti portato a Wyckoff, volevi farmi conoscere i tuoi vecchi amici, far vedere dove sei cresciuto...

Un tremolio, della mano destra di Nick. Non se lo poteva essere immaginato, vero?

- Nick? - chiese. - Sei sveglio? - non ci fu risposta. - E io ti devo ancora raccontare di mia madre, mi avevi chiesto di lei, te ne dovevo parlare... Poi pensa ai tuoi genitori, sono disperati per il fatto che stai male, anche Joe, Kevin, Frankie... le mie sorelle... e ci sono pure io, sai? Nick, ti prego, svegliati, perchè ti potrei morire qui, seduta stante, lo so che sono troppo giovane per avere un infarto però è quello che mi sta per venire. Ti prego, ti supplico svegliati, Nicholas... ti prego.

Una scossa, sempre della mano, e un tremolio delle palpebre.

- Sì, Nick, svegliati... - continuò a supplicarlo la ragazza. - Sono qui ad aspettarti...

Passarono i minuti, Denise non tornava e Nick non si svegliava. Però si muoveva, piano, si notavano dei movimenti lievi del suo corpo.

La ragazza scosse il capo e distolse lo sguardo per qualche istante, guardando fuori dalla finestra che dava sulla città.

- ...la mia testa... - sussurrò una voce. La sua voce.

Maggie si voltò verso il suo ragazzo, un sorriso che le partiva da orecchio a orecchio, Nick era sveglio, le mani che si tenevano la testa avvolta fra le bende.

Sveglio.

- Nick! - esclamò la ragazza, quasi stridula, afferrandogli un braccio e stringendolo con forza.

- Maggie... - gemette il sedicenne con una smorfia.

- Oddio, scusa, ma... oddio, sei sveglio! - disse, dandogli un bacio leggero su una guancia. Poi scattò in piedi. - Devo dirlo a tua madre, sarà entusiasta e... sei sveglio!

Nick le fece un debole sorriso misto a dolore.

- Mi sono appena svegliato e tu già te ne vai? - chiese, quasi gemendo.

Maggie gli prese una mano.

- Non me ne andrò mai – sussurrò.

- Era quello che volevo sentire – mormorò Nick, poi le fece cenno di sdraiarsi accanto a lui.

- Ma, tua madre?

- Può aspettare – rispose il ragazzo; Maggie gli ubbidì e si andò a sdraiare accanto a lui, ben attenta a non sfiorargli la testa. Una sensazione di calore, sicurezza la avvolse nel momento stesso in cui sfiorò la sua pelle.

- Sì – annuì Maggie, - può aspettare.


Continua...

  
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