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Autore: xEDVIGEx    16/11/2009    0 recensioni
Questo è un breve racconto scritto in occasione di un torneo letterario nazionale sul web. Il tema è tratto dal libro "le braci" di Sandor Marai. Alla fine sono arrivata 2° al torneo e ne sono piuttosto fiera!^^ Spero piaccia anche a voi...buona lettura!
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La lettera era poggiata sul mobile scuro del salotto, ancora chiusa nella sua busta. Non voleva leggerla, forse semplicemente non ne aveva il coraggio. Era la paura o ancor più il presentimento di avere torto, di aver avuto torto marcio tutti questi anni. Fino a quel momento aveva continuato crogiolarsi nell’orgoglio, in quella vanità e in quella presunzione che l’avevano portato a non rivolgerle la parola per quasi 7 anni. A quell’unica figlia, che era tutto ciò che gli era rimasto dopo la morte di sua moglie. Prese la busta fra le mani, si mise a sedere su una sedia lì vicino e cominciò ad osservarla intensamente, come se credesse di riuscire a vedere attraverso la carta opaca. Era cominciato tutto quel sabato sera, Elena all’epoca aveva 20 anni. Lei e qualche amico erano usciti a mangiare qualcosa. Andava spesso fuori con gli amici nel fine settimana. Ma quella sera fu diverso, Elena tornò a casa molto più tardi del solito, ubriaca. Ma questo lui non l’aveva saputo. Quando scoprì la verità il mondo parve crollargli addosso. Elena era incinta. Come aveva potuto permettere che una cosa del genere accadesse? Era furioso. Per quell’unica figlia aveva sacrificato se stesso, le aveva progettato una vita perfetta, e fino ad allora nulla era andato storto. Università di prestigio, ottimi voti e giuste conoscenze l’avrebbero portata in alto. Ma ora tutto era stato messo in crisi da quella notte. Quell’edificio costruito pazientemente giorno dopo giorno, anno dopo anno, stava per crollare. Il prestigio che suo nonno aveva conquistato col sudore era ora sinonimo di quel cognome che lui aveva donato a sua figlia, un prestigio che sarebbe andato perduto se questa storia fosse venuta fuori. Non poteva permetterselo. Elena non conosceva il nome del padre del bambino, non ricordava nulla di quella sera. Non c’era altra scelta, l’unica soluzione era l’aborto. Ma Elena voleva tenere il bambino, era decisa a farlo. Non era possibile, dov’era finita sua figlia? Perché sua figlia non avrebbe mai pensato una cosa del genere. Quella sera le gridò contro che dal quel giorno in poi l’avrebbero chiamata puttana, che non era degna di portare il suo stesso cognome e che avrebbe dovuto prendere le sue cose ed andare via da quella casa, subito. Fu l’ultima volta che le parlò, quelle furono le ultime parole che le rivolse. Una settimana fa una telefonata dall’ospedale lo aveva informato che sua figlia era morta, dopo aver combattuto a lungo contro il cancro. La cartella clinica rivelava che ad Elena era stato diagnosticato un tumore 7 anni fa. A lui non l’aveva mai detto. Quella busta fra le sue mani, lo sapeva, conteneva la sua risposta alle grida di quella sera e al silenzio di quegli anni. Con gesto lento aprì la busta e ne tirò fuori il foglio sottile. Un’unica frase scritta con calligrafia delicata al centro della pagina diceva: “Cosa abbiamo guadagnato con il nostro orgoglio e la nostra presunzione?” . Molto più in basso un post scriptum: “So che ti prenderai cura di Serena, lei ha sempre voluto conoscere suo nonno.” Una lacrima sottile rigò il viso dell’uomo, lavando via per sempre dal suo viso ogni traccia d’orgoglio.
  
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