La storia e i personaggi sono frutto della mia fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale. L'immagine di sopra rappresenta i tre protagonisti secondo la mia immaginazione quindi i tre attori rappresentati non c'entrano nulla con la storia. ..:Paura di amare:.. Personaggi principali: Andrea Fogli Giulia Corsi Roberto Mottini Personaggi secondari: Claudio Loe Cesare Tecchi Vittorio Moli Gaspare Cielo Valerio Foglia Susan Snerdin E altri che conoscerete man mano che leggerete la storia...
La prima volta che
andai al cinema la ricordo ancora come fosse ieri: avevo sette anni e
la mia mano minuscola e gracilina stringeva quella di mio padre,
robusta e piena di calli. Poco più avanti di noi c’era mia madre, con
una lunga gonna rossa e una orribile camicetta a fiori. Il cinema
profumava di pane appena sfornato e sinceramente non me lo sono mai
saputo spiegare il perché di quell’odore così strano. Quando entrammo
nella sala di proiezioni vidi quasi tutti i posti occupati ma dopo
pochi istanti ci venne incontro una ragazza molto gentile che ci guidò
ai posti assegnati. “Hai visto Andrea? Quella è una maschera” mi disse
mio padre indicandomi la ragazza che ci aveva fatti accomodare. La
guardai perplesso: all’epoca per me il termine “maschera” si riferiva
semplicemente a degli strani vestiti indossati a Carnevale. Papà mi
sorrise intuendo i miei dubbi. “Qui al cinema si chiamano maschere
coloro che aiutano gli spettatori a trovare il loro posto!” mi spiegò
mio padre. Maschera! Ecco, fu quella la mia prima parola! Sì, la mia
prima parola che riguardava il cinema! Cominciai a ripeterla senza
sosta finché le luci si spensero e mia madre mi azzittì. Lo schermo si
illuminò e grazie quella tenua luce che si rifletteva su di noi potei
ammirare i visi concentrati dei miei genitori. Poi partì una musica ad
alto volume e apparvero le prime immagini, le prime scene. Ma era tutto
concitato, non riuscivo a capire molto e sbuffai. “Non è questo il
film!” esclamò mio padre vedendomi annoiato. “Come no?” chiesi
ingenuamente. “Questo è un trailer: un riassunto di un altro film che
tra un po’ uscirà al cinema” disse papà. Trailer! Ecco la seconda
parola! Lo schermo divenne nero e io mi strinsi al braccio di mio
padre. Poi a poco a poco si illuminò con alcune scritte minuscole
finché una scritta più grande annunciò il titolo. Lasciai la presa e mi
incantai a guardare il film. Quella sera capii di essere cambiato.
Capii che a casa non sarebbe tornato più il solito Andrea. No, perché
avevo conosciuto il cinema. E me ne ero completamente, perdutamente,
irrimediabilmente innamorato! Quando il film terminò e le luci in sala
si riaccesero, mettendo fine alla magia che si era venuta a creare, mi
voltai verso mio padre spalancando i miei occhioni color nocciola. Lui
mi sorrise e mi passò una mano fra i miei capelli castani. “Papà…”
dissi “…da grande farò l’attore!”
Penso che tutta la mia sofferenza infinita sia nata quella sera. Ma
d’altro canto non posso porre fine a questa sofferenza perché è tutta
la mia vita…
Pioveva forte. Questo è ciò che mi ricordo di tutta la mia infanzia e
adolescenza. E poi mi ricordo la mia disperazione perché volevo uscire
da casa, volevo correre in giardino e assaporare quella sensazione di
libertà che mi mancava. Volevo sentire la pioggia scorrere lungo il mio
corpo, volevo dissetarmi con la pioggia. Ma non mi era permesso. Mia
madre non voleva che mi sciupassi i vestiti o che solo per un
attimo qualche ciocca di capelli stesse fuori posto. Mi opprimeva, mi
proibiva di frequentare i normali luoghi pubblici, mi vietava di avere
amicizie e mi faceva studiare in una stupida scuola privata dove tutti
i ragazzini e le ragazzine erano viziati e con la puzza sotto il naso.
Non li sopportavo e loro non sopportavano me. Dicevano che ero troppo
ribelle solo perché volevo comportarmi come delle persone inferiori, di
basso ceto. “Oh cava Giulia…” mi disse un giorno una mia compagna di
classe dalla erre moscia “…ma pevché ti ostini a fave la
vivoluzionavia? Tu sei vicca, come lo siamo tutti in questa scuola
quindi…compovtati da vicca!”. La guardai contrariata. “Ancova? Ti ho
detto di compovtavti da vicca!” insistette. Non resistetti e la riempii
di insulti. Il giorno dopo fui costretta a presentarmi a scuola
accompagnata da entrambi i genitori. Il preside mi fece una paternale
durissima e mi diede una sospensione di un mese. Un mese solo perché
avevo detto ciò che pensavo! Mio padre si indignò e annullò
l’iscrizione a quell’istituto. “Giulia studierà in una scuola pubblica
da oggi in poi!” disse. Io facevo salti di gioia. Ma mia madre si
ribellò e ne uscì vincitrice: avrei studiato a casa con un tutore.
Sprofondai nell’angoscia più profonda. Mio padre capì e riuscì a
strappare a mia madre un assenso per iscrivermi ad un corso di teatro.
“Almeno esce di casa” disse. Così capii finalmente a cosa ero destinata
nella vita: avrei fatto l’attrice!
Non potevo fare a meno di rimanere incantato quando mia madre mi
leggeva le fiabe prima di addormentarmi. Ma il problema era proprio
questo: io non riuscivo mai a dormire! Ed era tutta colpa delle fiabe:
la notte non facevo che pensare a qualche degna continuazione delle
fiabe apprese senza chiudere occhio. Poi cominciai a idearne di mie e
le raccontai a mio fratello, di due anni più piccolo. Lui batteva le
mani eccitato e mi pregava di idearne sempre altre. Allora mi armai di
carta e penna e dapprima translitterai dalla mia mente al foglio le
fiabe che già avevo inventato. Poi ne scrissi altre. Quando in casa
arrivò il primo computer me ne impadronii letteralmente e ricopiai
tutte le fiabe inventate fino ad allora. Poi arrivò la stampante e feci
rilegare alla cartolibreria i miei lavori appena stampati. Avevo il mio
primo libro! Lo portai a scuola tutto orgoglioso e a rotazione tutti i
miei compagni lo lessero. In breve tempo divenne un piccolo caso
letterario: la maestra ne fu entusiasta e altre maestre di classi
diverse ne fecero alcune copie da far leggere ai propri alunni.
Poi alle medie vinsi parecchi concorsi letterali indetti dalla scuola.
E una volta giunto alle superiori la scelta non fu difficile: Liceo
Classico! Peccato che non fu tutto rose e fiori e che i miei voti non
erano mai molto alti! Ma dopo molti stenti riuscii a diplomarmi senza
essere bocciato. E dopo cosa avrei fatto? Amavo scrivere e volevo
intraprendere la carriera di giornalista e scrittore. Ma mio padre non
ne volle sapere e mi costrinse a iscrivermi a Giurisprudenza. “Meglio
avere un avvocato in casa che uno scrittore squattrinato!” mi ripeteva.
Tuttavia io non smisi di scrivere e mandai alcuni miei romanzi a delle
editorie. Un giorno una di queste mi rispose: avrebbero pubblicato i
miei scritti! Piansi tutto il giorno per la felicità davanti a mio
padre che scuoteva la testa e continuava a dire “Robè, comunque tu fai
l’avvocato!”. Non lo delusi e riuscii a laurearmi. Intanto ero
diventato uno scrittore piuttosto conosciuto e apprezzato. Un giorno
mio padre mi chiamò: era debole ma felice. “Sono fiero di te…e smettila
di fare l’avvocato! Devi continuare a scrivere…” mi disse. Il giorno
dopo morì. Io gli diedi retta e abbandonai lo studio dove facevo
praticantato. Sfornai altri libri che in breve mi consacrarono come
scrittore. Ecco, era questo quello che avevo sempre desiderato! Vivere
solo grazie alla mia arte…