Two Pairs of Chilling Eyes
22: Epilogo
Click!
La luce si accendeva, mentre la porta d’ingresso veniva chiusa.
Passi
cadenzati e lenti percorrevano il pavimento.
Click!
Un’altra luce. Altri pochi passi.
“Nina?”
Non
ricevette risposta. I passi tornarono indietro.
Un
piccolo tonfo attutito suggeriva che si era seduto sul divano. Il silenzio
contemplativo, che aveva visto ciò che c’era rimasto sul tavolino. E sarebbe saltato subito alle conclusioni.
Affrettate.
Silenziosa,
era scivolata quindi fuori dalla porta della camera, comparendo sulla porta
della sala.
Sergei
era seduto sul divano, gli occhi di cristallo fissi sul cerchietto dorato che
reggeva tra l’indice e il pollice come se lo stesse analizzando. Sembrò stupito
dal trovarsela davanti, richiuse le dita sull’anello e schiuse appena le
labbra.
“E’
il tuo saluto?” chiese in un sussurro. Nina Williams avanzò lentamente, quasi
senza respirare. Si sedette sul tavolino, di fronte a lui, fissandolo negli
occhi. Senza dire nulla, gli porse la mano sinistra, il palmo rivolto verso il
basso e le dita appena aperte , e studiò la sua reazione. Sergei
la fissò con vivo interesse, quasi cercasse di prevedere la sua prossima mossa.
La
voce di Nina era bassa, ma ferma e decisa, quasi fosse un accenno di
rimprovero: “Se mi vuoi davvero, quell’anello non me lo lasci di nascosto in una
mano prima andartene, ma me lo infili al dito.”
L’uomo
restò immobile per un istante. Poi, con una lentezza quasi esasperante, prese la sua mano, e fece scivolare l’anello
nel suo dito.
“Ehm,
dovrebbe essere l’anulare, non il medio.” Lo corresse Nina, trattenendo un
sorriso nel cogliere il lampo di imbarazzo sul suo volto.
Sergei
ebbe uno scatto quasi scocciato, mentre gli toglieva il cerchio dal dito
sbagliato e lo infilava in quello corretto, a fianco. “Ed ora?”
Nina
sorrise appena. “Ed ora ti dico di si.”
8 anni dopo:
Tra
gli spalti gremiti del palazzetto del ghiaccio, seduta a fianco dell’unico
seggiolino vuoto, Nina Williams gettò l’ennesimo, nervoso sguardo all’orologio,
che segnava le 16 e mezza. “Dovevano iniziare mezz’ora fa” borbottò, finendo
l’ultimo pop corn rimasto scoprendo di avere ancora
fame, appallottolando scocciata il sacchetto e gettandolo, centrandolo
perfettamente, nel bidone dell’immondizia a qualche metro di distanza. Un
bambino, seduto in mezzo ai suoi genitori, seguì la parabola perfetta del
lancio, fischiando d’approvazione.
Nina
mosse i piedi, impaziente, cercando una posizione più comoda. Quelle maledette
tribune avevano gradoni troppo stretti, seggiolini troppo piccoli ed erano
eccessivamente pieni di gente. Tutto quel rumore le dava il mal di testa. Si
massaggiò la testa, conscia di essere proprio intrattabile in certe occasioni. Gettò di nuovo uno sguardo al
posto vuoto al suo fianco, tentata dal togliere la borsetta con cui lo stava
tenendo occupato, rendendolo libero per qualcuno. Se poi arriva realmente, beh, si arrangerà, tanto non ha problemi a
restare in piedi per ore e ore. Così impara ad arrivare – se arriva- in
ritardo.
Per
impiegare il tempo, estrasse dalla custodia la nuova videocamera, trafficando
con le impostazioni. Quella precedente era stata vittima di un curioso
incidente in lavatrice, mistero tutt’ora irrisolto nonostante le sue accurate
indagini e i suoi interrogatori mirati. Accorgendosi che le luci si stavano
abbassando, Nina si accomodò meglio, trovando l’angolazione migliore dove
puntare l’obbiettivo della videocamera.
Notò
con la coda dell’occhio che qualcuno stava per sedersi a suo fianco, e lei si
voltò pronta a ribadire, per l’ennesima volta, che quel posto era occupato.
Rimase invece piacevolmente sorpresa: “Ah, sei arrivato, finalmente! Iniziavo a
perdere le speranze!”
Sergei
Dragunov storse la bocca infastidito, sedendosi e
voltandosi verso di lei. “Felice anche io di vederti.” Salutò, slacciandosi il
cappotto.
Nina
roteò gli occhi, prima di chiedergli se avesse portato qualcosa da mangiare come
da lei espressamente richiesto.
“Ho
preso delle patatine all’entrata” rispose l’uomo, porgendogliele. Nina ne fu
sollevata e aprì subito la confezione, iniziando a mangiucchiarle. “Come mai
non hanno ancora iniziato?”
“Uhn, Non lo so… avranno avuto
qualche imprevisto. Che ne so, con quei costumini…”
Sergei
studiò la videocamera, annuendo soddisfatto dell’acquisto. Un gruppetto di
persone, due adulti e tre bambini strillanti, avevano iniziato a urlare slogan
da stadio e a far ondeggiare uno striscione.
Ulteriormente
infastidito, domandò chi fossero.
“La famiglia al gran completo di Lilja Romanova, la favorita.”
“Esiste
una favorita nel campionato di pattinaggio dei ragazzini Under 6?”
Nina
annuì. “Se tu fossi più spesso a casa, sapresti che è la diretta avversaria di Vika: Quella mocciosa ha un ottimo equilibrio, e lei… insomma, ogni tanto si ritrova con il sedere per terra.
Cosa perfettamente normale per una bambina di della sua età.”
“Forse
non si allena abbastanza…”
“Per
nostra figlia questo sport è un
gioco, per ora, ha cinque anni! Non ha senso che passi le sue giornate intere
ad allenarsi. E’ già brava così. E anche se perdesse la gara oggi, o sbagliasse
qualcosa, non sarebbe una tragedia: deve imparare a gestire anche i
fallimenti.”
“Parli
come un libro aperto…” borbottò l’uomo.
Lei
alzò le spalle. “Devo pur informarmi da qualche parte.”
La
famiglia Romanov aveva iniziato ad intonare cori e canzoncine, stoccata finale
all’emicrania di Nina.
“Non
ti ricordano qualcuno?”
“Uhn….No, Anna non si è vestita da Cheerleader per le gare
di Jamie.” Sospirò: “Anche se le magliette che mi
hanno costretto ad indossare erano proprio imbarazzanti.”
“Silver Haired Surfer‘s Supporters? Bah, Mi sembra
che Vika la adori.”
“Si,
la famosa rivalità Williams pare non esista tra cugini…”
Una
delle allenatrici risalì gli spalti avvicinandosi alla madre di Lilja Romanova e dicendole
qualcosa. La donna gettò a terra i pon pon arancioni, seguendola con lo sguardo attonito e
ansioso.
Parecchi
genitori annuirono soddisfatti all’interruzione del tifo chiassoso ed
eccessivo.
I
primi gruppi di piccoli pattinatori iniziarono ad entrare nella pista, tra gli
applausi dei genitori e i flash delle loro fotocamere.
Dopo
il saggio di gruppo dei più piccoli, una delle insegnanti presentò l’inizio
della gara, e la prima partecipante.
Nina
vide con la coda dell’occhio Sergei che iniziava a
registrare.
“Guarda
che Vika è la quinta ad entrare, è inutile riprendere
anche gli altri.”
“Lo
faccio perché così potrà guardare i programmi dei suoi avversari e studiarne le
mosse.”
Nina
roteò gli occhi al cielo, nuovamente. “Santo cielo, Sergei,
sono bambine di cinque anni, è già tanto che riescano a stare in piedi e ad
accennare ad un salto! Studiarne le mosse? Non deve andare alle olimpiadi, e
nemmeno scatenare una guerra mondiale contro di loro!”
“Se
esistono le favorite in questo campionato, allora può esistere anche lo
spionaggio sportivo.”
La
donna non poté far altro che scuotere la testa: tentare di far capire qualcosa
a quello zuccone era una missione impossibile.
La
piccola Lilja Romanova,
nella sua tuta luccicante color arancio, era tornata dalla sua famiglia
piangendo disperata e gettandosi tra le braccia del padre. Dietro di lei sua
madre reggeva in mano gli scarponcini da pattinaggio, e non riusciva a
capacitarsi di come avesse potuto la lama staccarsi di netto dalla suola.
Sergei
Dragunov si voltò lentamente verso sua moglie, che
gli rispose con lo sguardo più innocente che poteva dipingersi in faccia,
indicandosi con una patatina come per dire “Io?”
“…un tranquillo campionato di bambine di cinque anni, eh?”
“Lilja ne ha già sei, è la più grande, non dovrebbe
gareggiare contro le più piccole, è ovvio che le altre partano in svantaggio.”
Tornò alle sue patatine, non riuscendo a trattenere un sorrisetto soddisfatto.
“Se in questo campionato può esistere lo spionaggio sportivo, può esistere
anche il sabotaggio.”
“Spero
che nessuno ti abbia vista.”
“Caro,
per chi mi hai preso…?”
“Tsk! Non sei più così agile con quel pancione…
per non parlare poi del passare inosservata…”
“A
parte che io non passo mai inosservata, pancione o meno.” Frugò
nella borsetta, dal quale ne estrasse una busta bianca, che porse al marito. “E
poi, ecco il responso della visita di ieri. Guarda un po’.”
Lentamente,
l’uomo aprì il foglio e ne lesse brevemente il contenuto. Un angolo della bocca
si piegò verso l’alto, soddisfatto, prima di ripiegare il pezzo di carta e di
restituirglielo. “Ottimo lavoro Williams.”
Nina
appallottolò la confezione vuota di patatine, lanciando anche quella nel bidone
dell’immondizia, con un preciso canestro. “Lo chiamiamo Alexei,
allora?”
“Si,
decisamente Alexei.”
Il
lampo di impazienza che gli aveva attraversato gli occhi, al pensiero di
chiamare il figlio con il nome del suo amico defunto non passò inosservato alla
donna. Era una cosa che aveva sempre temuto, e che le aveva fatto evitare in
quei cinque anni, di cercare un altro figlio, finché il piccolo non aveva
deciso di autoinvitarsi. “Se trascurerai Vika, sappi
che ne pagherai le conseguenze.”
Questa
volta toccò a Sergei a roteare gli occhi. “Come se si
facesse mettere in secondo piano, con il caratterino che si ritrova.”
“Non
le andrà giù il fatto di trovarsi un
fratellino tra i piedi… Ma se fosse stata
un’altra femmina… beh, ti conveniva battere la
ritirata alla svelta.”
“Io
non batto mai in ritirata. Combatto sino alla morte. A costo di scavare una
trincea in salotto.”
“Ti
devo rammentare quello che capitava tra me e mia sorella?”
“Non
importa, tanto sarà un maschio, e i maschi danno meno noie…”
Nina
trattenne un risolino. Nonostante tutti i suoi rimbrotti e le sue –finte –
lamentele sull’avere a che fare con due femmine in casa, sapeva che Sergei non avrebbe scambiato sua figlia con nulla al mondo:
complice anche una certa predisposizione della bambina a farsi rispettare anche
dai bambini più grandi, dopo che ne aveva fatto volare un paio dall’altra parte
dell’atrio della scuola materna.
Orgoglio
di papà, preferiva il Sambo all’Aikido.
“C’è
solo un problema” Sbuffò la donna. “La data del termine e quella del matrimonio
di Steve e Julia coincidono”
“Beh,
non credo che Steve si farà tanti problemi a spostare la data, se glielo
chiedi.”
“Altrimenti
ci andrò comunque, rischierò di partorire in Arizona, ma…”
“…
Mio figlio nascerà in Russia, non ci
pensare nemmeno per un secondo a partorirlo negli Stati Uniti, chiaro?”
“Odio
quando sei così inflessibile e permaloso…”
Quando
all’altoparlante annunciarono il turno di Viktorjia Dragunova, una bambina avvolta in uno scintillante
completino color lavanda, i capelli corvini stretti in uno chignon e gli occhi
azzurri concentrati sulla pista scivolò sul ghiaccio, sino a raggiungere il
centro.
Nina
applaudì, voltandosi verso Sergei per controllare che
facesse lo stesso.
Ma
lui era impegnato a filmare la bambina, l’ombra di un sorriso che gli stendeva
le labbra livide e gli occhi fissi sul piccolo schermo della videocamera.
Nina
non poté fare a meno di sorridere, mentre la sua bambina iniziava la sequenza
di volteggi e piroette a ritmo di musica, sentendosi incredibilmente
orgogliosa. Si appoggiò una mano sulla pancia, chiedendo mentalmente al suo
cucciolo non ancora nato di fare il tifo per la sorella.
Aveva
scelto di cambiare la sua vita, di deviare radicalmente il flusso della sua
esistenza, arrendendosi di fronte al fatto di non essere un freddo pezzo di
pietra, di non essere perfetta, e di avere bisogno di qualcuno. E il risultato
era stato più che positivo: con una figlia che sognava di diventare una stella
del pattinaggio, un bambino in arrivo per l’estate e un marito che, seppur
spesso assente per gli impegni militari, faceva i salti mortali per stare con
loro.
Si
amavano. A modo loro, un modo quasi
incomprensibile per il resto degli esseri umani, ma era quanto di più tangibile
e reale ci fosse mai stato nella sua vita.
Vika terminò la sua
esibizione, applauditissima anche dagli altri genitori, con un elegante inchino
e agitando la manina in direzione degli spalti.
Chissà
se si era accorta che il suo papà c’era davvero, che era riuscito a tornare in
tempo per la sua prima, importantissima gara.
Sentì
la mano di Sergei che sfiorava la sua, e le loro dita
che si incrociavano. La strinse.
“E’
stata davvero brava.” Lo sentì mormorare, mentre spegneva la videocamera e la
riponeva nella custodia.
“Niente
più spionaggio sportivo?”
“Con
questi mocciosetti senza arte né parte, è inutile…”
Nina
Williams sorrise, guardandolo di sottecchi. Non vedeva l’ora di andare a
recuperare Vika, di farle i complimenti e di portarla
a cena per una pizza premio nel suo locale preferito.
L’idea
della pizza sembrò stuzzicare anche l’inquilino della sua pancia, che sembrò
approvare scalciando. Senza dire nulla, fece scivolare la mano di Sergei, ancora allacciata alla sua, sul suo ventre. Rivide
di nuovo l’angolo delle se labbra piegarsi. “Ottimo, si sta già allenando…”
Last, but not least!!
Eccoci all’ultimo (?)
capitolo di questa storia!
Si, lo so, è OOC, è impossibile
e quasi sdolcinato, e che rovina la storia. Si, lo so, lo so, lo so. il mio
sadismo imbizzarrisce e mi tiene il muso.
Tant’è che, stando
all’idea iniziale, doveva essere mooooolto diverso (MissTrent lo sa).
Questa FF è stata
quella che, finora, mi ha soddisfatto di più nel pensarla e nello scriverla.
Prima di tutto è stata
la più lunga, con 22 Capitoli. Poi è stata la più commentata. (e l’Ego si
impenna)
E quella che mi ha
divertito e impegnato di più a scriverla. E anche quella che ha subito più
cambiamenti. Inizialmente Jamie doveva essere una
femmina (Lyanna… nome che univa il suono di quello
dei genitori… e suscitava perplessità negli altri)
Nina non veniva catturata da Lars (a cui va la Palma
d’oro per l’OOC) ma rimaneva sotto le macerie dell’Hotel, e nel finale non
restava con Sergei. (ma poi il sadismo si è voltato
un attimo e… ZACK!)
Insomma, tutta un’altra
storia.
Qua e la c’è qualche
accenno a dei film, oltre a Godzilla/Cloverfield, nel terzo capitolo figura pure una citazione
di Kill Bill.
Beh, in ogni caso,
Grazie, Grazie, Grazie per aver recensito, per averla letta, apprezzata… insomma, grazie mille a tutti.
A Miss Trent e alle nostre divagazioni/pare mentali/discorsi,
congetture.
A Angel Texas Ranger
per non avermi strangolato dopo che ho fatto fare quella fine a Lars e Alisa (mi farò perdonare)
A SackBoy
per la sua presenza fedele
A Krisalia,
a cui rompo sempre le scatole su MSN.
A Nila,
per la gioia con cui commenta.
A Yukino
Lang, GothGirl e a Nefari, per aver commentato anche solo una volta.
Grazie mille!!!
PS: Nonna Alba vi
saluta.