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Autore: Milady    28/09/2003    1 recensioni
Una ragazza, Cassandra Reilly, si trova improvvisamente catapultata dentro un mondo fatato... sconosciuto soprendente! Hogwarts... Incontrerà nuovi amici, nuovi nemici, professori buoni o burberi... Ma lei, in realtà, chi è veramente?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cassandra Reilly…

ERA SCRITTO NEL DESTINO!

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di  Milady.

 

 

1. UNA SCOPERTA SORPRENDENTE!

 

Il vecchio mago era immobile, fermo davanti all’imponente finestra della torre più alta di Hogwarts. Pensava e rimuginava…

Nella mano, fragile e sottile rigirava una pergamena tutta arricciata e consunta. Ne aveva letto più e più volte il contenuto, e ancora non riusciva a capacitarsi di esso!

Avrebbe dovuto chiamare a se tutti gli insegnanti?

Spiegare, giustificare… e decidere?

Accidenti come era potuto accadere?

Si fidava ciecamente di due persone sole:

La professoressa McGranitt e… quell’omone, pasticcione e gentile di Hagrid.

Certo aveva gran considerazione per tutti gli altri insegnati della prestigiosa scuola, ma in quel momento sapeva che con loro… e con loro solamente, poteva esternare tutta la sua perplessità.

Era preside da moltissimi anni… e mai, nel suo mandato, era successa una cosa del genere. Veramente, non c’era cenno,  nel lungo corso di Hogwarts, che fosse mai successa…

“Beh, c’è una prima volta per tutto!” – Sospirò fra se e se.

Ma era davvero strano!

Si sedette alla sua scrivania, leggendo per l’ennesima volta, il plico.

- Che cosa… Albus…?! Ehm, cioè,  Professor Silente?

L’espressione truce e allarmata della McGranitt era la cosa più divertente che Silente avesse visto in quegli ultimi giorni.

Erano stati giorni duri,  di ripensamenti, riflessioni e problemi.

Ma ad ogni problema esiste una soluzione. La difficoltà e il divertimento, erano proprio nel trovarne la soluzione migliore.

E lui, credeva d’averla trovata. Veramente, era l’unica cosa che si poteva fare…

- Ma,  perché è successa una cosa simile?

- Non lo so, Minerva, Certo se lo avessi saputo,  te lo avrei già detto!

L’anziano mago rafforzò la sua ultima frase, con un eloquente gesto del capo. Da sotto l’ampio capello, gli occhi brillavano allegri e intelligenti, attraverso le piccole lenti a mezzaluna,  mentre si soffermavano ancora sul viso sconvolto della professoressa.

Proprio in quel momento, Hagrid, il gigantesco guardiacaccia di Hogwarts, fece irruzione spalancando rumorosamente la porta d’accesso allo studio di Silente.

Si catapultò quasi nella stanza, creando un gran trambusto, con tanto di sollevamento di polvere, caduta di plichi dalla sua scrivania  e scricchiolii vari del vissuto pavimento in legno.

In netto contrasto con il tono squillante della sua voce, Hagrid aveva l’espressione abbacchiata e contrita. - Professor Silente… mi scusi, ma all’ultimo momento ho avuto un piccolo inconveniente.

Silente gli gettò uno sguardo rassicurante. L’omone ostentò un’espressione di sollievo, mentre gli occhi, intensamente neri, brillavano quasi di gratitudine.

- Qual è l’urgenza?- Chiese immediatamente. Era abituato ad andare dritto al nocciolo della questione. Non gli piacevano i giri di parole.

Silente lo apprezzava ancor di più, per questa sua innata dote. Il suo sguardo dal bagliore acquamarina,  si fissò negli occhi neri di Hagrid, senza quasi battere ciglio.

- Devi fare un “prelievo” Hagrid. E’ molto urgente!- Lo disse, quasi… fosse la cosa di naturale e facile del mondo.

Ad Hagrid invece,  mancò la terra sotto i piedi…

Silente l’osservò preoccupato, credendo quasi di vederselo cadere davanti, lungo disteso sul pavimento.

- Un prelievo… adesso? – Ripeté il guardiano. Forse temeva di non aver capito bene!

- Proprio cosi, Hagrid!  Partirai subito. Uhm, puoi usare la mia scopa, se vuoi… Ma tu sai bene, quel che comporta,  doverlo poi spiegare alla persona che trasporterai…

Hagrid lo scrutò impressionato! Doveva essere proprio urgente, terribilmente urgente per far parlare Albus Silente a quel modo!

- No, signore,  grazie comunque per la gentilezza. Ma credo userò il mio solito mezzo.

La professoressa McGranitt, rimasta fin a quel momento un po’ in disparte,  osservò con un misto di preoccupazione e terrore la faccia dell’omone, intromettendosi. - Mi auguro che le sappia il fatto suo, quando giuda quella mostruosità!

- Certo che sì, professoressa! L’ho guidata un sacco di volte!

- Oh, suvvia, non perdiamoci in inutili chiacchiere! – Intervenne infine Silente. L’ambiente stava per surriscaldarsi. Non sempre era ragionevole mettersi a discutere con dei testardi come “quei due”!

Il viso di Hagrid si fece improvvisamente cupo. Era evidente che prima di mettersi in moto per assolvere al suo compito,  aveva un mucchio di domande da porre. Non era da lui comportarsi così, ma tutto quel mistero, quella segretissima riunione con la Professoressa… e poi quell’incredibile incarico!

- Perdonate, Professor Silente, ma chi dovrei prelevare, con così notevole ritardo?

Il volto del vecchio parve assumere, per un attimo, un’espressione preoccupata, smarrita. Ma fu solo un attimo,  un attimo soltanto.

- Uno… studente Hagrid… Uno studente dimenticato…

 

*

 

Ma che diavolo aveva combinato,  questa volta?

Niente, niente di niente!

Solo…che se c’era di mezzo Melania Carringthon,  i  guai e le punizioni, erano solo per lei!

Era stufa di fare da capro espiatorio, ogni qual volta quella stronzetta andava di corsa a piangere dai suoi genitori!

Questa volta avrebbe reagito. Non si sarebbe fatta schiacciare da quella serpe di Matilda Carringthon. Non avrebbe più permesso che sua zia Marion si fosse umiliata di fronte alla gran dama!

No! Questa volta tutto sarebbe stato diverso!

Ma…che diavolo andava cianciando? Era solo una sciocca. E avrebbe ricevuto, come sempre, quello che si meritava: una bella lavata di testa!

“Ma dico… Potevi scappare… scema!” - Rimuginava, in attesa dell’imminente arrivo della signora Carringthon.

Ripensandoci però, a mente fredda, si convinceva sempre di più, che non lo avrebbe mai fatto.  Si era spaventata, e anche tanto in quel momento, ma,  mentre tutte le altre se l’erano date a gambe, lei non aveva esitato a soccorrere quell’arpia di Melania (sebbene non lo meritasse!)  ed a chiamare il loro autista per farsi venire a prendere.

Ed ora… aveva solo da pagare un prezzo,  al suo coraggio…

Era seduta, con l’aria disperata e contrita, nel lussuoso soggiorno di villa Carringthon,  attendendo che la zia fosse venuta a riprenderla. Ogni tanto qualche donna della servitù o maggiordomo gli passava accanto, guardandola come se fosse un fenomeno da baraccone. Un animale raro da osservare con discrezione, dal vetro o la gabbia di uno zoo.

Dalle stanze di sopra, si sentivano a più riprese, gli strilli e gli strepiti di quella viziata di Melania… Stava ancora inveendo contro di lei, per il guaio capitato alla sua fiammante bicicletta nuova.

Ma quella volta, lei non c’entrava! Non c’entrava per nulla…

Beh, facendosi un esame di coscienza, in verità aveva proprio sperato che succedesse, quello che,  alla fine era successo!

Ma non poteva averlo fatto con la propria mente! Non poteva avere una “volontà” così disperatamente potenziata. Se fosse stato vero, se avesse posseduto una volontà, che viveva di vita propria, che cambiava le cose… avrebbe cambiato la sua vita, e quella della zia Marion già da parecchio tempo!

Un rumore improvviso, proveniente dal giardino d’ingresso, la fece sussultare. Era chiaramente uno stridore di gomme, che frenavano all’ultimo istante,  sui sassolini del selciato.

“Santo cielo, arriva la serpe della madre”  Pensò, deglutendo. Solo pochi minuti prima aveva pensato ad una gran quantità di cose da dire, e di spiegazioni da dare. Ma ora si sentiva semplicemente piccola e ridicola… così insignificante e fuori posto, mentre continuava a strizzarsi le mani gelide e osservarsi la punta delle consunte scarpe da tennis.

Matilda Carringthon fece il suo ingresso nella solita trionfante maniera. Spalancò la porta, manco avesse voluto scardinarla, e la sbatté rumorosamente alle sue spalle. Subito un nugolo di servi gli si fece incontro, ma lei dribblò tutti scaltramente, dirigendosi direttamente dalla ragazzina. Strada facendo lasciava cadere qualche pacchetto, di lussuose boutique del centro, con fare superbo e disinvolto. Gli si arrestò infine proprio davanti, scaricando definitivamente tutto il suo “bagaglio” e posando le braccia inguantate sui fianchi, con fare bellicoso.

- Beh, cosa hai combinato questa volta,  Cassandra Reilly, per far così disperare  e spaventare mia figlia a quel modo! Parla, ho giuro che passerai il più brutto quarto d’ora della tua vita!

Cassandra alzò gli occhi sulla donna,  e tutto il suo coraggio si dissolse definitivamente.

Era una donna imponente, grassa, con una faccia tonda e rosea, che,  in quel momento,  era  livida di rabbia. Gli occhi, d’un azzurro scialbo, la fissavano irrequieti e inquisitori. Aveva il naso piccolo e all’insù, che mal si confaceva alla forma del suo viso e la bocca  sottile era piegata sempre,  in un broncio perenne.

Cassandra aveva una gran voglia di fargli una linguaccia e scappare. Sarebbe stata l’apoteosi… Però, che meraviglia solo poterlo pensare… Invece deglutì, e cercò di rispondere,  senza far apparire la sua voce troppo spaventata.

- Niente signora. Non ho fatto niente!

- Ah, e tu questo lo dici niente???  Henry portami la bici!

Lo smilzo servitore, arrivò prontamente con quella che avrebbe dovuto essere una bicicletta. Più precisamente, quel che ne rimaneva. Aveva tutto il manubrio storto e la catena penzolava sgangherata fra i pedali. Inoltre le ruote erano del tutto assenti…

- Dove hai messo le ruote? Le hai rubate? Parla!

- No! Io non ho fatto niente del genere! - Le mani continuavano a sudarle, mentre se le torturava senza sosta, e la sua povera testa, era un pallone sul punto di scoppiare. Quanto sarebbe durato ancora quell’interrogatorio,  perché la zia non era già arrivata?

Ma forse il peggio doveva ancora venire, perché, in quel mentre, tutta piagnucolante e frignante, scese dalle scale sua maestà imperiale… Melania.

Era seguita dalle sue due care amichette, Betty  e  Danielle… Un bel trio di stronze!

Melania corse immediatamente a rifugiarsi fra le braccia grassottelle dell’imponente madre, frignando a più non posso.

- Oh, ma’ mandala via!  E’una strega … una strega!

- Tesoro, vuoi raccontarmi per favore. QUESTA BRUT… questa ragazzina,  non fa altro che dire che non ne sa niente!

- Posso dirle, io signora – Intervenne con quella voce stridula e acida,  Betty – Melania era troppo spaventata, ma io ho visto tutto! – Dichiarò impettita, e scoccò all’indirizzo di Cassandra, uno sguardo di odiosa compiacenza.

Cassandra ricambiò, con altrettanto astio. Oramai non aveva più nulla da perdere. Nel quartiere era già abbastanza “segnata” quell’ultimo episodio sarebbe stata la disfatta definitiva.

- Dì, pure Betty – Sentenziò Matilda, soddisfatta.

- Stavamo tornando a casa dal doposcuola,  io, Danielle e Melania eravamo in bici … e abbiamo incrociato quelle straccione delle figlie di Slawey con Cassandra. Noi, ovviamente volevamo evitarle, ma loro ci hanno sbarrato la strada, per farci uno stupido scherzo… credo…

- Non è vero, Betty – s’intromise Cassandra, che ormai non sopportava più quell’aria da tribunale dell’inquisizione – Siete state voi a darci fastidio!

- Basta! TACI TU! – Intervenne la signora Matilda. – Va’ avanti a spiegare Betty, su questa storia deve essere fatta chiarezza, in modo definitivo!

- Beh… - La ragazzina parve perdere, per un attimo, tutta la sua spavalderia, quasi non ricordasse esattamente un avvenimento, incredibilmente strano. Corrugò la fronte, come a scegliere le parole migliori. - Beh, hanno iniziato ad insultarci, e poi… poi  Cassandra ha guardato con quegli occhi da strega la bici di Melania, forse la voleva, mi pare che gli ha detto di scendere e poi… - La ragazzina trattenne il respiro, mentre tutti nella stanza pendevano dalle sue labbra.

Ovviamente solo Cassandra la guardava disgustata, con le braccia incrociate all’ altezza del petto.

- Beh, Melania e noi… abbiamo tentato di scappare. Poi Melania a gridato, la bici è caduta… è caduta anche lei … e avete visto tutti come è ridotta la bici! Io non so come abbia fatto, ma è stata lei!

Con un ultimo gesto, quasi a suggellare la sua “dichiarazione” alzo il braccio, additando Cassandra con l’indice puntato.

Melania si strinse ancor più a sua madre, frignando con  maggior veemenza.

Basta! Non sarebbe rimasta in quella stanza un minuto di più! - La vera strega sei tu Betty e tutte quante voi! – Strillò alla fine Cassandra. S’alzò con foga dalla sedia.

Tentò di guadagnare la porta con un agile balzo delle lunghe gambe, ma le mani della signora Matilda l’afferrarono all’ultimo momento, affondando le unghie negli avambracci.

- Lasciami, lasciami!

- E no, carina… questa volta hai commesso un furto! E voglio denunciarti!  Si hai capito,  adesso chiamo il commissariato e ti faccio sbattere in galera, o meglio in qualche ospedali per pazzi!

- Lasciami,  tu sei pazza!

Ormai erano diventate due masse indistinte di braccia e gambe, nessuno osava avvicinarsi, per paura di prenderle…  Melania, Betty e Danielle, guardavano la scena inorridite.

- Sei tu la pazza e sei pericolosa! Tua zia,  questa volta,  verrà in gattabuia a recuperarti… Se mai decideranno di farti uscire!

- No, no…

I servi tentavano di accorrere da ogni parte della casa, ma nessuno faceva qualcosa di veramente intelligente, tipo prendere in mano una cornetta del telefono e chiamare la polizia. Poi uno schianto improvviso fece sobbalzare tutti. La casa subì un contraccolpo che quasi ne fece tremare le fondamenta. I cristalli dei lampadari dell’ingresso tintinnarono pericolosamente… ed infine la porta, il maestoso portone intarsiato cadde con un fragore assortante sul marmo lucido dell’immensa anticamera. Tutti si fermarono sbalorditi… in attesa di vedere spuntare il mostro osceno che aveva provocato quel disastro!

Forse è entrato un camion in casa Carringthon “ Pensò tutta gongolante Cassandra “E’ la giusta punizione che meritano!”

Ma dalla porta abbattuta si parò nell’ingresso…  

soltanto un uomo…

Era però così grande e grosso, che Cassandra ebbe l’impressione di vederlo sbattere contro i pendenti del maestoso lampadario di cristallo.

E sì, che quello era in alto!

L’uomo era un vero orco,  e non c’era parola più azzeccata, per descriverlo.

Aveva capelli arruffati lunghi e neri ed una folta barba che sembrava nascondergli quasi completamente il viso. Il cappotto che indossava era scuro, liso ed impolverato e lo rendeva, se possibile, ancor più imponente. E, cosa ben peggiore, prese a squadrarli dall’alto in basso, con quell’aria torva e sinistra… uno per uno…

Mentre tutti trattenevano il respiro, con un orribile risucchio di sottofondo, Cassandra sola ebbe il coraggio di ricambiare quello sguardo agghiacciante…

E con sua enorme sorpresa vide una luce irridente ed allegra, brillare sotto quelle ispide sopracciglia color ebano.

In un impeto di ottimismo, realizzò che quel gigante non era li per far del male… Non era li per far del male a nessuno.

Forse era venuto… a salvarla??? Di certo aveva dimostrato di possedere un tempismo perfetto!

Ignaro di tutti i suoi pensieri, e per tutta risposta, l’uomo, mise una delle sue enormi mani in una tasca del pastrano, rovistandovi rumorosamente… E quando fece per tirarvi fuori qualcosa di voluminoso, la signora Matilda svenne, cadendo in malo modo sul pavimento, e le tre stronzette di Melania, Betty e Danielle strillarono come ossesse “AHHH.. ha un’arma, ha un arma! Ci ucciderà tutti!!!!

Ma l’omone, non curandosi  dello scompiglio che stava provocando…  nella mano stringeva solo quello che poteva definirsi un foglio… Un qualcosa di rettangolare, cartaceo e tutto stropicciato.

Lo osservò aggrottando l’espressione del viso… lo rigirò un po’ di volte e poi…

Poi… sollevò lo sguardo indagatore…puntandolo proprio su Cassandra, che fra tutti era l’unica rimasta in piedi, ad osservarlo in silenzio.

- Uhm... – Si schiarì rumorosamente la voce -   Sei tu, Cassandra Reilly? –

Lì per lì, lei non voleva rispondere. Che diavolo le sarebbe successo, se l’avesse fatto? L’avrebbe spiaccicata contro la parete, con un semplice buffetto della mano?

Visto le sue  dimensioni, avrebbe potuto farlo tranquillamente.

Ma, a dispetto di tutti gli orrendi pensieri che le frullavano per la mente in quell’istante, Cassandra alzò il viso deglutendo, nel tentativo di far apparire la sua voce chiara e distinta.

- Sì, certo,  sono io signore.  Cosa ho… combinato questa volta?

L’uomo l’osservò arcignamente, con quegli occhioni neri, enormi ed espressivi  tanto che Cassandra sentì il sangue defluirle da viso, lentamente.

Niente poteva far credere, in quella pesante atmosfera che il gigante si sarebbe messo a ridere di cuore, battendosi le mani enormi sulle gambe.

- Ah!Ah! E’ chi l’avrebbe mai detto, che sarei venuto a pescarti nel bel mezzo di questo casino! Vieni, ragazza è ora di lasciare questo assurdo mondo di babbani!

- Come dice, prego? – Replicò educatamente Cassandra, non potendo quasi più credere alle sue orecchie.

Alle sue spalle, percepì, quasi fosse lontano chilometri, il rumore sordo del  corpo di Danielle, che cadeva lungo disteso sul pavimento. Le altre due sciocche, l’avevano preceduta da tempo!

- Ti spiegherò strada facendo, ragazza! Ehm… -  L’uomo si chinò verso di lei, nell’inutile gesto di sussurrarle qualcosa all’orecchio. – Credo si stia facendo tardi!…- Bisbigliò…

Ma perché diavolo sussurrava, se tanto,  più nessuno poteva udirli!? Erano tutti KO… Svenuti, tramortiti dalla paura. 

- E già, si sta facendo tardi…- Lo assecondò Cassandra, sottolineando le sue parole con eloquenti gesti del capo. In verità non aveva sinceramente idea di cosa le stesse accadendo attorno, né cosa potesse volere da lei, quel pazzo scatenato.

Nel frattempo, l’uomo era tornato ad armeggiare nell’enorme tasca del mostruoso cappotto, ed infine, dopo lotte e strattoni, ne tirò fuori un ombrello d’un allegro color rosa, ma tutto contorto e scassato. Sorrise, in modo buffo all’indirizzo di Cassandra, e l’agitò nell’aria più volte,  in modo assai strano.

Cassandra lo guardava attonita, attendendo lo schiaffone o il gesto che l’avrebbe risvegliata da quel terribile sogno… “Santo cielo… E’ tutto scemo! Ora mi darà una botta in testa con quell’arnese e mi sveglierò” – Pensava febbrilmente.

Ma il gigante, invece, dopo aver abbassato l’ombrello, l’afferrò con la smisurata mano, sollevandola da terra,  con incredibile facilità.

 Ora il suo viso, occupava tutto il  campo visivo della ragazzina…

- Adesso, tutti questi bei ceffi dormiranno per un bel po’… Cassandra. E nessuno, ti assicuro, si ricorderà di quel che è successo qui,  oggi!

Cassandra sgranò gli occhi. – Wow, anche del casino che ho combinato alla bici di Melania?

L’uomo annuì prontamente, scotendo il testone – Certo! Ma… tu ehm… tu non dire a nessuno … di  quello che ho fatto con il mio ombrello. Sarà un nostro segreto, Intesi?

Cassandra annuì, poco convinta. Non sapeva bene cosa fare, se svenire o ridere. Gridare, urlare aiuto o semplicemente restare fra le braccia del gigante…

Ma infondo… lui era buono o era pazzo?

E chi poteva dirlo?

*

 

Fuori era ormai buio.  La pungente aria della sera, le investì il viso, costringendola a ripararsi ancor più fra le braccia dell’uomo. Non sapeva bene perché, ma ora non lo temeva più, né provava paura. Vide che si stavano dirigendo verso una moto, grossa almeno quanto il suo proprietario.

Cassandra, sbatté più volte le ciglia, non credendo ai suoi occhi. La moto era enorme, ma in confronto al gigante, sembrava ridicolmente piccola! La paura tornò prepotentemente ad impossessarsi di lei.

Solo allora, realizzò che si trovava fra le braccia di un energumeno sconosciuto. Poteva essere chiunque. E  dove la stava portando,  dove???

Comincio a picchiare i piccoli pugni sulla spalla del gigante – Lasciami, lasciami giù! Devo tornare a casa! Devo tornare dalla zia Marion!

L’uomo la scrutò con uno sguardo divertito negli occhi – Oh, sì, ci stiamo andando. Dovrai salutarla, sai!

Cassandra arrestò il pugno a mezz’aria – Salutarla? E perché?

- Ti  porterò in quella che sarà la tua nuova casa,  per un po’ di tempo!

- Davvero? E dov’è? – Chiese. Ad un tratto, si era calmata, e anche incuriosita. Forse non voleva rapirla, dopotutto, se prima le permetteva di passare a casa sua!

- Verrai con me alla migliore scuola di magia del mondo, ragazzina!

- Magia? Ma io…io non so niente di “magia”! Non sono una maga... ops, forse è meglio dire una strega, vero?

L’uomo gli sorrise allegramente, mentre la faceva accomodare sul sellino della moto, davanti a lui.

- Certo che lo sei!

La risposta la lasciò talmente attonita, che non ebbe il fiato per replicare. Con un gran baccano intanto, che minacciò di forarle i timpani, lo sconosciuto aveva avviato la moto.

Cassandra, avrebbe voluto fargli altre mille domande, ma le sue palpebre erano diventate improvvisamente pesanti, pesanti come macigni. Non riusciva a tenerle sollevate, non ricordava di esser stata mai colta, da un sonno così folgorante, in tutta la sua vita!

Il gigante, sorrise soddisfatto, mentre volava con la sua moto sopra i tetti della piccola città. Con un’imponente manona, coprì il capo della ragazzina, in un gesto protettivo.

“ Dormi, piccola, dormi. Domani andremo a far compere giù in città, e poi via… via ad Hogwarts!

 

Una debole luce grigia penetrava dalle svolazzanti tendine alle finestre. Era la classica mattinata di fine ottobre.   Cassandra aprì gli occhi di malavoglia. Il sonno che aveva fatto la notte scorsa era stato davvero incredibile! Il misterioso incidente alla bici di Melania, la litigata furibonda con sua madre, e per ultimo, il pezzo che aveva preferito fra tutti: l’irruzione del gigante buono.

Che buffo, ne ricordava in modo così vivido i lineamenti ed il viso,  ma non ne conosceva il nome.

“Beh, tutti i sogni hanno un qualcosa di strano! – Pensò mentre si stiracchiava, sollevandosi dalla calda coltre di coperte. – E questo, giuro, è il più strano che io abbia mai fatto! –

Stava ancora contemplando la piccola scrivania in disordine, cercando di prendere il coraggio a due mani,  e saltare fuori dal letto, quando lo sguardo gli cadde distrattamente sul polso della sua mano destra. Era gonfio e livido in più punti!

Istintivamente lo sfiorò con l’altra mano, solo per accertarsi di aver visto bene… Una fitta di dolore l’attraversò immediatamente non appena se lo strinse.

In preda ad una frenesia improvvisa, sollevo la manica della sua camicia da notte. Il braccio destro pareva esser stato oggetto di uno strano trattamento. Graffi e arrossamenti vari lo ricoprivano quasi completamente.

Cassandra deglutì, ricordando improvvisamente il suo scontro con la signora Matilda Carringthon… Ma allora, era stato tutto vero?

Era ancora in preda alle sensazioni più strane che avesse mai avvertito, quando sua  zia Marion si catapultò letteralmente nella piccola cameretta.

- Oh, Cassie!  E’ mai possibile che tu debba sempre far tardi! Hagrid è già di sotto, ad aspettarti!

Cassandra la osservò come se l’avesse vista per la prima volta,  in vita sua!

- Mi aspetta, chi?

- Hagrid, ragazza mia! Su forza, preparati.  Sto mettendo su il te per la colazione. Ah, quel benedetto uomo ne beve, da solo, più di due litri! Dovrò sbrigarmi. Forza, ti aspettiamo di sotto.

Cassandra schizzò fuori dal letto, incurante dei suoi piedi nudi, sul freddo pavimento e della camicia da notte, che nella foga gli si era arricciata tutta, scoprendole abbondantemente le gambe agili e snelle.

- Ma, zia che dici? CHI DIAVOLO E’….HAGRID???

L’anziana signora, aggrottò le sopracciglia ricambiando lo sguardo attonito della nipote.

- Ma come? La persona che ti ha accompagnato a casa ieri sera! Santo cielo, dove hai la testa, Cassie!

Senza curarsi più di tanto, dell’espressione sgomenta sul viso della nipote, la donna uscì con aria decisa, lasciandola sola nella stanza.

Cassandra, si tuffò nel letto, coprendosi la testa con il cuscino. Non poteva essere vero! No, non era vero!  Perché quel sogno la perseguitava. Era stata forse vittima di qualche maleficio!

Non voleva crederci. Non voleva pensarci! Era troppo bello per essere vero.

E quando si sarebbe svegliata, il dolore sarebbe stato troppo acuto. Troppo devastante.

Lo sapeva bene, lei, cosa significava sognare. Aspettare, attendere  e poi vedersi infrangere le speranze come delicati oggetti di cristallo, che sfuggivano improvvisamente dalla sue mani tremanti.

Si alzò risoluta dal letto, si vestì. Si spazzolò cosi tante volte i lunghi capelli fino a farli brillare come metallo fuso e, con un grande sospirò usci dalla stanza, accingendosi a scendere nel soggiorno.

Sentì la voce della zia,  conversava amabilmente con qualcuno.  Sporse titubante la testa dall’ingresso e vide la sagoma imponente dell’uomo che l’aveva salvata la sera prima, dalle ire di Matilda Carringthon.

Si ritrasse di scatto, appiattendosi contro la parete del corridoio. “ Santo cielo! Ma allora è proprio vero! E’ tutto vero, non sognavo!”   

Trattenne il respiro, incrociando le dita “ E’ la tua occasione, Cassandra! Vai, vai adesso, o mai più!”

Usci dall’improvvisato nascondiglio, e finalmente si presentò dinanzi a sua zia e…al misterioso Hagrid.

La zia l’accolse con un caldo sorriso.

- Oh, tesoro, ti stavamo aspettando! Forza, siedi e mangia qualcosa. Hai una giornata intensa oggi!                                                          

Hagrid, o chiunque fosse, le sorrise a sua volta, agitando l’imponente mano a mo’ di saluto.

- Ciao, Cassandra! Dormito bene?

- Si, signore…- Biascicò in risposta,  letteralmente sopraffatta da un’improvvisa timidezza.

-Oh, puoi chiamarmi Hagrid e dammi del tu!

Replicò gioviale,  porgendogli la smisurata mano. Cassandra la osservò, alzando poi lo sguardo sul volto dell’uomo. Il suo viso arcigno,  non poteva nascondere la bontà smisurata che trapelava dai suoi occhi. Erano occhi d’una dolcezza infinita…

Cassandra sorrise a sua volta, porgendogli la mano, che venne letteralmente inghiottita da quella di Hagrid.

- Bene! – Esclamò la zia Marion, con gli occhi già lucidi per l’emozione. – Ora, mangiamo qualcosa. Abbiamo ancora molte cose da fare Cassandra, prima della tua partenza!

La ragazza non si fece pregare. Sedendosi al  piccolo tavolo, iniziò a servirsi, mentre sua zia ed Hagrid conversavano piacevolmente.

Era la più bella mattina che avesse vissuto, da tanto,  tanto tempo.

Solo nella tarda mattinata, riuscì finalmente a mettere il piede fuori casa, con Hagrid che attendeva silenzio poco lontano, salutò la zia.

Ovviamente, zia Marion, piangeva come una fontana. Era incredibilmente sensibile! Ogni piccola cosa la faceva commuovere. Immaginarsi quindi, la sua nipotina che partiva per andare al college… ops… e che college... Nientemeno che una scuola di magia!                                                                                 

- Ti prego cara, scrivi, appena puoi…- Si raccomandò. – E torna per le vacanze di natale! –

Cassandra la salutò frettolosamente. Non voleva certo che la situazione degenerasse, unendosi alla sua commozione!

Raggiunse Hadrid, cercando rifugio fra le sue braccia smisurate, e s’accomodò sul sellino della moto, senza voltarsi indietro.  Con una violenta accelerazione, Hagrid portò il suo poderoso mezzo sulla strada principale. L’aria fredda faceva svolazzare ed aggrovigliare i capelli di Cassandra, e le timide lacrime che s’erano affacciate sulle sue palpebre, furono spazzare anch’esse dal vento.

*

Londra era una città caotica e rumorosa. Cassandra non l’aveva mai vista. Ne restò ovviamente impressionata. Quando scese dalla moto del gigante, ebbe la spiacevole sensazione di non reggersi proprio bene sulle sue gambe! Il viaggio era stato tutt’altro che comodo.

- Ehm… Hagrid.

- Sì, piccola?

- Ma perché non abbiamo viaggiato come l’altra notte… Mi sembrava fosse stato più veloce, e più piacevole!

Il gigante le lanciò uno sguardo perplesso, mentre un evidente sentimento di tenerezza, illuminava i suoi occhi scuri. - Non sempre si può viaggiare in quella maniera…

Cassandra non tentò di approfondire il discorso, era ovvio che l’uomo non le avrebbe detto nulla di più.   Tentò di concentrarsi sul panorama che aveva attorno, ma le vie e le tante persone che le affollavano, sembravano tutte terribilmente uguali e monotone. Aveva la testa  nel pallone, se Hagrid l’avesse lasciata lì da sola,  non sarebbe mai riuscita ad orientarsi… per ritornare a casa!

Dopo aver girovagato un bel po’ per la città, Hagrid sembrò aver trovato la sua meta.  Imboccarono risoluti, una via piuttosto piccola e lontana dalla principale. S’infilarono quindi  in un bar, un locale squallido e malridotto,  che  Cassandra non avrebbe mai e poi mai notato, se non fosse stato per l’energumeno barbuto che teneva delicatamente la sua mano.  La malconcia insegna, identificava il locale con un nome alquanto bizzarro “ Il paiolo magico” e  Cassandra scorgendolo, pensò immediatamente che all’interno avrebbe potuto finalmente vedere e toccare con mano,  qualche diavoleria  assolutamente fuori dal normale…!

Ma dovette ricredersi. Quel posto era solo buio e anonimo.  Pochi avventori sedevano su rozzi tavoli in legno. Gettò attorno, uno sguardo sbigottito. E dove diavolo era la magia?

Lo sguardo le cadde distrattamente sui vetri, sporchi di fuliggine e di smog, adornati da minuscole e lise tendine.  I passanti all’esterno sembravano quasi non notare quel posto, e filavano veloci sui marciapiedi,  quasi non potessero scorgerlo.

Ma dove era,  in realtà?

Il vocione allegro di Hagrid la distolse dai suoi pensieri. Evidentemente l’uomo era ben noto, da quelle parti.

- Heilà,  Hagrid,  qual buon vento ti  porta ?                                           

- Salve, Tom!

- Il solito, Rubeus?

L’omone contorse il viso in una buffa espressione. – No, non posso,  sono in servizio per Hogwarts.

Hogwarts”… Cassandra provò un brivido all’udire quel nome. Le parve potesse contenere, in quelle poche sillabe… un intero mondo magico. Un universo sconosciuto e fantastico…

Era la sua destinazione finale?  Il  luogo dove le avrebbero detto se… se lei era una strega, oppure no?

Sentì Hagrid salutare cordialmente anche gli altri “frequentatori” dell’anonimo pub, e strattonarla verso una porta secondaria che li introdusse in un piccolo cortiletto, spoglio e dimenticato.

- Ora si va a comprare il tuo corredo scolastico, piccola!

Ancora una volta Cassandra non poteva credere alle sue orecchie, o per meglio dire ai suoi occhi.  Erano in un cortiletto,  buio, piccolo, malconcio e maleodorante, come diavolo avrebbero fatto a comprare il suo “corredo scolastico?”

E sì,  che ne aveva viste fare di cose strane,  a quell’omone! Ma ancora avvertiva una sorta di  diffidenza,  una specie di sottile scetticismo che non l’abbandonava. 

Nella sua, pur vivida immaginazione, resisteva una piccola riserva mentale…una forza misteriosa che le poneva un freno. Un’inibizione che non le lasciava possibilità di gustare veramente la realtà,  che stava vivendo.

Ovviamente ignaro,  di tutti gli strani pensieri che attraversavano la mente della ragazzina, Hagrid aveva sfoderato di nuovo il suo ombrello rosa, ed ora lo stava battendo su alcuni escoriati mattoni del fatiscente muro. Improvvisamente  si formò un piccolo buco, proprio sull’ultimo mattone che Hagrid aveva toccato. Il buco si fece via via più grande, fino a diventare un piccolo arco, sotto di cui il gigante passò, abbassando cautamente la testa e Cassandra attraversò senza alcuno sforzo. Una volta dall’altra parte, Hagrid si erse in tutta la sua incredibile altezza, allargando il braccio in modo teatrale, mentre Cassandra restava letteralmente appesa alla sua manona, con gli occhi sgranati in un’espressione sgomenta e meravigliata al tempo stesso.

- Benvenuta a Diagon Alley, piccola!

La ragazzina, ancor prima di rivolgere curiosamente lo sguardo attorno,  ebbe l’impulso di girarsi indietro… Il fatiscente muro di quel piccolo cortile,  si era prima ricomposto e poi era del tutto sparito, inghiottito magicamente dalla strada che ora stavano percorrendo e che si snodava, tra mille vetrine e strani negozi,  proprio davanti ai suoi occhi.

Cassandra, era ammaliata, stregata, conquistata! Non riusciva a proferir parola,  avanzava traballante al fianco di Hagrid, che la strattonava in continuazione per non farla risucchiare fra le decine e decine di persone che affollavano l’ angusta  stradina.  C’erano personaggi di ogni tipo. Donne giovani e bellissime, vestite in modi alquanto insoliti, brandivano scope lucide e coloratissime. Donne anziane, dall’aspetto spaventoso, uomini che le passavano accanto con aria frettolosa, abbigliati con lunghissimi mantelli neri e alti capelli a cilindro.  E… ragazzini,  gruppi di innumerevoli e rumorosi ragazzini,  che si fermavano ad ogni vetrina, brandivano in mano strani gelati e caramelle. Ridevano e correvano come pazzi, incuranti del caos terribile intorno a loro.

Cassandra osservava tutto a bocca aperta, e per ogni cosa che vedeva,  avrebbe voluto porre un quesito ad Hagrid, o chiedere una spiegazione. Ovviamente non s’azzardava a farlo! Il gigante barbuto la stava letteralmente sospingendo verso un’enorme edificio, dove campeggiava a  grandi e maestose lettere dorate  la scritta “ GRINGOTT BANK”

- Vieni, - L’apostrofò. – Dobbiamo fare un prelievo al conto della scuola, per le tue necessità,  ovviamente.  Poi via a far le compere!- Dichiarò,  tutto eccitato.

Cassandra deglutì frastornata,  annuendo con un esile movimento del capo. Le parole ancora non si decidevano ad uscirle dalla bocca…

        

Non ne poteva più! Se qualcuno le avesse chiesto in quanti e quali negozi aveva messo piede in quel pomeriggio,  non avrebbe sicuramente saputo rispondere.

Era stravolta. Stanca, assonnata, ma irrimediabilmente felice! Ed ora,  mentre era finalmente seduta, sì, doveva ammetterlo, mai in vita sua aveva provato una spossatezza più dolce, più  incantevole, più appagante.

Sparpagliati in disordine sul tavolino davanti a se, un’innumerevole quantità di sacchetti e piccoli libri, nella mano stringeva un’enorme gelato al pistacchio, il suo gusto preferito, che però incredibilmente a volte cambiava aroma diventando, ora vaniglia, ora cioccolato. Era un gelato magico, le aveva spiegato Hagrid.

E poi, c’era un’altra cosa, che l’aveva riempita di gioia in quell’incredibile giornata… Era nata un’amicizia. Una vera amicizia. Lei ed Hagrid si erano trovati magnificamente insieme. Quasi si fossero conosciuti da anni.

Quell’omone dall’aria tenebrosa, era una persona mite e gentile.  E quella tenerezza le aveva aperto il cuore. Cassandra sarebbe stata pronta a raccontarle qualsiasi cosa di lei, della sua vita fino a quel giorno. Delle sue paure, delle sue ansie, per questa nuova, incredibile, inaspettata avventura. Ed in quell’atmosfera magica, (quale altro luogo poteva esserlo più di quello?), sulla piazzetta che confluiva in Diagon Alley, con la luce del giorno che andava spegnendosi…   Hagrid, incredibilmente le pose una domanda…personale…

Si vedeva chiaramente che moriva dalla voglia di fargliela..

- Ehm…  senti Cassandra, come ti trovavi nel mondo dei babbani, avevi problemi, vero?

- Ma ‘che sono i babbani? - Domandò lei, in risposta. Si era fatta una vaga idea di quel che poteva significare quella strana parola, ma voleva averne conferma.

Hagrid, sorrise dietro l'enorme barba. - Sono le persone senza poteri magici!

Cassandra fece una smorfia, battendosi una mano sulla fronte. - Eh, già avrei dovuto capirlo da sola! Ma che maga sono?

Lui gli lanciò un'occhiata affettuosa,  dandogli un buffetto sulla guancia, ma non replicò. Era chiaro che voleva che continuasse.  Voleva saperne di più...

Cassandra si guardò attorno per un attimo,  smarrita, poi riprese a parlare, con la voce che tradiva la leggera ansia che provava. - Beh, non è sempre stato facile vivere in quel mondo. La zia è stata davvero… molto buona con me,  una vera ancora di salvezza. Forse è solo per merito suo che sono riuscita ad andare avanti!

- Scommetto che ti succedevano un sacco di cose strane, che non riuscivi a controllare o capire, quando ti arrabbiavi davvero, non è così? - La incalzò Hadrig, scolandosi l'imponente bicchiere di idromele, che aveva ordinato.

- Già. - Convenne lei. -  Ed ora che ho visto tutto questo, Hagrid,  avrei solo voluto avere una bacchetta magica  a disposizione,  e cambiare le cose schifose che spesso accadevano. Dici che potrò subito imparare ad usare i... miei poteri?

Si volto entusiasta verso l'uomo, ma questi aveva assunto una faccia indecifrabile, e alzandosi con foga aveva cominciato a raccogliere tutto l'enorme bagaglio che si portavano dietro.

- Oh cielo! Per tutti i draghi d'Irlanda! -  Continuava a bofonchiare, mentre raccattava i libri ed il pentolone - Ho dimenticato di portarti da Olivander! Ma che sbadato sono, che sbadato!

Cassandra, rimase interdetta, con il gelato che le colava nella mano - Ma che hai,  Hagrid? Chi è Olivander?

- Spero solo non sia già chiuso! - Parlava ancora da solo, l'omone. La strattonò con impazienza, mettendosi quasi a correre nell'affollato marciapiede. Alto e grosso com'era, non faceva certo fatica ad aprirsi un varco fra la gente.  Solo Cassandra, pativa la scomodità della situazione. Appesa quasi, all'enorme braccio dell'uomo, gli arrancava dietro saltellando e correndo come poteva.  Quando finalmente Hagrid arrestò la sua corsa, dinanzi ad una vetrina, vecchia, scura ed impolverata, Cassandra tirò un sospiro di sollievo. Entrarono, ritrovandosi in un locale che non era certo meglio della vetrina! Si presentava buio e angusto ed era permeato dall’inconfondibile odore della muffa e dello stantio.  Cassandra si guardò attorno angosciata, nel disperato tentativo d’intravedere un cestino. Ciò che rimaneva del suo gustoso gelato, era purtroppo ormai immangiabile. Ma una voce alle sue spalle la fece sussultare.

- In ritardo, eh?  Per fortuna che ho parecchio da fare  e non ho ancora chiuso il negozio…

Una donna, di cui non avrebbe mai saputo indovinare l’età, la osservava dall’alto della sua imponente statura. Aveva lunghi capelli, dell’incredibile color carta da zucchero, era snella, indossava un abito dell’identica nuance della stravagante capigliatura, stretto in vita, con un’ampia gonna formata da strati e strati di tulle, da cui spuntavano le sottile scarpe appuntite, fornite di tacchi,  semplicemente, vertiginosi!

Cassandra cercò di non dimostrarsi troppo sfrontata, nel fissarla così apertamente, ma non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi, color miele, che la scrutavano attraverso lenti piccolissime, quadrate,  incastonate in una montatura d’osso di tartaruga.

- Oh, salve! – Tuonò Hagrid, e  Cassandra un po’ si riscosse, dal torpore che l’aveva assalita improvvisamente.

- Buonasera… - Rispose la donna.  Poi ritornò, con il suo sguardo indagatore, sul viso di Cassandra.  Aveva un’aria perplessa, ed allo stesso tempo divertita. – Allora, cosa abbiamo qui? Una bella ragazzina che inizia un po’ in ritardo la scuola, credo…

- Uhmm, già. – S’intromise Hagrid, schiarendosi la voce. – Vediamo di … fargli trovare una bella bacchetta, che dice? Eh… - Continuò quindi, con modi ossequiosi. – Non c’è mica il sig. Olivander?         

- No, sono una nipote, Hèlena. Lui starà via per un periodo. - Replicò lei, con l’aria di chi però la sapeva lunga. E infatti continuò a chiacchierare, sebbene nessuno glielo avesse chiesto. – Sa, credo che starà via proprio un bel po’.  E’ andato in Transilvania. Un periodo di riposo…

- Humm, già, già – Tentava di tagliar corto, Hagrid, mentre Cassandra, gli piazzava in mano il resto del suo gelato, e guardava incuriosita i ripiani e gli scaffali impolverati. Erano stracolmi di piccole scatole rettangolari di ogni materiale e misura. Solo quando la donna si decise a  darsi da fare, con le suddette scatole,  Cassandra comprese cosa vi era custodito dentro.

Da una di loro, estrasse un oggetto lungo, appuntito ed estremamente elegante… Una bacchetta magica, senza dubbio!

Hèlena, continuando imperterrita a spettegolare con un annoiato Hagrid, la porse a Cassandra. Un po’ incerta, lei la prese fra le dita e rimase lì, immobile, con la sottile asta fra le mani.

La donna, si zittì per un secondo e la guardò accigliata. - Beh, ragazzina, prova a muoverla, non senti niente?

Cassandra voleva sprofondare.  Doveva forse già sapere come ci si comportava con una bacchetta in mano? Probabilmente sì… e il pensiero, la depresse all’istante. Facendosi coraggio, la mosse debolmente, dal basso verso l’alto, e improvvisamente il rumore di uno schiocco secco, invase la stanza. La vetrina di una piccola teca, alle spalle del bancone esplose, lanciando frammenti di vetro ovunque.

NO!!! Cosa aveva fatto!!! Avrebbe voluto morire, sparire,  auto-cancellarsi immediatamente! Possibile che fosse solo brava a combinare guai?  Guardò con aria contrita la donna. Ma questa, con suo grande stupore, non le prestava la benché minima attenzione. Era piuttosto occupata a pensare. Con il viso corrugato in una strana espressione, osservava la bacchetta e parlava tra se e se. – Umhmm… No. Legno di faggio e peli di unicorno. Non va bene. Prova questa. Platano e piume di Ippogrifo, otto pollici e mezzo.

Sfilò via dalle mani, della sempre più confusa Cassandra, la bacchetta e gliene porse svelta un’altra.

Lei l’afferrò titubante. Che cosa sarebbe successo, stavolta?

Niente… non successe  nulla!

La ragazzina volse il suo sguardo angosciato al viso di Hagrid, che sorrise, tentando di rincuorarla. Un secondo dopo… il vetro del quadro appeso sopra l’ingresso andava in frantumi, cadendo rumorosamente sul pavimento.

Che disastro!!!  Pensò Cassandra angosciata. Avrebbe mai trovato quel che faceva al caso suo? Ma era la sua mente a creare quelli scompigli?

La tortura andò avanti per un bel po’.  Alla fine, Hèlena, che ad ogni modo, sembrava prendere di buon grado la strana “sfida”  fra Cassandra e le bacchette magiche, gliene porse una che aveva pescato da uno scaffale, quasi del tutto dimenticato, in fondo al negozio.

- Bhe, infine, ti farei provare questa! – Esclamò, tergendosi le piccole gocce di sudore che le imperlavano la fronte pallida. – Anche se, non credo.  Ma dai, vediamo!

Cassandra allungò la mano, che ormai tremava visibilmente. Era in preda allo sconforto più totale… Ma si fece forza, e strinse con vigore le piccole dita sull’impugnatura fredda e solida dell’asticella che le porgeva la donna. Questa divenne improvvisamente calda e malleabile sotto il suo tocco, quasi fluida fra le sue mani.  Una misteriosa e corroborante energia parve sprigionarsi dal sottile pezzo di legno. Le percorse il braccio, le spalle, la mente il cuore… Cassandra la mosse, piegando con grazia il polso, una movenza che nessuno le aveva mai insegnato. Che non aveva mai visto fare, ma che indubbiamente era celata nei meandri della sua mente. Dalla punta della bacchetta si diffusero tutt’intorno, una cascata di piccole stelline dorate.  Fluttuavano leggere nella stanza per poi disperdersi misteriosamente, proprio come si erano formate.

Hagrid, batté le mani, felice.

Cassandra guardò meravigliata la mano, quasi stentasse a credere,  che fosse proprio la sua…

Solo la donna contemplava la scena con fredda lucidità, mentre un sorriso sornione le increspava le labbra sottili.

- Uhmm, è stata dura, ma alla fine ce l’abbiamo fatta! – Esclamò trionfante, quindi si piegò agilmente sulle ginocchia, ponendo il suo viso alla stessa altezza di quello di Cassandra. I suoi occhi, dall’incredibile color miele dorato, la squadrarono senza quasi batter ciglia.

Cassandra dopo euforia, si sentì improvvisamente intimorita.

- Ricordati, ragazzina, è la bacchetta che sceglie il mago! E’ questa è una bacchetta, molto particolare… – Prese a dire Hèlena, scandendo le parole con lentezza quasi esasperante. – Nove pollici e mezzo, elastica, elegante, femminile… Legno d’ebano intriso a polvere di Luna  ed essenza di lacrime di Fenice. 

I suoi occhi magici, andavano ora dalla bacchetta, ora al viso di Cassandra. - E’ molto potente,  sai! Può distruggere o sanare.  Dipende solo,  da che tipo di maga, tu vorrai essere…

Le sue parole parvero restar sospese nell’aria soffocante e polverosa del negozio, quasi fossero un’oscura predizione. Ma fu solo per un attimo. La donna si rialzò, velocemente, sistemandosi i capelli con un gesto distratto -  Sono veramente distrutta! - continuò con aria di sufficienza. – Per oggi ne ho abbastanza! 

Si diresse quindi alla cassa, dietro al bancone, mise nelle mani di Cassandra la malconcia scatola di cartone della bacchetta, attese Hagrid, che pagò, e finalmente osservò i due avvicinarsi all’uscita del negozio.

- Beh, buonasera, signorina Hélena. Porga i miei saluti al sig. Olivander. – Tuonò ossequioso Hagrid. Nascosta dall’imponente omone, anche Cassandra salutò riverente, ma aveva dipinta sul viso un’evidente espressione mortificata. Si sentiva ancora pesantemente in colpa per i danni che aveva combinato. La donna invece, rispose allegra al suo saluto e finalmente  richiuse la porta,  alle loro spalle, tirando un sospiro di sollievo.

Avere come ultima cliente, di una giornata, di per sé già  faticosa,  quella ragazzina, era stato un vero sfinimento! Mentre riponeva nelle scatole,  le varie bacchette che aveva esibito, notò un fogliettino tutto ingiallito e stropicciato, dimenticato proprio sul bancone. “ Ma cos’è?”  Si domandò incuriosita.

Lo aprì, con una vaga espressione risentita sul viso. Non era da lei dimenticare le cose o bigliettini in giro. Nel piccolo foglio di carta erano vergate alcune parole, con l’inconfondibile calligrafia, storta e disordinata dello zio…

“Santo cielo” – Esclamò. – Quell’uomo non può proprio far a meno di annotare tutte le stranezze che combina in ogni bacchetta che confeziona!

 “Legno pregiato di Ebano, polvere di Luna, essenza di lacrime di Fenice. “Vi era scritto.

“Era nella scatola della bacchetta,  che ho venduto alla ragazzina!” Mormorò Hèlena, andando avanti a leggere, sempre più incuriosita.

“Importante Particolarità: la Fenice che ha prodotto le lacrime, la cui essenza è imprigionata in questa bacchetta, ha fornito con la sua coda, anche due piume. Due piume soltanto... Vi sono state confezionate due particolari bacchette. L’una venduta a Colui-che-non-si-può-nominare,  l’altra al signor Harry Potter, figlio di Lily e James Potter.

Hèlena scrutò pensierosa, la strana annotazione “Harry Potter! Lord Vold…ops, Colui-che-non si può-nominare! Santo Cielo!”

Corrugando il viso in una strana espressione si chiese se, non era il caso di richiamare quell’omone e la ragazzina ed informarli della cosa. Poi con un’alzata di spalle, ripose nell’ultimo cassetto della scrivania, il fogliettino. Non aveva tempo di riflettere su certe cose, ora! Aveva da sistemare tutto il negozio. Ne avrebbe riparlato con lo zio, una volta che fosse rientrato, dal suo lungo, lunghissimo periodo di vacanza.

 

***

 

   
 
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