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Autore: Carlos Olivera    19/11/2009    1 recensioni
Cosa può spingere un uomo a rinnegare tutto ciò che ha sempre creduto, abbandonare i precetti che hanno governato la sua esistenza e rendersi partecipe di crimini innominabili?
Dolore, rabbia, frustrazione, odio, invidia. Tutto ciò può condurre all'abisso del male, e una volta che vi si è entrati la caduta è inesorabile.
Anno 1124
Due giovani assassini vengono incaricati dal loro maestro ormai morente di compiere un'ultima missione per le affollate strade di Baghdad, un paradiso di cultura e di conoscenza su cui alberga però un'ombra minacciosa. Nessuno sarà risparmiato, e l'unica cosa che attende loro, come molti altri, è il dolore, il dolore in tutte le sue più crudeli e terribili forme.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Anche se parecchio malconci e inseguiti da metà della guarnigione cittadina Altair e Kahled riuscirono miracolosamente a fare ritorno alla dimora senza essere visti, e vedendoli tornare in quelle condizioni, ansimanti e quasi svenuti per la stanchezza, il Rafiq, dopo averli condotti nuovamente nel suo studio, diede loro dell’acqua, riservandosi però di pretendere doverose spiegazione.

            «Qualcuno vorrebbe spiegarmi che cazzo è successo lì dentro?» sbottò Samir, che in situazioni simili era solito diventare terribilmente scurrile

            «Era una trappola.» rispose Altair «Sapevano del nostro arrivo. Ci aspettavano.»

            «Merda! Quel Jahal è più furbo di quanto mi aspettassi. E Mira?»

            «Non l’abbiamo vista. A questo punto, dobbiamo presumere che sia stata uccisa, visto che gli ordini erano di non cadere vivi nelle mani del nemico».

            Una simile prospettiva quasi fermò il cuore di Kahled, il quale però non poteva né voleva credere ad una simile eventualità: Mira era troppo abile per lasciarsi catturare, e senza dubbio troppo testarda e caparbia per essere uccisa.

            «Dobbiamo andare a cercarla.»

            «È fuori discussione.» rispose Samir «Ora come ora quel palazzo sarà più impenetrabile della Moschea del Profeta, e tutta la maledetta guarnigione sta già rivoltando ogni sasso della città alla vostra ricerca.

            No, voi due rimarrete chiusi qui dentro fino al momento propizio, perché è l’unico modo che avete per conservare la testa sulle spalle.»

            «Ma potrebbe essere ancora viva! Forse è ancora lì, nascosta da qualche parte nel palazzo! Forse la sua copertura non è saltata! Vorreste abbandonarla al suo destino?»

            «Frena il tuo cuore, assassino.» disse bruscamente il Rafiq tornando a vestire i panni del severo maestro a lungo dismessi «In questo momento è lui a parlare, e in tali situazioni questo non è da considerarsi un bene.»

            «Però… però io…»

            «Domani mattina, al più presto, cercherò di mettermi in contatto con gli altri miei uomini che si nascondono nel palazzo, sperando di trovarne qualcuno ancora vivo. Se è accaduto qualcosa a Mira, o se la sua copertura è ancora sicura, lo sapremo presto.»

            «Ti va’ bene così?» domandò Altair con un tono di leggero rimprovero

            «S… sì…» rispose Kahled abbassando lo sguardo «Perdonatemi.»

            «Molto bene.» proseguì Samir «Ora vediamo di pensare alla situazione attuale, prima di affogare nel mare di sterco in cui stiamo già nuotando.

            Hai detto che aspettavano il vostro arrivo.»

            «Qualcuno deve aver per forza informato Jahal del nostro arrivo.»

«Vuoi dire che potrebbe esserci un altro traditore?» disse Kahled

«È l’unica spiegazione plausibile. Rafiq, quanta fiducia nutri nei tuoi agenti sotto copertura?»

«So già cosa stai pensando Altair, e la risposta è no. Ho scelto con molta attenzione gli informatori da infiltrare nel palazzo del califfo, e posso garantire sulla fedeltà di ognuno di loro.»

«La fedeltà e la dedizione alla causa sono ben poca cosa, se paragonati ai presunti poteri diabolici di cui sarebbe dotata la Parola di Allah. Quello che è stato fatto a Risham può essere stato fatto a chiunque di loro, se fossero stati scoperti, e anche se non sapevano come e quando avevamo intenzione di colpire possono aver avvisato Jahal del fatto che avevamo preso di mira sia lui che il suo tesoro.»

«Devo ammettere che hai ragione, per quanto la cosa mi arrechi sconforto. Pur non conoscendo i dettagli, sapere in anticipo quello che avevamo in mente gli avrebbe dato più di un motivo per essere vigile, e uccidendo il traditore Risham non abbiamo fatto altro che far suonare il campanello di allarme.»

«In breve, siamo stati al suo gioco come dei veri dilettanti.»

«E adesso cosa facciamo?» domandò Kahled

«L’unica cosa da fare per adesso è aspettare. Non so se avremo a disposizione un’altra possibilità per portare a termine la nostra missione, e se così non fosse non potremo fare altro che tornare ad Alamut per informare il Maestro del nostro fallimento.»

«Al vecchio gli si spezzerà il cuore.» commentò Samir «Nutriva una tale fiducia nella riuscita di questa missione.»

«Non si può dire che non ci abbiamo provato. Dopotutto, per noi assassini la sconfitta è una prospettiva sempre presente. Possiamo solo accettare il fatto compiuto e trarre insegnamento dai nostri errori.»

«Fratello.» ribatté interdetto Kahled «Come puoi dire una cosa del genere!?»

«Tuttavia» proseguì Altair con voce e sguardo completamente diversi «È vero in egual misura che se davvero la Parola di Allah è dotata di questi poteri tanto pericolosi lasciarla nelle mani di un uomo come il califfo porterebbe sventure al popolo non solo di questa città, ma anche di questo e molti altri regni.

Pertanto, non importa come, in quanto Assassini abbiamo l’obbligo morale di strappargli quell’oggetto diabolico, e distruggerlo per sempre».

Kahled tirò un sospiro di sollievo, per poi sorridere compiaciuto: dopotutto, avrebbe dovuto aspettarselo. Chi non sembrava condividere la linea di pensiero di Altair era Samir, e quale fosse il punto dolente era facile da intuire.

«Aspetta un momento. L’incarico prevede di riportare la Parola di Allah ad Alamut, non di distruggerla, e se il maestro ti ha dato questo preciso ordine un motivo ci deve essere.»

«Non è mia intenzione dubitare del giudizio di Hasan-i Sabbah, egli è pur sempre il mio Maestro, tuttavia sono del parere che l’esistenza stessa di un tale potere sia da reputarsi un pericolo, perché fino a quando seguiterà a rimanere in questo mondo il rischio che finisca nelle mani di qualcuno come Jahal non svanirà mai.

Mi dispiace, ma in questo caso il cuore mi suggerisce secondo coscienza.»

«Sono d’accordo con lui.»

«Kahled, anche tu…»

«L’umanità non è pronta per queste cose. Prima, è necessario che metta giudizio».

Samir sospirò, passandosi una mano sul volto.

«Vi rendete conto di quello che potrebbe costarvi? Rischiate una condanna per tradimento.»

«Il maestro è un uomo virtuoso.» rispose Altair «Sono certo che approverà la nostra decisione, non appena verrà a sapere di quali spaventosi poteri è capace la parola di Allah.

Appena possibile, faremo un nuovo tentativo per recuperarla, ma se non dovessimo riuscire, o se al nostro arrivo Hasan-i Sabbah fosse già spirato, allora la distruggeremo».

In quella, dall’esterno giunse un rumore inquietante, come da passo di marcia, accompagnato da un inquietante vociare sommesso, inudibile per le persone comuni, ma abbastanza forte da raggiungere le orecchie di un assassino.

«Lo sentite anche voi?» domandò preoccupato Kahled.

Samir corse ad appiattirsi sulla parete, e come gettò lo sguardo oltre la tapparella socchiusa della finestra i suoi occhi si accesero.

«Che succede, Rafiq?» chiese Altair

«Questa riunione tattica è finita, sparite alla svelta. Soldati in arrivo.»

«Che cosa!?».

In quell’istante la porta d’ingresso venne sfondata e un vero esercito di guardie fece irruzione nel palazzo gridando a squarciagola.

«Devono essere per forza qui! Trovateli!».

I falsi servitori, colti alla sprovvista, tentarono di reagire, ma essendo per la stragrande maggioranza novizi di livello medio basso vennero quasi tutti uccisi nel primo minuto d’assalto; un piccolo gruppetto riuscì a sprangare il portone del giardino che conduceva agli alloggi privati del Rafiq, ma poiché il palazzo era stato completamente circondato per chi come loro non possedeva alcuna esperienza di movimento acrobatico quella era destinata ad essere un’inesorabile trappola mortale.

«Voi due dovete andarvene.» disse Samir ai due fratelli

«E voi cosa farete?» chiese Kahled

«Li terremo occupati fin quando potremo. Approfittatene per fuggire il più lontano possibile. Cercate gli altri assassini che si nascondono in città. Vi daranno protezione.»

«E che ne sarà di te?»

«Con la stazza che mi ritrovo vi sarei solo d’intralcio, e poi non posso abbandonare i miei uomini.»

«Non puoi chiederci di abbandonarti, Samir!»

«Assassino!» tuonò Samir rosso in volto «Il tuo Rafiq qui presente ti ha dato un preciso ordine! Eseguilo!»

«Ma, Samir…» ribatté atterrito il minore

«Dovete andare, ragazzi miei.» disse poi con voce più pacata, che nulla aveva da invidiare a quella di un padre rivolto ai suoi figli «Il vostro tempo non è ancora giunto, e voi dovete vivere se volete portare a termine i vostri propositi.

Andate ora».

Anche Altair pareva recalcitrante all’idea di abbandonare il maestro che li aveva istruiti e cresciuti, ma alla fine non obiettò, volendo rispettare la sua volontà, e giunte le mani gli fece un rispettoso inchino.

«Faremo come tu comandi. Salute e pace, Rafiq.»

«Altrettanto a voi, miei fedeli compagni. Sia fatto il volere di Hasan-i Sabbah.»

«Kahled, sbrighiamoci!».

Altair dovette richiamare più volte il fratello perché questi si decidesse a seguirlo fuori dalla finestra; rimasto solo, Samir sbuffò.

«E va’ bene. Vediamo di chiudere in bellezza».

I due fratelli, messisi al sicuro sul tetto di una costruzione vicina, decisero che era più sicuro separarsi, per evitare i rischi di essere intercettati.

«Ci incontriamo sul tetto della grande moschea, tra un’ora.» disse Altair «Da lì, procederemo insieme verso il rifugio più sicuro».

Kahled, però, era distante, e il suo cuore era devastato dalla lunga e terribile serie di disavventure che gli erano capitate e gli stavano capitando nel corso di quella notte maledetta, dove niente sembrava andare per il verso giusto e il destino sembrava sempre un passo avanti a loro.

Altair gli mise una mano sulla spalla.

«Devi farti forza fratello, o la morte di Samir e tutto ciò che abbiamo fatto in questi giorni sarà stato vano.»

«Sì. Hai… hai ragione.» rispose lui tornando parzialmente padrone di sé «Ti chiedo scusa.»

«Forza, ora separiamoci. Ci incontriamo al punto stabilito.»

«D’accordo. Fa attenzione.»

«Anche tu.» e i due si allontanarono per direzioni diverse.

Nello stesso momento le guardie cittadine riuscivano ad aver ragione della porta sprangata; un manipolo di esse si lanciò all’interno per andare in avanscoperta, ma pochi secondi dopo si udirono rumori ed imprecazioni violente, e due di loro volarono all’esterno come sparate da una catapulta, rotolando già morte sui ciottoli con il torace sfondato.

«Ma cosa…» balbettò il comandante.

Passò qualche istante, poi dall’oscurità uscì, in tutta la sua imponenza, Samir; in mano stringeva un bastone di metallo lungo più di due metri con in cima una enorme mazza chiodata grande come un macigno che doveva pesare diverse decine di chili ma che lui, con la sua forza erculea, brandeggiava senza difficoltà.

La sua sola vista fu più che sufficiente a terrorizzare molti dei presenti, che arretrarono tremanti.

«Chi è il prossimo?»

«Avanti, che vi è preso? È da solo! Fatelo a pezzi!».

Pur se recalcitranti e visibilmente spaventati i soldati avanzarono, e Samir ricominciò a mulinare la sua gigantesca arma, dando prova di essere ancora, nonostante l’età e la stazza, un guerriero di classe superiore.

Quei poveracci volavano come birilli, alcuni furono scaraventati sulle pareti o addirittura sul tetto, e quelli che riuscivano miracolosamente a sopravvivere in ogni caso una volta colpiti non avevano più la forza di rimettersi in piedi.

«Ammirate Sansone, in tutta la sua forza!».

L’attacco scatenato del Rafiq fornì oltretutto ai suoi servitori superstiti il tempo necessario a mettersi in salvo passando per una botola segreta, ma dopo qualche minuto di scontro senza quartiere il gigante buono cominciò a dare i primi segni di cedimento, e una delle guardie, saltatogli in groppa, riuscì a trafiggerlo ad un fianco.

Samir urlò con tutta la sua voce, poi afferrò l’aggressore con la sua mano ciclopica e lo lanciò contro una colonna del porticato con una forza tale da spezzare il suo corpo in due.

«Sono troppo vecchio per queste cose!» disse cadendo in ginocchio ma riuscendo nel frattempo a staccare la testa ad un altro potenziale aggressore.

Gli arcieri al seguito dei soldati di fanteria tirarono tutti insieme nella sua direzione, trafiggendolo più e più volte, ma ciò nonostante il Rafiq si ostinò a non voler morire. Purtroppo, ben presto, le ferite e la stanchezza imposero il loro tributo, e alla fine Samir, detto Sansone, cadde sotto i colpi delle guardie, che dovettero saltargli addosso in dodici per riuscire finalmente ad avere ragione di lui, trafiggendolo in quelle poche parti del corpo dove non vi fossero già frecce o punte di spada.

 

Mentre Samir combatteva la sua ultima battaglia Kahled aveva già raggiunto la zona occidentale della città, ma in verità era talmente preso dai propri pensieri che non faceva altro che saltare dal tetto su cui si trovava a quello a lui più vicino, seguendo un percorso del tutto sconclusionato.

            Ancora non riusciva a credere a tutto ciò che stava succedendo. Altre volte lui e suo fratello si erano ritrovati in situazioni difficili, per non dire disperate, faccia a faccia con la morte, ma niente era paragonabile a ciò che stavano vivendo in quel momento.

            Pensava tanto a Mira, e si accorse di non aver mai pensato così tanto a lei come in quel momento.

            Allora, Altair aveva ragione, e solo ora se ne rendeva conto: si era davvero innamorato.

            Del resto erano cresciuti insieme, avevano lottato e combattuto insieme, e anche se nessuno dei due avrebbe mai voluto ammetterlo avevano anche due caratteri molto simili, che si univano l’un l’altro alla perfezione: entrambi erano passati per esperienze terribili, avevano combattuto per emergere, e condividevano un sano desiderio di giustizia.

            Doveva dirglielo.

            Quando fosse ritornata, perché, dentro di sé, era certo che sarebbe ritornata, le avrebbe rivelato quello che provava veramente per lei, e lo avrebbe fatto con il cuore in mano, senza esitazioni.

            Non sapeva come lei l’avrebbe presa, ma non gli importava. Ciò che stavano passando gli aveva insegnato che non ci sono certezze nella vita, e che se si perde un’occasione si può scoprire improvvisamente che era l’unica che la vita aveva voluto offrire, finendo per rimpiangere fin nella tomba quella preziosissima opportunità mancata.

            Lei poi avrebbe preso la sua decisione, ma intanto lui glielo avrebbe detto: la amava, la amava sinceramente, ed era pronto a tutto pur di restare insieme a lei, anche a rinunciare al titolo di maestro.

            D’un tratto, proprio quando era tornato padrone delle sue azioni, una figura aggraziata e maestosa fendette la luna, atterrando dopo un salto acrobatico proprio davanti a lui, e Kahled, riconoscendola, pensò di stare sognando.

            «Mira!».

            Era proprio lei.

            L’aveva cercata, l’aveva aspettata con l’animo eroso dall’ansia, ma ora era di nuovo lì, accanto a lui. Era tornata.

            Felice e appagato come non mai, il ragazzo fece per andarle incontro, quando invece il suo istinto di assassino avrebbe dovuto metterlo in guardia visto che la sua amica aveva in mano le proprie spade, un gesto inconsueto per gli Assassini, che molto di rado si avvicinavano l’un l’altro armati, onde evitare fraintendimenti.

            Inoltre, la ragazza indossava ancora il suo abito da servitrice invece che l’uniforme, e al collo aveva uno strano pendente a forma di cubo grande un paio di centimetri che brillava di una inquietante luce azzurra.

            «Mira. Sia lode al cielo. Per fortuna stai bene».

            Lei alzò gli occhi, mettendosi in piedi, ma ancora Kahled era troppo felice per accorgersi dello sguardo vuoto e quasi malvagio di Mira, che all’improvviso, senza apparente motivo, lanciò una delle sue due spade contro il ragazzo.

            Fortunatamente Kahled venne colpito solo di striscio alla spalla destra, ma il colpo fu abbastanza forte da ributtarlo violentemente e crudelmente alla realtà, costringendolo finalmente ad accorgersi di tutte le cose che non andavano.

            «Mira! Che ti prende!?».

            Poi, vide i suoi occhi, quello sguardo che per lui era impossibile da attribuire alla Mira che aveva conosciuto e che aveva capito di amare. Quella, non era lei; almeno, non nello spirito.

            «No…» disse con voce tremante «Questo no…»

            «Sono qui per eseguire la volontà del mio signore, il nobile Jahal.» disse lei mettendosi in posizione di guardia «Preparati a morire, Assassino!»

            «Mira… anche tu… lo ha fatto anche a te…».

            Kahled era così sconvolto che quando Mira lo attaccò di nuovo estrasse la spada solo all’ultimo, e la parata che eseguì fu talmente mediocre che la ragazza non ebbe difficoltà a superarla, infliggendogli un nuovo colpo di taglio che oltre a farlo girare su stesso per due o tre volte gli procurò una seconda e più grave ferita, stavolta all’avambraccio sinistro.

            «Mira, non farlo!»

            «Raccomandati al cielo, Assassino. Pagherai per aver attentato alla vita del mio signore».

            Era chiaro che Mira non era neppure in grado di riconoscere la persona che le stava di fronte, completamente plagiata dai poteri malefici della Parola di Allah, e le sue intenzioni erano più che mai ostili.

            Kahled era disperato, e non sapeva cosa fare: di certo non sarebbe scappato, ma come poteva fare del male alla stessa donna che aveva appena capito di amare?

            Nello stesso momento, da tutt’altra parte della città, Altair era quasi arrivato al punto di ritrovo, ma proprio quando stava per intraprendere la voltata finale attraverso l’ultima serie di edifici che stavano tutto intorno alla moschea si immobilizzò sul tetto di un edificio, come cristallizzato.

            Tutto era silenzioso e tranquillo.

            Anche troppo tranquillo, e lui lì non era solo.

            Fin dal momento in cui si era separato dal fratello aveva avuto la sensazione di essere seguito, e un istante prima di rimettersi in marcia quella sensazione era divenuta una certezza: qualcuno gli stava addosso.

            Ma chi? E da dove?

            Durante il tragitto si era più volte guardato attorno alla ricerca di potenziali minacce, ma chiunque fosse a seguire le sue orme era abbastanza scaltro e abile da riuscire a mantenersi al di fuori del suo campo visivo.

            Poi, di colpo, avvertì il sopraggiungere di una minaccia, e fulmineo eseguì un acrobatico salto all’indietro, evitando facilmente una selva di stellette appuntite che andarono a conficcarsi sulla pietra.

            «Avanti, vieni fuori.» disse guardandosi attorno «Affrontiamoci faccia a faccia, da veri guerrieri.»

            «Come desideri.»  rispose una voce vacua, impalpabile, che sembrava provenire da tutte le direzioni.

            Seguì una risata sommessa, poi, letteralmente dal nulla, da una zona d’ombra generata da un muro, comparve il guerriero vestito di scuro che già aveva sorvegliato, non visto, l’operato di Mira e Kahled la notte scorsa al porto della città.

            Altair rimase allibito: non si era neppure accorto di averlo così vicino, ed era certo che quell’individuo, oltre ad essere un guerriero estremamente pericoloso, avrebbe potuto ucciderlo in qualsiasi momento durante la sua fuga, se solo lo avesse voluto.

            «Sei tu quello che chiamano l’Ombra?» domandò cercando di ostentare sicurezza

            «Il mio nome è Koromaru, ma tu puoi chiamarmi Ombra, se preferisci.»

            «Vieni dalle isole dell’estremo est?»

            «Esatto.»

            «E come sei finito qui, in un posto tanto lontano da casa?»

            «È una lunga storia. Ti basti sapere che per chi, come me, si macchia della più grande delle colpe, permettendo che a causa della propria inadempienza il proprio signore venga ucciso, la punizione è l’eterno esilio.»

            «Mi sembri una persona che tiene molto al proprio onore. Per quale motivo sei divenuto la guardia del corpo di un uomo come Jahal?»

            «Perché è proprio il mio onore ad impormelo. Lui mi ha trovato mentre mi trascinavo quasi morto in questo deserto privo di vita dopo un viaggio senza meta denso di ostacoli che aveva consumato tutte le mie energie.

            Egli mi ha salvato la vita, e pertanto io ho il dovere morale di ricambiare proteggendo la sua.»

            «Quell’uomo è un usurpatore e un malfattore, che affama il popolo e mira ad uccidere o soggiogare chiunque parli contro di lui. Essere al servizio di una persona simile è forse da considerarsi un onore?»

            «Non ha importanza che tipo di uomo sia, o cosa faccia. Ciò che conta è che mi ha salvato, e il mio codice d’onore mi impone di restituire sempre i debiti e i favori, indipendentemente dalla situazione.

            Ma ora basta parlare, Assassino. Passiamo ai fatti».

            Altair capì al primo sguardo che contro quel nemico la spada sarebbe stata del tutto inutile, pertanto decise fin da subito di combattere quella battaglia servendosi unicamente del pugnale, ma anche dopo averlo estratto non ci pensò neppure a fare la prima mossa; la freddezza e l’impassibilità che dominavano il volto di Koromaru lasciavano intendere erano lo specchio di un guerriero assolutamente sicuro di essere completamente padrone del proprio ambiente, e agire con imprudenza nei confronti di un simile avversario era l’ultima cosa che si potesse fare.

            «Che c’è, Assassino?» domandò ad un certo punto vedendo che Altair esitava ad attaccare «Pensavo foste dei guerrieri temerari, che non si tirano mai indietro di fronte ad una sfida.

            E sia, vorrà dire che sarò io a portare il primo colpo».

            Koromaru chiuse gli occhi, una cose che un assassino non avrebbe mai osato fare di fronte al nemico, si mise in posizione perfettamente diritta ed incrociò le mani davanti al petto, eseguendo con le dita tutta una serie di strane movenze, tanto rapide da risultare quasi invisibili, salmodiando contemporaneamente in una lingua che Altair non riusciva a capire.

            Poi, come riaprì gli occhi, come per magia, scomparve nel nulla, e subito dopo la sua figura prese a materializzarsi in tutte le direzioni, con enorme stupore di Altair. Era dappertutto, in aria, in terra, sui tetti vicini.

            «Che stregoneria è mai questa?» domandò attonito il fratello maggiore guardandosi attorno.

            Doveva esserci per forza una spiegazione: un uomo non poteva dividersi in tante copie di stesso, era contrario anche a quelle poche leggi di natura a cui anche gli Assassini dovevano sottostare, eppure questo non sembrava essere un problema per l’Ombra.

            «Sei sorpreso, Assassino?».

            Di colpo nuvole si stellette metalliche cominciarono a piovere in tutte le direzioni, e intanto Koromaru continuava a moltiplicarsi; Altair riuscì con la sua agilità a scansare molti degli attacchi, alcuni fu anche in grado di pararli con il pugnale, e tentò persino, senza successo, di colpire qualcuna delle copie con i suoi coltelli, ma ad un certo punto una stelletta lo colpì al braccio, e a quella se ne aggiunsero in meno di un secondo altre tre, che pur non uccidendolo lo scaraventarono giù dal piano rialzato dove si trovava facendolo cadere sul tetto.

            Allora, e solo allora, tutte le copie parvero riunirsi, e da decine che erano tornarono ad essere uno solo, l’originale, che rise leggermente.

            «Devo dire che mi aspettavo qualcosa di più dagli Assassini.»

            «Non… non è da poco il tuo potere.» disse Altair togliendosi le stellette e cercando di rialzarsi «Lo riconosco, purtroppo.»

            «E questo è niente. Osserva il mio potere».

            Di nuovo, Koromaru assunse quella posizione diritta, e di nuovo prese a muovere salmodiando le dita delle mani, ma questa volta ciò che accadde era contro ogni logica, al punto che Altair cominciò a chiedersi se il suo avversario fosse davvero umano.

            Dopo aver estratto lo spadino ricurvo che portava dietro la schiena l’avversario si abbassò il bavero, e portatosi una mano davanti alla bocca prese a soffiare; dalle sue labbra si sprigionarono lingue di fuoco, e anche se Altair riuscì miracolosamente ad evitarle una parte della sua veste si incendiò, costringendolo a rotolarsi per riuscire a spegnere le fiamme.

            Per nulla sazio Koromaru continuò a sputare fuoco a più riprese, fino a che Altair non si ritrovò imprigionato all’interno di un anello incandescente, e di quando in quando il nemico compariva da oltre il muro, ingaggiando con l’Assassino brevi scontri di agilità e maestria per poi tornare a nascondersi non al di fuori dell’anello, ma direttamente tra le sue fiamme, e seguitando a correrci dentro senza venirne minimamente danneggiato.

            Finalmente, dopo un minuto e più di agonia, anche quella specie di inferno in terra ebbe fine, e quando Koromaru si palesò nuovamente davanti a lui Altair era ridotto ad uno stato pietoso.

            «Terribilmente mediocre, Assassino. Devo dire che mi aspettavo qualcosa di più.»

            «Sono… sono costretto a riconoscerlo. Al mio attuale livello, non sarei minimamente in grado di oppormi a te».

            Poi, Altair alzò gli occhi, guardando Koromaru dritto in volto.

            «Come ci riesci? Come riesci a sfidare leggi alle quali persino per noi, che pure siamo uomini superiori, dovremmo sottometterci?»

            «Non siete forse voi a dire che niente è reale, e tutto è lecito?

            Anche noi siamo nati come assassini, e come voi abbiamo compreso che l’unico modo per svolgere al meglio il nostro compito è valicare quel confine invisibile a cui il resto dell’umanità non osa neppure avvicinarsi.

            Fa parte del nostro addestramento: capire che questo mondo è fatto di leggi, e che come le leggi fatte dagli uomini anche quelle di natura possono essere comprese. La differenza che c’è tra noi e voi è che noi siamo andati oltre: voi Hasisiyyun vi limitate a comprendere, e a trascendere quando potete, noi siamo andati oltre. Abbiamo sfidato quelle legge, le abbiamo fatte nostre, e abbiamo capito che la natura non può essere solo capita, ma anche dominata.

            È questo che ci rende così diversi: tu rispetti e comprendi, io rispetto e padroneggio.»

            «Sfidare la natura e le sue leggi. Sembra impossibile, eppure tu ci riesci. Sì, lo ammetto. Nessun Assassino reggerebbe il confronto con te.»

            «I miei ordini sarebbero stati di ucciderti, ma non mi piace l’idea di privare della vita qualcuno in possesso di un così grande potenziale.

            C’è una grande forza in te, io la vedo. Aspetterò il nostro prossimo scontro, che sono certo non tarderà ad arrivare.

A presto!».

            Altair tentò di fermarlo, ma Koromaru spiccò un salto altissimo, assolutamente inumano, per poi scomparire letteralmente nel nulla inghiottito dalla notte allo stesso modo in cui era venuto.

 

Nel frattempo, Kahled e Mira erano ancora impegnati in combattimento, ma si trattava in realtà di una sfida a senso unico. Troppo sconvolto e provato da ciò che stava accadendo, il fratello minore non riusciva in alcun modo a rispondere agli attacchi rapidi e micidiali della sua avversaria, limitandosi a pararli quando il raziocinio gli permetteva di farlo, ma ormai aveva tante di quelle ferite in tutto il corpo che la sua veste, da bianca era divenuta rosso sangue.

            Non c’era niente di simile ai tanti confronti amichevoli in cui si erano affrontati in passato: allora l’unico desiderio era di provare la propria superiorità, ma rimanendo sempre nei limiti della pura e semplice sfida d’allenamento, ora invece Mira pensava solo ad uccidere, e metteva tutta sé stessa in quel proposito.

            Più e più volte Kahled aveva tentato di persuaderla, di spronarla a ribellarsi al controllo del califfo, ma lei era rimasta sorda alle sue parole, e aveva continuato imperterrita ad attaccare, ogni volta con sempre maggiore furia. Tuttavia, lui non poteva né voleva farle del male, e sperava disperatamente che alla fine la sua amica riuscisse a tornare in sé, ma intanto le energie stavano sempre più venendogli meno a causa dei colpi subiti, la vista gli si stava appannando ed era chiaro che non sarebbe sopravvissuto ancora a lungo continuando per quella strada.

            Ciò che il traditore Risham aveva detto prima di ricevere il colpo fatale, poi, lo tormentava indicibilmente: solo la morte poteva liberare una persona dal controllo esercitato dalla Parola di Allah. Ma come poteva lui, che aveva capito di amarla, rivolgere la propria spada su Mira, sulla ragazza con cui si era esercitato così tante volte e con la quale aveva condiviso ogni cosa?

            Come se non bastasse, per una qualche ragione Mira stava dimostrando una forza straordinaria, capace di fracassare interi pezzi di muro con un solo pugno, e Kahled aveva capito che la causa era il pendente che aveva al collo, che brillava un po’ più forte ogni volta che la ragazza faceva sfoggio di capacità sovrumane.

            «Mira!» disse Kahled durante uno scontro di forza «Guardami, sono io! Kahled!».

            Lei esitò un momento, come se effettivamente lo riconoscesse, ma in realtà scavalcò la sua difesa e gli assestò un calcio che, oltre a rompergli una costola, lo scaraventò giù dal tetto, e fu solo per un vero miracolo se il ragazzo non ci rimise la vita.

            Immediatamente saltò giù a sua volta, raggiungendolo in strada, ma Kahled ormai era così malridotto che faticava a restare in piedi, e attendeva solo di essere finito.

            «Mira!» disse quasi in lacrime, cercando di rialzarsi «Non lasciarti controllare da quell’uomo. Tu non sei così debole. Ribellati! Io so che puoi farlo!».

            Ancora una volta la ragazza parve reagire, esitando a vibrare il colpo di grazia, e rialzato lo guardo Kahled rivide per un attimo la luce tornare ad albergare nei suoi occhi.

«Ka… Kahled…» balbettò come un malato al suo ultimo respiro

«Mira!».

Reso ceco dalla speranza fece per avvicinarsi, ma prima ancora che potesse muovere il terzo passo i poteri della Parola ebbero di nuovo la meglio, e la ragazza, afferrata la corda di seta, fece compiere ad una delle sue due spade una lunghissima parabola dall’alto verso il basso, e fu solo per un vero miracolo, forse per l’estremo tentativo di Mira di ribellarsi al controllo, che il colpo, invece di risultare mortale, procurò solamente, per così dire, una ferita non particolarmente seria, ma abbastanza grave e profonda da accecare Kahled all’occhio destro.

Il ragazzo urlò dal dolore, tenendo la ferita, e il suo volto divenne una maschera di sangue, ma ciò nonostante continuò a non voler attaccare.

«Mira… che cosa ti hanno fatto?».

Mira questa volta era davvero nelle condizioni di poter chiudere l’incontro, e sembrava determinata a farlo, se non che, per la terza volta, esitò, rimanendo immobile come una statua di sale.

Forse fu la vista di Kahled ridotto in quello stato, forse la consapevolezza interiore di esserne la responsabile, forse la sua coscienza, fatto sta che di nuovo i suoi occhi si accesero di vita, e da quel momento fu come se due entità stessero lottando per il controllo dello stesso corpo: i movimenti della ragazza si fecero meccanici, spasmodici, e se una gamba provava ad avanzare l’altra cercava di far perdere l’equilibrio, se una mano cercava di attaccare l’altra la afferrava.

Come una bambola nelle mani di una bambina, Mira cominciò a strattonarsi e a dimenarsi in tutte le direzioni, urlando come una dannata. Si strappò le vesti e si tolse i gioielli, tra i quali il pendente e il bracciale da assassino ricevuto da Samir, che rotolò proprio ai piedi di Kahled, il quale lo raccolse, continuando però a guardare atterrito e sconcertato la sua amica in preda alla più terribile agonia.

«Mira…».

Finalmente, la sua compagna tornò completamente padrone di sé, ma dalla paralisi che sembrava aver colpito tutto il suo corpo era evidente che non lo sarebbe stata per molto tempo, e lo guardo che gli rivolse, così determinato e insieme triste, gli fece avvertire un terribile colpo al cuore.

«Mira…»

«Presto!» disse «Uccidimi!».

Kahled, attonito, non volle credere di averla sentita pronunciare proprio quella parola.

«Che cosa hai detto!?»

«È l’unico modo per salvarmi, e tu lo sai. Una volta caduti sotto l’influenza di quell’oggetto, solo con la morte si può trovare la liberazione.»

«Mira… non puoi chiedermi questo… non puoi…»

«Kahled!» gridò lei con rabbia, ma piangendo nel contempo «Ti prego! Non voglio passare il resto della mia vita a servire quel mostro! Solo tu mi puoi salvare in questo momento!»

«Mira…»

«Fai presto! Non so per quanto ancora riuscirò a resistere!».

Kahled non voleva credere che stesse accadendo davvero. Doveva togliere la vita a Mira.

Una parte di lui capiva, e sapeva che era quello che Mira voleva, come lei stessa stava dicendo in quel momento, e che era la cosa più giusta da fare, ma l’altra parte, quella guidata dal cuore, non voleva né poteva accettare una cosa del genere.

In quella, nuvole minacciose coprirono la luna, e un violento acquazzone si abbatté su Baghdad, riempiendo le strade di rigagnoli ed ingrossando il fiume, che rinchiuso però entro robusti argini non costituiva una minaccia.

Sperduto, come un corpo privo di anima, Kahled indossò il bracciale, alzandolo e mettendo il dito sul grilletto che azionava il sistema ad aria compressa, e intanto Mira rimaneva immobile, a gambe unite e braccia spalancate, come una figura in croce che attende solo di ricevere un pietoso colpo di grazia.

Passarono lunghi ed interminabili secondi; la mano di Kahled tremava, e la vista si faceva sempre più vacua a causa del dolore e della pioggia.

«Mira…» disse abbassando il braccio «Io… non ci riesco…»

«Kahled…» rispose lei piangendo «Non puoi farmi questo. Ti prego… liberami…».

Anche lui piangeva, e sentiva che sarebbe morto prima di prendere una decisione, ma alla fine fu il destino a prenderla per lui. Improvvisamente, senza alcun segnale di allarme, il potere della Parola ebbe di nuovo la meglio, e Mira si lanciò all’attacco brandeggiando le spade.

Fulmineo, in un gesto dettato dal puro istinto, Kahled alzò nuovamente il braccio, tirando il grilletto; la lama partì, fulminea e quasi invisibile, fendendo le gocce d’acqua al proprio passaggio e andando a conficcarsi con forza nel torace di Mira, al centro del petto; per il contraccolpo la ragazza fu sbalzata all’indietro e perse l’equilibrio, cadendo sulla terra bagnata.

«Mira!» gridò Kahled correndole incontro e sollevandole la testa dopo essersi inginocchiato.

Lei, dopo qualche secondo, riaprì gli occhi: la luce era tornata, questa volta completamente, ma stava già spegnendosi, lasciando inesorabilmente spazio al buio senza fine della morte.

Che cosa aveva fatto? Che cosa aveva fatto!

Aveva ucciso Mira, la sua Mira!

«Mira…» disse piangendo «Mi dispiace…».

Eppure, nonostante tutto, la ragazza gli sorrise, un sorriso dolcissimo, e con le ultime forze che le restavano articolò alcune parole nella sua lingua.

 

Shōu huí suo you de . Suo you de , suo you de kong

(All’improvviso riaffiorano tutti i ricordi. Tutti i ricordi, e tutte le paure)

 

«G… grazie…» mormorò poi.

            Kahled pianse, pianse come mai nella sua vita. Avrebbe voluto dirglielo, dirle quello che aveva capito di provare per lei, ma nel dolore e nella disperazione di quel momento non trovò la forza per farlo.

            «Devi… devi fermarlo, Kahled. Fermalo…»

            «Mira…».

            A fatica, lei riuscì ad alzare la mano, sfiorandogli la guancia con un dito, ma proprio quando lui fece per stringerla questa scivolò di nuovo verso il basso, e Mira, reclinata la testa, spirò tra le sue braccia: sorrideva.

            «Mira… Mira… non lasciarmi… io ti amo… non mi lasciare…».

            Invano Kahled continuò a chiamarla, a passarle la mano sul volto, e intanto le sue lacrime, taglienti come coltelli affilati, si mescolavano alla pioggia, che attorno a loro continuava a cadere, coprendo ogni cosa con il suo ronzio.

            Un urlo disumano squarciò la notte, mentre all’orizzonte già si intravvedeva il primo sole, che apparendo da dietro  le dune scacciava via le nuvole di tempesta, annunciando l’inizio di un nuovo giorno.

 

 

Nota dell’Autore

Rieccomi!

Visto? Ve l’avevo promesso o no?

Avevo promesso di riaggiornare in tempi rapidi, e così è stato.

Avevo anche detto che speravo di concludere prima di domani, quando so che tutti i frequentatori della sezione spariranno fino a data da destinarsi, ma purtroppo ho dovuto accettare la mia condizione umana e rimanere nei miei limiti. Comunque, gli ultimi due capitoli e l’epilogo li ho già ben chiari in testa, pertanto non dovrei metterci molto a scriverli.

Ringrazio Elika per la sua recensione, e spero vivamente che prima o poi ritornino anche gli altri miei commentatori.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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