4
Anche se parecchio malconci e inseguiti da metà della
guarnigione cittadina Altair e Kahled riuscirono miracolosamente a fare ritorno
alla dimora senza essere visti, e vedendoli tornare in quelle condizioni,
ansimanti e quasi svenuti per la stanchezza, il Rafiq, dopo averli condotti
nuovamente nel suo studio, diede loro dell’acqua, riservandosi però di
pretendere doverose spiegazione.
«Qualcuno
vorrebbe spiegarmi che cazzo è successo lì dentro?» sbottò Samir, che in
situazioni simili era solito diventare terribilmente scurrile
«Era una
trappola.» rispose Altair «Sapevano del nostro arrivo.
Ci aspettavano.»
«Merda! Quel Jahal è più furbo di
quanto mi aspettassi. E Mira?»
«Non l’abbiamo vista. A questo punto, dobbiamo presumere che
sia stata uccisa, visto che gli ordini erano di non cadere vivi nelle mani del
nemico».
Una
simile prospettiva quasi fermò il cuore di Kahled, il quale però non poteva né
voleva credere ad una simile eventualità: Mira era
troppo abile per lasciarsi catturare, e senza dubbio troppo testarda e caparbia
per essere uccisa.
«Dobbiamo
andare a cercarla.»
«È fuori
discussione.» rispose Samir «Ora come ora quel palazzo
sarà più impenetrabile della Moschea del Profeta, e tutta la maledetta guarnigione
sta già rivoltando ogni sasso della città alla vostra ricerca.
No, voi
due rimarrete chiusi qui dentro fino al momento propizio, perché è l’unico modo
che avete per conservare la testa sulle spalle.»
«Ma potrebbe essere ancora viva! Forse è ancora lì, nascosta
da qualche parte nel palazzo! Forse la sua copertura non è saltata! Vorreste
abbandonarla al suo destino?»
«Frena il
tuo cuore, assassino.» disse bruscamente il Rafiq tornando a vestire i panni
del severo maestro a lungo dismessi «In questo momento è lui a parlare, e in
tali situazioni questo non è da considerarsi un bene.»
«Però… però io…»
«Domani mattina, al più presto, cercherò di mettermi in
contatto con gli altri miei uomini che si nascondono nel palazzo, sperando di
trovarne qualcuno ancora vivo. Se è accaduto qualcosa a Mira, o se la sua
copertura è ancora sicura, lo sapremo presto.»
«Ti va’ bene così?» domandò Altair con un tono di leggero
rimprovero
«S… sì…»
rispose Kahled abbassando lo sguardo «Perdonatemi.»
«Molto
bene.» proseguì Samir «Ora vediamo di pensare alla
situazione attuale, prima di affogare nel mare di sterco in cui stiamo già
nuotando.
Hai detto
che aspettavano il vostro arrivo.»
«Qualcuno
deve aver per forza informato Jahal del nostro arrivo.»
«Vuoi dire che potrebbe esserci un
altro traditore?» disse Kahled
«È l’unica spiegazione plausibile.
Rafiq, quanta fiducia nutri nei tuoi agenti sotto copertura?»
«So già cosa stai pensando Altair, e
la risposta è no. Ho scelto con molta attenzione gli informatori da infiltrare
nel palazzo del califfo, e posso garantire sulla fedeltà di ognuno di loro.»
«La fedeltà e la dedizione alla
causa sono ben poca cosa, se paragonati ai presunti poteri diabolici di cui
sarebbe dotata
«Devo ammettere che hai ragione, per
quanto la cosa mi arrechi sconforto. Pur non conoscendo i dettagli, sapere in
anticipo quello che avevamo in mente gli avrebbe dato più di un motivo per essere
vigile, e uccidendo il traditore Risham non abbiamo
fatto altro che far suonare il campanello di allarme.»
«In breve, siamo stati al suo gioco
come dei veri dilettanti.»
«E adesso cosa facciamo?» domandò
Kahled
«L’unica cosa da fare per adesso è
aspettare. Non so se avremo a disposizione un’altra possibilità per portare a
termine la nostra missione, e se così non fosse non
potremo fare altro che tornare ad Alamut per
informare il Maestro del nostro fallimento.»
«Al vecchio gli si spezzerà il
cuore.» commentò Samir «Nutriva una tale fiducia nella riuscita di questa
missione.»
«Non si può dire che non ci abbiamo provato.
Dopotutto, per noi assassini la sconfitta è una prospettiva sempre presente.
Possiamo solo accettare il fatto compiuto e trarre insegnamento dai nostri
errori.»
«Fratello.» ribatté interdetto
Kahled «Come puoi dire una cosa del genere!?»
«Tuttavia» proseguì Altair con voce
e sguardo completamente diversi «È vero in egual
misura che se davvero
Pertanto, non importa come, in quanto Assassini abbiamo l’obbligo morale di strappargli
quell’oggetto diabolico, e distruggerlo per sempre».
Kahled tirò un sospiro
di sollievo, per poi sorridere compiaciuto: dopotutto, avrebbe dovuto
aspettarselo. Chi non sembrava condividere la linea di pensiero di Altair era
Samir, e quale fosse il punto dolente era facile da
intuire.
«Aspetta un momento. L’incarico
prevede di riportare
«Non è mia intenzione dubitare del
giudizio di Hasan-i Sabbah, egli è pur sempre il mio Maestro, tuttavia sono del
parere che l’esistenza stessa di un tale potere sia da reputarsi un pericolo,
perché fino a quando seguiterà a rimanere in questo mondo il rischio che
finisca nelle mani di qualcuno come Jahal non svanirà mai.
Mi dispiace, ma in questo caso il
cuore mi suggerisce secondo coscienza.»
«Sono d’accordo con lui.»
«Kahled, anche tu…»
«L’umanità non è pronta per queste
cose. Prima, è necessario che metta giudizio».
Samir sospirò, passandosi una mano
sul volto.
«Vi rendete conto di quello che
potrebbe costarvi? Rischiate una condanna per tradimento.»
«Il maestro è un uomo virtuoso.»
rispose Altair «Sono certo che approverà la nostra decisione, non appena verrà
a sapere di quali spaventosi poteri è capace la parola
di Allah.
Appena possibile, faremo un nuovo
tentativo per recuperarla, ma se non dovessimo riuscire, o se al nostro arrivo
Hasan-i Sabbah fosse già spirato, allora la distruggeremo».
In quella, dall’esterno giunse un
rumore inquietante, come da passo di marcia, accompagnato da un inquietante
vociare sommesso, inudibile per le persone comuni, ma abbastanza forte da
raggiungere le orecchie di un assassino.
«Lo sentite anche voi?» domandò
preoccupato Kahled.
Samir corse ad appiattirsi sulla
parete, e come gettò lo sguardo oltre la tapparella socchiusa della finestra i suoi occhi si accesero.
«Che succede, Rafiq?» chiese Altair
«Questa riunione tattica è finita,
sparite alla svelta. Soldati in arrivo.»
«Che cosa!?».
In quell’istante la porta
d’ingresso venne sfondata e un vero esercito di
guardie fece irruzione nel palazzo gridando a squarciagola.
«Devono essere per forza qui!
Trovateli!».
I falsi servitori, colti alla
sprovvista, tentarono di reagire, ma essendo per la stragrande maggioranza
novizi di livello medio basso vennero quasi tutti uccisi nel primo minuto
d’assalto; un piccolo gruppetto riuscì a sprangare il portone del giardino che
conduceva agli alloggi privati del Rafiq, ma poiché il palazzo era stato
completamente circondato per chi come loro non possedeva alcuna esperienza di
movimento acrobatico quella era destinata ad essere
un’inesorabile trappola mortale.
«Voi due dovete andarvene.» disse
Samir ai due fratelli
«E voi cosa farete?» chiese Kahled
«Li terremo occupati fin quando
potremo. Approfittatene per fuggire il più lontano possibile. Cercate gli altri
assassini che si nascondono in città. Vi daranno protezione.»
«E che ne sarà di te?»
«Con la stazza che mi ritrovo vi sarei solo d’intralcio, e poi non posso
abbandonare i miei uomini.»
«Non puoi chiederci di abbandonarti, Samir!»
«Assassino!» tuonò Samir rosso in
volto «Il tuo Rafiq qui presente ti ha dato un preciso ordine!
Eseguilo!»
«Ma,
Samir…» ribatté atterrito il minore
«Dovete andare, ragazzi miei.»
disse poi con voce più pacata, che nulla aveva da
invidiare a quella di un padre rivolto ai suoi figli «Il vostro tempo non è
ancora giunto, e voi dovete vivere se volete portare a termine i vostri
propositi.
Andate ora».
Anche Altair pareva recalcitrante
all’idea di abbandonare il maestro che li aveva istruiti e cresciuti, ma alla
fine non obiettò, volendo rispettare la sua volontà, e giunte le mani gli fece un rispettoso inchino.
«Faremo come tu comandi. Salute e
pace, Rafiq.»
«Altrettanto a voi, miei fedeli
compagni. Sia fatto il volere di Hasan-i Sabbah.»
«Kahled, sbrighiamoci!».
Altair dovette richiamare più volte
il fratello perché questi si decidesse a seguirlo fuori dalla finestra; rimasto
solo, Samir sbuffò.
«E va’
bene. Vediamo di chiudere in bellezza».
I due fratelli, messisi al sicuro
sul tetto di una costruzione vicina, decisero che era più sicuro separarsi, per
evitare i rischi di essere intercettati.
«Ci incontriamo sul tetto della
grande moschea, tra un’ora.» disse Altair «Da lì, procederemo insieme verso il
rifugio più sicuro».
Kahled, però, era distante, e il
suo cuore era devastato dalla lunga e terribile serie di disavventure che gli
erano capitate e gli stavano capitando nel corso di
quella notte maledetta, dove niente sembrava andare per il verso giusto e il
destino sembrava sempre un passo avanti a loro.
Altair gli mise una mano sulla
spalla.
«Devi farti forza fratello, o la
morte di Samir e tutto ciò che abbiamo fatto in questi giorni sarà stato vano.»
«Sì. Hai… hai ragione.» rispose lui
tornando parzialmente padrone di sé «Ti chiedo scusa.»
«Forza, ora separiamoci. Ci
incontriamo al punto stabilito.»
«D’accordo. Fa attenzione.»
«Anche tu.» e i due si
allontanarono per direzioni diverse.
Nello stesso momento le guardie
cittadine riuscivano ad aver ragione della porta sprangata; un manipolo di esse si lanciò all’interno per andare in
avanscoperta, ma pochi secondi dopo si udirono rumori ed imprecazioni violente,
e due di loro volarono all’esterno come sparate da una catapulta, rotolando già
morte sui ciottoli con il torace sfondato.
«Ma cosa…»
balbettò il comandante.
Passò qualche istante, poi
dall’oscurità uscì, in tutta la sua imponenza, Samir; in mano stringeva un
bastone di metallo lungo più di due metri con in cima
una enorme mazza chiodata grande come un macigno che doveva pesare diverse
decine di chili ma che lui, con la sua forza erculea, brandeggiava senza
difficoltà.
La sua sola vista fu più che
sufficiente a terrorizzare molti dei presenti, che arretrarono tremanti.
«Chi è il prossimo?»
«Avanti, che vi è preso? È da solo!
Fatelo a pezzi!».
Pur se recalcitranti e visibilmente
spaventati i soldati avanzarono, e Samir ricominciò a
mulinare la sua gigantesca arma, dando prova di essere ancora, nonostante l’età
e la stazza, un guerriero di classe superiore.
Quei poveracci volavano come
birilli, alcuni furono scaraventati sulle pareti o addirittura sul tetto, e
quelli che riuscivano miracolosamente a sopravvivere in ogni caso una volta
colpiti non avevano più la forza di rimettersi in piedi.
«Ammirate Sansone, in tutta la sua
forza!».
L’attacco scatenato del Rafiq fornì
oltretutto ai suoi servitori superstiti il tempo necessario a mettersi in salvo
passando per una botola segreta, ma dopo qualche minuto di scontro senza
quartiere il gigante buono cominciò a dare i primi segni di cedimento, e una
delle guardie, saltatogli in groppa, riuscì a trafiggerlo ad
un fianco.
Samir urlò con tutta la sua voce,
poi afferrò l’aggressore con la sua mano ciclopica e lo lanciò contro una
colonna del porticato con una forza tale da spezzare il suo corpo in due.
«Sono troppo vecchio per queste
cose!» disse cadendo in ginocchio ma riuscendo nel frattempo a staccare la
testa ad un altro potenziale aggressore.
Gli arcieri al
seguito dei soldati di fanteria tirarono tutti insieme nella sua
direzione, trafiggendolo più e più volte, ma ciò nonostante il Rafiq si ostinò
a non voler morire. Purtroppo, ben presto, le ferite e la stanchezza imposero
il loro tributo, e alla fine Samir, detto Sansone, cadde sotto i colpi delle
guardie, che dovettero saltargli addosso in dodici per riuscire finalmente ad
avere ragione di lui, trafiggendolo in quelle poche parti del corpo dove non vi
fossero già frecce o punte di spada.
Mentre Samir combatteva la sua
ultima battaglia Kahled aveva già raggiunto la zona occidentale della città, ma
in verità era talmente preso dai propri pensieri che non faceva altro che
saltare dal tetto su cui si trovava a quello a lui più vicino, seguendo un
percorso del tutto sconclusionato.
Ancora
non riusciva a credere a tutto ciò che stava succedendo. Altre volte lui e suo
fratello si erano ritrovati in situazioni difficili, per non dire disperate, faccia a faccia con la morte, ma niente era paragonabile a
ciò che stavano vivendo in quel momento.
Pensava
tanto a Mira, e si accorse di non aver mai pensato così tanto
a lei come in quel momento.
Allora,
Altair aveva ragione, e solo ora se ne rendeva conto: si era davvero
innamorato.
Del resto
erano cresciuti insieme, avevano lottato e combattuto insieme, e anche se
nessuno dei due avrebbe mai voluto ammetterlo avevano
anche due caratteri molto simili, che si univano l’un l’altro alla perfezione:
entrambi erano passati per esperienze terribili, avevano combattuto per
emergere, e condividevano un sano desiderio di giustizia.
Doveva
dirglielo.
Quando
fosse ritornata, perché, dentro di sé, era certo che sarebbe ritornata, le
avrebbe rivelato quello che provava veramente per lei, e lo avrebbe fatto con
il cuore in mano, senza esitazioni.
Non
sapeva come lei l’avrebbe presa, ma non gli importava. Ciò che stavano passando
gli aveva insegnato che non ci sono certezze nella vita, e che se si perde un’occasione si può scoprire improvvisamente che era l’unica
che la vita aveva voluto offrire, finendo per rimpiangere fin nella tomba
quella preziosissima opportunità mancata.
Lei poi
avrebbe preso la sua decisione, ma intanto lui glielo avrebbe detto: la amava,
la amava sinceramente, ed era pronto a tutto pur di restare insieme a lei, anche a rinunciare al titolo di maestro.
D’un tratto, proprio quando era tornato padrone delle sue
azioni, una figura aggraziata e maestosa fendette la luna, atterrando dopo un
salto acrobatico proprio davanti a lui, e Kahled, riconoscendola, pensò di
stare sognando.
«Mira!».
Era proprio lei.
L’aveva
cercata, l’aveva aspettata con l’animo eroso dall’ansia, ma ora era di nuovo
lì, accanto a lui. Era tornata.
Felice e
appagato come non mai, il ragazzo fece per andarle
incontro, quando invece il suo istinto di assassino avrebbe dovuto metterlo in
guardia visto che la sua amica aveva in mano le proprie spade, un gesto
inconsueto per gli Assassini, che molto di rado si avvicinavano l’un l’altro
armati, onde evitare fraintendimenti.
Inoltre,
la ragazza indossava ancora il suo abito da servitrice invece che l’uniforme, e
al collo aveva uno strano pendente a forma di cubo grande un paio di centimetri
che brillava di una inquietante luce azzurra.
«Mira. Sia lode al cielo. Per fortuna stai bene».
Lei alzò
gli occhi, mettendosi in piedi, ma ancora Kahled era troppo felice per accorgersi dello sguardo vuoto e quasi malvagio di Mira,
che all’improvviso, senza apparente motivo, lanciò una delle sue due spade
contro il ragazzo.
Fortunatamente
Kahled venne colpito solo di striscio alla spalla
destra, ma il colpo fu abbastanza forte da ributtarlo violentemente e
crudelmente alla realtà, costringendolo finalmente ad accorgersi di tutte le
cose che non andavano.
«Mira! Che ti prende!?».
Poi, vide
i suoi occhi, quello sguardo che per lui era impossibile da attribuire alla
Mira che aveva conosciuto e che aveva capito di amare. Quella,
non era lei; almeno, non nello spirito.
«No…»
disse con voce tremante «Questo no…»
«Sono qui
per eseguire la volontà del mio signore, il nobile Jahal.» disse lei mettendosi
in posizione di guardia «Preparati a morire, Assassino!»
«Mira…
anche tu… lo ha fatto anche a te…».
Kahled
era così sconvolto che quando Mira lo attaccò di nuovo estrasse la spada solo
all’ultimo, e la parata che eseguì fu talmente mediocre che la ragazza non ebbe
difficoltà a superarla, infliggendogli un nuovo colpo di taglio che oltre a
farlo girare su sé stesso per due o tre volte gli
procurò una seconda e più grave ferita, stavolta all’avambraccio sinistro.
«Mira,
non farlo!»
«Raccomandati al cielo, Assassino. Pagherai per aver
attentato alla vita del mio signore».
Era
chiaro che Mira non era neppure in grado di riconoscere la persona che le stava
di fronte, completamente plagiata dai poteri malefici della Parola di Allah, e
le sue intenzioni erano più che mai ostili.
Kahled
era disperato, e non sapeva cosa fare: di certo non sarebbe scappato, ma come
poteva fare del male alla stessa donna che aveva appena capito di amare?
Nello
stesso momento, da tutt’altra parte della città, Altair era quasi arrivato al
punto di ritrovo, ma proprio quando stava per intraprendere la voltata finale
attraverso l’ultima serie di edifici che stavano tutto intorno alla moschea si immobilizzò sul tetto di un edificio, come
cristallizzato.
Tutto era
silenzioso e tranquillo.
Anche
troppo tranquillo, e lui lì non era solo.
Fin dal
momento in cui si era separato dal fratello aveva
avuto la sensazione di essere seguito, e un istante prima di rimettersi in
marcia quella sensazione era divenuta una certezza: qualcuno gli stava addosso.
Ma chi? E da dove?
Durante
il tragitto si era più volte guardato attorno alla ricerca di potenziali
minacce, ma chiunque fosse a seguire le sue orme era abbastanza scaltro e abile
da riuscire a mantenersi al di fuori del suo campo visivo.
Poi, di
colpo, avvertì il sopraggiungere di una minaccia, e fulmineo eseguì un
acrobatico salto all’indietro, evitando facilmente una selva di stellette
appuntite che andarono a conficcarsi sulla pietra.
«Avanti,
vieni fuori.» disse guardandosi attorno «Affrontiamoci faccia
a faccia, da veri guerrieri.»
«Come
desideri.» rispose
una voce vacua, impalpabile, che sembrava provenire da tutte le direzioni.
Seguì una
risata sommessa, poi, letteralmente dal nulla, da una zona d’ombra generata da
un muro, comparve il guerriero vestito di scuro che già aveva sorvegliato, non
visto, l’operato di Mira e Kahled la notte scorsa al
porto della città.
Altair
rimase allibito: non si era neppure accorto di averlo così vicino, ed era certo
che quell’individuo, oltre ad essere un guerriero estremamente
pericoloso, avrebbe potuto ucciderlo in qualsiasi momento durante la sua fuga,
se solo lo avesse voluto.
«Sei tu
quello che chiamano l’Ombra?» domandò cercando di ostentare sicurezza
«Il mio
nome è Koromaru, ma tu puoi chiamarmi Ombra, se
preferisci.»
«Vieni
dalle isole dell’estremo est?»
«Esatto.»
«E come
sei finito qui, in un posto tanto lontano da casa?»
«È una lunga storia. Ti basti sapere che per chi, come me,
si macchia della più grande delle colpe, permettendo che a causa della propria
inadempienza il proprio signore venga ucciso, la
punizione è l’eterno esilio.»
«Mi sembri una persona che tiene molto al proprio onore. Per
quale motivo sei divenuto la guardia del corpo di un uomo come Jahal?»
«Perché è
proprio il mio onore ad impormelo. Lui mi ha trovato
mentre mi trascinavo quasi morto in questo deserto privo di vita dopo un
viaggio senza meta denso di ostacoli che aveva consumato tutte le mie energie.
Egli mi
ha salvato la vita, e pertanto io ho il dovere morale di ricambiare proteggendo
la sua.»
«Quell’uomo
è un usurpatore e un malfattore, che affama il popolo e mira ad
uccidere o soggiogare chiunque parli contro di lui. Essere al servizio di una
persona simile è forse da considerarsi un onore?»
«Non ha importanza che tipo di uomo sia, o cosa faccia. Ciò
che conta è che mi ha salvato, e il mio codice d’onore mi impone
di restituire sempre i debiti e i favori, indipendentemente dalla situazione.
Ma ora
basta parlare, Assassino. Passiamo ai fatti».
Altair
capì al primo sguardo che contro quel nemico la spada sarebbe stata del tutto
inutile, pertanto decise fin da subito di combattere quella battaglia
servendosi unicamente del pugnale, ma anche dopo averlo estratto
non ci pensò neppure a fare la prima mossa; la freddezza e l’impassibilità che
dominavano il volto di Koromaru lasciavano intendere
erano lo specchio di un guerriero assolutamente sicuro di essere completamente
padrone del proprio ambiente, e agire con imprudenza nei confronti di un simile
avversario era l’ultima cosa che si potesse fare.
«Che c’è,
Assassino?» domandò ad un certo punto vedendo che
Altair esitava ad attaccare «Pensavo foste dei guerrieri temerari, che non si
tirano mai indietro di fronte ad una sfida.
E sia,
vorrà dire che sarò io a portare il primo colpo».
Koromaru chiuse gli occhi, una
cose che un assassino non avrebbe mai osato fare di fronte al nemico, si mise
in posizione perfettamente diritta ed incrociò le mani davanti al petto,
eseguendo con le dita tutta una serie di strane movenze, tanto rapide da
risultare quasi invisibili, salmodiando contemporaneamente in una lingua che
Altair non riusciva a capire.
Poi, come
riaprì gli occhi, come per magia, scomparve nel nulla, e subito dopo la sua
figura prese a materializzarsi in tutte le direzioni, con enorme stupore di
Altair. Era dappertutto, in aria, in terra, sui tetti vicini.
«Che stregoneria è mai questa?» domandò attonito il fratello
maggiore guardandosi attorno.
Doveva
esserci per forza una spiegazione: un uomo non poteva dividersi in tante copie
di sé stesso, era contrario anche a quelle poche leggi
di natura a cui anche gli Assassini dovevano sottostare, eppure questo non
sembrava essere un problema per l’Ombra.
«Sei
sorpreso, Assassino?».
Di colpo
nuvole si stellette metalliche cominciarono a piovere in tutte le direzioni, e
intanto Koromaru continuava a moltiplicarsi; Altair
riuscì con la sua agilità a scansare molti degli attacchi, alcuni fu anche in
grado di pararli con il pugnale, e tentò persino, senza successo, di colpire
qualcuna delle copie con i suoi coltelli, ma ad un
certo punto una stelletta lo colpì al braccio, e a quella se ne aggiunsero in
meno di un secondo altre tre, che pur non uccidendolo lo scaraventarono giù dal
piano rialzato dove si trovava facendolo cadere sul tetto.
Allora, e
solo allora, tutte le copie parvero riunirsi, e da decine che erano tornarono ad essere uno solo, l’originale, che rise
leggermente.
«Devo
dire che mi aspettavo qualcosa di più dagli Assassini.»
«Non… non
è da poco il tuo potere.» disse Altair togliendosi le stellette e cercando di
rialzarsi «Lo riconosco, purtroppo.»
«E questo è niente. Osserva il mio potere».
Di nuovo,
Koromaru assunse quella posizione diritta, e di nuovo
prese a muovere salmodiando le dita delle mani, ma questa volta ciò che accadde
era contro ogni logica, al punto che Altair cominciò a
chiedersi se il suo avversario fosse davvero umano.
Dopo aver
estratto lo spadino ricurvo che portava dietro la schiena l’avversario
si abbassò il bavero, e portatosi una mano davanti alla bocca prese a soffiare;
dalle sue labbra si sprigionarono lingue di fuoco, e anche se Altair riuscì
miracolosamente ad evitarle una parte della sua veste si incendiò,
costringendolo a rotolarsi per riuscire a spegnere le fiamme.
Per nulla
sazio Koromaru continuò a sputare fuoco a più
riprese, fino a che Altair non si ritrovò imprigionato all’interno di un anello
incandescente, e di quando in quando il nemico compariva da oltre il muro,
ingaggiando con l’Assassino brevi scontri di agilità e maestria per poi tornare
a nascondersi non al di fuori dell’anello, ma direttamente tra le sue fiamme, e
seguitando a correrci dentro senza venirne minimamente
danneggiato.
Finalmente,
dopo un minuto e più di agonia, anche quella specie di inferno
in terra ebbe fine, e quando Koromaru si palesò
nuovamente davanti a lui Altair era ridotto ad uno stato pietoso.
«Terribilmente mediocre, Assassino. Devo dire che mi
aspettavo qualcosa di più.»
«Sono… sono costretto a riconoscerlo. Al mio attuale
livello, non sarei minimamente in grado di oppormi a te».
Poi,
Altair alzò gli occhi, guardando Koromaru dritto in
volto.
«Come ci riesci? Come riesci a sfidare leggi alle quali
persino per noi, che pure siamo uomini superiori, dovremmo sottometterci?»
«Non siete forse voi a dire che niente è reale, e tutto è
lecito?
Anche noi
siamo nati come assassini, e come voi abbiamo compreso che l’unico modo per
svolgere al meglio il nostro compito è valicare quel confine invisibile a cui il resto dell’umanità non osa neppure avvicinarsi.
Fa parte
del nostro addestramento: capire che questo mondo è fatto di leggi, e che come
le leggi fatte dagli uomini anche quelle di natura
possono essere comprese. La differenza che c’è tra noi e voi è che noi siamo
andati oltre: voi Hasisiyyun vi limitate a
comprendere, e a trascendere quando potete, noi siamo andati oltre. Abbiamo
sfidato quelle legge, le abbiamo fatte nostre, e abbiamo capito che la natura
non può essere solo capita, ma anche dominata.
È questo
che ci rende così diversi: tu rispetti e comprendi, io rispetto e padroneggio.»
«Sfidare la natura e le sue leggi. Sembra impossibile,
eppure tu ci riesci. Sì, lo ammetto. Nessun Assassino reggerebbe il confronto
con te.»
«I miei ordini sarebbero stati di ucciderti, ma non mi piace
l’idea di privare della vita qualcuno in possesso di un così grande potenziale.
C’è una
grande forza in te, io la vedo. Aspetterò il nostro prossimo scontro, che sono certo non tarderà ad arrivare.
A presto!».
Altair
tentò di fermarlo, ma Koromaru spiccò un salto
altissimo, assolutamente inumano, per poi scomparire letteralmente nel nulla
inghiottito dalla notte allo stesso modo in cui era venuto.
Nel frattempo, Kahled e Mira erano ancora impegnati in combattimento, ma si trattava in realtà di una
sfida a senso unico. Troppo sconvolto e provato da ciò che stava accadendo, il
fratello minore non riusciva in alcun modo a rispondere agli attacchi rapidi e
micidiali della sua avversaria, limitandosi a pararli quando il raziocinio gli
permetteva di farlo, ma ormai aveva tante di quelle ferite in tutto il corpo
che la sua veste, da bianca era divenuta rosso sangue.
Non c’era
niente di simile ai tanti confronti amichevoli in cui si erano affrontati in
passato: allora l’unico desiderio era di provare la propria superiorità, ma
rimanendo sempre nei limiti della pura e semplice sfida d’allenamento, ora
invece Mira pensava solo ad uccidere, e metteva tutta
sé stessa in quel proposito.
Più e più
volte Kahled aveva tentato di persuaderla, di spronarla a ribellarsi al
controllo del califfo, ma lei era rimasta sorda alle sue parole, e aveva
continuato imperterrita ad attaccare, ogni volta con sempre maggiore furia.
Tuttavia, lui non poteva né voleva farle del male, e sperava disperatamente che
alla fine la sua amica riuscisse a tornare in sé, ma intanto le energie stavano
sempre più venendogli meno a causa dei colpi subiti, la vista gli si stava
appannando ed era chiaro che non sarebbe sopravvissuto ancora a lungo
continuando per quella strada.
Ciò che
il traditore Risham aveva detto prima di ricevere il
colpo fatale, poi, lo tormentava indicibilmente: solo la morte poteva liberare
una persona dal controllo esercitato dalla Parola di Allah. Ma
come poteva lui, che aveva capito di amarla, rivolgere la propria spada su
Mira, sulla ragazza con cui si era esercitato così tante volte e con la quale
aveva condiviso ogni cosa?
Come se
non bastasse, per una qualche ragione Mira stava dimostrando una forza
straordinaria, capace di fracassare interi pezzi di muro con un solo pugno, e
Kahled aveva capito che la causa era il pendente che aveva al collo, che
brillava un po’ più forte ogni volta che la ragazza
faceva sfoggio di capacità sovrumane.
«Mira!»
disse Kahled durante uno scontro di forza «Guardami,
sono io! Kahled!».
Lei esitò
un momento, come se effettivamente lo riconoscesse, ma in realtà scavalcò la
sua difesa e gli assestò un calcio che, oltre a rompergli una costola, lo
scaraventò giù dal tetto, e fu solo per un vero miracolo se il ragazzo non ci
rimise la vita.
Immediatamente
saltò giù a sua volta, raggiungendolo in strada, ma
Kahled ormai era così malridotto che faticava a restare in piedi, e attendeva
solo di essere finito.
«Mira!»
disse quasi in lacrime, cercando di rialzarsi «Non
lasciarti controllare da quell’uomo. Tu non sei così debole. Ribellati! Io so
che puoi farlo!».
Ancora
una volta la ragazza parve reagire, esitando a vibrare il colpo di grazia, e
rialzato lo guardo Kahled rivide per un attimo la luce tornare ad albergare nei
suoi occhi.
«Ka…
Kahled…» balbettò come un malato al suo ultimo respiro
«Mira!».
Reso ceco dalla speranza fece per
avvicinarsi, ma prima ancora che potesse muovere il terzo passo
i poteri della Parola ebbero di nuovo la meglio, e la ragazza, afferrata
la corda di seta, fece compiere ad una delle sue due spade una lunghissima
parabola dall’alto verso il basso, e fu solo per un vero miracolo, forse per
l’estremo tentativo di Mira di ribellarsi al controllo, che il colpo, invece di
risultare mortale, procurò solamente, per così dire, una ferita non
particolarmente seria, ma abbastanza grave e profonda da accecare Kahled
all’occhio destro.
Il ragazzo urlò dal dolore, tenendo
la ferita, e il suo volto divenne una maschera di sangue, ma ciò nonostante
continuò a non voler attaccare.
«Mira… che cosa ti hanno fatto?».
Mira questa volta era davvero nelle
condizioni di poter chiudere l’incontro, e sembrava determinata a farlo, se non che, per la terza volta, esitò, rimanendo immobile
come una statua di sale.
Forse fu la vista di Kahled ridotto
in quello stato, forse la consapevolezza interiore di esserne la responsabile,
forse la sua coscienza, fatto sta che di nuovo i suoi occhi si accesero di
vita, e da quel momento fu come se due entità stessero lottando per il
controllo dello stesso corpo: i movimenti della ragazza si fecero meccanici,
spasmodici, e se una gamba provava ad avanzare l’altra
cercava di far perdere l’equilibrio, se una mano cercava di attaccare l’altra
la afferrava.
Come una bambola nelle mani di una
bambina, Mira cominciò a strattonarsi e a dimenarsi in tutte le direzioni,
urlando come una dannata. Si strappò le vesti e si tolse
i gioielli, tra i quali il pendente e il bracciale da assassino ricevuto da
Samir, che rotolò proprio ai piedi di Kahled, il quale lo raccolse, continuando
però a guardare atterrito e sconcertato la sua amica in preda alla più
terribile agonia.
«Mira…».
Finalmente, la sua compagna tornò
completamente padrone di sé, ma dalla paralisi che sembrava aver colpito tutto
il suo corpo era evidente che non lo sarebbe stata per molto tempo, e lo guardo
che gli rivolse, così determinato e insieme triste, gli fece avvertire un
terribile colpo al cuore.
«Mira…»
«Presto!» disse «Uccidimi!».
Kahled, attonito, non volle credere
di averla sentita pronunciare proprio quella parola.
«Che cosa hai detto!?»
«È l’unico modo per salvarmi, e tu
lo sai. Una volta caduti sotto l’influenza di quell’oggetto, solo con la morte
si può trovare la liberazione.»
«Mira… non puoi chiedermi questo…
non puoi…»
«Kahled!» gridò lei con rabbia, ma
piangendo nel contempo «Ti prego! Non voglio passare
il resto della mia vita a servire quel mostro! Solo tu mi puoi salvare in
questo momento!»
«Mira…»
«Fai presto! Non so per quanto
ancora riuscirò a resistere!».
Kahled non voleva credere che
stesse accadendo davvero. Doveva togliere la vita a Mira.
Una parte di lui
capiva, e sapeva che era quello che Mira voleva, come lei stessa stava dicendo
in quel momento, e che era la cosa più giusta da fare, ma l’altra parte, quella
guidata dal cuore, non voleva né poteva accettare una cosa del genere.
In quella, nuvole minacciose
coprirono la luna, e un violento acquazzone si abbatté su Baghdad, riempiendo
le strade di rigagnoli ed ingrossando il fiume, che
rinchiuso però entro robusti argini non costituiva una minaccia.
Sperduto, come un corpo privo di
anima, Kahled indossò il bracciale, alzandolo e mettendo il dito sul grilletto
che azionava il sistema ad aria compressa, e intanto
Mira rimaneva immobile, a gambe unite e braccia spalancate, come una figura in
croce che attende solo di ricevere un pietoso colpo di grazia.
Passarono
lunghi ed interminabili secondi; la mano di Kahled
tremava, e la vista si faceva sempre più vacua a causa del dolore e della
pioggia.
«Mira…» disse abbassando il braccio
«Io… non ci riesco…»
«Kahled…» rispose lei piangendo «Non puoi farmi questo. Ti prego… liberami…».
Anche lui piangeva, e sentiva che
sarebbe morto prima di prendere una decisione, ma alla fine fu il destino a
prenderla per lui. Improvvisamente, senza alcun segnale di allarme, il potere
della Parola ebbe di nuovo la meglio, e Mira si lanciò all’attacco
brandeggiando le spade.
Fulmineo, in un gesto dettato dal
puro istinto, Kahled alzò nuovamente il braccio, tirando il grilletto; la lama
partì, fulminea e quasi invisibile, fendendo le gocce d’acqua al proprio
passaggio e andando a conficcarsi con forza nel torace di Mira, al centro del
petto; per il contraccolpo la ragazza fu sbalzata all’indietro e perse
l’equilibrio, cadendo sulla terra bagnata.
«Mira!» gridò Kahled correndole
incontro e sollevandole la testa dopo essersi inginocchiato.
Lei, dopo qualche secondo, riaprì
gli occhi: la luce era tornata, questa volta completamente, ma stava già
spegnendosi, lasciando inesorabilmente spazio al buio senza fine della morte.
Che cosa aveva fatto? Che cosa
aveva fatto!
Aveva ucciso Mira, la sua Mira!
«Mira…» disse piangendo «Mi
dispiace…».
Eppure, nonostante tutto, la ragazza gli sorrise, un sorriso dolcissimo, e con le ultime
forze che le restavano articolò alcune parole nella sua lingua.
Shōu huí suo you de jì
yì. Suo you
de jì yì, suo you de kong
jù
(All’improvviso riaffiorano tutti i
ricordi. Tutti i ricordi, e tutte le paure)
«G… grazie…» mormorò poi.
Kahled
pianse, pianse come mai nella sua vita. Avrebbe voluto
dirglielo, dirle quello che aveva capito di provare
per lei, ma nel dolore e nella disperazione di quel momento non trovò la forza
per farlo.
«Devi…
devi fermarlo, Kahled. Fermalo…»
«Mira…».
A fatica,
lei riuscì ad alzare la mano, sfiorandogli la guancia con un dito, ma proprio
quando lui fece per stringerla questa scivolò di nuovo verso il basso, e Mira,
reclinata la testa, spirò tra le sue braccia: sorrideva.
«Mira…
Mira… non lasciarmi… io ti amo… non mi lasciare…».
Invano Kahled
continuò a chiamarla, a passarle la mano sul volto, e intanto le sue lacrime,
taglienti come coltelli affilati, si mescolavano alla pioggia, che attorno a
loro continuava a cadere, coprendo ogni cosa con il suo ronzio.
Un urlo
disumano squarciò la notte, mentre all’orizzonte già si intravvedeva
il primo sole, che apparendo da dietro
le dune scacciava via le nuvole di tempesta, annunciando l’inizio di un
nuovo giorno.
Nota dell’Autore
Rieccomi!
Visto? Ve l’avevo
promesso o no?
Avevo promesso di riaggiornare in tempi rapidi, e così è stato.
Avevo anche detto che
speravo di concludere prima di domani, quando so che
tutti i frequentatori della sezione spariranno fino a data da destinarsi, ma
purtroppo ho dovuto accettare la mia condizione umana e rimanere nei miei
limiti. Comunque, gli ultimi due capitoli e l’epilogo li ho già ben chiari in
testa, pertanto non dovrei metterci molto a scriverli.
Ringrazio Elika per la sua
recensione, e spero vivamente che prima o poi
ritornino anche gli altri miei commentatori.
A presto!^_^
Carlos Olivera