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Autore: lyrapotter    20/11/2009    20 recensioni
Dalla storia:
“Preparati, mondo” rise Sirius, mentre prendevano a scendere le scale sempre più indistinte. “I Malandrini sono tornati…”.
Perché certe amicizie sono destinate a durare per sempre, anche dopo la morte... Tributo personale a tre grandi personaggi.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James Potter, Remus Lupin, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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DISCLAIMER: Harry Potter e tutti i suoi personaggi appartengono a JK Rowling e a chi ne detiene i diritti. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

N.B. le parti in corsivo sono i pensieri dei personaggi

N.B. Moony: Lunastorta; Padfoot: Felpato; Prongs: Ramoso

WELCOME HOME, Mr. MOONY

Finita? No. Il viaggio non finisce qui. La morte è solo un'altra via. Dovremo prenderla tutti. La grande cortina di pioggia di questo mondo si apre e tutto si trasforma in vetro argentato.

(Gandalf, Il Ritorno del Re, film di Peter Jackson)

Morire è facile. Molto più facile di quanto la maggior parte della gente pensi… Ma la maggior parte della gente teme la morte, come teme tutto ciò che le ignoto, teme una cosa che non può comprendere appieno e per questo si attacca ferocemente alla vita…

Lui, la morte, aveva smesso di temerla da molto tempo: da tanti (troppi) anni il destino, il fato o chi per lui gli aveva sistematicamente tolto ogni cosa per cui la vita valesse la pena essere vissuta, come se qualcuno avesse deciso che non aveva diritto a essere felice. O forse, la sua quota di felicità l’aveva bruciata tutta nell’adolescenza, chissà… Forse, solo negli ultimi mesi aveva di nuovo scoperto cosa volesse dire essere felice…

Ma la morte alla fine era giunta anche per lui. Era stato quasi liberatorio, in un certo senso, anche se confuso e veloce. Gli erano rimasti come dei flash: ricordava la battaglia che infuriava in ogni angolo intorno a lui; ricordava il ghigno sadicamente soddisfatto di Dolohov mentre capiva di essere in vantaggio; ricordava il dolore delle ferite infertagli dal Mangiamorte; ricordava di aver realizzato di essere giunto definitivamente al capolinea; ricordava (molto vividamente stavolta, quasi il pensiero gli si fosse marchiato a fuoco nel cervello) di aver pensato che non avrebbe più rivisto il suo bambino e che avrebbe di nuovo, per l’ennesima volta, deluso Dora. Le aveva giurato di tornare a casa sano e salvo e non era stato capace di farlo: ormai aveva perso il conto delle promesse che non era stato in grado di mantenere.

Questo amaro pensiero era stato più o meno l’ultimo della sua vita.

Poi era giunto quel raggio verde, in pieno petto, senza lasciare scampo: per un istante, aveva avuto l’impressione che il cuore gli sarebbe esploso dal dolore, ma era stato solo un attimo.

Poi era stato venuto il buio e la quiete e la pace. O per meglio dire l’annullamento di ogni cosa: i suoi sensi, il suo corpo i suoi stessi ricordi… Tutto svanito: era come una vaga bolla immersa nel vuoto, con quella scintilla di consapevolezza che la rendeva conscia di esserci, di esistere in quel luogo, qualunque esso fosse.

Dopo quelli che avrebbero potuto essere pochi secondi come anni interi, il nero aveva cominciato a dissolversi per cedere il posto a una sorta di nebbia plumbea che avvolgeva una specie di grande, grigio giardino, in qualche modo fastidiosamente famigliare.

Si era reso conto di star camminando, non aveva idea per andare dove, ma di certo lo sapevano i suoi piedi, visto che si muovevano senza la minima esitazione. Mentre camminava, nuovamente consapevole di sé stesso e del proprio corpo, prese a ricordare: dapprima arrivarono esitanti, brevi lampi sconnessi e apparentemente senza senso (una Cioccorana, una vecchia pergamena logora, la luna piena, un portaombrelli a forma di zampa di troll), poi sempre di più e sempre più velocemente, come un fiume in piena inarrestabile.

Fu un’esperienza strana e curiosa, perché mentre le immagini gli passavano davanti, una parte di lui ricordava già tutte quelle cose: era ovvio, era la sua vita. La tua vita, Remus John Lupin?, gli suggerì in tono vagamente ironico una vocina nella sua testa. La mia vita, confermò lui.

Nel frattempo colori vivaci andavano prendendo il posto del grigio nebbioso: non era più nel giardino, ora percorreva corridoi così assurdamente famigliari che si chiese come avesse fatto a non riconoscerli prima.

Hogwarts: l’unico posto dove si fosse sempre sentito a casa, dove fosse stato davvero felice.

Era tutto come lo aveva sempre ricordato: svoltava l’ultimo angolo, superava quel ritratto come tante volte in passato, attraversava la calda Sala Comune di Grifondoro e saliva quei gradini, diretto verso il dormitorio. Il loro dormitorio, quello dei Malandrini, che violando tutte le leggi della fisica era in qualche modo riuscito a sopravvivere al passaggio di quei due uragani che rispondevano al nome di James Potter e Sirius Black.

Il pensiero dei due amici gli colmò il cuore di tristezza, mentre si fermava davanti alla porta, esitando per la prima volta. Voleva sul serio entrare? In fondo, erano passati tanti anni, erano di certo cambiate tante cose, altri studenti avevano occupato quella stanza e dormito in quei letti… E loro non ci sarebbero stati…

Forse avrebbe fatto meglio ad andarsene… Fu proprio quando si stava voltando con l’idea di andare da qualche altra parte, che le sentì: due voci dolorosamente famigliari che discutevano animatamente al di là di quella porta.

Remus si bloccò, senza osare credere alle proprie orecchie: non era possibile, eppure non poteva immaginarsele, erano così vivide, così reali…

Titubante, allungò una mano e afferrò la maniglia, senza comunque riuscire a risolversi ad aprire: era ridicolo, non potevano essere loro, loro erano… Ma in fondo, nemmeno lui avrebbe dovuto essere lì: quella situazione era già assurda così, perché non avrebbe potuto essere ancora più assurda?

Si fece forza e con decisione spinse la porta.

Il dormitorio era arredato come all’epoca del suo settimo anno: stessi quattro letti a baldacchino, stessi quatto bauli aperti il cui contenuto era sparso per tutta la stanza, stesso grado di sfacelo e disordine, perfino gli stessi poster alle pareti. E di certo, se avesse guardato con più attenzione, avrebbe riconosciuto gli stessi oggetti: vecchie carte di dolci, un numero assurdamente alto di calzini spaiati che sbucavano da tutte le parti, testi scolastici mai aperti usati per equilibrare le gambe delle sedie, in un angolo c’era perfino l’orrida maglietta che gli avevano regalato per il suo diciassettesimo compleanno e che lui si era sempre rifiutato di mettere: di uno sgargiante verde evidenziatore, con sopra disegnato un lupo stilizzato e la scritta a caratteri cubitali Sono un lupo cattivo e famelico: vuoi ululare alla luna insieme a me?.

Ma ciò che più di tutto attirò la sua attenzione furono i due giovani uomini comodamente spaparanzati sul pavimento, immersi in quella che era senza dubbio un’intelligente e costruttiva discussione.

"Ma tu sei completamente fuori di testa!" sbottò James Potter in tono stizzito.

"Io fuori di testa?!" ribatté con aria scandalizzata Sirius Black, rizzandosi a sedere. "Perché semplicemente non ammetti che ho ragione?".

"Perché tu NON hai ragione, ecco perché!" sbuffò James, mettendosi a sedere a sua volta e incrociando le gambe. "Piuttosto, tu dovresti ammettere che IO ho ragione e tu torto marcio…".

Sirius sbottò in una lunga risata ironica. "Non vedo perché dovrei farlo, visto sei tu a sbagliare e non io: Sirius Black ha sempre ragione. Sempre! E non ammetto discussioni su questo punto…".

"Io invece ti discuto il punto e anche la virgola, Padfoot! Il giorno in cui tu avrai ragione su qualcosa, Mocciosus si laverà i capelli e arriverà la fine del mondo…".

Sirius lo spintonò, facendo per saltargli addosso e nel farlo notò Remus ancora impalato sulla porta che osservava i due litiganti a occhi sgranati.

"Ah, ecco, qualcuno che mi darà ragione" esclamò trionfante, indicandolo.

Anche James si voltò e sorrise a Remus. "Moony, ti dispiace dire a Sirius che è più idiota del più idiota dei Vermicoli? Anzi, no, definirlo idiota è quasi un insulto per tutti gli idioti del pianeta!".

"Ma sentilo, ha parlato Mister Sapientone!" lo schernì Sirius. "Invece di insultarmi, perché non ammetti che ho ragione?".

"Perchè tu non hai ragione… E ora di certo Moony concorderà con me: vero, Moony?".

"Eh, come?" balbettò Remus, ancora inebetito e incredulo: non potevano essere davvero loro, lì, davanti a lui, a bisticciare come due vecchie comari.

"Dì a Prongs che è in torto marcio, per favore, Remus: a me non vuol dar retta!".

James roteò gli occhi con aria irritata. "Non dargli retta: io ho ragione e lui torto… È solo che non vuole ammettere di aver sbagliato…".

"Io non ho sbagliato proprio nulla: tu semmai…".

James lo interruppe con un gesto irritato della mano. "Ok, è evidente che c’è un solo modo per uscirne…". Prese un respiro profondo e con aria solenne si girò verso Remus, pronto a porre la domanda fondamentale che avrebbe risolto il mistero dell’universo. "Remus, chi ha vinto il campionato di Quidditch del 1976? Le Frecce di Appleby, vero?".

"NON l’hanno vinto le Frecce il campionato del ’76!" saltò subito su Sirius. "Sono state le Vespe di Wimbourne!".

"Le Vespe hanno vinto quello del ’77!" lo corresse James con il tono di chi ripete una cosa per la milionesima volta. "Nel ‘76 erano campioni le Frecce!".

"Tu sei fuori come un balcone! Ti pare che delle mezzecalzette come le Frecce potevano vincere contro le Vespe quando giocava Ludo Bagman?".

"Io ti dico che nel 1976 le Frecce di Appleby hanno vinto il campionato!".

"E ti dico che sbagli, stupido cervide con le corna mozze!".

"Che cosa mi hai detto?".

"Stupido cervide con le corna mozze!" ripeté Sirius senza traccia di esitazione.

"Tu, sbavante sacco di pulci! Decerebrata palla di peli! Sottospecie di chihuahua travestito!".

Sirius lo fissò come se gli avesse appena fatto il peggiore degli insulti possibili: si portò una mano al cuore, con espressione melodrammatica. "Chihuahua?" ripeté, schifato. "Chihuahua? Tu hai osato darmi del chihuahua? Il chihuahua non è nemmeno degno di essere chiamato cane: è un ratto che si spaccia per cane!".

James aprì la bocca per ribattere e Remus, intuendo che la cosa avrebbe potuto andare avanti anche per l’eternità, si decise finalmente a intervenire.

"Scusate, ma state litigando… Sul Quidditch?". Si chiese perché era così stupito: Sirius e James era perfettamente capaci di mettersi a discutere su argomenti ben più assurdi della squadra di Quidditch che ha vinto un certo campionato, perché la morte avrebbe dovuto cambiare le cose?

"Non guardarci a quel modo, Remus" sospirò James. "È una questione seria…".

"Serissima" puntualizzò Sirius. "Il destino del mondo potrebbe dipendere da questo…".

Remus corrugò la fronte, perplesso. "E in che modo il destino del mondo potrebbe dipendere da quale squadra ha vinto il campionato di Quidditch del ’77?".

"Allora, prima di tutto, era il campionato del ‘76" lo corresse Sirius. "In secondo luogo, non usare quel tono…".

"Quale tono?".

"Il tono da ‘Ma-Che-Razza-Di-Stupidaggine-Andate-Blaterando-Stavolta’, quel tono lì…".

"Il tuo tono di voce abituale quando parli con noi, in effetti" osservò James, picchiettandosi il mento con aria pensosa.

Remus scosse il capo: non erano cambiati di una virgola, sempre i soliti due idioti farneticanti… Ma Merlino, quanto gli erano mancati quei due idioti farneticanti: era passato così tanto tempo dall’ultima volta che li aveva sentiti immersi nei loro sconclusionati discorsi, da quando si era visto tirato in mezzo a discussioni assurde, da quando li aveva tirati fuori dai guai… I suoi migliori amici, che gli erano stati portati via uno dopo l’altro senza che potesse fare nulla per impedirlo…

James e Sirius si scambiarono uno sguardo perplesso e un po’ preoccupato, mentre con dei movimenti fluidi si alzavano in piedi e si avvicinavano.

"Tutto ok, Moony?" domandò James, scrutandolo attentamente.

Moony: da quanto tempo qualcuno non lo chiamava più così? Decisamente troppo…

"Sì, sì, bene, certo…" articolò annuendo a scatti, mentre sentiva le prime lacrime pizzicargli gli angoli degli occhi.

"Ma che fai adesso, piangi?" ridacchiò Sirius con aria divertita.

"NO!" protestò velocemente Remus, distogliendo lo sguardo. "Non sto piangendo…".

Inutile dire che James e Sirius nemmeno lo sentirono: come un solo uomo, si portarono le mani al petto, al petto con espressioni di grande quanto ironica commozione dipinte in volto. "Oooooh!" tubò James. "Il nostro bambino si è commosso…".

"Che cuore tenero…" gli fece eco Sirius. "Sempre così sensibile…".

"Anche se, per me, piange perché si era dimenticato quanto era brutto e il vederti l’ha lasciato sconvolto…".

Sirius si voltò verso l’amico con aria offesa. "A chi hai dato del brutto, scusa? Ti ricordo che sono io quello affascinante…".

"Sì, in una tribù di Troll, forse…" ridacchiò James.

"Ma sentila, la faccia da Schiopodo spiaccicato! Vogliamo fare il conto delle ammiratrici per decidere? Tanto lo sai che ti batto!".

"Certo, ma alla fine io una sono riuscita a tenermela e sposarla, invece le tue storie non sono mai durate più di una settimana, poi le ragazze scappavano a gambe levate…".

"Ragazzi!" sbottò Remus, trovando sul nascere la controbattuta di Sirius. "Vi pare il momento di discutere di cose del genere?".

"Hai ragione, Moony, scusa, stiamo guastando un momento molto struggente ed emotivamente intenso…".

I due chiusero gli occhi, respirarono a fondo e poi esplosero in un unico, miagolante: "Il nostro Moony tenerone!".

"Idioti!" sbottò stizzito Remus. "Me n’ero quasi dimenticato di quanto possiate essere idioti…".

James e Sirius parvero quanto mai offesi da quella frase. "L’hai sentito, Padfoot?".

"Si stava dimenticando di noi…" pigolò Sirius con voce lamentosa.

"Mostro crudele e senza cuore!".

Remus alzò gli occhi al cielo. "Sì, come vi pare…". Si guardò intorno, indugiando su alcuni dettagli della stanza: era proprio identica a come la ricordava, come se non fosse passato nemmeno un giorno. Ma non poteva essere reale: erano passati qualcosa come vent’anni dall’ultima volta che aveva messo piede in quel dormitorio… "Dunque, cosa sarebbe esattamente questo posto? Il paradiso?". Certo, se lo era davvero, era abbastanza deludente: non avrebbero dovuto esserci cori di angeli e nuvolette candide?

Infatti sia James che Sirius scossero il capo. "Ovvio che no…" rispose Sirius, ridacchiando come se Remus avesse detto qualcosa di molto divertente. "Ti pare che il paradiso poteva essere così squallido?".

"E allora?" insistette Remus avido di informazioni, quando capì che gli altri due non volevano aggiungere altro.

James si passò una mano tra i capelli con aria pensierosa. "È complicato da spiegare, Moony: ci sono cose che non possiamo dire…".

"E altre che non sappiamo" aggiunse Sirius. "Quello che è certo è che sei stato tu a portarci qui".

"Io?" ripeté Remus mentre Sirius lo indicava. "E come ho fatto?".

I due malandrini scrollarono le spalle, come se la cosa non fosse importante. "È sempre colui che arriva a decidere il posto" spiegò James. "Te l’abbiamo detto, non sappiamo bene come funziona: di solito è un luogo dove lui o lei è stato felice o comunque un posto importante…".

"Noi ti stavamo semplicemente aspettando" aggiunse Sirius.

"Mi stavate aspettando?" gli fece eco Remus, sempre più confuso da quelle spiegazioni sommarie.

"C’è sempre qualcuno che ti aspetta" disse semplicemente James. "Per aiutarti a decidere cosa fare, a capire…".

"E per inciso" riprese Sirius, avvicinandosi a Remus, "ti stiamo aspettando da un SACCO di tempo, Moony, lo sai!". Gli sventolò al naso l’orologio che portava al polso sinistro. "Ci hai messo un secolo ad arrivare!".

"Iniziavamo sul serio a stancarci" concordò James.

"Che cosa dovrei dire? Scusate se non sono morto prima?" sbottò Remus, un po’ ferito da quelle affermazione.

"Come minimo" rispose Sirius. "Lo sai quanto odio stare fermo senza far nulla…".

"MI stava tirando matto: continuava a sbuffare e a guardare l’orologio…".

"E dire che di solito sei sempre così puntuale e precisino…".

Remus non sapeva cosa dire: doveva sul serio scusarsi per una cosa del genere? Gli pareva stupido: sarebbe stato come arrabbiarsi con loro per essere morti troppo presto, per averlo lasciato indietro da solo, una cosa ridicola.

"Vabbè" dichiarò James, battendo le mani. "L’importante è che alla fine sei arrivato, giusto?".

Guardò Sirius come a cercare una conferma. Quest’ultimo parve rifletterci sopra un attimo, poi scosse il capo e disse. "Io dico che si merita una bella punizione per tutto il tempo che ci ha lasciato qua come cucù ad aspettarlo…".

James inarcò un sopracciglio, perplesso. "Non credo che…" tentò, ma Sirius si era già girato verso Remus con il suo miglior ghigno malvagio stampato in volto.

Remus istintivamente indietreggiò di un paio di passi. "Che diavolo vuoi fare, Sirius?".

"Oh, non ti preoccupare, non sarà nulla di invalidante…" lo rassicurò l’Animagus, andandogli dietro.

Per nulla rassicurato, Remus continuò ad indietreggiare, mentre il vago sospetto di cosa Sirius volesse fare gli germogliava nella mente. "Ah, no, cagnaccio, non ti azzardare…".

Il ghigno dell’altro si allargò ancora di più, confermando di fatto i suoi sospetti. "Vieni qui, Moony: non la vuoi una bella leccatina?".

"Non ci provare" lo minacciò Remus puntandogli un dito contro. "Non siamo più due ragazzini, ci spacchiamo in due…".

"E pensi che questo possa fermarlo?" ridacchiò James, che osservava la scena genuinamente divertito. "Povero illuso, io se fossi in te correrei e basta!".

Remus non aveva certo bisogno di un simile incoraggiamento, ma non riuscì a fare più di una decina di passi prima che Sirius, trasformatosi repentinamente in cane, gli saltasse addosso con tutto il suo peso, buttandolo in terra, per poi cominciare a sbavargli ogni centimetro di pelle che riusciva a raggiungere.

"Sirius, stupido botolo rognoso!" protestò Remus, ridendo, cercando senza troppo successo di levarselo di dosso. "Togliti! Togliti!".

Come parlare al muro: Sirius gli abbaiò in faccia, tutto contento, prima di riprendere a leccargli allegramente la faccia, mentre dietro di loro, James rideva spudoratamente del loro piccolo spettacolo.

Merlino, per incredibile che poteva sembrare, si era proprio dimenticato cosa si provasse a ritrovarsi coperti di bava di cane fin nelle mutande: non era una bella sensazione, eppure Remus non ricordava di essere mai stato felice come in quel momento. Sirius era lì, era più reale che mai e gli stava spappolando qualche organo interno con quelle sue zampacce del cavolo, ma non gli importava.

Ripensò all’ultima volta che l’aveva visto, poco prima che quel dannato Velo nell’Ufficio Misteri se lo portasse via: la loro ritrovata amicizia era durata così poco…

Non si rese nemmeno conto di quando le risate si trasformarono in singhiozzi: un secondo prima stava cercando di scacciare Sirius, quello dopo aveva gli occhi inondati di lacrime. Era semplicemente troppo: dopo tutto quel tempo, non avrebbe mai pensato che un momento simile sarebbe mai arrivato.

Sirius si bloccò, allontanando il muso e fissandolo con un sopracciglio inarcato, sempre ammesso che un cane possa inarcare le sopracciglia. Anche James aveva smesso di ridere e si era avvicinato.

Sirius riprese la sua forma umana, senza badare troppo la posizione piuttosto equivoca in cui si trovavano lui e Remus in questa maniera. "Moony…" mormorò. "Non fare così: lo sai che lo odio…".

Remus cercò di ridere senza troppo successo e la risata si trasformò in una sorta di singhiozzo strozzato. Non ci poteva fare nulla, ora che aveva cominciato sembrava semplicemente impossibile fermarsi.

Sirius si spostò, andando a sedersi accanto a lui, permettendogli di tirarsi su a sua volta e poi fece una cosa che Remus proprio non si aspettava, conoscendo la scarsa propensione di Sirius per certe dimostrazioni d’affetto: lo attirò a sé e lo abbracciò. Istintivamente Remus si aggrappò a lui, quasi temesse che da un momento all’altro potesse sparire di nuovo: forse era solo un sogno e da un momento all’altro si sarebbe svegliato nel suo letto a casa Tonks con Dora a fianco.

Ma non accadde: Sirius non scomparve, anzi, ricambiò la stretta e poco dopo anche James gli poggiò entrambe le mani sulle spalle.

Nessuno dei tre seppe dire per quanto tempo rimasero così, immobili stretti l’uno all’altro, grati delle reciproche presenze.

"Mi siete mancati così tanto…" biascicò a un certo punto Remus, quando si separarono.

"Lo so. Lo sappiamo" si corresse subito Sirius, sorridendo. "Anche tu ci sei mancato: perché credi che fossimo qui ad aspettarti?".

"Credevo che non vi avrei rivisto mai più" mormorò ancora Remus, scacciando le lacrime con le mani. "Ma ora non ha più importanza…".

"No, infatti" confermò James. "Ora sei a casa".

"Siamo tutti a casa" puntualizzò Sirius.

Per un attimo calò di nuovo il silenzio, mentre Remus rifletteva su quell’affermazione, cercando di riordinare la sua mente in subbuglio: stavano accadendo troppe cose tutte di insieme, non riusciva a pensare. E forse non voleva pensare, forse doveva semplicemente godersi quel momento senza troppe paranoie e lasciare che le cose venissero da sé.

All’improvviso, da qualche parte un orologio cominciò a battere l’ora: il suono fu così improvviso rispetto al silenzio quasi religioso di poco prima che tutti e tre i malandrini sobbalzarono, presi alla sprovvista.

"Che cos’è?" domandò Remus, guardandosi intorno come a cercare la fonte del rumore, che non sembrava venire da nessun luogo preciso.

James e Sirius si scambiarono un’occhiata ansiosa. "È tardi" disse James, alzandosi in piedi, subito imitato dall’amico. "Tra una cosa e l’altra, abbiamo perso un sacco di tempo…".

"Come sempre del resto!" ridacchiò Sirius, mentre anche Remus si alzava. "Che sta succedendo?" domandò perplesso.

"È ora di andare, Moony" rispose Sirius. "O meglio, noi dobbiamo andare: tu puoi ancora scegliere…".

Remus sbatté gli occhi un paio di volte, senza capire.

"Te lo abbiamo detto, no? Questo è solo un punto di passaggio per te" spiegò James. "Noi non possiamo più stare qui: dobbiamo ehm, come posso dire…".

"Rientrare alla base?" suggerì Sirius.

James annuì con vigore. "Esatto, rientrare alla base, altrimenti voleranno parecchie teste…".

"E dove sarebbe questo posto?" domandò Remus, mentre il cuore già prendeva a battere più forte all’idea di doversi nuovamente separare dagli amici.

Questi scossero il capo. "Non possiamo dirtelo finché non decidi cosa fare: la morte ci tiene a tenersi stretti i suoi segreti…".

"Non capisco…".

"Sì che capisci" sbuffò Sirius. "Metti in moto in neuroni di cui ti sei sempre tanto vantato: qual è la via di mezzo tra vita e morte?".

In un’altra occasione, di certo la risposta gli sarebbe venuta immediata, ma in quel momento non riusciva proprio a connettere il cervello e così dovette pensarci parecchi minuti. "I fantasmi…" mormorò infine.

"Esatto" confermò James con un sorriso. "È per questo che sei qui: noi dobbiamo andare, ma tu puoi ancora scegliere, se vuoi…".

"Scegliere se restare o venire con noi" continuò Sirius. "Se resti, diventerai un fantasma…".

"Sì, potresti diventare qualcosa come Moony il Lunatico!" rise James.

Remus abbozzò un sorriso, senza in realtà sentire la battuta, la mente in subbuglio.

"Dipende da te, Remus" riprese James. "Ma ricorda che non si può tornare indietro…".

Remus annuì distrattamente: quella possibilità, nel turbinio di cose che erano accadute, nemmeno gli era passata per l’anticamera del cervello. Si era completamente dimenticato che i maghi, se lo volevano, potevano tornare sulla terra come fantasmi.

Per un attimo, immaginò quella possibilità: si vide, figura bianca e trasparente, a conversare amabilmente con Nick-Quasi-Senza-Testa levitando sopra il banchetto d’inizio anno, sorridendo amabilmente agli studenti. Avrebbe potuto rivedere Dora, stare accanto a Teddy… Sì, vederli senza poterli mai più toccare, gli ricordò il suo buonsenso. E una cosa del genere non sarebbe perfino peggio che non rivederli mai più?

Sì, stare accanto alle persone che amava senza poterle sentire sarebbe stato molto peggio che non rivederle… E in ogni caso, sarebbe stato per poco tempo, se paragonato all’eternità che lo attendeva.

James e Sirius nel frattempo si erano spostati verso la porta del dormitorio: notò che James aveva già una mano sulla maniglia. Se l’avessero varcata senza di lui, non li avrebbe mai più rivisti, lo sapeva: sarebbero stati separati per l’eternità.

Voleva sul serio questo?

Non c’era nemmeno bisogno di pensarci: non avrebbe mai potuto sopportare di rimanere separato da loro un’altra volta. Dora sarebbe stata bene, si disse: sarebbe andata avanti con la sua vita, avrebbe cresciuto Teddy per entrambi e un giorno, probabilmente, si sarebbero rincontrati in un luogo simile a quello.

"Allora, Moony?" domandò Sirius, dondolandosi sui piedi in attesa. "Che cosa vuoi fare?".

Non ci fu bisogno di parlare: la stanza cominciò lentamente a sbiadire, tornando a quel pallido grigio nebbioso che aveva accompagnato la venuta di Remus.

Non temo la morte, si disse, mentre James li tendeva una mano e lui l’afferrava senza la minima esitazione.

E perché avrebbe dovuto? L’affrontava con i compagni migliori che si potessero immaginare, i suoi migliori amici…

"Preparati, mondo" rise Sirius, mentre prendevano a scendere le scale sempre più indistinte. "I Malandrini sono tornati…".

"…e faranno scintille…" promise James, circondando con le braccia le spalle dei due compagni.

"… giurando solennemente…" continuò Remus.

"… di non avere buone intenzioni!" conclusero tutti e tre in coro, ridendo.

Sì, ora era davvero a casa… E lo sarebbe stato per l’eternità.

LYRAPOTTER’S CORNER

Che posso dire? Questa è la massima espressione del detto "vedere il bicchiere mezzo pieno", immagino.

Amo i Malandrini alla follia, ormai credo che sia evidente, e ho odiato da morire la fine che hanno fatto, ma dopo il momento (molto lungo) di lutto, ho cercato di vedere il lato positivo e immaginarmi un loro ricongiungimento nell’aldilà…

E non ditemi che nessuno di voi non ha mai immaginato James e Sirius che seminavano distruzione saltellando da una nuvoletta all’altra che Remus dietro che cercava di tenerli a bada!

Comunque, questa storia ha trovato fonte prima di ispirazione nello stupendo disegno di Kanae che trovate qui: quando l’ho visto, posso affermare che la shot si è scritta praticamente da sola.

Mi sono presa la licenza poetica di immaginare che Remus non sapesse che Dora l’aveva seguito ad Hogwarts: dai libri, non mi pare che si possa intuire nulla in proposito, perciò ho deciso così, anche se noi sappiamo cosa è successo davvero.

E se tra voi ci sono lettori di Babysitter per caso, posso annunciarvi che la crisi mistica sta lentamente defluendo, come ho potuto vedere anche da qui: non posso promettervi di tornare ad aggiornare presto, perché il tempo continua a scarseggiare, ma è già un passo avanti!

Bon, nota assurdamente lunga, vi ho tediati a sufficienza, ammesso che qualcuno sia riuscito ad arrivare fin qui!

Commenti critiche sono come sempre ben accetti, alla prossima!!!!!!!!!!!!

   
 
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