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Autore: keli    20/11/2009    1 recensioni
[…] rimaneva sempre spiazzata al pensiero di dover parlare con quel paziente. C’era qualcosa in lui che non l’avrebbe fatto catalogare nei malati mentali che si incaricava di curare, come quel Deidara, qualcosa che l’attirava e ripugnava nello stesso tempo. Forse semplicemente vederlo costantemente coperto del rubino che sgorgava dalle sue innumerevoli ferite, e quelle labbra, quelle labbra maledette che sogghignavano ogni qual volta chiedesse il perché […]
[Hidan/Sakura]
[Partecipante al contest indetto da Hikaru_Zani sul forum di EFP "Lips like morphine"]
Genere: Malinconico, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hidan, Sakura Haruno
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Autore: oKelio
Titolo: Hell’s Door.
Personaggio scelto/altri personaggi/pairing: Hidan, Sakura Haruno, Deidara, Sakura/Hidan, Altri
Genere: Malinconico, Drammatico, Sentimentale
Rating:Giallo
Avvertimenti: AU, Death Chara, One Shot, Nonsense (un po’ forse)
Note dell'Autore: Riepilogando brevemente: Hidan è rinchiuso al manicomio di Tokyo da tempo immemore oramai. Catalogato come instabile mentale, viene tenuto sotto stretta sorveglianza perché professandosi seguace di un immaginario dio Jashin, ha provato più volte a suicidarsi. Sakura è il medico incaricato di occuparsene, e non riesce a capirlo trovandolo più indemoniato che malato mentale. Presto le barriere fra medico e paziente scompaiono, lasciando il posto a qualcos’altro di più eccitante e pericoloso. Qualcosa che basta ad aprire, le porte per l’inferno. Mh… direi di aver detto tutto, a voi l’ardua sentenzaxD. Buona lettura!




Hell’s Door
(La strada per l’inferno)



<< Riepilogando Hidan, perché hai tentato di ucciderti? >>

Quella era la domanda che poneva da più di sei mesi oramai, ovvero da quando gli era stato affidato il “caso” Hidan Kami. Detestava che i suoi pazienti fossero catalogati come casi clinici, rifiutava di farlo lei stessa. Anche se malati mentali erano pur sempre persone e come tali bisognava trattarle. Non che facesse molta differenza, visto che da parte dei pazienti non riceveva alcuna gratifica, ma era uno sforzo che sentiva di dover compiere.
Come diceva sempre Temari era semplicemente una “dannata sentimentalista” che voleva rendere il mondo migliore e che avrebbe fatto bene a rinchiudersi con i matti che dovevano curare, altro che storie. Avvolte si domandava se l’amica non avesse ragione. A cosa serviva cercare di aiutare quelle persone, trattarle come esseri umani, se poi erano loro stesse a non voler aiuto di alcun genere, anzi disprezzavano il suo lavoro? Sospirò, giocherellando nervosamente con la penna nera che avrebbe dovuto riportare quella che sarebbe stata un'altra infruttuosa conversazione, sulla cartelletta bianca appoggiata, dimentica, sul bordo del tavolo di ferro che li separava. Nella penombra della stanza, poteva scorgere benissimo quelle bende bianche ancora macchiate da sangue fresco, spiccare persino più delle innumerevoli ferite che deturpavano il corpo candido del ragazzo davanti a lei. Represse istintivamente un conato di vomito che le saliva nella gola ogni volta che sentiva o semplicemente vedeva, quel carminio. Oramai avrebbe dovuto farci l’abitudine però. Il ventisettenne davanti a lei che la guardava quasi con disprezzo, era un habitué dell’infermeria dell’ospedale psichiatrico in cui vivevano entrambi. Osservandolo meglio si chiese come un bel ragazzo come lui potesse essersi rovinato in quel modo. Non c’era centimetro della sua pelle che non fosse segnata da cicatrici più o meno profonde che gli erano valse però, il diritto quasi usurpato a quella vita che non sembrava volere. Quasi stancamente si domandò perché si ostinassero a salvarlo ogni volta, subendo le urla isteriche, gli improperi e a volte i colpi di lui che non collaborava, e delle risate simili a vuote minacce del suo compagno di stanza.

<< Vuoi saperlo realmente dottoressa? Dobbiamo davvero portare ancora avanti questa cazzo di farsa? Ma non ti sei stancata a sentirti sempre dare le mie fottute risposte?! >>

La ragazza seduta sulla scomoda sedia di ferro si mosse quasi convulsivamente, come se qualche cosa l’avesse punta. Si ritrovò amaramente a constatare che forse era solo la sua coscienza. Sospirò, per l’ennesima volta in pochi minuti, massaggiandosi stancamente le palpebre con la mano libera. Aveva ragione, era quasi snervante constatare come fossero infruttuose quelle sedute. Lo sapevano entrambi, eppure non potevano fare a meno di continuare, tutti e due. Ogni qualvolta si apprestava a entrare nell’asettica stanza di metallo, però, rimaneva sempre spiazzata al pensiero di dover parlare con quel paziente. C’era qualcosa in lui che non l’avrebbe fatto catalogare nei malati mentali che si incaricava di curare, come quel Deidara, qualcosa che l’attirava e ripugnava nello stesso tempo. Forse semplicemente vederlo costantemente coperto del rubino che sgorgava dalle sue innumerevoli ferite, e quelle labbra, quelle labbra maledette che sogghignavano ogni qual volta chiedesse il perché di quella voglia che lo portava alla follia per cui era rinchiuso, quella voglia insana di morte.
Non sapeva di preciso perché continuasse a provarci, o forse, forse si ma non voleva ammetterlo. Era cento volte più facile parlare con il suo compagno di stanza, lo Yagi, un ex piromane dedito alle bombe artigianali perché convinto che solo l’esplosione fosse la forma più vera d’arte. Era lui che ogni volta li informava quando il sangue che scendeva dalle ferite sul corpo del compagno si faceva troppo persino per lui che diceva volerlo vedere diventare arte, e non un patetico sacco d’ossa insanguinato che poco artisticamente, gli sarebbe di sicuro morto davanti. Non era la stessa cosa che parlare con lui ed era questo che l’inquietava, smuovendo quell’animo dedito al benessere altrui che non avrebbe mai potuto essere corrotto da nient’altro che… il sangue.

<< Non importa se mi sia stancata o meno, questo è il mio lavoro e purtroppo tu devi rispondere alle mie domande se vuoi tornare libero come tutte le persone normali >>

Quel “normali” pronunciato così diversamente dal resto della frase, come se fosse qualcosa a parte, difficile da vedere in quella discussione lo fece sorridere. Piegò le labbra che innumerevoli volte si erano macchiate del suo stesso sangue, mostrandosi in un sorriso irriverente e malizioso, appoggiandosi sul braccio destro piegato pigramente sul bracciolo gelido, coperto anch’esso di bende rosse, seduto scomposto su quella sedia, scomposto come la sua intera esistenza a pensarci bene.

<< A chi vuoi darla a bere dottoressa?! Io non tornerò mai in quello schifo di posto che vi ostinate a chiamare mondo tu e tutti quei bei dottorini in camice bianco che si credono Dio! Beh voi non siete Dio, e Jashin vi punirà tutti quanti perché siete solo dei fottuti eretici di merda! >>

Sembrò ripensare alle sue ultime parole, e gli occhi che conservavano una sfumatura lilla mista al blu l’osservarono interessati.

<< Ma forse… forse tu potresti essere risparmiata >>

Sussurrò quasi, forse per non farsi sentire. La psicologa dagli assurdi capelli rosa si morse il labbro inferiore, convulsamente. Sentiva che c’era qualcosa che non andava in quella discussione, qualcosa di diverso. Non erano i soliti improperi e bestemmie che usava, non c’era nemmeno la più vaga traccia della follia che l’aveva costretto a essere rinchiuso li dentro. Sospirò, passandosi una mano fra i corti capelli e scompigliandogli. Qualcosa gli sfuggiva in quella discussione all’apparenza uguale a tutte quelle che avevano avuto in precedenza. Il suo paziente sembrava quasi… rammaricato. Ma di cosa? Trattenne il respiro, scappando a quei suoi occhi indagatori, abbassando il volto sulla cartella e scribacchiando qualcosa velocemente, affrettandosi ad alzarsi per andarsene. Forse stava solo diventando paranoica, ecco. Quello che c’era stato tra di loro… era stata solo una notte di sesso. Questo e nient’altro. Non poteva farsi illusioni, non poteva e non doveva. Aveva persino deciso di rinunciare al lui e affidarlo alle cure di un altro psicologo che non fosse compromesso… sentimentalmente. Eppure era tornata, ancora e ancora, cercandolo, guardandolo, chiedendo solo un po’ di lui, solo un po’ di quella bruciante passione che l’aveva travolta quando era fra le sue braccia. Tossicchiò, imbarazzata a quei pensieri, voltandosi e sistemando la sedia di ferro, avvicinandosi a passi svelti alla porta che l’avrebbe condotta alla salvezza.

<< Ci vediamo domani Hidan… >>
<< Mi dispiace… Sakura >>

L’Haruno si bloccò, sgranando gli occhi verdi nell’atto di abbassare la maniglia. Rimase così, bloccata, sentendo il suo povero cuore impazzito arrivarle in gola, battere freneticamente nel petto quasi a volerla richiamare. Senza che se ne rendesse conto, lacrime copiose presero a scorrerle lungo le guance magre, senza alcun motivo in apparenza, senza volersi fermare. Non l’aveva mai chiamata per nome, mai, neppure quando avevano passato quell’unica notte insieme protetti dal buio dell’infermeria. Si voltò, e la cartella cadde con un suono metallico a terra, bagnandosi del liquido rosso che sporcava il pavimento immacolato. Rimase immobile, tremante, le mani alle labbra per soffocare un urlo strozzato.

<< Hidan, Hidan NO! >>

Finalmente riuscì a muoversi, corse, scivolando nel cremisi e abbracciando quel corpo caldo del sangue che lo stava abbandonando. Lui sorrise, alzando il braccio destro, bevendo da quella ferita che lo stava allontanando da lei, sta volta per sempre. Vide le labbra piegarsi in un ghigno, sporche di cremisi, e allora non si trattenne più. Strinse i capelli candidi fra le dita, premendo le labbra sulle sue, con passione, con disperazione. Assaggiò quel nettare che l’aveva tanto ripugnata, e sgranò al contempo gli occhi ancora bagnati di lacrime.

Morfina.

Le sue labbra sapevano di sangue e morfina. Quella stessa morfina che gli aveva dato lei per allontanarlo dal dolore. Lo strinse a se e urlò, urlò con tutte le sue forze. Non servirono a niente i soccorsi accorsi a quegli urli disperati. Shikamaru e Kiba non riuscirono a impedirle di afferrare il vetro insanguinato che aveva tolto la vita al Kami, e passarlo sui suoi polsi, richiamando quel sangue che li avrebbe uniti. Mentre moriva si accorse che forse, forse stava iniziando il suo inferno personale. Avrebbero varcato le porte che li avrebbero condotti da Jashin insieme. A quel pensiero sorrise, e di nuovo si impossessò delle sue labbra, chiudendo gli occhi con lui.
Sarebbe bastato questo ad allontanarla dal dolore. Il sangue era una droga migliore di qualunque altra cosa avrebbero potuto dargli. Persino della morfina.

<< Sarai con me ovunque dottoressa? >>
<< Ovunque >>
<< Non dire cazzate… anche all’inferno? >>
< < Anche all’inferno. Basterai tu a cancellare il dolore >>



[Voglio un ragazzo dalle labbra di morfina,
che mi atterri ogni volta che mi tocca.
Voglio sentire un bacio che mi faccia tremare,
e che mi butti giù. Perchè ho aspettato tutta la vita,
per essere qui con te questa notte.]
  
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