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Autore: body_ko    20/11/2009    3 recensioni
Il principe Justin parte per andare a svegliare la bella addormentata, ma ha fatto i conti senza la strega cattiva.
Genere: Fluff, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Brian Kinney, Justin Taylor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prince Justn C’era una volta un bel principe a cui la natura aveva dispensato doni a piene mani: il suo nome era Justin Taylor.
Justin era bello, intelligente, educato e amabile ma anche terribilmente annoiato dalla sua stessa perfezione; sarebbe voluto partire per conoscere il mondo, ma non poteva: sua madre ci sarebbe rimasta secca come minimo e lui non voleva essere causa di sofferenza per lei. Si sentiva già abbastanza in colpa perché, pur avendo tutto, non era felice. Dato che non poteva parlare con nessuno della sua insoddisfazione, se la teneva dentro e passava le giornate sbuffando e dipingendo e maltrattando i domestici.
Fu suo padre a decidere che era arrivato il momento per lui di emanciparsi: aveva ormai l’età per sposarsi.
“Oltre la foresta dell’est c’è una principessa addormentata”, gli disse il suo vecchio, severo. “Trovala e sposala”.
Justin partì, con una scorta, per andare a sposarsi: non che fosse entusiasta all’idea, ma alla fine era un principe e riprodursi era l’unica cosa richiesta a quelli come lui, quindi non gli pareva il caso di fare tanto lo schizzinoso. C’era tanta gente che doveva lavorare per vivere!
Attraversare la foresta verso il castello della principessa addormentata richiedeva una settimana; il principe viaggiava in una lussuosa carrozza con tanto di servizio bar, mentre la sua scorta - composta da 20 dei più valorosi guerrieri del suo regno - viaggiava a cavallo.
Accadde dopo la terza notte che il principe si rendesse conto di come le file della sua scorta andassero assottigliandosi.
Chiese spiegazioni al capo delle guardie, un uomo serio, posato, che lavorava per lui da anni e aveva un’insana passione per la musica classica.
“Insubordinazioni, mio signore!” Gli disse Theodor Schmidt. “Qui vicino c’è il covo della strega dell’est e i più giovani e prestanti cavalieri vengono reclutati da lei per il suo esercito”.
“Che vuole farne di un esercito?”, chiese Justin in preda a foschi pensieri.
“Signore”, rispose l’uomo tetro, “si preannunciano tempi duri per il regno… per questo è bene che voi vi sposiate al più presto e prendiate possesso del potere della bella addormentata, delle sue riserve auree e del suo esercito”.
Justin sentì per la prima volta spirare venti di guerra.
Quella notte stessa, il principe comunicò ai suoi cavalieri che aveva deciso di effettuare una deviazione sulla strada del matrimonio. Si sarebbero diretti verso il covo della strega per studiare quale fosse la reale minaccia per il suo regno e, se avesse scoperto che i sospetti del capo delle sue guardie erano fondati, avrebbe fatto di tutto per uccidere la strega.
Non avrebbe permesso che la sua patria venisse sconvolta da una guerra: era pronto a tutto per fermare i piani di conquista della vecchia strega cattiva.

Il regno della strega era situato nella parte più profonda della foresta, il principe Justin era molto spaventato, ma cercava di non darlo a vedere: doveva fare quello che doveva fare. A tutti i costi. Arrivarono al palazzo della strega; nonostante avesse mandato un araldo ad avvisare del suo arrivo, Justin non trovò nessun comitato di accoglienza. Le strade erano affollate, un brivido scosse le membra del principe quando si rese conto che gli abitanti del regno della strega erano tutti fate e folletti, creature infide, pericolose, e temeva per la sorte dei suoi poderosi guerrieri che forse non erano spariti per arruolarsi in un esercito, ma erano andati incontro ad un destino peggiore della morte: quello di essere trasformati in fatine!
“Il famoso principe Justin è finalmente giunto”.
Justin guardò l’uomo che gli si era rivolto, e che non aveva mai visto; era alto, indossava un paio di jeans sdruciti ed una maglia senza maniche, ed era circondato da un gruppetto di ferventi accoliti.
“Sei in vantaggio su di me”, disse Justin, “tu conosci il mio nome, ma io non conosco il tuo”.
“Io sono la strega cattiva”, disse l’uomo con un sorriso sornione e tutti i suoi amici risero. Justin non capiva cosa ci fosse da ridere, e lo fissò interdetto.
“Ben fatto Ted”, disse la sedicente strega, rivolgendosi al capo delle sue guardie. Il principe si voltò verso Theodor Schmidt con volto di pietra, l’uomo pareva imbarazzato, ma anche piuttosto compiaciuto, Justin non riuscì a proferire una sola parola prima che la strega cattiva lo prendesse per un braccio e lo trascinasse con sé per oscuri corridoi, verso stanze segrete.
“Tu e io dobbiamo parlare”, gli disse, “ma lo faremo dopo. Prima conosciamoci meglio. Comunque io sono Brian, Brian Kinney”.
Justin pensò, sconnessamente, che il modo per conoscere una persona di solito era parlarci, ma evidentemente quell’uomo aveva in mente un tipo di conoscenza diversa. Non gli ci volle molto a capire di che si trattava.

“Dunque sono tuo prigioniero… era tutta una trappola. Beh: complimenti”.
Justin giaceva sul letto disfatto, la schiena appoggiata alla spalliera.
Brian sorrise compiaciuto mentre, nudo, girava per la stanza, bevendo l’ennesima vodka.
“Mi compiaccio che tu la stia prendendo con lo spirito giusto: non sopporto le checche isteriche”.
“Strano… infondo tu sei una checca e anche in merito al tuo equilibrio mentale ho qualche remora”.
Brian sorrise di uno strano sorriso, tutto denti e minaccia.
“Ma che delizioso piccolo twink… diventerai una fatina perfetta”.
Justin strinse i denti per la rabbia.
“Ah, già, ma tu stavi andando a sposare la bella addormentata, vero?” Continuò Brian ‘strega cattiva’ Kinney. “Che peccato: puoi risparmiarti il viaggio, sai? La bella si è svegliata parecchi anni fa ed io ho avuto pochissimo a che vedere con tutta la faccenda. Si chiama Lindsay e, credimi, non sei il suo tipo”.
Justin cercò di non dare a vedere quanto fosse sconvolto.
“Posso chiederti per quale motivo ti sei preso tanto disturbo? Hai messo su una bella macchinazione solo per il piacere di avermi qui”.
Brian lo guardò pensieroso e per una volta senza lo schermo della malignità.
“Ted aveva ragione, a quanto pare. Tu non sai niente delle intenzioni di tuo padre. Ha disposto il suo esercito ai confini del mio regno, vuole attaccarmi, ma il suo è un piccolo esercito e adesso ho anche il suo unico figlio maschio, l’erede. Non credo sarebbe troppo contento se ti trasformassi in una fata e questo forse lo porterà a più miti consigli”.
Justin lo guardò coi suoi occhioni azzurri. Suo padre…? Era lui l’aggressore? Nel profondo del suo cuore già sapeva la risposta.
“Non capisco”, disse mestamente. “Se tu disponi di un esercito più potente del nostro, allora perché rapire me? Se sei sicuro che vinceresti?”
Brian non lo guardava quando gli rispose.
“La guerra costa”.
Justin ebbe l’impressione che Brian non parlasse di soldi, ma di ben altro. Pensò a quel che aveva visto quando era arrivato nel regno della strega, quelle fate e spiriti - pur nella loro iniquità - parevano piuttosto felici e, se scendevano in guerra, di quella felicità sarebbe rimasto ben poco.
Il principe Justin si chiese se non stesse presumendo troppo: per qualche ragione il suo cuore aveva cominciato a battere più forte.

Justin poteva muoversi liberamente nel regno della strega cattiva, ma Brian minacciò di lanciargli contro i suoi terribili lupi se solo avesse osato provare a scappare. Justin non ci provò neppure a fuggire. Un po’ perché i suoi uomini erano stati trasformati tutti in fate e quindi avrebbe dovuto andarsene da solo, a piedi, attraverso una fredda e minacciosa foresta: era una cosa troppo idiota; e poi anche perché, di fatto, non era quasi mai solo. Brian finiva per essere sempre nelle vicinanze, forse temeva che si ammazzasse cercando di tornarsene a casa sua, ma quando un paio di fatine cercarono di fare amicizia con lui e giocarci insieme, Brian si mise in mezzo e le cacciò via: qui Justin si fece una certa idea sulla famigerata strega cattiva.
Raccontò l’episodio ad una fata con cui aveva fatto amicizia, il suo nome era Emmett Honeycutt ed era amico di Brian: forse per questo riusciva ad avvicinarsi tanto a Justin da farci due chiacchiere.
“Ammetto che è un comportamento piuttosto strano”, gli confermò Emmett, “di certo molto lontano dal Brian Kinney che noi tutti conosciamo… e verso cui proviamo sentimenti contrastanti”.
L’uomo pareva perplesso poi posò il suo sguardo dolce su Justin e sorrise:
“Abbiamo atteso a lungo il tuo arrivo, Ted ci aveva tanto parlato di te e di quanto adorabile tu fossi: aveva ragione!”. Justin arrossì violentemente, sorridendo timidamente a quell’uomo così piacevole: la strega cattiva arrivò all’istante e lo rapì. Di nuovo.
Le notti nel regno della strega scorrevano lente e il principe le passava sempre nel letto di Brian; presto si rese conto che la magia della strega cominciava ad entrargli dentro e che sarebbe diventato anche lui una fatina come tutti gli altri.
“Quindi hai deciso di trasformarmi comunque”.
“Già”.
“Perché?”
“Quale migliore arma contro tuo padre che fare di te, il suo diletto figlio, uno di noi?”
“Mio padre potrebbe cacciarmi per questo”.
“Davvero? Che peccato… in quel caso immagino che resterai qui, ti troveremo qualcosa da fare, anche se un principe come te dubito sappia fare qualcosa”.
“Io sono un pittore, bastardo di una strega!” Disse Justin piccato e, tirandogli una cuscinata in testa, se ne andò a dormire sul divano.

Arrivò presto il giorno in cui un messaggero giunse dal regno dei Taylor. Il re comunicava che non aveva più un figlio a nome Justin Taylor e quindi Justin, che ormai era una fata, non era più un principe. Non si aspettava che suo padre sarebbe arrivato a tanto: aveva immagino che l’intercessione di sua madre avrebbe ammorbidito la rigidità di suo padre ma, a quanto pare, la vergogna di avere una fata come figlio non era in alcun modo sanabile.
Justin attraversò un brutto momento quando il padre lo disconobbe, si sentiva intrappolato in un vicolo cieco, e non avrebbe davvero saputo cosa fare se non ci fosse stata la bella addormentata ad aiutarlo.
Lindsey era una bellissima donna bionda che Justin un po’ rimpiangeva di non aver conosciuto prima, prima che lei si svegliasse e scegliesse la sua compagna Melanie, e prima che lui diventasse una fata. Sarebbe stato tutto perfetto allora; si ricordò di come fosse insoddisfatto della perfezione quando era giovane e innocente, ma adesso avrebbe tanto voluto poter tornare indietro. Ovviamente non poteva, il destino aveva deciso altrimenti, e lui non poteva far altro che giocare con le carte che gli erano toccate. Lindsey e Mel lo ospitarono per un po’ adesso che Justin non poteva né tornare a casa, né stare da Brian.
Justin trovò un lavoro alla tavola calda, cominciò a frequentare i ritrovi delle fate, cercando di essere la miglior fata possibile e di non pensare né a suo padre, né a Brian. Erano due stronzi: entrambi lo avevano soltanto usato.
Ogni giorno si susseguiva uguale al precedente e, tornando da lavoro, nelle ombre della sera che si addensavano, Justin passava sempre di fronte al nuovo negozio di Abercrombie & Fitch, dove un giovane violinista suonava, usando le luci e la ricchezza di quelle vetrine come palcoscenico per la sua arte. Sulle note intense di quel violino, volavano pensieri d’amore verso il biondo Justin, che si trovò a ricambiare quei pensieri, aggrappandosi disperatamente ad una speranza di felicità. Il nome del violinista era Ethan ed entro breve tempo i due vivevano insieme.

Justin stava dipingendo quando suonarono al campanello di casa. Ethan era fuori per un concerto quella sera e Justin non aspettava nessuno. Andò ad aprire: era Brian.
“Mi fai entrare?”
Justin non era affatto felice di vederlo lì, non era felice che fosse ancor più bello di come lo ricordasse, non gli piaceva il suo inebriante profumo che invadeva la stanza e lo avvolgeva.
“Cosa vuoi?”, gli chiese, facendosi da parte.
“Ho notizie della tua famiglia”.
Justin lo guardò, senza fiato.
“Mio padre ci ha ripensato?”
“No, non ci ha ripensato. Non aspettarti che lo faccia. Lui ci odia: non ci ha attaccato soltanto perché adesso tu sei uno di noi e i sovrani degli altri regni lo disprezzerebbero se spargesse sangue nobile, tanto più quello di suo figlio”.
La voce di Brian era dura.
“Dimenticalo”, gli intimò.
“E’ mio padre!”
“E allora? Tu adesso sei uno di noi e non potrai mai tornare indietro. Fattene una ragione. Vivere nel rimpianto è da perdenti”.
Justin strinse le labbra, preda della rabbia, e Brian gli sorrise.
“Vedo che non hai perso il tuo bel caratterino. Meglio per te: ti servirà ora che non sei più un principe”.
“Cosa diavolo vuoi Brian?” Sibilò Justin.
“Insomma: non sei per nulla educato! Sono venuto di persona a portarti un messaggio di tua madre e tu mi tratti così…”.
Brian sventolò una lettera sotto il naso di Justin che fece per afferrarla, ma Brian gliela tenne fuori portata.
Justin lo guardò in cagnesco, Brian pieno di aspettative.
“Per favore, posso avere la lettera di mia madre?” disse a denti stretti.
“…signore…?” suggerì Brian.
“Fottiti Brian!”
Con un sorriso, Brian lasciò che Justin afferrasse la busta, e se ne andò lasciando dietro di sé il suo profumo.

Justin era al mercato a fare la spesa, le bancarelle erano fornite di ogni bene di prima necessità per una fata: caviale, champagne, anabolizzanti, barrette dietetiche, integratori salini… oltre a completi Armani e Hugo Boss, profumi francesi, scarpe italiane, squisiti pezzi di arredamento Van Der Rohe, insieme alla paccottiglia Ikea.
Justin che, al contrario di tutte le altre fate, non aveva soldi da spendere, ed era rimasto a corto di mele, fu costretto a girare per mezz’ora prima di trovare un banco che vendesse della frutta. Lo trovò nascosto in un angolino, il negoziante era una fata di mezz’età di nome Vic, che donò a Justin un’arancia per un suo sorriso.
L’ex principe si stava chiedendo se un pompino poteva valergli una fornitura continuativa di frutta, quando incontrò lo sguardo di un ragazzo moro, che pareva trattenersi a stento dal pestarlo.
“Che diavolo vuoi?” Gli chiese, sentendosi a disagio sotto il suo sguardo cattivo.
“So chi sei”, gli disse, “tu sei quel Justin Taylor di cui tutti parlano. Devi smetterla di girare intorno alla strega cattiva: sono chiaro?”
Justin aveva già visto quel tipo, si ricordò anche dove: faceva parte della gang di Brian e si chiamava Michael.
“Non sono io che giro intorno alla strega… è lei che mi gira intorno: le piace il mio culo”.
Michael divenne verde di rabbia, Justin lo guardò interdetto: lui stava solo scherzando.
“Hey, datti una calmata”, gli disse seriamente, ” io non ho più nulla a che vedere con Brian, puoi stare tranquillo”.
“Allora perché ha messo a repentaglio la sua vita, cercando di intercedere colla tua famiglia, se non perché glielo hai chiesto tu?!”
Justin lo guardò privo di espressione, un silenzio post atomico si protrasse tra loro per qualche secondo.
“Io non gli ho chiesto nulla”.
Fu la volta di Michael di rimanere senza parole, i due si guardavano mentre veniva fatto un piccolo passo degli uomini, ma un grande passo per l’umanità, verso la comprensione di quell’universo arcano che era la psicologia di Brian Kinney.
Camminarono per un po’, fianco a fianco, senza proferire parola, ognuno perso nei propri pensieri.
“Brian ti ama”.
“Lo so”.
A quel punto non poteva far altro che saperlo, lo aveva sospettato fin dall’inizio, ma non era riuscito a crederci.
“E tu… lo ami?” chiese titubante Michael.
“Si”, rispose Justin senza esitazioni, lo sguardo perso nel vuoto, e in mano i sacchetti della spesa.
Michael lo guardò onestamente confuso.
“Ma allora che diavolo ci fai con quel violinista?”
Justin lo guardò parimenti confuso. Quella era una buona domanda.

L’ex principe Justin era nato col proverbiale cucchiaio d’argento in bocca ed aveva sempre pensato fosse suo dovere essere felice. Poteva, uno che aveva tutto, lamentarsi perché… aveva tutto? No, non poteva. Neppure poteva sperare di dire a chicchessia che sentiva la mancanza di qualcuno che non aveva mai incontrato, senza che questi lo prendesse per scemo. Quando era arrivato nel regno delle fate, Justin aveva perso ogni cosa e aveva trovato anche l’unica cosa che veramente desiderasse. Era bello, alto, isterico e narcisista. Era la strega cattiva. Era un dio del sesso. Era uno stallone, emozionalmente inibito, che poteva solo essere intuito e non conosciuto: in Brian Kinney ci si poteva solo credere… e sperare di non aver preso una cantonata.
Justin fece armi e bagagli una domenica mattina, Ethan ne fu sconvolto ma sarebbe sopravvissuto così come aveva fatto Justin, e si presentò a casa di Brian.
“Cosa diavolo credi di fare?” Gli chiese la strega cattiva, in mutande e coi capelli sconvolti.
“Ho bisogno di un posto in cui stare. Ethan mi ha buttato fuori”.
“E vorresti stare qui?” Brian era attonito. “E perché ti ha buttato fuori?”
“Il tuo castello è enorme: non ti accorgerai neanche che sono qui. E mi ha scaricato perché… beh, mi ha beccato mentre mi scopavo il fruttivendolo”.
Brian lo guardò truce.
“Tu, stronzetto, cosa cerchi di darmi a bere?”
Justin gli fece il suo sorriso più innocente.
“Posso prendere un paio di cassetti?” Chiese, mentre si dirigeva verso la camera da letto, e Brian gli urlava dietro: “Questa casa non è un albergo!”.
Justin lo prese come un si.


@solly - grazie dei complimenti^^ Mi fa piacere che qst fic ti sia piaciuta, dovevo scrivere un AU fiabesco per una challenge ed è venuta fuori questa cosa qui. E si, effettivamente non c'è nulla di innocente in questa fiaba: come potrebbe esserci con Brian Kinney come protagonista? XDD
  
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