Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: Kokato    21/11/2009    6 recensioni
TERZA CLASSIFICATA AL “CONTEST OF VAMPIRES” DI MY PRIDE E VALERYA90!
Non sapeva cosa lo avesse spinto a decretarlo, ma sperava fosse per il fatto che la loro soluzione era giunta in città.
Profumata, ubriacante, affascinante, perfetta soluzione al suo rifiuto.
“Non voglio”
“Forse hai solo bisogno di
qualcosa che ti stuzzichi l’appetito” sorrise. Il cielo notturno tornava sereno.
Osservò la linea della costa con improvviso interesse, passando la lingua arrossata di succo d’arancia sulle labbra turgide.
-Di
qualcuno che ti stuzzichi l’appetito-.
1900. Il giovane ed eccentrico reporter Roy Mustang indaga su misteriose morti e sparizioni in un piccolo villaggio scozzese, con una copia del ‘Dracula’ di Bram Stoker in mano. Ci sono due giovani Conti, uno scoop da fare, tre notti da trascorrere.
Roy X Edward, Edward X Alphonse
Genere: Dark, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphonse Elric, Altro personaggio, Edward Elric, Roy Mustang, Scar
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Orange Saga'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 3: Il patto delle anime affini

CAPITOLO  3: Il patto delle anime affini.

 

Seconda notte.

 

Edward riemerse dal suo sonno vedendo che nella stanza qualcosa era cambiato.

Alphonse era già sveglio, e lo guardava, appoggiato al suo capezzale con le braccia conserte sotto il mento.

Era strano, quella vista lo mise in agitazione. Alphonse non sorrideva in quel modo da anni, ed aveva sempre sperato che non lo avrebbe fatto più. Erano quelle strane idee che quel padre -che non considerava padre- gli aveva messo in testa… lo avrebbero ucciso. Il cadavere del suo fratellino, con quell’espressione sul viso bianco, appariva nei suoi sogni quando tutte le cose che amava stavano per sfuggirgli di mano.

Eppure stavolta era reale. 

“Ti sei svegliato finalmente” Si ritrasse, lasciando che Edward riemergesse dal suo giaciglio, rimanendo inginocchiato a terra poco più in là.

“Cos’hai fatto, Alphonse?” Non rispose subito, dondolando il corpo in maniera ipnotica e guardando come tutti i piani predisposti erano stati distrutti dai suoi capricci, sentendosi potente. “L’hai ucciso?” Sarebbe stato il danno minore, perciò sperò che fosse andata così. Ma Alphonse era un assassino disordinato, e sapeva quali segni cercare su di lui per capire cosa aveva fatto e come lo aveva fatto.

Era ancora innocente.

“Vuoi fuggire di qui, non è così? Vuoi lasciarmi solo?”

“NO!”

“No dici?” camminò verso di lui, come un’ombra di sé stesso. “Per quale altro motivo l’hai portato qui?”

“Sarà la nostra guida nel mondo, ricordi? Ne parlava papà! Lui può farti tornare la voglia di vivere!” Alphonse gli prese il mento, considerando le sue parole con derisione. Non poteva incolparlo per la stretta al petto che quel comportamento stava provocando… accadeva. Era la maledizione, ed il suo modo sciocco e lassista di gestirla, Edward lo sapeva: era questione di tempo, di amore e di saggezza.

Gli mancava l’ultimo dei tre tasselli.

“Non volevi che lo ricordassi, Nii san… ma io ricordo!” Strinse le dita sul suo viso, facendolo gemere. Avvicinò il viso al suo, stando sospeso in quell’attimo per quelle che sembrarono ore. Non tremava solo perché non ne era più capace, ma capiva che ogni cosa sarebbe stata distrutta di lì a breve. Ogni cosa avesse faticosamente cercato di ricomporre di ciò che la maledizione aveva annientato. Pianse, senza muovere alcuna compassione.

“Io sono morto, non è così?” Lo sussurrò sul suo collo, prima di affondarvi i denti.

Non ne vezzeggiò la superficie con le labbra morbide, come faceva con le arance.

Riconobbe suo fratello in quel gesto, il fratello che amava, ma urlò comunque dentro di sé.

Era un gesto che pensava di conoscere, ma che gli stava portando via l’anima… con immenso dolore. Non urlò per semplice orgoglio, e solo perché aveva sbagliato. I denti avevano perforato maldestramente i tessuti, tintinnando contro le ossa con un rimbombo che lo rese sordo e lacerando e sollevando la carne troppo rossa. Si concesse di aggrapparsi alle spalle di chi stava bevendo da lui, come fosse stato un calice, per non annegare.

Sarebbe irrimediabilmente successo, se non lo avesse fatto.

Sarebbe annegato e coagulato nel mare di sangue in cui stava sprofondando.

Alphonse, cessando la tortura, lo baciò sulle labbra prima che il suo corpo fuggisse da lì sbattendosi la porta dietro le spalle.

“Roy… Roy… Roy… Roy… Roy… Roy…”

Ammetterlo sarebbe stato inutile, suonava come una bugia: io voglio andare via di qui con te. Ma il mondo avrebbe spezzato suo fratello prima ancora di poggiarvi piede… e stessa cosa avrebbe fatto la colpa. Introdurre quell’uomo nella loro vita era stata la scelta più stupida che avesse mai fatto, eppure non riusciva a pentirsene. Chiamava il suo nome corto, breve, cinico e spocchioso mentre arrancava verso il nulla.

Non riusciva a desiderare di non aver mai messo gli occhi su di lui, quella sera che lo aveva notato mentre guardava il mare davanti alla casa della Signora Rockbell. Ma Alphonse lo odiava e -anche se lo aveva sempre creduto incapace di odiare- Roy sarebbe dovuto morire come lui voleva.

“Roy… Roy… Roy… Roy… Roy… Roy…”

Lo vide seduto sotto al ritratto di sua madre.

Alzò la testa verso di lui, non appena si accorse della sua presenza, indurendo i tratti del viso.

“Mi stavi chiamando, piccolo idiota?” Si alzò in piedi ed Edward notò che aveva una pistola in mano e che un forzato senso dell’ironia rendeva innaturali ed inconsulti tutti i suoi movimenti. Non stava in piedi da tutto il giorno –probabilmente-, i vestiti e i capelli neri erano stropicciati, il gilet marrone era slacciato sul torso ansante, la camicia disordinata attorno al collo scoperto.

“La mia vita sarà anche inutile… sarò anche un uomo spregevole che non merita di stare al mondo… ma io non mi faccio ammazzare da due fottuti mocciosi!!!” disse, brandendo la pistola verso di lui con il respiro sempre più pesante.

“Non so quale sia il vostro problema… MA IO NON MI FACCIO AMMAZZARE!”

“Io non ti voglio uccidere” Ma prima o poi sarebbe stato costretto a farlo. Voltò il collo dall’altra parte, ignorando l’aperta ostilità dell’uomo davanti a lui, scusandosi senza parole per la sua ingenuità…  perché non era cambiato nulla. Tutti morivano, quando era necessario e quando non lo era, chiunque potesse perdere la vita vicino a loro la perdeva. Era la maledizione, e non aveva ancora imparato ad accettarla del tutto.

“Non ti ho voluto qui per ucciderti… non te”

“Ma il tuo fratellino sì, non è vero? Avanti, dimmi la verità: quale stupido trauma infantile vi ha fatto diventare dei sadici bastardi?”

“Non sai di che cosa parli”

“So esattamente di che cosa parlo!” Si avvicinò, puntandogli la pistola alla gola. “Io finisco a drogarmi, a desiderare la morte e ad andare a prostitute come se ognuna di queste azioni fosse l’ultima che farò nella mia vita. Voi dissanguate la gente e vi tenete cadaveri imbalsamati in casa come fottuti oggetti d’arredamento… è la stessa cosa! La stessa identica cosa: malattia! Malattia del vivere! Questo non giustifica i vostri dannati giochetti!”

Pur non comprendendo quelle parole si morse le labbra, infuriato, rimanendo fermo davanti all’arma puntata alla sua fronte.

Si avvicinò a Roy lentamente, lasciando che se ne rendesse conto e decidesse di lasciarlo fare, ma in un attimo l’altro lo aveva colpito in testa e costretto a terra con un braccio sul collo. Era un uomo spaventato, sapeva bene come erano fatti: si sentiva come lui e sapeva di non esserci più abituato.

“Arrogante, come tutti gli abitanti del mondo di fuori… sarà per questo che non ti ho sopportato fin dal primo momento”

Rimase a terra, senza ribellarsi, senza dimostrare apparentemente alcuna emozione sul bel viso che Roy non era ancora riuscito a smettere di fissare. Tutt’ad un tratto vide la donna bionda del suo sogno, nel corpo abbandonato sotto di lui, nelle gambe sottili piegate ed immobili, nel collo bianco, sottile e scoperto. L’unica cosa che identificava Edward come vivo erano gli occhi aperti… dorati.

Aveva pensato che fosse la notte a creare quel colore, ma non era così.

“Non ti ucciderò piccolo idiota, non temere, ma me ne andrò di qui ad ogni costo!”

“Vorrei potervi aiutare… ma a questo punto non fa molta differenza” Roy non capì, soprattutto perché Edward aveva di nuovo distolto il viso.

“Quanti ne avete uccisi? Come avete fatto? Dove sono i cadaveri?”

“Quante domande!”

“Racconterò tutto, quindi è inutile nasconderlo!”

“Non ti crederanno”

“Ah no?” lo costrinse a guardarlo direttamente, e premette la bocca della pistola sulla sua fronte. “Ho i miei mezzi! Hai altra scelta? Mi farai uccidere dal tuo maggiordomo e buttare in mare?” Non aveva nessun mezzo, e forse era anche impossibile farglielo credere: era un nemico più ostico di qualunque altro, e più detestabile del previsto.

“Non ce n’è bisogno, e non c’è neanche bisogno che tu mi creda” Si sollevò verso di lui, lasciando che una serie d’immagini si sovrapponessero l’una all’altra all’interno della sua mente, disorientandolo. Il Conte Elric era bello, ed era dannatamente stupido ammetterlo in quel momento. Era ciò che la gente chiama anima affine, un folle, un visionario –come lui-, una mente distorta da chissà cosa e nascosta nella corolla di un fiore che, tremolando, resisteva all’avvizzimento. Pur mancandogli molti elementi della faccenda, ne era comunque attratto e respinto con eguale forza.

Una mano stringeva il manico della pistola, l’altra, posata a terra, resisteva all’impulso di toccare i capelli biondi sparsi a terra.

“L’unico che può capire quanto male faccia vivere qui sono io…” Lo sussurrò, vicinissimo alle sue labbra.

Era una sensazione incoerente con il contesto… quella voglia incontrollabile di toccarlo come si faceva con una donna. Scoprire la pelle oltre il collo che lo aveva ipnotizzato, rimuovere gli abiti neri e bianchi come fossero la materializzazione dei suoi segreti e di ciò che non sapeva di lui. Improvvisamente tutta la voglia di morire, di sparire, di annientarsi che aveva avuto prima di giungere a Reesembool affondò nella visione di Edward Elric abbandonato sotto di lui, con le braccia sopra la testa, le gambe che lo avvolgevano, i capelli sparpagliati sul pavimento di pietra.

Lo baciò prima che potesse impedirsi di farlo, afferrandogli la testa con la mano libera.

Vezzeggiò la cute con le dita. Edward non si ribellò, né mosse le labbra gelide contro le sue.

Lo erano davvero, gelide. Rigide contro le sue ma perfette nella forma. Assaggiava vampate d’aria ghiacciata dalla sua gola che si contraeva.

Quando si staccò da lui non aveva più fiato. Il corpo gli doleva di un dolore avvelenato, esteso e freddissimo.

Edward sorrise, triste.

“… perché io sono già morto”

Perse i sensi.

 

 

***

 

Spesso Roy Mustang si svegliava con l’immagine di una donna dai capelli neri avvolta dalle fiamme.

All’inizio urlava, raschiava le pareti del mondo onirico con le unghie per trovare una via d’uscita.  In seguito aveva imparato ad abbassare la testa e ad aspettare che, una volta diventata cenere, sparisse dalla sua vista. Non era mai stato un uomo equilibrato, ma aveva un forte senso della giustizia. Partecipava alla corruzione del mondo bevendo, facendo sesso, annientandosi, ma allo stesso tempo lavorava per Olivia, quella gentil signora sadica e schiavista che, nonostante tutto, apprezzava il suo lavoro. Ma quella donna moriva nell’indifferenza, tutte le notti.

 Non era un uomo equilibrato perché non aveva mai avuto una famiglia, o forse era solo quell’assurdo male di vivere su cui si poteva fare la solita, inutile filosofia. In ogni caso c’era sempre la ragione a salvagli la vita.

Accettò di guardare il volto sorridente della donna dai capelli neri per un altro po’, pur di non scoprire che anche la sua ultima dea aveva rifiutato di porgergli la mano.

Il volto di Edward Elric fu la prima cosa che vide svegliandosi.

Il desiderio di baciarlo ancora fu il primo dolore che il suo corpo avvertì.

“Ti sei svegliato finalmente” Edward sussultò dicendolo, ricordando come glielo aveva detto Alphonse qualche ora prima.

Roy si guardò attorno: era sulla poltrona di broccato sul quale aveva visto il fratello minore la notte precedente.

Il velluto rosso calava dietro la sua schiena, lambendogli la nuca e facendolo rabbrividire, come a consigliargli di non guardarsi troppo attorno. Alle sue spalle c’era lei, la Madonna del dipinto che tanto lo aveva ossessionato, ma non osava accertarsene. La concretizzazione della sua seconda ossessione, lì davanti a lui, stringeva le labbra con le braccia conserte, cercando di dare un’ impressione di menefreghismo nei suoi confronti.

Tutto l’impegno e le promesse in cui aveva creduto parvero una sciocca filastrocca composta per prenderlo in giro, musicata magistralmente. Odiava Edward Elric per ciò che aveva intorno e per ciò che aveva provocato… lo voleva per ciò che era. Non riuscì a condannare le sue menzogne fino in fondo, e non parlò.

“Avresti potuto ucciderlo subito, perché l’hai fatto svegliare?” Una risata giunse dalle sue spalle, e ruppe la promessa fatta a sé stesso riguardo il non parlare e al non muoversi di un millimetro.

Era ancora il fratellino capriccioso con le labbra inclinate dalla malizia. Abbracciava il corpo della madre, livido e lucido, con le palpebre chiuse da miriadi di vene bluastre e la bocca gonfia in modo innaturale. I capelli castani erano perfettamente pettinati, il velo sulla testa candido come i vestiti leggeri che indossava. Le era stato impedito di putrefarsi… soffriva aspettando quel momento.

Che considerazione paradossale.

“Non ci sarebbe stato il tempo degli addii, Nii san!”

Sospirò, senza assentire e senza negare, avvicinandosi al fratello per sistemargli il colletto. Fu un atto goffo che lasciò un foulard sgualcito su un collo ancora scoperto, anche perché Alphonse afferrò la sua mano prima che potesse finire. Edward si ritrasse e, passandogli accanto, si chinò sul suo orecchio. “Lascio la tua vita nelle mani della fortuna, Sir Roy Mustang”

Roy non capì.

Fece ciò che aveva imparato a fare fin dal primo momento in cui l’aveva visto: odiarlo col sorriso sulla faccia ed osservare le sue mosse.

Quando aveva capito che il fratello era il vero punto debole del suo nemico, Roy non aveva immaginato che ciò lo avrebbe portato a rischiare la vita. Qualcuno come Edward non lasciava mai  nulla al caso, ma aveva deposto la sua strategia a causa del bambino affamato che si stava avvicinando a lui. Era un bambino, avrebbe trovato una via di fuga. Ma qualcosa gli diceva che non sarebbe stato così semplice.

“Non avete proprio voglia di raccontarmi il motivo per il quale avete passatempi così… inusuali?”

Edward stette in silenzio, con le braccia di nuovo raccolte in petto ed il corpo inclinato contro il muro: ebbe l’istinto di dimostrargli ancora che, alla fine, avrebbe vinto contro di lui. Probabilmente lo aveva già fatto: era prigioniero dell’ossessione del fratello.

Non c’era gusto a vincere nessuna battaglia contro di lui.

“Passatempi, li chiama…” Sussurrò, dopo un po’ di tempo. “… non ho più voglia di starlo a sentire”

Alphonse lasciò il corpo della madre, accogliendo quelle parole con una felicità smisurata. Afferrò il collo di Roy con i polpastrelli, facendo ondeggiare le dita sulla pelle increspata, stuzzicandolo. “È questo che volevi, no?”

L’altro annuì, mentre una ciocca di capelli cadeva a coprirgli la visuale. “Uno vale l’altro” rispose infine.

“Quindi sto per scoprirlo, non è così? Come uccidete…” rise, vedendosi fuggire attraverso la porta che pareva chiusa per sempre. In quanto uomo piuttosto forte sapeva che il maggiordomo avrebbe avuto un ruolo nella faccenda… non lo faceva impazzire l’idea di lasciare il proprio corpo a quel tipo. Rise, stupito dal fatto che l’idea di morire non lo spaventasse poi così tanto.

Il fatto era che non riusciva a smettere di fidarsi di Edward Elric.

“… quando arriverà quell’uomo, il maggiordomo?”

Edward ciondolò la testa, ridacchiando, Alphonse toccò più a fondo la sua carne, incantato.

“Non ce n’è bisogno… ” disse quindi Alphonse. “… tu sei qui per me. Non c’è bisogno di nessun’altro”

Si voltò giusto in tempo per vedergli spalancare la bocca.

Era così assurdamente banale. Lasciò che la chiudesse sul suo collo, appoggiando la testa sulla sua spalla come se lo aspettasse una sensazione piacevole -anche se i libri e l’immaginario collettivo avevano sempre detto il contrario-.  Provò a prevedere come sarebbe andata.

Denti aguzzi che affondavano nella carne, sangue, annebbiamento, denti, ancora sangue. Rise.

Era un sogno da cui svegliarsi il prima possibile e a cui non credere. Oppure, ridestandosi tra le braccia del suo angelo dai capelli biondi -o tra quelle del demone dai capelli neri riemerso dal fuoco-, avrebbe capito di essere inevitabilmente morto. C’era andato vicino troppe volte per avere paura.

Chiuse gli occhi, mentre l’intorpidimento invadeva il suo corpo insieme al dolore freddo e pungente che già conosceva.

Lì riaprì nella speranza di vedere Edward rassicurarlo con un sorriso prima di togliergli la vita. Non era che l’onnipresente parabola del loro incontro.

Mistero, ironia, incanto, fascinazione, inganno.

Labbra che lambivano le sue, l’abbraccio di gambe dure come il marmo che avvolgevano i suoi fianchi erano le ultime immagini nel suo cervello. Era quello che voleva, in fondo: fidarsi tanto scioccamente di qualcuno da stare bene anche mentre questo gli toglieva tutto.

L’aveva lasciato vincere d’altronde.

Alphonse martoriò il suo collo abbastanza da fargli pensare che lo avesse spezzato, perché non sapeva più dove rintracciare la differenza tra quel doloroso oblio e la morte. Era più il sangue che lasciava cadere a terra in grandi perle rosse che non quello che finiva nella sua gola.

Volle vedere il mondo per l’ultima volta e lo scorse. Il suo angelo. Gli sorrise.

“Non vuoi favorire anche tu, piccolo idiota?” Sembrò stupefatto dalla sua proposta, e dal modo con cui aveva allungato un braccio facendogli segno d’avvicinarsi. Con il petto ormai completamente nudo, i capelli neri che ricadevano intorno alla faccia, Roy aveva smosso il suo infantile pudore.

Si unì al banchetto, salendo sulle sue gambe. Carezzò l’altra parte del suo collo non perché voleva eccitarlo o stuzzicarlo, ma perché era indeciso sul da farsi. Roy sospirò, sentendosi sbattuto indietro di qualche centimetro dall’ingresso dell’eterno silenzio.

Aveva i capelli sciolti, i vestiti in disordine, l’indecisione nei bei tratti del viso contratti. La frizione delle loro cosce lo stava facendo impazzire.

Non appena Edward lambì la pelle con le labbra sentì i denti di Alphonse dilaniare e smuovere la carne, aumentando il flusso di sangue in uscita.

Aveva raccolto i capelli su una spalla, e gli sfioravano il volto mentre il petto bianco riempiva la sua vista e i suoi desideri.

Cambiò idea, chinò le spalle. La bocca turgida passò per un attimo davanti ai suoi occhi, incantandolo, poi sussurrarono all’orecchio.

“Vuoi proprio morire?” Sorrise, riconoscendo quella domanda come sensata.

“Se sei tu ad uccidermi, volentieri”

Strinse le gambe attorno a lui di scatto, udendo quella risposta. Sembrava rabbia, quella nei suoi gesti.

“Non toglietevi la vostra ultima possibilità, Roy Mustang. Non fate una simile stupidaggine!”

“S… sei… sei… così formale dopo tutto quello che c’è stato fra noi? Sei proprio un bravo bambino”

“NON SCHERZARE!”

Improvvisamente il suo collo venne lasciato andare.

“Alphonse”

Ebbe appena la forza di lanciargli un occhiata. Edward era balzato in piedi.

Alphonse era di nuovo il moccioso dalle maniere pacate che aveva visto la prima volta, dondolante come in una culla.

“Cosa ho fatto?” si chiese, tappandosi la bocca con le mani e vedendole poi diventare rosse. Terrorizzato cercò il fratello, tremando.

“Cosa ho fatto, nii san?” Risvegliatosi dal sogno provocato dalla fame, la colpa cadde sulle sue spalle facendolo barcollare. Edward, sospirando, lo avvolse in un abbraccio nel quale Alphonse si rannicchiò e si nascose.

“L’ho fatto di nuovo, nii san?”

“No, non hai fatto nulla”

Era stato allenato a far sembrare quelle parole vere, a rendere suo fratello innocente da qualunque crimine.

Prendendolo per mano lo guidò, lo avvolse in un abbraccio prima d’invitarlo a rinchiudersi in quella che sembrava una bara.

Cosa doveva vedere per crederci ancora? Edward si strinse le tempie, sospirando con l’aria assorta mentre le sue spalle si rilassavano e si rendeva di non essere rimasto solo. Non ancora. Fece alzare il corpo senza forze di Roy, trascinandolo . Aprì la porta.

“La fortuna ti ha assistito, Roy Mustang. Quando calerà di nuovo la notte voglio che tu sia già lontano da qui”

Lo baciò, con un tocco fugace delle loro labbra. Lo scaraventò fuori.

Il sole stava per sorgere.

 

***

Roy aveva sempre pensato di essere destinato a morire in mezzo alle fiamme, come quella donna.

Ma aveva perso troppo sangue e probabilmente sarebbe morto lì, per dissanguamento, ed il suo corpo sarebbe stato buttato in mare la sera successiva. Quasi era deluso: una morte così assurdamente meschina e nessuno a ridere della sua disgrazia.

C’era sempre qualcuno, quando sognava di morire, a sghignazzare sotto i baffi mentre un cappio gli stringeva il collo o la falce di una ghigliottina gli staccava la testa. Era tutto sorprendentemente luminoso e paradisiaco.

Il suo respiro affannato era il solo rumore che riempiva lo spazio sospeso intorno a lui.

Pensò ad Olivia, ai colleghi del giornale… e poi, dandosi come scusa il fatto che non aveva più qualcun altro a cui pensare, pensò a lui. Cercò di odiarlo, di maledirlo se possibile, immaginò che la sua anima sarebbe tornata a tormentarlo per l’eternità –e sapeva che il moccioso aveva davvero un eternità da sprecare a farsi perseguitare dal suo rancore-. Era la normale prosecuzione di una storia di quel genere, così come l’avrebbe redatta qualunque scrittore. Morendo col sorriso sulle labbra avrebbe salvato l’umanità da quella minaccia, dando un senso alla sua insulsa vita.

Che stupidaggine.

La sua risata baritonale divenne lieve e ovattata contro l’aere bianco e galleggiante.

Forse era stato ucciso dopo essersi addormentato leggendo ‘Dracula’ -trovandolo tremendamente noioso-, o forse si sarebbe svegliato accanto ad una donna mai vista prima, con un mal di testa da sbornia a fracassargli le tempie. Rise ancora un po’, con quel suo macabro senso dell’umorismo che gli faceva vedere l’ultima minaccia come suo salvatore.

Sorrise al maggiordomo grande e grosso che venne a sovrapporsi alla sagoma del sole.

“Sei venuto a buttarmi via?” Cercò di girarsi su un fianco, ma tutto ciò che ottenne fu una vibrazione di dolore su tutta la parte sinistra del corpo. Non essendo riuscito a nascondersi lo guardò dritto negli occhi, attentamente, come fosse lieto di vederlo.

“Il mio cadavere sarà bianco, livido e spettrale… non è vero?”

“Lo è anche adesso, signore” Rispose Scar, senza scomporsi.  Aveva una tazza in mano. Chinandosi e sollevandogli la testa gli fece bere il liquido che vi era contenuto, rosso, denso ed amaro. Intuì che fosse un ricostituente. Aveva la mascella paralizzata ed una voglia insensata di morire subito, non un giorno lontano in cui l’immagine di quel dannato angelo dai capelli biondi sarebbe stata sfocata e indefinita nella sua mente.

Non gli aveva concesso di morire tra le sue braccia, ma andava bene, non cercò di gettare via la sua fiducia per lui.

Sicuramente gli aveva anche lasciato un opzione con cui  rifiutare la salvezza offertagli. Smise di bere, e rise.

 “Parlatemi di voi” Chiese, allontanando la tazza.

“Non saprei cosa raccontarvi”

“Da dove venite?” Scar non cambiò espressione, ma abbassò il capo impercettibilmente.

“Dall’India” Rispose,  incapace di negare qualcosa ad un moribondo. Lo aveva detto con sospiro, come si fosse strappato di dosso quella notizia per porgergliela, piena di sangue e budella. “Da quanto vivete qui con i Conti?” Le sottili iridi rosse si dilatarono a quella domanda.

Si alzò di scatto, dandogli le spalle e  rimanendo fermo in mezzo al corridoio con le braccia lungo i fianchi squadrati.

“Cosa cercate di dirmi?” Chiese quindi Roy.

Non voleva insistere, non era per niente desideroso di sapere altre cose che avrebbero provato a rendere mostruosa la sua ultima consolazione -senza riuscirci-. Ma voleva conoscerlo, almeno un po’, almeno il necessario per serbare di Edward Elric un ricordo che potesse fargli compagnia all’inferno –dove Edward, effettivamente, non sarebbe giunto mai-.

La voce di Scar fu chiara ma inespressiva. “Nessuno degli abitanti di questa villa è più in vita”

“Capisco” Disse, per niente stupito di quell’ennesima beffa.

“No, voi non capite. Non sono quello che state pensando”

A questo punto nemmeno gl’importava: gli bastava chiudere di nuovo gli occhi e vederlo, o tenere aperte le orecchie e sentir parlare di lui. Adagiò la schiena sul muro, sospirando e sentendo la testa leggera. Scar insistette per fargli bere ancora un po’ di quell’intruglio, ma si rifiutò, certo che nessun rimedio al mondo sarebbe riuscito a riportarlo in vita. “Cosa sono loro?” Scar lo fissò, con -ancora una volta- la neutralità più assoluta sul volto.

Aveva molti altri dubbi da risolvere. “Da quanto sono al mondo e chi li ha resi quello che sono?”

“Il padroncino ve ne avrebbe parlato prima o poi”

“Fatelo voi al posto suo”

Ogni suo movimento era rigido, la sua voce era roca come quella di chi non parla spesso. Nel complesso era un immagine di tristezza profonda quella che dava, sia tacendo sia parlando, perché nulla lo aveva toccato e nulla lo convinceva ad essere triste per questo.

A parte l’idea della morte.

“Il signor Hohenheim non voleva farlo” Fu come una scusa declamata a gran voce, una giustificazione per qualche grave crimine.

“Non voleva fare cosa?” Scattò in avanti senza accorgersene, avvertendo ampie parti del suo corpo divenire insensibili. L’unica cosa che impediva a Scar di dimostrarsi timoroso era il fatto che, forse, non ricordava più cosa fosse il timore. Muovendo solo le gambe si rialzò dalla sua posizione supina, lasciando la tazza vuota per metà accanto a lui. Si allontanò con falcate lunghe e veloci lungo il corridoio.

 “Dove diavolo stai andando?” Tremò. “IO NON MORIRÒ SENZA SAPERNE LA RAGIONE!”

Si sentì improvvisamente furioso, e la furia risvegliò le sue gambe prima paralizzate. O forse fu quella promessa -che aveva giurato di non farsi fino a pochi secondi prima- a convincere il suo corpo a muoversi, ad inseguire la conoscenza che andava cercando fin dall’inizio.

Teneva sott’occhio la sagoma nera a stento, trascinandosi lungo la parete con fatica. “MI HAI SENTITO, BASTARDO?”

Non correva, ma in breve tempo attraversò tutto il corridoio giungendo alle scale, che Roy riuscì ad affrontare a stento aggrappandosi il più possibile alle ringhiere di ottone lucido. Lo avrebbe seguito ovunque, a costo di morire per la sua stessa stupidità, a costo di sapere qualcosa che nessun giornale avrebbe pubblicato o per cui qualunque redattore lo avrebbe ritenuto un pazzo. Voleva tenere tutto per sé, in modo che corrodesse la sua mente ed il suo raziocinio per gli anni avvenire, nella consapevolezza di essere l’unico in mezzo alla gente, in mezzo all’universo.

Senza voltarsi mai a dare attenzione alle sue urla patetiche uscì fuori dalla villa, giungendo là dove si vedeva il mare.

Aveva visto il sole su Reesembool solo una volta, durante il giorno trascorso sotto l’ospitalità di Lady Pinako per raccogliere informazioni dagli abitanti. Molti avevano previsto i suoi guai,  altri avevano scosso la testa davanti alla stupidità degli inglesi boriosi. Lui aveva solo liquidato tutto con un ghigno presuntuoso.

Era una cittadina piccola abbastanza perché il sole la illuminasse con un solo raggio, d’altronde. Scar la guardava, ma non avrebbe saputo dire cosa ne pensasse o quale sentimento suscitasse in lui quella vista: una lieve stretta al petto, che non sapeva come identificare, nella sequenza di dolore perpetuo che aveva finito per dimenticare in una parte remota del suo essere.

“Dove siamo?”

Scar voltò la testa. Lo imitò e li vide: un gruppo d’aranceti stretti in un piccolo tratto di terreno, come accoccolati.

Ricordò le parole di Edward al riguardo di un miracolo, ed effettivamente erano delle arance troppo belle per essere cresciute nel freddo della Scozia. Scar ignorò la sua domanda, prese un arancia inginocchiandosi poi ai piedi di uno degli alberi con il capo chinato in avanti, le braccia abbandonate.

Voleva fargli vedere quegli alberi, o si era semplicemente lasciato seguire da lui?

Si avvicinò, perché aveva l’impressione che quell’uomo avesse bisogno di essere consolato. La luce bianca dell’alba creava delle lacrime lattee sotto gli occhi rossi, sul viso che non cambiava e che non poteva esprimere la tristezza in altro modo… appoggiò una mano sulle spalle curve, chiedendosi perché.

Perché non gli era concesso di capire e perché, nonostante non capisse, continuava a pensare a lui.

Ad Edward Elric, al suo fottuto bell’aspetto da principino tormentato.

Non aveva idea di chi fosse, eppure non aveva nessun altro a cui appellarsi per trovare sollievo.

“Chi è davvero Edward Elric?”

Scar addentò il frutto, da cui il succo uscì quasi immediatamente. Era rosso, rossissimo. Troppo rosso.

Era sangue. La succhiò con avidità, senza sbucciarla, inondandosi le labbra di liquido che imbrattò i vestiti e la pelle scura.

L’azione trasformò il suo volto in una maschera nera di ferocia e bramosia, che contrasse i lineamenti prima immobili.

Fece un passo indietro, disgustato, sentendo distintamente un conato di vomito salirgli su per la gola. Per un attimo non ci fu nulla oltre le macerie del suo raziocinio di fronte al bivio che gli rimaneva da affrontare: impazzire od ignorare. Si limitò a tremare e a stringersi la gola vibrante.

Poi comprese, come aveva desiderato, e la consapevolezza giunse al suo cervello con un inchino ed una riverenza. Guardò ai piedi dell’albero.

Non poteva essere altro che così, così come diceva la sua dannata logica. S’inginocchiò e non dovette scavare molto prima di trovarlo.

Un braccio umano.

Scar ridacchiò, mentre Roy si voltava per rivolgergli un espressione sconvolta.

Gli occhi normalmente rossi, piangendo, sembravano sciogliersi in gocce di sangue scintillanti.

Sorrise. “È ancora così sicuro di voler conoscere il padroncino, signore?”

 

Note dell’autrice!

Salve a tutti! Come vi va la vita? A me di cacca puzzolente… ma non è una novità U-U siccome come al solito ho finito gli argomenti vi chiedo: avete visto ‘New Moon’? E non vi chiedete anche voi come cavolo fai a fare una scena drammatica con un tizio che sembra appena uscito da Baywatch? Va buo, andiamo avanti con le risposte ai commenti va.

 

Giaggia: Oddio, non avrei mai detto che è ‘tiranneggiato’ ma più o meno dà l’idea di quanto il mio Roy sia alla deriva della sua vita xD è la mia versione di un Roy Mustang senza alcuna ambizione nella vita: vuoto e passivo, poveretto, quindi perfettamente ‘tiranneggiabile’ xD grazie del commento.

Icaro smile: Non avevo visto Psyco e sono andata a leggere la trama… e beh devo dire che l’idea era molto simile O_O l’ho plagiata involontariamente, però adesso è proprio il caso che io lo veda xD spero che il capitolo ti sia piaciuto, baci.

Covianna: Come Roy è ooc? O_O ALLARME! ALLARME! D’accordo che l’idea mi era venuta per un altro fandom, ma l’ho comunque riadattata! Roy non è lo stesso personaggio che sarebbe stato Naruto nella sua parte, ed ho cambiato parecchie cose che se proprio vuoi alla fine ti spiegherò nel dettaglio, ma non era assolutamente mia intenzione farlo ooc, anzi! Hai presente il Roy del dopo Ishbar? O quello della quarta sigla della prima serie dell’anime che guarda malinconico fuori dalla finestra con un bicchiere di non so quale alcolico in mano? Ecco, il mio Roy è senza speranze e senza ambizioni. Cioè non so in quale frangente ti sia sembrato ooc, ma se segue questa caratterizzazione allora per me è Ic, nei limiti di quanto possa esserlo in Au. Per quanto riguarda Al riconosco che possa essere un po’ ooc, ma è perché lui è frutto di una mia concezione della sua parte oscura (che spesso faccio impersonare all’armatura che prende vita, e che si è vista in altre mie fic come ‘Il battito della rosa’ o “The seven of destruction’). Comunque grazie anche a te, dimmi che ne pensi del nuovo capitolo, bye! *O*

My pride & Valerya90: A Valerya dico che, come ho già detto, i personaggi sono molto diversi da come sarebbero dovuti essere quelli di Naruto nella stessa situazione, ma è una faccenda lunga da spiegare xD Comunque vi ringrazierò fino all’ultimo capitolo, I’m sorry xD grazie!

 

Ci vediamo sabato prossimo per la conclusione, a scanso di secchiate di commenti imploranti di un seguito xD bye!

 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Kokato