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Autore: almostred    21/11/2009    9 recensioni
C'era una volta...un bagno della scuola. Un giorno il bagno della scuola ricevette due interessanti visitatrici. Riuscirà il nostro impavido bagno a sopravvivere all'incontro?
"Perché mi guardi in continuazione?" [Femslash]
Genere: Romantico, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III.Lists Grazie a tutti per le recensioni <3
Grazie alla mia beta mystofthestars( su livejournal) :D
Enjoy!



III. Lists


La terza volta che mi rivolse la parola, fu un po’ come trovarsi in una dimensione alternativa, dove tutto era possibile. Stavo uscendo dal bagno in tutta tranquillità, quando vidi lei venire nella mia direzione a passo svelto. Non feci neanche in tempo a salutarla, che lei mi afferrò per un braccio e mi trascinò ancora una volta nel bagno. Chiuse la porta a chiave dietro di lei – continuo a trovare assurdo che i nostri bagni abbiano una serratura e non la carta igienica – e poi si voltò verso di me.
-Dobbiamo parlare.
Io le offrii un sorrisetto storto.
-Non pensavo fossimo già allo stadio della nostra relazione in cui tu mi trascini in bagno per “parlare”
Lei ignorò la mia battuta e mi puntò un dito contro.
Avrebbe potuto avere almeno la decenza di arrossire. Non era molto divertente, altrimenti.
-Non sono attratta da te.
Io la guardai, fingendo una falsissima sorpresa.
-Ok, onestamente, non mi aspettavo che tu volessi davvero parlare.
Mi tirò un pugno sul braccio.
Da quando era così in confidenza da iniziare a picchiarmi? In fondo era solo la terza volte che mi rivolgeva la parola, dopo anni. Ah, questi ragazzi di oggi.
Ammetto però che quella me l’ero proprio andata a cercare.
-Potresti essere seria per mezzo secondo?
Portai una mano dietro la nuca e scompigliai i miei capelli corti. Mi piaceva moltissimo farlo da quando li avevo tagliati. Mi rilassava far passare le dita fra i ciuffi irregolari senza avere la benché minima cura di non scompigliarli.
-Ok.
-Io non sono attratta da te. E non m'interessa se tu pensi il contrario.
-Ah no?
-No. E ho anche una lista di ragioni per cui non posso assolutamente esserlo.
Estrasse dalla tasca un foglio di quaderno a quadretti spiegazzato e ripiegato in due parti.
Le mie sopracciglia scattarono in alto.
Questa era nuova.
Per qualche strana ragione la trovavo una cosa incredibilmente carina. E, anche se era contro i miei interessi, continuavo a considerarla una cosa adorabile.
-Una lista eh?
Lottai per trattenere un sorriso, ma apparentemente feci un buon lavoro, poiché lei mi lanciò uno sguardo irritato. In realtà non avevo intenzione di prenderla in giro. Non in quel momento, almeno.
Sorridevo perché anch'io adoravo le liste. Facevo liste in continuazione.
Liste dei libri, liste dei telefilm, liste delle storie, liste degli amici, liste delle cose da fare, liste delle cose da non fare, liste di obiettivi,  liste di pro e contro. Una marea di liste. Ironicamente, l’unica lista che non facevo mai era la lista della spesa.
Si schiarì la voce.
Poi mi guardò di sottecchi e iniziò a leggere.
-Lista Di Motivi Per Cui Non Posso Assolutamente Essere Attratta Da Puntini Puntini.
Scoppia a ridere.
Avrei voluto farla incorniciare quella lista. E non l’avevo ancora neanche letta.
-Puntini Puntini?
Lei arrossì.
-Beh, mica potevo scrivere il tuo nome no? Se l’avesse letto qualcuno…
Scossi la testa, ridacchiando.
Puntini Puntini. Quella ragazza era sempre più fantastica.
Lei sbuffò in una perfetta espressione alla “whatever”.
-Uno. Sei una ragazza.
Alzai gli occhi al cielo.
Questa era davvero banale.
Davvero davvero banale.
E anche un colpo basso.
-Oh andiamo, non ti sembra un po’ troppo ovvio? Che cosa pensavi che fossi, un elefante?
-Ma è vero. Sei una ragazza. Ed io non sono attratta dalle ragazze.
Le agitai un dito davanti agli occhi e le feci un occhiolino.
-C’è sempre una prima volta.
Lei incollò gli occhi al foglio, cercando di non far salire il rossore alle guance.
-Due. Non sei abbastanza bella.
Che stronza.
Questo era peggiore di un colpo basso, era un dito in un occhio.
Assunsi un’espressione risentita e incrociai le braccia al petto.
Non ero vanitosa- almeno, non poi tanto- ma non sopportavo quando la gente giudicava dalle apparenze. Era una cosa che detestavo.
-Hey, senti un po’, solo perché non sono bella quanto te, non significa che non sia abbastanza bella. Ognuno di noi ha una bellezza diversa. E si chiama fascino, grazie tante. Con cui l’attrazione non c’entra un emerito cavolo.
Lei mi scrutò un secondo per vedere se me l’ero davvero presa, poi si scostò un ricciolo da davanti agli occhi.
-Forse hai ragione. Comunque, tu non saresti il mio tipo.
-Ah no? E quale sarebbe il tuo tipo?
-Capelli corti, altezza media, che mi faccia ridere, che abbia carattere, che sia dolce, che mi affascini…
Io le sorrisi trionfante, facendo il segno della vittoria con le dita, cioè due dita alzate a formare una V, per i profani che manchino di una conoscenza così fondamentale.
Il segno della vittoria. Non pensavo ci fosse qualcosa di più nerd al mondo. A parte forse il saluto dei Vulcaniani di Star Treck. Ma ci ero affezionata. La maggior parte delle mie foto da piccola aveva il mio segno della vittoria immortalato per sempre, come ricordo della mia fissa per i Pokemon. Semplicemente avevo fatto del segno della vittoria una filosofia di vita.
Ecco, forse filosofia è una parola grossa.
In fondo, avevo appena dodici anni.
Lei arrossì furiosamente e si affretto a specificare.
-E che sia un ragazzo. Ovviamente. Comunque: Tre. Ti vesti troppo country.
No, questa, proprio non me la meritavo.
-Io non mi vesto country! Solo perché ho una fissa per le camicie a quadretti e a righe non significa che mi vesto country. Io mi vesto all’americana. T-shirt con sopra camicia. Oppure maglietta a maniche lunghe con sopra t-shirt. Jeans. Onnipresente kefiah e Converse colorate.  
Che la ragazza s'informasse.
Ma insomma. Il mio stile era più che cool.
Era shiny.  Probabilmente non secondo i canoni d’alta moda, ma non mi pare che lei vestisse d’alta moda. Andiamo, alla signorina piaceva il wrestling!
Lei rise alla mia espressione indignata.
Nonostante le offese al mio amor proprio, fu bello vederla ridere.
Mi piace far ridere le persone. Portare quel po’ di risate quotidiane che servono per sopravvivere alla giornata. E’ edificante. Trasmettere un po’ del mio entusiasmo, rendersi utili.
Farla sorridere fu un traguardo. Significava che si sentiva a suo agio con me.
Finsi di mettere il broncio per qualche secondo. Poi un sorriso storto affiorò alle mie labbra.
-E comunque, neanche l’abbigliamento conta come fattore di attrazione.
Lei sbuffò.
-Quattro. Ho un ragazzo.
-Questo non cambia proprio niente. Lo sapevi che l’uomo per natura è poligamo?
-Cinque. Non sono lesbica.
-A me pare proprio che tu ti stia arrampicando sugli specchi.
Lei mi incenerì con lo sguardo.
-Ma Santo Dio non ti va bene niente!
-Ogni scusa che tu adduci per negare l’evidenza non mi và bene. Dammi qua.
Le strappai il foglio di mano, allontanandomi dalla sua portata.
Non avevo mai visto la sua scrittura. Era…carina.
Ok, no, era abbastanza incomprensibile in realtà – non che la mia fosse poi meglio- però la trovavo quasi…soffice.
Forse mi stavo ammalando. Non era normale quello che stavo pensando.
Dov’era finito tutto il cinismo misterioso degli ultimi due giorni?
Cos’era quella stupida valanga di aggettivi cretini come carino, adorabile, e, il peggio del peggio, soffice? Diamine. Sperai non fosse quello che pensavo che fosse.
Mi concentrai sul pezzo di carta stropicciato che avevo in mano e trovai un'interessante sorpresa scarabocchiata alla fine del foglio, sbarrata da diverse linee ma ancora leggibile.

Lista Di Ragioni Per Cui Potrebbe Esserci Una Remotissima Probabilità Che Io Sia Attratta Da Puntini Puntini.

Mi girai verso di lei con un sorrisetto malizioso.
Cercò di riprendersi il foglio, le guance arrossate. Io lo spostai nella mano sinistra, tenendolo lontano da lei.
-Non mi avevi menzionato quest’altra lista, che è molto più interessante.
Lei arrossì ancora di più.
-Perché non ha senso, visto che non esiste neanche la remotissima probabilità che io sia attratta da te.
Io scossi la testa, con l’espressione di disapprovazione della maestra che ascolta gli scolari sparare corbellerie alle interrogazioni.
Era ora di dimostrarle la mia bravura in fatto di liste.
La fissai un secondo negli occhi e le feci un occhiolino.
-Vediamo un po’ di fare anche questa. Non è giusto scrivere soltanto i contro. Anche i pro meritano una chance.
Estrassi una penna dalla tasca posteriore dei jeans – non posso fare a meno di portarmi una penna dietro ovunque vada, chi lo sa cosa potrebbe succedere- e, appoggiato il foglio sul muro, aggiunsi velocemente alcuni punti alla nuova lista.
Lei mi lasciò fare, spostando nervosamente il peso da un piede all’altro, cercando di non guardarmi. Operazione che non le stava riuscendo particolarmente bene, se posso aggiungere.
Non che mi stessi lamentando, era più un gongolare all’interno.
Dopo qualche minuto le restituii il foglio.
Lei lo prese con aria circospetta, come se fosse una bomba a orologeria pronta a scoppiare.
Sollevai le sopracciglia, e con la mano le feci segno di leggerlo.
-Uno. Puntini Puntini è una ragazza.
Sorrisi alla sua espressione confusa.
-Questa è la prima ragione perché sei attratta da me. Pensaci. Se io fossi un ragazzo, non mi guarderesti due volte.
-Questo non è affatto-
Sbuffai e le posai una mano sul braccio.
-Vai avanti per favore.
Mi guardò indecisa, poi posò di nuovo gli occhi sul foglio.
-Due. E’ intelligente.
Certe cose dovevano essere dette chiare e tonde. Non c’era tempo per la modestia.
-Tre. E’ esattamente il mio tipo e anche una gran-
Alzò gli occhi e mi guardò, incredula per quello che avevo scritto.
Non pensavo si potesse arrossire così tanto per una cosa così semplice.
Mi avvicinai a lei, prendendole il foglio dalle mani e mettendomelo in tasca.
Le scostai un ciuffo ribelle dal viso in una gentile carezza.
I suoi occhi erano fissi su di me. Non si muoveva. Non faceva assolutamente niente.
Sentii che tratteneva il respiro.
Cercai di non farmi distrarre dai suoi occhi, ma era difficile distogliere lo sguardo. Lei, completamente in mio potere, le braccia abbandonate lungo i fianchi.
Potrà sembrare ridicolo da dire ora, ma non mi capitavano molto spesso momenti del genere.
Specialmente non in un bagno della scuola con la ragazza per cui, ormai era ovvio, mi ero presa una tremenda cotta. Non che fosse stata intenzionale la cosa. Anzi. Non l’avevo minimamente programmato. Non pensavo che si sarebbe mai degnata di confrontarmi a proposito dei miei lunghi sguardi di apprezzamento. Non pensavo saremmo arrivate a questo punto, in questo momento, a così poca distanza l’una dall’altra. Una distanza che continuava a ridursi ed io non riuscivo a fermarmi, troppo assorbita dai suoi occhi che dicevano una sola cosa: più vicino, più vicino.
La mia mente era completamente svuotata. C’era solo un pensiero che girava solitario come una di quelle balle di fieno nelle città abbandonate dei vecchi film western.
Non era lei a essere in mio potere. Ero io a essere completamente alla sua mercé.
E la cosa non mi dispiaceva neanche lontanamente tanto quanto avrebbe dovuto.
-... baciatrice…
Sussurrò lei, un soffio caldo sulle mie labbra.
La vidi chiudere gli occhi, mentre la mia mano sinistra si posava sul suo fianco.
Era così vicina. Così vicina.
Un rumore improvviso di nocche contro il legno della porta ci fece sobbalzare e allontanarci l’una dall’altra.
-Volete aprire questa porta? Non ci siete solo voi in questa scuola, chiunque voi siate!
Sapevo che qualcosa sarebbe andato storto. Qualcosa va sempre storto quando tutto sta procedendo magnificamente per qualche minuto. Non sia mai che la signora fortuna si fermi a bussare – o a impedire a qualcuno di bussare, in questo caso- alla mia porta.  
Se c’era una cosa che odiavo, era essere interrotta sul più bello.
Lei si passò una mano fra i capelli, rilasciando un grosso sospiro.
Mi guardò intensamente negli occhi.
-Si, un attimo, ora apro!
Nonostante quando aveva risposto, non diede alcun segno di volersi muovere.
La sua voce era un po’ roca, come se non avesse parlato per molto tempo.
Si schiarì leggermente la gola e, finalmente, abbassò gli occhi.
-Beh, io dovrei andare…I miei compagni si staranno chiedendo dove sono finita.
I miei di compagni probabilmente non avevano nemmeno notato la mia prolungata assenza. O se l’avevano notato, avranno pensato che ero caduta nella tazza, o qualcosa del genere.
Ho questa tendenza al terreno. E loro non sono esattamente i compagni più affettuosi del mondo.
Annuii piano, mostrando di capire il suo bisogno di spazio.
Le sorrisi. Semplicemente un sorriso. Genuino. Vero. Caldo.
Lei rispose al mio sorriso con uno più piccolo, ma ugualmente luminoso.
Chinò il capo e si volse verso la porta, iniziando a camminare.
Io mi appoggiai al muro, non staccandole gli occhi di dosso.
C’era qualcosa di affascinante nel vedere le persone andarsene. Affascinante, e un po’ triste.
Affascinante perché speravo sempre che la persona che stavo guardando percepisse il mio sguardo e si girasse con un sorriso. Triste perché non succedeva mai.
Sarebbe veramente una cosa da fiaba se ora lei si girasse e mi sorridesse, pensai.
Ma quella era la vita vera. E cose come quelle non succedevano mai.
Difatti lei non si girò e mi sorrise. Non era così banale.
Si fermò con la mano sulla maniglia, incerta su cosa fare.
Poi si girò e fece una cosa che non mi sarei mai e poi mai aspettata.
E battere i miei film mentali era qualcosa che avrebbe davvero meritato un oscar.
In due passi fu di nuovo così vicina che riuscivo contarne le chiarissime lentiggini sul naso.
Mi baciò le labbra velocemente. Mi baciò. Lei, signorina-Non sono assolutamente attratta da te-, mi baciò. Non fu niente di particolare, appena un leggero sfiorare di labbra, un castissimo bacio a stampo. Una promessa. Sapevo che era una promessa.
E lo sapevo dallo sguardo che mi lanciò un secondo prima di girarsi e andarsene.
Uno sguardo incerto, un po’ confuso, ma che conteneva una promessa di qualcosa di più. Una conferma che ciò che era successo negli ultimi tre giorni, i tre giorni più assurdi della mia vita, non sarebbe stato dimenticato in un cassetto o gettato in un cestino della carta straccia.
Girò la chiave nella serratura e, aperta la porta, scivolò fuori.
Io mi appoggiai con una mano a una delle porte sgangherate di uno dei cubicoli, e mi lasciai andare a un lungo sospiro. Mi sfiorai le labbra con due dita, ancora incredula.
La mia vita, così a lungo rimasta sotto il mio controllo, mi era sfuggita di mano.
Ma la cosa che mi spaventava di più, era che mi piaceva. Mi piaceva non avere il controllo di niente. Era inebriante.
-Stai bene?
Alzai gli occhi alla domanda fattami da una delle mie compagne di classe, appena entrata nel bagno.
Annuii lentamente. Poi ridacchiai, scuotendo la testa.
-Si sto bene. No. Sto più che bene. Sto benissimo.
La ragazza alzò le sopracciglia, incerta.
-Sei sicura?
Io mi avviai verso la porta del bagno, ancora ridacchiando fra me e me.
-Certo. Ho solo avuto la conversazione più strana della mia vita.
A quanto pareva Alice stava imparando in fretta le regole del gioco.
Fu solo allora che mi accorsi che il foglio stropicciato con le due liste non era più nella mia tasca.



  
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